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Autore: Tenar80    22/02/2019    3 recensioni
Corea 2018. Olimpiadi invernali.
Una leggenda alla propria ultima gara.
Un campione in cerca di conferme.
Un atleta di valore, di uno stato periferico.
Una giovane promessa alla propria prima olimpiade.
Il tutto complicato dai sentimenti, dallo scandalo doping, da un calendario gare studiato apposta per accanirsi sui pattinatori, dalle rivalità sportive e gli infortuni.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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  – Si può sapere che cos’hai fatto a quella mano? – borbottò Yakov, mentre Victor aiutava il compagno di squadra a infilare il guanto grigio del costume sulla mano ancora gonfia e abrasa.

    Con lo sguardo, l’atleta più anziano cercò di avvisare l’allenatore che era meglio cambiare discorso. 

    – Non pattino con la mano – ribatté Yuri, scontroso.

    – Me lo auguro.

    Erano tutti di pessimo umore, constatò Victor.

    Yakov, per la prestazione disastrosa della coppia russa, che con due cadute aveva messo in serio dubbio una medaglia d’oro data per certa. Yuri, per qualsiasi cosa fosse successo durante o dopo la cerimonia d’apertura. La stessa cosa, presumibilmente, che spiegava la serie di passi del tutto scoordinata che Otabek stava eseguendo in quel momento. Quanto a lui, si sentiva inutile.

    Non gli era capitato spesso di assistere a una gara della propria categoria dal bordo pista, senza un ruolo definito. Non partecipante, certo non tecnico, non propriamente spettatore. Yakov lo aveva voluto per dare un po’ di respiro a Dimitri, il suo vice, che aveva seguito le coppie e poi sarebbe stato accanto a Mila. La prova a squadre, pensò Victor, doveva essere più massacrante per gli allenatore che per gli atleti, che al massimo gareggiavano una o due volte. Dopo il corto di tutte le discipline, le squadre in gara si erano ridotte a cinque e i piazzamenti nel libero dei vari atleti avrebbero completato la graduatoria finale. Il terzo posto della coppia russa, quindi, era stato un mezzo disastro. E adesso Victor ne intravedeva un altro di fronte al compagno di squadra e sentiva di non poter far nulla per fermarlo.
     Litigare con qualcuno prima di una gara importate poteva non essere un male assoluto, Yuuri glielo aveva dimostrato fin troppo bene, ma di certo quella non era la condizione d’animo per pattinare sulle note di un’Ave Maria. Se anche il lavoro che avevano iniziato insieme aveva portato un qualche miglioramento, era stato spazzato via dal pugno che il ragazzo doveva aver tirato contro il cemento.

    – Prova i passi e gli avvitamenti – ordinò Yakov.

    Victor sospirò. Avrebbe preferito di gran lunga gareggiare. Quando era sul ghiaccio, fin tanto che la musica suonava, si dimenticava di tutto, persino del dolore alla caviglia che ora, stretta nel tutore rigido, nascosto sotto i pantaloni, sentiva pulsare come non mai. Così come sentiva una sorta di sanguinamento all’altezza del petto, per la distanza che doveva tenere da Yuuri.

    Il giorno prima non si erano quasi visti e quella mattina, prima che gli atleti scendessero in pista, erano riusciti giusto a lanciarsi un saluto da lontano. Non aveva idea di quale fosse la condizione mentale di Yuuri. E quello era sempre un problema. Il giapponese ormai era un atleta esperto sotto ogni punto di vista, con un palmares importante e l’età a cui la maggior parte dei pattinatori si ritira, eppure non c’era un metodo sicuro per evitargli una crisi di panico prima di una competizione, né un modo sicuro per farlo uscire. Era enormemente migliorato rispetto a quando si erano conosciuti, tuttavia le ricadute erano sempre dietro l’angolo. Victor ricordava ancora l’assurda paranoia che aveva tirato fuori la mattina della finale dei mondiali, sul fatto che senza lui e Yurio la competizione era sfalsata e che quindi la propria performance mediocre sarebbe stata ancora più ingiusificabile. Il russo si sentiva sempre del tutto impotente in quei momenti e in quell’occasione non aveva trovato di meglio da fare che uscire sbattendo la porta per evitare di prenderlo per il bavero e dargli una scrollata. Il risultato era  stato che Yuuri era sceso in pista nervoso. Era atterrato male da un salto. Di fatto aveva recuperato appoggiando una mano sul ghiaccio, ma Victor aveva visto l’angolo assurdo della sua caviglia. Aveva dovuto attaccarsi con entrambe le mani al bordo della pista, mentre si sentiva svenire. Yuuri era Yuuri e se l’era cavata con una distorsione, ma l’episodio aveva creato un terrore del tutto nuovo in Victor, attraverso cui si era insinuato il dubbio di non essere adatto ad allenare la persona che amava. Adesso, tuttavia, avrebbe dato qualunque cosa per tornare ad occupare quel ruolo. Yuuri non si stava scaldando, parlava con il tecnico della nazionale, troppo lontano, troppo velocemente e troppo in giapponese perché il russo potesse capirne le parole. Dai gesti, tuttavia, gli pareva che stessero discutendo di cambiare l’ordine dei salti. Perché? Si erano detti qualcosa a proposito del libero la sera della cerimonia d’apertura? Gli antidolorifici lo lasciavano sempre in uno stato quasi evanescente e non ricordava bene  i fatti tra la prenotazione dell’albergo e il momento in cui Yurio aveva fatto irruzione con la mano sanguinante…

    – Ricordati di quale squadra sei parte – lo rimproverò Yakov. – Quel ragazzo non è un cucciolo indifeso. È il nemico da battere.

    – Dici?

    In qualche modo sarà sempre, per me, un cucciolo indifeso.

    L’allenatore sbuffò.

    – Siete stati fortunati – ammise poi. – L’amore è quasi sempre un problema, dal mio punto di vista. Se è appagante toglie motivazione, se è infelice concentrazione… È questo che è successo a Yuri?

    Victor sospirò, senza togliere gli occhi da Yuuri, che adesso iniziava ad allenarsi.

    – Non so se siamo ancora allo stadio dell’amore infelice… Yakov, in questi ultimi tempi, che tu sappia, ha avuto qualche storia?

    – Mah… L’ho mandato a fare un corso di lingue ed è uscito qualche volta con una compagna, ma lei si è tolta di mezzo presto e lui non mi pare l’abbia rimpianta.

    I passi di Yuuri andavano bene, anche l’avvitamento… Forse, per una volta, non era nel panico.        

    – Ecco – rispose a Yakov. – Allora siamo al primo, tragico innamoramento.

    – Che il Cielo ci aiuti – sospirò il tecnico.

    Quasi in risposta alle sue parole, vi fu l’inconfondibile suono di qualcuno, più di uno, che impattava in modo decisamente brusco col ghiaccio. 

    Yakov e Victor si girano all’unisono. Sia Yuri che Otabek erano caduti dopo essersi scontrati.

    Si rialzarono entrambi, anche se il kazako si massaggiava una spalla e Yuri una gamba. Si scambiarono anche qualche parola che non arrivò al bordo pista, ma che non aveva l’aria di essere una scusa. Victor vide Otabek stringere una mano e per un istante temette di veder partire un pugno. Il kazako, però, si limitò a scuotere la testa e ad allontanarsi verso il proprio tecnico, mentre Yakov richiamava Yuri.

    – Vado a vedere come sta Otabek – disse Victor a Yakov.

    In realtà non voleva assistere alla sfuriata che attendeva il ragazzo.

    – Non famigliarizzare troppo col nemico.

 

    Otabek si stava ancora massaggiando la spalla, lo sguardo così cupo che persino il suo tecnico si teneva a distanza.

    – Che cos’è successo? – chiese Victor.

    – Tu cosa hai visto?

    – In quel momento? La trottola di Yuuri.

    Questo sortì un mezzo sorriso nel viso del kazako.

    – Mi è venuto addosso, apposta. Potevamo farci male sul serio. Entrambi.

    – Lo so, ora Yakov lo sta sbranando. – disse Victor. – Tu sei tutto intero?

    – È solo una botta. Ho preso di peggio.

    Il russo annuì.

    – In bocca al lupo, allora – Otabek pattinava per primo e entro pochi minuti avrebbe iniziato il proprio programma. – Non dovrei dirtelo, ma… Vendicati in gara, se lo merita.

    – Non ho bisogno che sia tu a dirmelo – sbuffò il giovane.

 

    No, pensò Victor qualche minuto dopo, mentre assisteva all’esibizione del kazako, la seconda delle cinque previste, persino Otabek non ha cuore di vendicarsi in gara. Oppure, persino lui, aveva i nervi scossi. La rabbia, in generale, migliorava sempre le performance di Victor, mentre Otabek pattinò in modo non disastroso, ma impreciso. Sbagliò una delle combinazioni che aveva in programma e sembrava sempre in anticipo sulla musica. Terminò con un 164 che gli fece gettare a terra i guanti in gesto di pura stizza. L'americano che aveva gareggiato per primo aveva preso 189.10
 

    – Non gli sono andato addosso – continuava a protestare Yuri, mentre J.J. terminava la sua, impeccabile, esibizione. – La precedenza era mia e lui non si è scostato. Voi stavate guardando la fidanzatina di Victor e non avete motivo di credere a lui e non a me.

    – Salvo per il fatto che di solito è affidabile – rimarcò Victor.

    Stava cercando con tutto se stesso di dimenticare la frecciatina su Yuuri. Erano sempre più frequenti e tanto più fastidiose quanto più ostentate. Non era nulla che il ragazzo pensasse davvero, sapeva benissimo quanto in realtà fosse affezionato a Yuuri. 

     Quindi è proprio il fatto che stiamo assieme a dargli fastidio.

    – In ogni caso non ho nessuna intenzione di scusarmi – ringhiò ancora Yuri.

    Nel costume bianco, azzurro e argento, che doveva evocare una bellezza angelica, la sua rabbia era quasi ridicola.

    – Delle vostre schermaglie non me ne importa niente, ma se per colpa tua perdiamo l’oro ti impicco con la medaglia che ci danno – ringhiò Yakov. – E adesso concentrati, tocca a te.

    Una preghiera alla Madonna, pensò Victor, era proprio l’unica cosa che avrebbe potuto salvarlo. Faceva persino pena, Yuri, con gli occhi carichi di lacrime di rabbia e lo sguardo che, quasi suo malgrado, continuava a correre all’atleta kazako.

*

    Ok. Gli era andato addosso. Più o meno. La precedenza era del kazako, ma Yuri aveva fatto in modo di farsi vedere per bene. Otabek avrebbe potuto scansarsi o cambiare traiettoria. Stava solo provando dei passi. Terribili, oltre tutto. La peggior sequenza che il russo gli avesse mai visto fare. Ma questo era non era un problema suo. La musica che ormai era iniziata invece lo era.

    L’inizio andava via facile, almeno da un punto di vista tecnico.

    Che cosa avevano in mente quando hanno scelto questa musica?

    Cosa avevo in mente io, quando l’ho accettata?

    Affidarsi a un amore più grande. Che emerita cazzata.

    Dio non esiste, la Madonna probabilmente era una bagascia e l’amore, in generale, è una fregatura.

    Affidarsi come un bambino a una madre? La mia era ubriaca, quando si è fatta mettere incinta ed è scappata appena ha scoperto che io ero una rottura di palle.

    Quando mai ci si può davvero affidare all’amore?

    Un ricordo tornò a tradimento. Victor, in Giappone, che gli mostrava il programma corto, Agapé, che rappresentava, a suo dire, l’amore puro.

    Non mi ha mai detto a cosa stesse pensando.

    Al signor cotoletto, ovviamente, che al momento neppure si faceva fottere eppure, in qualche modo, a lui stava bene così. Che assurdità.

    Eppure, in qualche modo, si sono sorretti a vicenda.

    Il respiro si era fatto affannoso. Come se non ci fosse nel mondo abbastanza ossigeno per lui. Come un pesce, tolto dall’acqua e appoggiato a dibattersi sul ghiaccio. Era quel momento. Quello del panico, del disperato tentativo di cercare una via d’uscita che non esisteva.

    Combinazione con triplo Axel.

    Come diavolo fa Yakov a pensare che possa fare il quadruplo per l’anno prossimo?

    Come diavolo fa Victor a farlo?

    Iniziare il salto era come gettarsi nel vuoto.

    Non ti fidi più del ghiaccio. Diceva Victor.

    Il ghiaccio è duro, i muscoli si lacerano, il pattino, quando ci finisci sopra, ti entra nella carne…

    Cadde di sedere, quasi addosso al bordo pista.

    Intero? Pareva di sì. 

    Niente combinazione, ovviamente. Cercò di recuperare il ritmo della musica, ma ormai era in ritardo. Anche la trottola risultò più breve. E l’ultimo salto lo iniziò già sapendo che sarebbe caduto. Pregando, questa volta sì, con tutto il cuore, di non farsi troppo male.

*

    Che diavolo era successo a Yurio? Neppure con un muscolo strappato Yuuri lo aveva visto pattinare così male.

    Mentre il russo attendeva il punteggio, lui si stava già scaldando, dato che si esibiva subito dopo, ma poteva vederlo nel maxi schermo, imbronciato, con Victor a fianco.

    Perché c’è lui e non Yakov?

    Razionalmente sapeva che probabilmente Yakov aveva mandato Victor per evitare di strozzare il proprio atleta. Eppure… C’era un sentimento sgradevole e meschino che si faceva largo a partire dal suo stomaco.

    È lì che vuole stare Victor. A fianco di un atleta che gli dia più soddisfazioni agonistiche.

    Non oggi, certo, in generale.

    160.

    Se fosse sopravvissuto a Yakov o a se stesso, dato che guardava il punteggio con lo stesso sguardo con cui un suicida prepara il cappio.

    Bene, toccava a lui.

    Con il suo 193 J.J. aveva spinto il Canada parecchio in alto. Per la Russia tutto era nelle mani di Mila e della coppia della danza, che Yuuri non conosceva. Pur con tutta la sua buona volontà, Otabek non poteva portare il suo kazakistan a medaglia. Era già un miracolo che fosse nei primi cinque e nella prova libera già disputate la coppia di artistico era arrivata ultima. Ma Giappone e Usa potevano giocarsi il bronzo, in fin dei conti. Dipendeva anche da lui.

    Il pensiero gli chiuse lo stomaco in una morsa.

    Si portò nella posizione di partenza con l’abituale sensazione di avere una voragine sotto i propri piedi.

    Respira. Immagina che Victor abbia occhi solo per te.

    Invece che essere intento a consolare il suo omonimo.

    Posso farlo. Dimostrargli che non ho paura di osare.

    Aveva cambiato i salti del programma. Non li avrebbe eseguiti tutti nella prova a squadre, ma aveva aggiunto un quadruplo Luzt nella parte finale e aveva tutta l’intenzione di provarlo quel giorno. In quel modo, con un’esecuzione perfetta nel singolo avrebbe potuto ottenere un 219 di punteggio, che era il valore ipotetico del libero dell’anno precedente.

    Si comincia.

    Gli piaceva, quel programma. Mescolava le quattro stagioni di Vivaldi, secondo la propria visione della vita. Una primavera incerta che non era sbocciata in estate, ma si era cristallizzata in un inverno inatteso di solitudine e potenzialità inespresse. Poi di nuovo un temporale primaverile, l’arrivo di Victor nella sua vita, a suo modo traumatico, e infine l’esplosione dell’estate.

    E questa inaspettata paura dell’autunno?

    Si trovò prima del tempo con il fiato corto.

    Era resistente. Glielo dicevano tutti. Ma gli anni passavano. Due anni prima non avrebbe avuto alcun problema. L’anno precedente era stato quasi sopraffatto dall’incalzare degli elementi. Adesso…

    Devo farlo. Devo provare a Victor che posso.

    Capì subito di essere partito male. Cercò comunque di completare le rotazioni, cadere per cadere tanto valeva salvare in parte il punteggio, ma questo non gli diede alcuna possibilità di controllare l’atterraggio. 

    Vide il ghiaccio venirgli addosso e sentì qualcuno gridare il suo nome.

 
   
 
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