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Autore: Marra Superwholocked    18/02/2019    1 recensioni
Ultimo capitolo della Trilogia delle impavide cacciatrici milanesi.
Durante il loro anno sabbatico, Catherine e Silvia avranno modo di capire se la caccia ai mostri fa realmente per loro. Tuttavia, da semplici cacciatrici in prova, si ritroveranno a dover escogitare un piano per eliminare la minaccia di Arimane, creatura malvagia scappata dalla sua Gabbia ai confini dell'Universo. Il Dottore le aiuterà anche questa volta? E Storybrooke da che parte starà?
Dal testo:
«Ed ecco a voi» disse Amnesha girando la scatolina bianca per mostrare alle cacciatrici il suo contenuto, «l'ultimo Fagiolo Magico.»
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Belle, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: Cross-over, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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CAPITOLO V
Stairway To Heaven...
...okay, maybe not
(Parte Seconda)


Erano ancora in quella viuzza fredda e umida. Catherine stentava a crederci: la sua migliore amica non era più una semplice ragazza che sapeva prataicare magia rossa, verde e bianca; Silvia era diventata una strega a tutti gli effetti e ora ne era certa! Prima le sfere di fuoco per uccidere il Chupacabra, ora la Chiaroveggenza... Il pensiero che attraversò la sua mente in quell'istante fu: Non c'è due senza tre: e se arrivasse un terzo potere, più pericoloso e difficile da gestire?
«Cathy» la ridestò Silvia. Ella le indicava un punto alle sue spalle e, improvvisamente, la piccola cacciatrice si rese conto della presenza di un coro.
Catherine si voltò e vide un gruppo di donne cantare. Camminavano lente verso di loro, spargendo petali di rose prima del passaggio di una fanciulla vestita di bianco. Era piuttosto gracile, con un musino a punta e la bocca minuscola e stretta. A Silvia sembrò un'aliena e rise tra sè e sè, nonostante la cosa non fosse molto divertente.
«È lei» disse Catherine. «È la ragazza della ghirlanda.» La guardò intensamente e dopo qualche istante dovette staccarle gli occhi di dosso: al centro del suo campo visivo aleggiava quel fastidioso cerchio di luce che ognuno di noi vede quando guarda il Sole. Era giorno, ma l'aureola era molto potente. Le vennero i brividi. Da credente ma non praticante che era, una parte di Catherine credette al miracolo.
Silvia, invece, studiava la scena da un'angolatura diversa. La recente perdita della nonna le aveva fatto perdere ogni speranza nell'esistenza di un Essere Superiore... Prese Catherine per la manica e la trascinò da parte, per far passare la processione.
La fanciulla della ghirlanda intercettò lo sguardo delle due cacciatrici e sorrise loro. Non ricevendo in cambio un loro sorriso, si fermò. Tutte le altre donne smisero di camminare, qualcuna si coprì la bocca in segno di stupore. Videro che la ragazza guardava le due straniere con occhi misericordiosi e colmi di benevolenza e, ovviamente, chinarono il capo lasciandole libero un passaggio diretto alle due giovani.
«Chi siete?» chiese una voce falsamente angelica. «Il mio nome è Selenia.»
Catherine si accigliò. C'era qualcosa che non andava per il verso giusto, qualcosa di evidente, ma che non riusciva a notare. Selenia, la ragazza della ghirlanda, la santa della settimana, si stava lentamente, inesorabilmente avvicinando a loro e nei suoi occhi Catherine riusciva a scorgere qualcosa che non riusciva a tradurre.
«Da dove venite?» chiese Selenia in tono dolce.
«Da lontano.» Silvia fu fredda come la sua risposta, secca e cruda.
Woah! Easy, tiger! avrebbe voluto dirle Catherine, ma stava ancora cercando tra gli occhi di Selenia una risposta. Ella sbatteva le palpebre così ferocemente che si chiese se avesse un pelucco in un occhio, ma poi si accorse che rispettava un determinato ritmo: tre battiti brevi, tre più lunghi e ancora tre battiti brevi. Cosa significava?
«Qual è il vostro nome, straniere?» Parlava come se fossero state nel diciannovesimo secolo e quella vocina quasi stridula dava immensamente fastidio a Silvia.
«Io sono Melissa, lei è la mia amica Valeria» disse Silvia.
Selenia sorrise, ma il suo viso mostrava sempre più angoscia e disperazione. «Benvenute» aggiunse prendendo, tra le sue, la mano di Silvia e stringendola con occhi colmi di speranza prima di voltare loro le spalle e tornare tra le donne, le quali ripresero a cantare.
Catherine aspettò che il gruppo si allontanasse per poi rivolgersi a Silvia, sussurrando: «Perché le hai mentito?»
«Non lo so, istinto.» Silvia si rese conto solo allora che Selenia le aveva lasciato qualcosa tra le dita. Si guardò la mano e vide un piccolo pezzo di carta su cui c'era scritta una sola parola: Aiuto. Lo passò a Catherine la quale spalancò gli occhi e subito capì cosa volessero dire i battiti di ciglia ritmati: era un codice morse usato per urlare in silenzio S.O.S.


«Due Geronimo, un'acqua e una Coca, okay!» La cameriera sorrise e se ne andò via con l'ordinazione.
Al tavolo, Silvia si guardava attorno con gli occhi lucidi. «Ahh, quanto adoro questi posti!»
«Me ne sono accorta» rispose Catherine sorridendo. «Secondo me, in una vita precedente eri un pistolero o magari uno sceriffo bastardo.»
Silvia staccò gli occhi dalle travi di legno al soffitto e guardò storta l'amica. «Perché bastardo?» chiese incredula.
«Dai, non sei buona come il pane» rise.
Ma Silvia continuava a guardarla mezza divertita e mezza confusa. «In effetti...» aggiunse ridendo. «Però, parlando del caso...»
«Sì?»
Silvia spostò il suo bicchiere. «Quella ragazza...»
«Ha paura» completò Catherine. Vide che Silvia annuiva senza guardarla negli occhi: stava pensando a quella povera "santa della settimana" e probabilmente si sentiva in colpa per non averla aiutata subito. Erano rimaste a guardare il gruppo di donne portarla via, non avevano mosso un dito ed entrambe si sentivano uno schifo. La verità è che, fino a quel momento, i loro casi non coinvolgevano molti umani, c'erano solo loro e il mostro di turno. Da quel giorno cambiò tutto.
«Sis» la richiamò Catherine. «Sis, non potevamo fare nulla. Non con tutte quelle donne attorno.»
Silvia sbuffò dal naso facendo girare gli occhi sull'interno dell'Old Wild West della città. Sgranocchiò una nocciolina e si ripulì le mani dalle briciole. «Lo so.»
«Ecco, quindi non stare ad arrovellarti la testa, ti fa solo male!»
Silvia annuì ed in quel momento arrivò la cameriera di prima. Lasciò loro una bottiglietta ed una lattina e tornò al suo lavoro. Le due ragazze sorseggiarono, senza farsi prendere dalla gola, la bevande.
«Avremmo però dovuto seguirle, vedere dove avrebbero lasciato la ragazza e poi capirci qualcosa di più.» Silvia sembrava alterata con se stessa e il silenzio di Catherine le fece capire che anche lei la pensava uguale: avevano sbagliato.
«Appena finito il pranzo, torniamo indietro» le promise Catherine e Silvia, per la prima volta dopo l'incontro con Selenia, le sorrise sinceramente.
Mangiarono in silenzio e velocemente, col rischio di star male, ma non importava: volevano salvare Selenia a tutti i costi. Trangugiarono ogni singola briciola e patatina nei loro piatti, anche le due foglie di insalata riccia sparirono nei loro stomaci perché, sì, erano nervose, ma avevano anche bisogno di tanta energia poiché non sapevano quando avrebbero mangiato di nuovo.


«Selenia?» Una donna aprì la porta della cameretta della ragazza. «Selenia, tesoro» disse la donna richiudendosi la porta alle spalle dopo essere entrata nella piccola stanza rosa. Dalle pareti erano state tolte le foto, custodite nei loro quadretti, e lo si poteva notare dagli spazi più puliti di quelle quattro mura che gridavano tristezza. La scrivania prima ricoperta da libri di scuola e disegni ora era spoglia: non serviva più nulla. L'armadio era stato svuotato e dato tutto in beneficienza. Le era rimasto solo il letto, due abiti bianchi e la biancheria.
«Mamma...» Selenia si alzò dal letto. Una lacrima ancora esistante nel suo occhio destro, ma prontissima a scendere.
«Cosa c'è che non va?» le chiese la madre con tutta l'ingenuità del mondo.
Selenia spalancò gli occhi; in tutti i suoi diciassette anni, sua madre non l'aveva mai trattata così, come una bambina. «Smettila!» le urlò spaventata. «Smettila, okay?!»
«Selenia, bimba mia, non capisci che sei stata scelta?» disse avvicinandosi alla figlia, ma ella si scostò per scappare verso la finestra. Sebbene lì sentisse freddo, percepiva più calore umano che da quella madre che non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Possibile che fosse una dei pochissimi a chiedersi perché le persone del suo paese continuassero a sparire nel nulla?
«Sei stata scelta dal Signore, sei fortunata!» continuò comunque la madre.
Selenia guardò fuori dalla finestra. Gli occhi guardavano distratti oltre le cime degli alberi, i loro rami secchi, senza vedere nulla. Il vuoto in quella camera e dentro di sé. Poggiò le mani sul calorifero per riscaldarsi e quasi si bruciò. «Fortunata?» Selenia si voltò e inspirò lentamente. «Fortunata? Qui vengono scelti e poi muoiono. Dici che sono fortunata?»
«Ma, no, Selenia, che dici?» rise dolcemente la madre. «Non muoiono!»
«Okay, spariscono!» esclamò esasperata. La lacrima non poté più attendere e si fece strada sulla sua pelle. Avrebbe voluto aprire velocemente la finestra e gettarsi nel vuoto. Era una scelta drastica, ma certa. Non sapeva cosa sarebbe successo alla scadenza della settimana di gloria; mancavano solo pochissime ore, dopo tutto!
«Tesoro, non fare così.» La donna si avvicinò alla figlia, che questa volta non si scansò, ma si fece accarezzare il volto da quelle mani traditrici. «Stai diventando una lampadina» cercò di scherzare. In effetti, avevano notato che la luminescenza del nimbo aumentava o diminuiva in base alle emozioni provate dal soggetto.
Tuttavia, Selenia non rise.
«Vedrai che, quando tutto sarà finito, sarai felice. Andrà tutto bene, stai tranquilla!»
Tranquilla?, pensò la ragazza, ma non disse nulla; preferì soffocare un singhiozzo e chiudere gli occhi, desiderando che sua madre capisse.
Quando finalmente Selenia rimase da sola, la diciassettenne ne approfittò per fare ciò che andava fatto. Era uno dei tanti pomeriggi nebbiosi e scuri, per cui nessuno l'avrebbe vista distintamente. Si alzò dal suo letto e andò verso la finestra. Era decisa a farla finita. Guardò l'orologio. Erano le quindici. Mancavano nove ore. Chissà perché le cose misteriose a spaventose accadono tutte a mezzanotte?
Col cuore in gola e i piedi scalzi e infreddoliti, Selenia aprì la finestra. Sotto di lei solo il vuoto. Il fico nel giardino della vicina era mezzo congelato, ma con i rami potati era più scoperta. Fortunatamente per lei, tattavia, non vi era anima viva nei paraggi. Selenia si sporse un pochino. Non era altissima, ma non fece fatica a sedersi leggermente sul davanzale freddo e umindo della sua finestra. Per un attimo ci ripensò... Ma no, porca misera, era decisa!
Prima una gamba.
E poi l'altra.
Ora Selenia era sempre seduta sul davanzale della finestra, ma le gambe non erano più rivolte verso la camera che l'aveva vista crescere, ma fuori, verso l'esterno. Una pantofola le scivolò dal piede già infreddolito mentre una nuvoletta densa le si formò davanti alla bocca. Poi, improvvisamente, Selenia si lasciò andare; le sembrò di cadere da un grattacielo benché stesse facendo solo due piani molto bassi in caduta libera. L'aria fredda le graffiava il morbido volto facendola rabbrividire. E poi, d'un tratto, quando meno se l'aspettava... Poof! Selenia cadde con un tonfo sordo sul prato bagnato dalla nebbia.
«Ahi!» si lamentò sussurrando ad occhi chiusi. Si massaggiò il braccio poiché era caduta male: un po' in piedi, un po' sul fianco e poi aveva rotolato sul braccio dolorante. Nemmeno lei sapeva come aveva fatto esattamente ad atterrare così stupidamente. Ma non poteva perdere tempo! Ed ecco che, in un lampo, si alzò da terra e, guardatasi attorno per accertarsi che nessuno l'avesse vista, scavalcò il basso muretto di cemento che delineava il perimetro della proprietà.
Una volta in strada, libera, Selenia provò un po' di panico: e se l'avessero riconosciuta? Ormai tutti sapevano chi fosse, tutti conoscevano la sua famiglia, il suo indirizzo, il suo numero telefonico di casa...
Subito Selenia rientrò in una via secondaria e buia, così stretta che non si poteva passare se non in fila indiana. Alimentata dalla speranza di salvarsi, la ragazza continuò a camminare velocemente per lasciarsi alle spalle la madre e le sue stupide convinzioni. Perché non danno mai ascolto ai giovani?
I passi di Selenia diventarono sempre più lenti. Echeggiavano stanchi e più lei andava avanti, più quella via le sembrava non finire mai. Ma poi, ecco, un angolo. Svoltato quello, Selenia avrebbe raggiunto la casa abbandonata. Era appartenuta ad una coppia di inglesi morti molti anni prima nella loro camera da letto in seguito ad un incendio e nessuno si era più occupato di abbatterla e ricostruirci sopra una nuova abitazione. Era rimasta semplicemente lì, a cadere a pezzi, a riempirsi di muffa e graffiti, vittima delle solite ragazzate. Tuttavia, quel giorno avrebbe finalmente riavuto l'occasione di ospitare tra le sue mura una persona: Selenia.
Peccato che fosse già occupata.
Selenia si guardò attorno; non vide nessuno. Probabilmente erano tutti a casa a scaldarsi davanti al caminetto o intenti a pregare, a ricamare o a spettegolare tra un sorso di cioccolata calda e l'altro. Indi attraverò, convinta che non vi avrebbe trovato nessuno. Invece, appena spalancò la porta d'ngresso della villetta mangiata dai tarli e dall'umidità, Selenia si ritrovò una pistola puntata alla tempia.
«Silvia!» urlò una ragazza con in mano un fucile dall'altra parte della sala.
E Silvia si rese conto di chi fosse. Mise giù la pistola e studiò il volto luminoso. «Ehi, ciao, Santa della Settimana!»
Selenia entrò, ripugnante. «Non chiamarmi così» disse quasi inferocita. «Mi chiamo Selenia.»
Silvia alzò entrambe le sopracciglia. «Wow, scusa...»
Ma Selenia non era più arrabbiata. Chiuse la porta e sospirò. «No, scusatemi voi» disse guardando in basso. La vergogna era alta e sentiva il suo peso schiacciarla lentamente. Era troppo, per lei, troppo. «È che tutta questa situazione mi sta mangiando viva, non ce la faccio più» pianse e finalmente trovò il coraggio di alzare lo sguardo. Intercettò gli occhi di Catherine, la quale si spaventò e le corse incontro.
«Ehi, ma guardati!» esclamò lasciando il fucile in bilico sul tavolo. «Da quanto tempo è che non ti fai una bella dormita?»
Selenia provò ad immaginare se stessa con gli occhi di Catherine, o, per come la conosceva lei, Valeria. Si vide con gli occhi tremendamente rossi, due valige sotto di essi e la pelle biancastra; doveva fare davvero schifo. Un'altra nota di vergogna l'attraversò ed ecco gli occhi ancora giù, sul pavimento scricchiolante. «Giorni, credo.»
Silvia e Catherine la fecero sdraiare sul pavimento; Silvia si sfilò anche il giubbotto e lo appallottolò per farne un cuscino. «Quanto manca all'ora X?»
«Non lo so» rispose Selenia e le due cacciatrici pensarono che fosse un mostro poco professionale, ma poi Selenia aggiunse: «Quanto manca alla mezzanotte?»
Catherine diede uno sguardo all'orologio: «Sei ore e mezza, perché?»
«Perché tra sei ore e mezza esatte lui mi troverà.»


Silvia provò ad accendere il fuoco. Pochi rametti raccolti per strada pensava sarebbero bastati, ma si sbagliava. «Fanculo» disse ed evocò una palla di fuoco. Fu così che cucinò con la mano et voilà i fagioli erano pronti! Li suddivise in tre; due parti nelle ciotole, la terza rimanente la lasciò nel padellino ancora bollente. Infilò un cucchiaio in ogni recipiente poi andò da Catherine. Ella stava sorvegliando Selenia, totalmente persa nei suoi pensieri.
«Yo.»
Catherine inspirò e tornò alla realtà solo quando una ciotola di fagioli le si presentò dinnanzi. «Uhh!»
«Già» rise Silvia. «Stasera si dorme in tre stanze separate!»
«Non credo che stasera si dormirà» precisò Catherine indicando Selenia.
Silvia adagiò la seconda ciotola ed il padellino sull'instabile tavolo e andò dalla ragazza, abbassandosi piano per svegliarla. «Selenia» sussurrò sfiorandola. Quella emise un gemito e si alzò subito dopo, scattando seduta, rischiando di dare una testata a Silva, che cadde all'indietro sul pavimento.
«Oddio, scusa!»
«No... Tranquilla...» faticò Silvia. Si tirò su e si massaggiò il fondoschiena. «Sto bene, sto bene» aggiunse vedendo Selenia preoccupata. «Dai, vieni a mangiare qualcosa finché è caldo.»
Cenarono in silenzio. Ogni tanto Catherine ripensava alla caduta di Silvia e le scappava una risata. Tutte stavano attente all'orario, ma nessuna osava dire una parola. Poi Silvia prese in mano la situazione.
«Sai già ciò che accadrà?»
Selenia mise giù il cucchiaio nella ciotola e così fece Catherine, ma solo quest'ultima aveva finito i suoi fagioli: Selenia aveva perso d'un tratto la fame. «No» rispose sinceramente. «So che, allo scadere del tempo, si scompare senza lasciare traccia. Se qualcuno rimane con te, non succede niente, ma non appena si rimane soli...» A Selenia vennero le lacrime agli occhi. «Gli altri sono spariti anche ore dopo lo scadere del tempo, basta anche solo un attimo di distrazione.»
«Quindi non potremo affrontare questa creatura se non lasciandoti sola» pensò Catherine a voce alta.
«Cosa?! No! Vi prego, non lasciatemi sola, ho paura!»
«No, no, no, tranquilla, non ti accadrà niente, okay?» cercò di rassicurarla Catherine, ma ormai non poteva più ritirare ciò che aveva detto: era vero che dovevano lasciarla sola, era indispensabile, purtroppo.
«Selenia» parlò Silvia continuando a mangiare i fagioli, come una selvaggia, direttamente dal pentolino. «Noi siamo qui per uccidere questo mostro, quindi dovremo per forza lasciarti da sola!»
Selenia sbiancò, era terrorizzata. Forse era meglio se stavo a casa, pensò.
«Ma non sarai davvero da sola» aggiunse Silvia trangugiando un'altra cucchiaiata di fagioli. «Farai da esca e noi saremo pronte e vedrai che andrà tutto bene, fidati!» Le fece l'occhiolino per incrementare lo spirito positivo sempre presente in lei, per sdrammatizzare e la cosa sembrò funzionare.
«Okay» sorrise Selenia. «Non mi sembra un ottimo piano, ma...»
«Ma è l'unico che abbiamo» finì Catherine. Ella prese poi le ciotole, il pentolino e i tre cucchiaie li portò verso quella che una volta era la cucina. Mise tutto nel lavandino e fece per aprire il rubinetto, stupendosi perché non usciva acqua corrente. Poi si drizzò e, girandosi, vide Silvia ridere sotto i baffi. «Sì, io essere stupida, va bene. Ora agita la bacchetta, Fata Madrina» esclamò Catherine senza alcuna arroganza.
Silvia agitò una mano e, magicamente, il rubinetto si riempì d'acqua, dapprima ferrugginosa, poi sempre più limpida, così che Catherine poté lavare le sei stoviglie.
«Ma cosa-?» si spaventò Selenia. «Sei una strega?!»
«No!» esclamò Silvia. «No, non sono una strega... Sono una wiccan! C'è una bella differenza!»
«Be'... Da quel che ho visto, non hai usato nessun incantesimo infinitamente lungo e noioso e nemmeno amuleti o...»
«O...?»
«Code di rospo?» chiese schifata Selenia.
Silvia sbuffò tra le risate di Catherine, poi si coprì la faccia in segno di rassegnazione; Catherine rispose per lei:
«Sì, lei è partita come wiccan, ma, vedi, Selenia...» cominciò ad asgiugare il pentolino ancora un po' unto per mancanza di sapone con cui lavare. «Sono successe un bel po' di cose, ultimamente. Lo vedi quel libro su quella sedia?» chiese indicando alle sue spalle.
Selenia si voltò e notò solo in quel momento il libro. Strano, pensò, non lo avevo notato fino ad adesso...
«Quel libro parla di noi ed è una delle tante conseguenze scatenate dal ribaltamento delle regole della magia» spiegò Catherine asciugandosi le mani; aveva finito di fare la bella lavanderina e ora aveva mani e braccia congelate.
Selenia rimase perplessa, con gli occhi spalancati e la bocca pure. «Eh?!»
«Sì, mi rendo conto che tutto questo sia strano, per te...» fece Silvia alzandosi da tavola. «Cathy, che ti viene in mente? Raccontarle una cosa del genere!»
Catherine stava per scusarsi quando Selenia la interruppe:
«Cathy? Ma non ti chiamavi Valeria?»
Catherine e Silvia si scambiarono un'occhiata fugace che voleva dire: Miseriaccia.
«Sì, ehm... Dovevamo inventarci nomi falsi. Fa parte del mestiere» disse Silvia.
«Mestiere?»
«Siamo cacciatrici.»
Siamo cacciatrici. Quelle due parole dette da Catherine con estrema naturalezza riempirono di gioia il cuore di Silvia. Era al plurale e finalmente sentiva che la sua migliore amica provava entusiasmo in ciò che facevano. Si sentì così felice che per un istante dimenticò la situazione alla Insomnia. Poi un suo stesso colpo di tosse la riportò alla realtà e guardò l'orologio. «Ragazze. Sono le ventidue e trenta.»
Catherine annuì seria. «Prepariamoci.»
In pochi minuti Silvia descrisse la creatura a Catherine: bassa, grassa ma agile, molto simile ad uno gnomo ma senza cappello a punta. Questo era tutto ciò che ricordava dal contatto con il barista; niente di più, niente di meno.
Ore ventitré, pistole cariche. Ore ventitré e un quarto, smantellamento della stanza in cui avevano cenato: i borsoni vennero riposti in un altro angolo della casa abbandonata mentre le due cacciatrici spostarono il divano dalla parete e vi si nascosero in mezzo, pronte a sparare.
Selenia non voleva parlare. Non perché in quel modo pensasse di farla a quel mostro, ma perché era una situazione davvero insostenibile. Stettero in silezio tutte e tre per più di quaranta minuti, immobili.
Poi, all'improvviso, il rumore.
Il cigolio della porta, poi un tonfo, rumore di passi, lenti, poi veloci, sembrava avere dieci, cento, mille piedi, poi di nuovo passi goffi, un altro tonfo, questa volta sulla parete. A Silvia stava per scappare uno starnuto, per tutta quella polvere che si stava respirando. Per mille antistaminici, era allergica agli acari della polvere! Ma Catherine, fulminea, le tappò il naso, così che il mostro non scappasse; funzionò e Silvia tornò a respirare normalmente.
Altri piccoli passi e Selenia si sentì svenire; seduta sulla stessa sedia su cui aveva cenato, ora voleva solo scappare il più lontano possibile.
I passi, poi, entrarono nel salotto, oltrepassarono il divano e raggiunsero il tavolo. Fu lì che Selenia avvertì una ventata d'alito pesante e fece l'errore di voltarsi. Urlò suo malgrado; Silvia e Catherine scattorno in piedi come grilli e videro il mostro. Un mostro molto più umano di quanto si aspettassero. Tuttavia, egli articolava il braccio che le due cacciatrici non riuscivano a vedere bene in un modo alquanto strano: sembrava molle, gelatinoso.
Il mostro si voltò e vide le cacciatrici. Sorrise, poi anche il braccio più vicino a loro divenne molle fino a terminare la trasformazione – che durò pochi istanti – per diventare uno splendido tentacolo lungo quasi due metri. Con questi scaraventò le cacciatrici a terra con un semplice gesto, con l'altrò perforò deciso il torace di Selenia.
Ella gridò fino a che non emise che un semplice soffio e lasciò cadere in dietro la testa. Sangue caldo colò dalla ferita irreparabile poco prima che il mostro ingollò il corpo esanime della ragazza. Due istanti dopo la cena della creatura, la stanza si riempì di luce e quando tutto tornò sereno, Selenia ed il mostro erano spariti.
Forse non c'è nemmeno bisogno di dirlo, ma Catherine e Silvia ne rimasero sorprese. Si erano rialzate quasi subito dopo essere state balzate da una parte all'altra della stanza, tuttavia non avevano fatto in tempo ad attaccare il mostro per evitare la morte di Selenia.
«Se l'è mangiata...» sussurrò Silvia incredula. «Se l'è mangiata!»
Poco distante da loro, la pozza di sangue fumava ancora e le rimproverava come se Selenia fosse ancora lì con loro.

   
 
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