Capitolo
4- Garofani bianchi
Vista
da fuori, la villa No Taisho appariva immensa, come un
dedalo di stanze e corridoi. Contrariamente al giudizio umano,
Sesshomaru
giudicava fin troppo piccola quella dimora: fosse stato per lui avrebbe
vissuto
in un posto lontano da tutto e da tutti. Il suo udito sviluppato lo
bombardava
di continuo con inutili suoni, voci e parole.
Era pomeriggio inoltrato quando rincasò, dopo
l’incontro con la signora Midoriko. Contrariamente alle sue
aspettative, quella
visita non aveva portato nulla di buono, anzi era solo servita a
peggiorare i
rapporti, già di per sé tesi, con la donna in
questione. Ma la colpa di questo non
era sua, era da attribuirsi a quel maledetto e borioso mezzo demone,
che aveva usato tutte le sue carte peggiori per indisporre Midoriko.
Maledetto, pensò tra sé e sé, mentre
si toglieva la giacca
del vestito e si allentava il collo della cravatta.
Un piccolo errore da parte sua, però, c’era stato:
aveva
aspettato troppo per andare a fare visita in quella scuola.
Sesshomaru
si avviò verso un tavolino dietro al grande
divano che regnava al centro dell’immenso salone davanti al
camino, prese una
bottiglia di vetro finemente lavorata e si versò in un
bicchiere due dita di
whiskey scozzese. Portò il liquido ambrato alle labbra e ne
gustò un leggero
sorso, la bocca fu invasa dal sapore aspro, caldo e pungente, poi
deglutì con
piacere e si sedette su una poltrona.
Suo padre voleva i diritti su quel maledetto libro, il
“Sengoku monogatari”. Nessuno era mai riuscito a
smuovere Midoriko, mai una
volta aveva accennato a dire un sì. Doveva ammettere che
ammirava questa sua
determinazione e tenacia nel difendere una cosa che riteneva tanto
preziosa,
considerando anche la sua debole natura umana. Non di rado Sesshomaru
aveva
visto uomini pronti a giurare che avrebbero difeso fino allo stremo
ciò che
loro reputavano un tesoro, salvo poi rimangiarsi la parola alla prima
proposta
vantaggiosa.
Che esseri deboli, pensò di nuovo mentre mandava
giù un
altro sorso.
Si abbandonò con la schiena contro il soffice schienale.
Quel
dannato libro era l’ossessione di suo padre,
soprattutto da quando la sua seconda moglie era venuta a mancare. Al
solo
pensiero di Izayoi, Sesshomaru storceva ancora la bocca. Non le era mai
piaciuta quella donna umana, eppure suo padre, il grande demone cane
della famiglia,
sembrava completamente succube e soggiogato da lei e lui non riusciva a
spiegarsi come fosse possibile.
Ricordava quando, da piccolo, i suoi genitori decisero di
separarsi perché suo padre si era perdutamente innamorato di
un’altra donna.
Non che fosse particolarmente affranto per la sorte della madre: Inu
Kimi era
sempre stata una donna molto orgogliosa e fredda, non aveva battuto
ciglio a
quella rivelazione, sembrava quasi che se l’aspettasse. Con
non curanza aveva
fatto le valigie e se n’era andata. E non se la passava
nemmeno male, visto che
viveva al momento in un lussuoso appartamento in centro a Tokyo.
Quello
che Sesshomaru non sopportava era l’idea che suo
padre si fosse abbassato a tal punto da mischiarsi con un essere
inferiore. Per
lui era inconcepibile.
Ora che lei era morta Inu No Taisho sembrava un uomo che
arrancava ogni giorno per arrivare al termine della giornata, sembrava
svogliato nei confronti della vita. Erano passati ormai sei anni da
quel
terribile giorno, ma il dolore non accennava a sparire.
Con il passare del tempo, Sesshomaru aveva imparato a
modulare le sue reazioni ed emozioni, quindi non si era mai
più permesso di
dire qualcosa contro quella che, a detta di suo padre, era stato il
grande
amore della sua vita. Nonostante questo superficiale rispetto,
Sesshomaru
covava nei confronti del padre lo stesso rancore che aveva provato
quando lo
aveva visto con Izayoi per la prima volta.
Durante i primi anni di matrimonio, Sesshomaru ricordava che
Izayoi teneva sempre tra le mani il “Sengoku
Monogatari” e durante le domeniche
primaverili lei e suo padre si sdraiavano all’ombra di un
albero e insieme
leggevano quel libro. Il più grande desiderio di Izayoi era
vedere un
giorno quell’opera rappresentata a teatro, erano anni che
ormai giravano voci
su un possibile adattamento teatrale, con protagonista la stessa moglie
del
famoso scrittore, ma una malattia aveva messo fine a quelle vaghe
promesse.
Sesshomaru non aveva avuto molta scelta riguardo il suo
futuro: sapeva che prima o poi sarebbe spettato a lui prendere in mano
le
redini dell’azienda. Intorno all’età di
diciannove anni, suo padre lo aveva
preso con sé, per potergli mostrare dal vivo come si
svolgesse quel
mestiere. Dal primo giorno all’interno della
società, Sesshomaru si ripromise
di lavorare sodo per poterlo un giorno superare, ma non solo,
avrebbe
fatto di tutto per riuscire da solo a strappare alla signora Midoriko
la
promessa che i diritti di rappresentazione sarebbero spettati a lui,
invece che a
suo padre.
Sì, questo era il suo proposito. Avrebbe avuto la sua
rivincita su di lui strappandogli ciò che era
la cosa più
importante al mondo.
“Vedrai, padre, riuscirò a superarti”
pensò il ragazzo
mentre tracannava l’ultimo sorso di whiskey.
Il destino volle che proprio in quel momento facesse il suo
ingresso nella stanza proprio suo padre, Inu No Taisho, demone maggiore
e
presidente di una delle aziende leader nel settore
dell’intrattenimento e dello
spettacolo.
La No Taisho possedeva teatri famosi, cinema, emittenti
televisive, giornali e riviste. Poche erano le società che
avrebbero potuto
competere con lei.
-Bentornato,
Sesshomaru. Hai avuto novità dalla signora
Midoriko?- disse, prendendo posto sullo spazioso divano blu
di fianco
alla poltrona sulla quale sedeva il figlio.
-Ci
sto lavorando-
-Il
che vuol dire che non hai ottenuto nulla- concluse per
lui suo padre.
Sesshomaru
non rispose, odiava quando suo padre faceva di
tutto per sottolineare un suo fallimento.
“Non preoccuparti, padre. Prima o poi riuscirò in
ciò che tu
non sei mai stato in grado di ottenere, nonostante l’amore
che dicevi di
provare per quella donna. Nemmeno quello ti è stato
d’aiuto” pensò tra sé e
sé
il ragazzo mentre faceva finta di trovare il fondo del suo bicchiere
vuoto
molto più interessante del genitore.
-Non
era il momento migliore per dirle tutti i vantaggi del
contratto. Era presente anche Naraku Onigumo- lo informò
Sesshomaru, per far
comprendere meglio la sua strategia.
Inu
No Taisho si girò verso di lui stupito. La
società del
suo eterno rivale, la Onigumo co., ancora una volta si intrometteva nei
suoi
affari e intralciava qualsiasi cammino lui intraprendesse. Fin dalla
sua ascesa
nel mondo dello spettacolo Ryokotsusei era sempre stato il suo rivale
più
temibile. Non sapeva come, ma in qualche modo riusciva sempre a
mettergli i
bastoni tra le ruote.
Aggrottò la fronte, preoccupato.
Il figlio lesse all’istante l’espressione del
genitore e si
affrettò a dire:- No, non sono riusciti a convincere la
signora Midoriko, se è
questo che temi. Naraku è stato troppo impegnato a
provocarla per pensare a
tirarla dalla sua parte-
Mentre diceva queste parole, Sesshomaru ebbe un’intuizione:
Naraku, molto prabilmente, com’era nel suo stile, aveva
deliberatamente
provocato Midoriko solo per non far trovare Sesshomaru in vantaggio. Lo
aveva
afferrato per trascinarlo sul fondo insieme.
Il demone represse un ghigno, per non farsi sentire dal
padre. Non aveva nessuna intenzione di rivelargli un dettaglio del
genere.
Strinse comunque con molta forza il bicchiere, fino a farsi diventare
le nocche
bianche, riuscendo al tempo stesso a controllarsi per non frantumare il
bicchiere in mille pezzi.
-Sesshomaru,
ho una cosa da dirti…- disse poi Inu No Taisho,
una volta che si fu tranquillizzato.
Il
ragazzo non rispose, si limitò a muovere la testa per
guardarlo in faccia e fargli capire che lo stava ascoltando.
-Tra
una settimana tornerà tuo fratello da New York…-
-Cosa
ha combinato questa volta, il bastardo?- chiese acido
Sesshomaru.
Inu
No Taisho sospirò, non aveva nessuna intenzione di
intraprendere l’ennesimo scontro con il suo primogenito, ne
avevano avuti fin
troppi. Anche se cercava di ignorare le parole di odio del figlio, era
comunque
doloroso per lui sentire che l’astio tra i suoi figli era
ancora presente, più
forte che mai.
-Non
ha combinato niente. Semplicemente è arrivato il
momento che torni in Giappone e che noi iniziamo a vivere come una
famiglia-
ammise l’uomo portandosi una mano sulla fronte, troppo stanco
per affrontare
qualsiasi cosa. Se solo ci fosse stata Izayoi al suo fianco, pensava,
le cose
le avrebbe viste sotto un’altra luce, sarebbero state
sicuramente meno pesanti
di come sembravano in quel momento.
-Non
ho niente a che spartire con un mezzo demone, io- disse
lapidario Sesshomaru alzandosi dalla poltrona e avviandosi verso la sua
camera.
La
notizia non era delle migliori, ma non aveva intenzione
di pensarci ora come ora. Avrebbe continuato la sua vita come sempre,
limitandosi ad ignorare l’ospite indesiderato.
Mentre camminava lungo il corridoio, Sesshomaru passò
davanti ad una delle grandi finestre che davano sul giardino posteriore
della
villa. Quel giorno i giardinieri si stava occupando delle piante che crescevano proprio
sotto le finestre.
Quando Sesshomaru superò la finestra che era stata aperta
per far areare la
casa, sentì distintamente un leggero odore di lavanda.
Lo aveva già sentito quell’odore, quel pomeriggio,
poche ore
prima.
Quella ragazzina umana, lei odorava di lavanda. Quel profumo
fu sufficiente per fargli tornare alla mente il volto della ragazzina.
Rin. Così si chiamava.
Pensò alla prima volta in cui l’aveva vista, lei
aveva nove
anni e lui venti. Undici anni di differenza, non erano pochi.
Si ricordava di una bambina buffa, dal viso allegro e vispo.
Quando quella volta era caduta su di lui, perdendo
l’equilibrio, ricordò che
lei indossava un vestitino blu, non di alta sartoria, ma qualcosa di
più
modesto. Nonostante fosse dell’idea che gli umani fossero
solo degli essere
inutili, ricordò che lei non gli aveva dato particolarmente
fastidio. Lei,
invece, era più che imbarazzata.
Con un rapido calcolo della mente, convenne che ormai doveva
avere tredici anni. Era ancora una bambina, i lineamenti del viso
tradivano
ancora una certa ingenuità.
Ripensò al modo in cui si era inchinata a lui non appena lo
aveva riconosciuto, non aveva mai visto una persona tanto spontanea.
Aveva
dimenticato la sua maestra e la presenza di Naraku pur di poterlo
ringraziare
nonostante fossero passati due anni da quel risarcimento che lui le
aveva dato.
Le labbra di Sesshomaru si incurvarono in un lieve sorriso quando
ripensò
all’espressione incredula quando lo aveva guardato, convinta
che fosse stato
lui a ridere dei suoi modi. Doveva ammettere che era stata davvero
buffa.
“E così è
un’attrice” pensò Sesshomaru, mentre si
chiudeva
la porta della camera alle spalle.
Non
lo avrebbe mai detto, anche se gli venne in mente che
quando l’aveva vista a teatro aveva notato di fianco a lui la
buffa ragazzina
che guardava famelica la commedia.
Sesshomaru si ritrovò a chiedersi che tipo di attrice fosse:
dotata, con talento oppure semplicemente l’ennesima ragazzina
che voleva solo
diventare famosa?
Certo, se la signora Midoriko aveva deciso di prenderla con
sé, voleva dire che aveva visto qualcosa in lei. Non gli era
nemmeno sfuggito
il cambiamento della voce quando si era rivolta alla sua allieva: era
diventata
più dolce e morbida istintivamente.
Sarebbe stato molto curioso di vederla sul palco e magari
avrebbe avuto modo per poter elaborare una strategia migliore con
Midoriko No
Tama.
Sì, avrebbe trovato un modo per battere Naraku sul tempo.
***
Più
passavano i giorni e più Rin trovava difficile riuscire
a dare un tocco originale al suo Puck. Le piaceva infinitamente quel
folletto
dispettoso: era irriverente, giocherellone, imprevedibile. Ma quanto
era
complicato da mettere in scena.
La
pausa pranzo stava quasi per finire e Rin si trovava sul
tetto della scuola, per consumare il suo bento in santa pace e
dedicarsi alla
lettura del suo personaggio. Si era seduta per terra, vicino alla rete
metallica che evitava agli studenti di sporgersi più del
dovuto, non si accorse
minimamente della piccola figura che avanzava verso di lei
silenziosamente.
-Sapevo
che ti avrei trovata qui- esclamò poi la voce
all’improvviso.
Rin
urlò e sobbalzò dalla paura, rovesciando per
terra le
ultime verdure del suo bento.
-Kanna!
Vuoi farmi morire?- chiese poi lei con una mano sul
cuore, come se fosse sufficiente a calmare i battiti accelerati del suo
cuore.
La
sua amica sorrise delicatamente divertita.
-Scusami,
non ne avevo intenzione. Mi stavo solo domandando
dove fossi, mancano pochi minuti al suono della campanella- la
informò Kanna,
mentre l’aiutava a pulire per terra.
Le due amiche rimasero per un po’ in silenzio. Kanna poi
sposò lo sguardo sul copione aperto di Rin: era tutto
sottolineato ed ai
margini erano presenti mille note scritte a matita, cancellate e
scritte ancora
una volta. La ragazza allungò una mano e sfogliò
il copione tra le mani.
-E
queste?- chiese perplessa.
Rin
diventò subito rossa come un pomodoro e si
affrettò dal
strappare il copione dalle mani della sua amica. Kanna, di rimando,
rimase
molto sorpresa dalla reazione della sua amica.
-Scusa,
Kanna, non volevo sembrarti maleducata ma sto solo
cercando di studiare la mia parte al meglio. Non sono sicura di essere
ancora
riuscita ad entrare bene nel personaggio- ammise mentre si guardava la
punta
delle scarpe, leggermente consumate.
Kanna
rimase per qualche secondo stupita: per lei era
assolutamente insensata come cosa, non perché non le
importasse nulla del teatro,
al contrario, ma perché credeva che Rin, rispetto a tutti
gli altri compagni,
fosse quella più avanti con la costruzione del personaggio.
La ragazza provò
una punta d’invidia: anche lei avrebbe voluto essere
talentuosa come Rin, la
quale non era minimamente consapevole del suo potenziale.
Anche Kanna amava tantissimo la recitazione, fin da bambina.
Si era sentita così fiera e soddisfatta quando la signora
Midoriko aveva
chiamato anche lei a far parte della compagnia Sengoku. Da un
po’ di tempo a questa
parte anche lei aveva cominciato a prendere in considerazione
l’idea di
intraprendere questa strada, ma ogni volta che iniziava la lezione si
rendeva
della superiorità della sua amica nei suoi confronti. Kanna
ci metteva tutta sé
stessa e anche gli insegnanti le riconoscevano una tecnica piuttosto
raffinata
nonostante la giovane età, ma sentiva che le mancava sempre
qualcosa, quel
qualcosa che Rin aveva.
Quando Midoriko aveva assegnato i ruoli, ci era rimasta male
per non aver ottenuto lei la parte di Puck, era un ruolo estremamente
poliedrico
e divertente. A lei era capitata ovviamente la parte di Ermia, la cara
e dolce
Ermia, tranquilla come lei.
A volte si sentiva intrappolata in quegli aggettivi che
l’avevano accompagnata fin da quando era una bambina.
E anche ora sentiva che quel mostro verde stava risalendo
dalle sue viscere e si insinuava nella sua testa, parlandole con voce
suadente
e subdola.
Kanna decise che l’unica che avrebbe potuto fare in quel
momento era semplicemente ignorare quella vocina. Scosse la testa e
disse:-
Rin, non starai esagerando?-
Eccola,
stava forse cercando di distoglierla dal suo
obbiettivo per non farla esprimere al meglio? Il dubbio le si stava
insinuando,
ma ancora una volta decise di ignorare.
-No,
niente affatto. Sai, Kanna, sto pensando seriamente di
intraprendere questa carriera, non so fare molto altro nella vita e
recitare mi
piace da morire. Vorrei impegnarmi al massimo, in qualsiasi cosa mi
verrà
proposta, per potermi sempre più avvicinare al mio sogno-
confessò Rin.
-Perché
non me lo hai detto prima?- domandò Kanna, cercando
di far prevalere il suo amore di amica.
Rin
fece spallucce.
-Non
saprei, forse mi vergognavo un pochino-
E
in quel momento Kanna riconobbe la sua amica ed una risata
scalciò via l’invidia dal suo cuore in quel
momento.
-Sei
sempre la solita!- ammise mentre tornavano in aula per
le lezioni del pomeriggio.
***
Il
taxi si fermò davanti al cancello di ferro battuto della
grande villa. Una ragazza, seduta sul sedile posteriore, si
affrettò a togliersi
la cintura di sicurezza e pagare il tassista. Si fece aiutare con le
valigie,
poi disse gentilmente:- La ringrazio, posso fare da sola ora-
Due valigie grandi ed un borsone, la ragazza si chiese se
non avesse fatto una cavolata a mandare via il tassista, che tanto
premurosamente si era preoccupato della sua sorte con quei bagagli
molto più
che ingombranti.
Ma era inutile piangere sul latte versato e si avviò a
suonare il citofono.
-Sì?-
gracchiò una voce metallica dall’altra parte.
-Sono
Kagome, qualcuno può venire ad aiutarmi con le valigie
per favore?- chiese la ragazza con un pizzico di imbarazzo nella voce.
Pochi
minuti dopo fece la sua apparizione un uomo alto e
forzuto, un vero energumeno, ma guardandolo più da vicino il
viso non aveva
tratti cattivi o arcigni, anzi, sembrava il viso di una persona del
tutto
indifesa e incapace di fare del male ad una mosca. Quando
l’uomo fu davanti a
lei fece un leggero inchino e si presentò:- Buona sera,
signorina Kagome. Sono
Jinenji, uno dei camerieri di sua zia. Lasci pure a me le valigie, le
porterò
io nella sua stanza-
Kagome
fu sorpresa da tanta gentilezza, compreso da un
cameriere. Ringraziò cortesemente e si avviò
verso la casa, buttando un occhio
all’uomo, per paura che
non ce la
facesse a prendere tutto, ma con sua grande sorpresa vide che
riuscì a
sollevare ogni singolo bagaglio con estrema facilità.
Che fosse un demone? Difficile, al massimo avrebbe potuto essere un
mezzo
demone. I demoni raramente erano al servizio degli umani.
Corse lungo il viale alberato che la separava dall’ingresso
della casa. Era così emozionata di rivedere sua zia ancora
una volta, dopo gli anni trascorsi a Londra.
Mentre correva vide la porta di legno bianca aprirsi e
rivelare la figura alta e snella della sua amata zia.
-Bentornata,
Kagome!- disse con un sorriso la donna.
Kagome
si fermò per un momento: era bella come sempre, ben
truccata, i capelli perfettamente acconciati.
Quanto le era mancata.
-Ciao,
zia Midoriko!- disse per poi buttarsi tra le sue
braccia e sciogliersi in un caloroso abbraccio.
Solo
dopo che Kagome si fu rintemprata con una doccia calda,
zia e nipote poterono prendere un pregiato tè verde
accompagnato da qualche
piccolo capolavoro di pasticceria occidentale, comodamente sedute sul
divano.
Kagome aveva indossato un vestito leggero, di cotone celeste, i capelli
erano
ancora avvolti nell’asciugamano. Si sistemò con
piacere sulla poltrona fiorata
del salotto di sua zia ed inalò profondamente il profumo di
quella casa.
-Hai
fatto buon viaggio?- domandò Midoriko mentre versava la
bevanda dorata nella tazza di Kagome.
La
ragazza annuì, per poi aggiungere:- Sì, anche se
le ore
sono molte. L’Europa è lontana-
-Ho
conservato ogni cartolina che mi hai mandato, sai?- le
disse la zia guardandola con dolcezza.
La
sua adorata nipotina. Erano passati due anni dall’ultima
volta che l’aveva vista, durante un suo viaggio di piacere a
Londra.
Assomigliava così tanto alla sua compianta sorella: i
capelli neri,
l’espressione di stupore che assumeva davanti ad una notizia
inaspettata, la
forma delle labbra. All’età di otto anni suo
fratello e sua cognata avevano
pensato bene di spedire la minore delle loro figlie a studiare in
Inghilterra,
dalla famiglia paterna della ragazza. Entrambi pensavano che sarebbe
stata per
lei una grande opportunità studiare in Europa, sotto la
supervisione dei suoi
nonni paterni.
Sua sorella, Hanako No Tama, aveva sposato ancora
giovanissima il padre di Kagome, Edward Higurashi, figlio di una
contessa
inglese e di un uomo d’affari giapponese trapiantato
nell’isola anglosassone.
Suo cognato era sempre vissuto in Inghilterra, tra l’eleganza
londinese e le
tradizioni giapponesi che suo padre fieramente gli insegnava, in quanto
non
voleva che suo figlio ignorasse l’altro ramo della sua
persona. All’età di diciotto
anni aveva deciso di recarsi in Giappone per la prima volta, per poter
vedere
il paese da cui veniva suo padre e che, per metà, faceva
parte della sua
storia. Da quella breve vacanza, decise di stabilirsi per
più tempo a Tokyo,
magari per studiare anche all’università,
proposito che aveva incontrato
l’opposizione della madre, la quale sognava per il figlio un
futuro in un
famoso college inglese. Fu durante gli anni universitari, nella
facoltà di
economia, che incontrò quella che sarebbe diventata la sua
futura moglie.
Per la loro famiglia quel fidanzamento era stato accolto con
una certa gioia: dopotutto, sebbene cresciuto a Londra, era pur sempre
un uomo
giapponese, e per giunta proveniente da una famiglia più che
rispettabile.
Midoriko ricordava ancora bene le occhiate innamorate ed emozionate che
lei e
Edward si scambiavano.
Per non offendere nessuno da entrambe le famiglie, si decise
di celebrare il matrimonio due volte: una prima volta in Giappone, come
voleva
la tradizione; poi successivamente in Inghilterra.
La madre di Edward all’inizio si dimostrò
piuttosto
diffidente e scettica riguardo questo matrimonio, come se temesse che
Hanako
fosse solo a caccia di un uomo ricco da sfruttare, una sorta di
arrampicatrice
sociale. I primi tempi non erano stati per niente semplici, ma con il
tempo sua
sorella era stata accettata dalla famiglia di Edward.
Subito dopo il matrimonio, la novella coppia di sposi aveva
deciso di iniziare la loro nuova vita a Tokyo, dove alcuni anni dopo
erano nate
le loro due figlie: Kikyo e Kagome.
Edward aveva intrapreso la carriera finanziaria, creando dal
nulla un’impresa di import export che si occupava
generalmente dei rapporti
economici tra Inghilterra e Giappone, mentre Hanako, dopo la nascita
della
prima figlia, aveva messo d parte gli studi universitari per poter
dedicarsi
alla musica, la sua più grande passione. Aveva ripreso, dopo
anni, a suonare il
violino, strumento nel quale eccelleva e con il tempo era riuscita a
farsi
strada nel mondo della musica, diventando una violinista acclamata in
patria.
Midoriko ogni volta che ripensava a quel dettaglio delle loro vite,
sorrideva:
lei aveva scelto la strada della recitazione, mentre sua sorella quella
della
musica ed entrambe erano riuscite a ritagliarsi il proprio lembo di
gloria. La
loro mamma diceva sempre che un qualche demone doveva averle marchiate
con il
talento dell’arte.
Purtroppo, un anno fa entrambi avevano perso la vita
tragicamente in un incidente stradale. Per Kikyo e Kagome era stato un
duro
colpo, dal momento che entrambe non erano in Giappone al momento
dell’accaduto.
I funerali vennero celebrati in Inghilterra, ma purtroppo Midoriko non
era
potuta volare fino a Londra a causa delle condizioni del suo cuore. Non
aver
potuto salutare per l’ultima volta la sorella era uno dei
suoi più grandi
rimpianti.
Quanto era stata ingiusta la vita con lei: prima suo marito,
poi sua sorella.
Nel testamento, i nonni paterni figuravano come tutori
legali delle ragazze, ma Kagome, dopo un anno, aveva iniziato a sentire
il bisogno
di tornare in Giappone, per poter riconciliarsi con i suoi genitori.
Kikyo
invece aveva preferito restare a Londra. La cosa però non
dispiaceva affatto a
Kagome, per una volta si sarebbe staccata dalla presenza ingombrante
della
sorella.
-E
come sta Kikyo?- chiese sua zia.
Ecco,
le ultime parole famose.
Kagome sospirò.
-Sta
bene, sai… è molto presa da tutto- rispose la
ragazza,
guardando la tazza fumante che teneva tra le mani.
Midoriko
si accorse della reazione di Kagome e si apprestò a
cambiare argomento:- Sai, cara, ho parlato con il preside della tua
nuova
scuola: ha detto che è ben felice di accoglierti nel suo
istituto. Forse potrà
sembrarti un po’ dura all’inizio, visto che cominci
ad anno scolastico già
iniziato, ma sono sicura che saprai cavartela benissimo-
-Lo
spero tanto, zia- disse Kagome guardandola mentre
sorrideva.
-E
poi, in quella scuola ci sono alcuni dei miei allievi-
continuò Midoriko- potresti anche capitare nella loro stessa
classe-
***
I
giorni si erano susseguiti velocemente ed inesorabilmente
e, come Ayame aveva previsto, le prove per l’allestimento
dello spettacolo
erano dimenuite a vista d’occhio, fino al punto da risultare
scarse.
Tutti gli attori erano un fascio di nervi, Miroku
addirittura aveva smesso di fare continue avances nei confronti di
Sango, tanto
era nervoso. Ayame non smetteva di rimarcare a Bankotsu quanto aveva
detto
tempo prima e Kohaku cercava ogni volta di mettere pace.
L’unico a non sembrare
particolarmente provato era forse Jakotsu, che non perdeva occasione
per fare
qualche battuta a sfondo sessuale nei confronti di tutti i ragazzi
della
compagnia.
Rin,
dal canto suo, nonostante l’agitazione, sentiva di
averci messo tutta sé stessa dentro al personaggio di Puck:
aveva lavorato
duramente ogni singolo giorno, chiedendo spesso aiuto alla sua sensei e
molte
volte aveva rimpianto ciò, dal momento che le prove con lei
si erano rivelate
più del dovuto. Nonostante all’esterno appariva
come una donna tranquilla e
pacifica, Midoriko rivelava di possedere un atteggiamento piuttosto
duro e
severo. Rin lo aveva imparato a sue spese, ma con il senno di poi aveva
capito
che tutto era volto solo al suo miglioramento.
Ci teneva tantissimo nella buona riuscita della
rappresentazione: sarebbe stata una sola data e l’attenzione
di molti sarebbe
stata rivolta verso di loro, in più quella si rivelava una
buona pubblicità per
la scuola che avrebbe potuto ottenere nuovi allievi nel corso degli
anni. Era
di vitale importanza non deludere nessuno, né tantomeno la
signora Midoriko.
Tutti gli attori erano incaricati della creazione del loro
costume, per poi passare sotto la supervisione dei loro insegnanti.
Essendo una
compagnia recente, il guardaroba comune non era ancora molto fornito e
raramente gli attori trovavano qualcosa da indossare. Lo stesso era
successo a
Rin, la quale si era dovuta ingegnare per trovare un vestito che la
facesse
riconoscere come Puck. Ci aveva pensato tanto ed era riuscita a venire
a capo
di quel dilemma: aveva pensato di indossare un body di colore verde,
corredato
da un gonnellino di tulle arancione, mentre i piedi sarebbero rimasti
nudi per
tutto il tempo della rappresentazione ed infine avrebbe indossato una
coroncina
di foglie di edera da intrecciare nei capelli.
Rin era proprio intenta ad intrecciarsi la coroncina tra i
capelli nel camerino, quando sentì Ayame dire ad alta
voce:-Avete sentito? Non
so come mai, ma sembra che tra il pubblico ci siano dei pezzi grossi
della
produzione teatrale. Ho intravisto anche dei giornalisti-
-Non
capisci: non si tratta di piccoli giornalisti. Questa
volta abbiamo nomi importanti: ti dice niente Tsubaki Tsukino e
Renkotsu
Nagino?- rispose a sua volta la rossa.
Nella
sala calò un silenzio pesante: nessuno si aspettava
dei nomi come i loro. Erano tra i due più famosi giornalisti
che scrivevano per
la rubrica di arte e spettacolo. Erano entrambi seguitissimi e
tristemente
famosi per le loro stroncature teatrali. Sango, la quale si stava
truccando gli
occhi, rimase con la matita sospesa a mezz’aria.
-Ma
chi può essere interessato a noi?- domandò
Shippo,
mentre finiva di abbottonarsi la camicia.
-Ma
è ovvio che non sono qui per noi: sono attratti tutti
dalla signora Midoriko- sbuffò Bankotsu, visibilmente
scocciato per
quell’ondata di panico che si era riversata su di loro.
-Oh
Kami, ora sì che ho paura- bisbigliò Kanna mentre
iniziava a tremare come una foglia. Per fortuna corse in suo aiuto
Kohaku, che
si affrettò a consolarla e a farle ritrovare
l’entusiasmo.
Rin si sentiva confusa e spaesata. Come mai tutto
quell’attenzione verso di loro?
Fortunatamente l’ingresso di Kagome servì a sedare
lo stato
di agitazione apparentemente calma che regnava in quella piccola
stanza.
-Ciao,
ragazzi! Come vi sentite?- domandò lei, entrando con
un barattolo di miele in mano.
-E
quello?- chiese Jakotsu senza nemmeno salutarla.
-Zia
Midoriko mi ha detto di portarvelo: a quanto pare vi
serve per idratare le corde vocali- li informò la ragazza
mentre si faceva
spazio tra di loro e poggiava l’ambrosia degli attori sul
tavolo occupato da
decine di vestiti e trucchi.
Kagome, dopo il suo arrivo, era capitata in classe con Sango
e il caso aveva stabilito che diventassero grandi amiche fin dal primo
giorno in
cui si erano conosciute. In più i primi tempi Kagome, per
poter allargare la
cerchia delle sua conoscenze, si era recata spesso con sua zia alle
prove di
teatro, per poter conoscere i suoi allievi. Con il tempo era diventata
amica
con tutti i membri, in particolare aveva trovato in Rin
un’amica simpatica e
leale. In più lei e Sango frequentavano lo stesso liceo di
Koga, Miroku,
Bankotsu, Jakotsu e Shippo.
Si divertiva tantissimo vederli alle prese con battute,
panico e costumi. Solitamente si metteva in un angolo e assisteva alle
lezioni,
armata di un piccolo taccuino di colore rosso.
Quella sera voleva assolutamente augurare buona fortuna ai suoi nuovi
amici.
-Kagome,
dicci un po’, tu per caso sai dirci chi è seduto
tra i presenti? Di famoso, intendo?- indagò Ayame.
La
ragazza rimase in silenzio per qualche secondo. Per lei,
che era da poco arrivata in Giappone era difficile conoscere nomi che
per i
suoi coetanei erano del tutto scontati. Si portò una mano
sotto il mento.
-Beh,
non ricordo bene, però ho visto la zia piuttosto
contrariata prima. Non che lei mi dica tutto quello che le passa per la
testa,
però mi ha detto che ci sono due persone in particolare che
non ha piacere ad
avere qui… solo che non riesco a ricordarmi i nomi.
Però uno sono riuscita a
vederlo perfettamente: ha dei lunghi capelli argentati e dei segni
demoniaci
sul viso…-
-Non
starai parlando di Sesshomaru No Taisho, vero?- la
interruppe urlando Ayame.
-Beh,
potrebbe essere… ma non ne sono sicura- ammise Kagome.
Rin
a quel nome si voltò di scatto. Sesshomaru, quel
Sesshomaru che lei conosceva era presente tra il pubblico. Un lieve
sorriso le
si disegnò sul viso, che non passò inosservato ai
suoi amici.
-Rin, perché sorridi? Lo conosci, per caso?-
domandò sempre
Ayame, in preda al panico più totale.
La diretta interessata si trovò tutti gli occhi puntati
addosso ed arrossì, mentre con le mani si reggeva allo
schiena della sedia.
-Beh,
non proprio. Però l’ho visto la prima volta due
anni fa:
stavo rischiando di essere investita dalla sua macchina, ma per fortuna
non è
successo nulla. Lui quel giorno si è proposto di ripagarmi
la divisa e qualche
giorno dopo me l’ha spedita direttamente a casa. È
stato davvero gentile- disse
lei.
Tutti la osservavano con un’espressione di stupore: non era
possibile che Sesshomaru No Taisho potesse avere un gesto di gentilezza
nei
confronti di qualcuno. Rin si accorse della loro perplessità
e chiese:-Perché
vi sembra così strano?-
Fu sempre Ayame a prendere parola.
-Ecco, non che noi abbiamo mai avuto modo di conoscerlo
direttamente, ma oltre ad essere l’erede di una delle
più grandi compagnie che
lavorano nel campo dell’intrattenimento, è sempre
stato un tipo molto
riservato, scostante. Diciamo pure che non spicca per gentilezza e
simpatia,
direi proprio il contrario-
Per
Rin sembrava difficile da credere una cosa del genere:
nonostante la freddezza iniziale, con lei si era sempre rivolto
gentilmente.
-Ragazzi-
li interruppe una voce- Pensate allo spettacolo e iniziate
a scaldare la voce-
Era il maestro Saya che li aveva ripresi.
Kagome salutò tutti e poi si avviò per prendere
posto tra il
pubblico.
***
-E
così, anche l’altezzoso Sesshomaru è
venuto a vedere
questo spettacolo- disse compiaciuto Naraku, mentre prendeva posto di
fianco al
rivale.
Sesshomaru se lo aspettava, sapeva che lo avrebbe trovato
lì. Non mosse un muscolo, rimase impassibile come sempre.
-Non pensavo ti interessassero gli attori in erba, anche se
sono rimasto molto sorpreso di sapere che presti il tuo aiuto a giovani
ragazzine- lo punzecchiò.
-Che cosa vuoi, Naraku? Deduco che il fatto di essere seduti
vicini non sia una casualità- ringhiò Sesshomaru,
voltandosi subito verso il
ragazzo.
Naraku sorrise compiaciuto, finalmente si iniziava a ragionare.
Ma prima di giocare a carte scoperte aveva intenzione di provocarlo
ancora un
po’.
-Così come presumo che la presenza di Tsubaki Tsukino non
sia dovuta ad un suo interesse per la compagnia Sengoku?-
ribattè Naraku.
Ma Sesshomaru questa volta non si fece trovare impreparato:-
Potrei dire lo stesso per Renkotsu Nagino-
Entrambi
ammisero di essere stati scoperti. Ora forse
potevano parlare chiaramente. Fu Naraku il primo a proporre un accordo.
-Midoriko
non cederà mai fino a quando avrà le spalle
coperte e, ovviamente, non prenderebbe in considerazione né
me né te. Per una
volta ho io un accordo da proporti-
Sesshomaru alzò scettico un sopracciglio. Si fidava poco di
Naraku, ma dopotutto aveva passato tanti pomeriggi a pensare a come
avrebbe
potuto ottenere la fiducia di Midoriko No Tama. Non era una sfida
facile e
avrebbe dovuto metterci tutto sé stesso per poter riuscire
nell’impresa e
superare finalmente suo padre. Sapeva che la sua avversaria non era una
preda
facile, perché già da tempo aveva preso le sue
precauzioni per non cadere
vittima di persone che desideravano vederla sul lastrico per il tesoro
che
possedeva.
Forse per una volta avrebbe potuto allearsi temporaneamente
con il suo nemico di sempre: dopotutto non era un passo avanti rispetto
a lui. Quando
dopo sarebbero riusciti a disarmare la loro preda, avrebbero continuato
la loro
silente battaglia.
-Che
tipo di accordo?- domandò freddo.
Naraku
rise:- Non fare il finto tonto, so benissimo che hai
le mie stesse intenzioni, altrimenti non avresti invitato anche tu una
giornalista famosa per le sue stroncature sui giornali. Penso che per
una volta
possiamo mettere da parte i nostri dissidi e trascinare sul fondo
Midoriko,
insieme-
Lo disse con un sorriso carico di soddisfazione. Sapeva dentro
di sé che Sesshomaru non poteva rifiutare.
Allungò una mano verso di lui, come
se il contratto fosse sancito da quell’azione, che sperava
arrivasse. Sesshomaru
squadrò la mano di Naraku, poi lentamente, la strinse tra la
sua, non prima di
aggiungerci un pizzico di forza di demone completo che possedeva. Vide
sul viso
di Naraku dipingersi un’espressione di dolore.
-Ricordati
questo: fai solo una mossa contro di me in questo
periodo di pace apparente, e ti farò pentire di essere
venuto al mondo, mezzo
demone- bisbigliò all’orecchio di Naraku.
Da
lontano Midoriko aveva assistito a tutta la scena e
dentro di sé ribolliva di rabbia: ora che si erano alleati
contro di lei poteva
solo aspettarsi una guerra lunga e senza esclusione di colpi.
Sentì dentro di sé
crescere una rabbia incontenibile, come se un gruppo di cavalli
imbizzarriti
stessero correndo sopra il suo cuore. Si portò una mano la
petto: pregava con
tutta sé stessa che il suo cuore reggesse.
Aveva molta paura, temeva molto quei giovani avversari,
perché
sapeva che non si sarebbero fermati davanti a nulla e lei non era
sicura di
potercela fare con le sue sole forze.
***
I
ragazzi stavano prendendo posto dietro le quinte, ognuno
pronto ad uscire al momento opportuno.
Hakudoshi se ne stava seduto poco più dietro rispetto agli
altri in compagnia di Shippo, Jakotsu e Bankotsu: la loro entrata
sarebbe stata
dopo gli altri. Sango, in un angolo, ripeteva a voce bassa le battute e
Miroku
le stava accanto, tenendo gli occhi chiusi e cercando di tenere a bada
l’agitazione.
Kanna con Kohaku, Koga e Ayame si teneva in prossimità della
quinta.
E poi c’era Rin, lei sarebbe stata la prima ad entrare,
nelle mani reggeva un tamburello, che avrebbe dovuto suonare per
annunciare il
suo ingresso sul palcoscenico. Le mani le tremavano tanta era
l’emozione.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, inalando a
pieni polmoni l’aria intorno a lei. Poteva sentire tutto:
l’agitazione dei
propri compagni, il mormorio della gente in platea, l’odore
degli oggetti di
scena e poi iniziò a sentire il profumo del bosco.
Sì, poteva sentire l’odore
inebriante delle foglie verdi degli alberi, l’odore della
terra bagnata dopo un
temporale estivo, sentire sotto i piedi i fili di erba che le
solleticavano le
dita.
Dopotutto lei era Puck, il folletto del bosco, dispettoso e
imprevedibile, al servizio del suo padrone Oberon. Era il caos, era
qualcosa di
inafferrabile.
“Io sono Puck” pensò intensamente Rin.
Non era più il
momento di avere paura, perché ormai quello che era fatto
era fatto: aveva
provato fino allo stremo, aveva studiato, aveva cercato di capire come
potesse
muoversi un folletto, che espressioni potesse assumere, che parole
usava. E a
poco a poco si era trasformata in quel personaggio, aveva finito per
assorbire
quella maschera, facendola propria, con caratteristiche del tutto
personali.
-Chi
di scena, si tenga pronto!- disse la voce di Saya da
dietro le quinte.
In
sala le luci si spensero e il chiacchiericcio di fondo
cessò, all’improvviso. Rin sentì
chiaramente il rumore del sipario che si
apriva e poi vide le luci accendersi ed illuminare il palco.
Che lo spettacolo abbia inizio, pensò ed entrò in
scena.
Rin non sarebbe mai riuscita a spiegare a qualcuno come si
sentisse ogni volta che saliva su un palco scenico: ogni paura svaniva,
ogni
timore diventava piccolo
e un’energia
sconosciuta si impossessava di lei.
Mentre
parlava continuava ad ammiccare ai presenti, rompendo
la quarta parete che divideva gli attori dal pubblico. Gli altri
compagni si tranquillizzarono
vedendo che Rin era partita con il piede giusto, anzi si sentirono
rinvigoriti
da tanto entusiasmo.
Rin, dal canto suo, ormai era come se fosse stata
impossessata dall’essenza di Puck e recitava con naturalezza
ed energia.
Sua nonna la guardava estasiata, Kagome la guardava
estasiata. C’era tra il pubblico anche un’altra
persona che la osservava
incuriosita: Sesshomaru.
A
stento l’aveva riconosciuta in quel costume da folletto e
il trucco di scena. Non sembrava nemmeno lei, tanto era diversa, quasi
un’altra
persona. Poteva percepire l’entusiasmo che ci metteva in
quella
rappresentazione, come se il suo corpo fosse il centro da cui si
irradiava
tutta l’energia e a poco a poco arrivava a chiunque presente
in sala. Osservava
le sue mani che battevano sul tamburello, a ritmo delle battute che
pronunciava; vedeva perfettamente alcune ciocche di capelli che le
erano cadute
dallo chignon che si era acconciata in camerino, ma che le conferivano
un tocco
più simpatico; poteva vedere gli occhi che le brillavano
mentre si rivolgeva a
loro.
Notò anche che stava recitando a piedi nudi e subito nella
sua mente ci fu un lampo: quei piedi nudi gli provocarono una
sensazione
strana, come se si ricordasse qualcosa che fino ad allora aveva
totalmente
ignorato. Una vita precedente, qualcosa che aveva condiviso con
qualcuno che
gli stava particolarmente a cuore. Sesshomaru si sentì
invadere da un calore
strano, mai provato in vita sua. Scosse leggermente la testa,
riprendendo all’istante
la lucidità. Non era possibile, sarà stato solo
un momento di debolezza a causa
del sonno perso durante quei mesi.
Eppure quella ragazzina, più la guardava, più gli
sembrava
di averla già vista e non solo durante i due episodi di
qualche anno fa. Era qualcosa
di ancestrale, di remoto. Non riusciva a spiegarselo e questo non gli
piaceva,
lui doveva avere tutto sotto controllo. Decise di relegare quella
sensazione in
un angolo piccolo della sua mente e di tornare a contrarsi sulla
rappresentazione. Non era certo il momento di concentrarsi su cose
futili come
quella.
Quando
prestò di nuovo attenzione, si sentì rincuorato
nel
vedere che la scena era stata occupata da altri attori e che quella
ragazzina
era uscita. Eppure ogni volta che entrava in scena, si ritrovava ad
osservarla
attentamente, a sorridere quando Puck combinava qualche guaio e a
sospirare
quando vedere che, per fortuna, non aveva dimenticato nessuna battuta.
***
Gli
applausi che ricevettero alla fine rincuorarono tutti i
ragazzi della compagnia. Sembrava che fosse proprio piaciuto, o almeno
questo
speravano.
Salutarono il pubblico come sono soliti fare gli attori e si
ritirarono in camerino, pronti a cambiarsi per poter festeggiare.
Midoriko, da lontano, guardava i suoi allievi e si sentì
orgogliosa di loro. Ci avevano messo dentro tutti loro stessi.
Ma nonostante i loro sforzi, sapeva che questo non era
sufficiente: non si sarebbero salvati dall’onda potente che
li avrebbe travolti
per colpa di Sesshumaro No Taisho e Naraku Onigumo. Il fatto che
avessero
invitato con loro due dei giornalisti più inclementi del
mondo dello
spettacolo, la diceva lunga sulle loro intenzioni.
Infatti, mentre la gente se ne stava andando, vide
avvicinarsi le figure dei due uomini che in quel momento odiava
più di chiunque
altro.
-Ma
che onore avere qui voi due. Spero che lo spettacolo sia
stato di vostro gradimento- disse Midoriko con un sorriso tirato sul
viso. Doveva
giocare di anticipo.
Sesshomaru non disse niente, mentre Naraku sorrise ancora
più e rispose:- Lo saprà domani dai giornali,
cara signora No Tama-
Si divertiva molto a metterla in difficoltà, anche se
sarebbe stato più corretto dire che Naraku si divertiva a
mettere in difficoltà
chiunque.
Midoriko era risoluta almeno a salvare le apparenze e non si
scompose minimamente, anzi sorrise di rimando prendendo quelle parole
come se
fossero uno scherzo tra due amici.
-Credo
che la presenza di Tsubaki Tsukino e Renkotsu Nagino
non sia del tutto rassicurante-
Questa
volta fu Sesshomaru a prendere la parola:-Come le
abbiamo detto siamo disposti a tutto pur di averla sotto contratto con
noi. Ovviamente
anche i suoi piccoli prodigi sarebbero i benvenuti, almeno per quel che
riguarda la No Taisho-
Mentre parlava avanzava lentamente verso la donna, la quale
non si fece intimorire dalla statura del demone ma, al contrario,
continuava a
sostenerne lo sguardo in segno di sfida.
-Per
poi farne fenomeni da baraccone, che poi verranno
dimenticati nel giro di qualche anno una volta ottenuti i diritti di
rappresentazione sul romanzo di mio marito? No grazie. Io ci tengo ai
miei
allievi- disse lei lapidaria.
Sesshomaru
la guardava fisso, si avvicinò ancora di più e
disse:-Signora, non mi faccia essere cattivo. Non mi fermerò
davanti a nulla
pur di ottenere quello che voglio, fosse pure dover trascinare lei e i
suoi
amati studenti in fondo al baratro-
Midoriko era sul punto di ribattere ma un rumore costrinse
tutti e tre ad interrompere quello scontro. Vicino ad una colonna,
tutta
tremante come una foglia, c’era Rin, ancora con gli abiti di
scena, la quale
guardava con occhi pieni di timore le due figure di fronte alla sua
sensei.
Sesshomaru, da come lo stava guardando, intuì che la
ragazzina doveva aver
ascoltato tutto quello che lui aveva detto e per un momento un
sentimento di
rimorso per aver pronunciato quelle parole si impossessò di
lui. Non voleva che
lei lo potesse sentire. Un leggero lampo di preoccupazione gli
attraversò gli
occhi, per poi sparire veloce così come era venuto.
Rin non poteva credere alle sue orecchie: quell’uomo che
sembrava tanto gentile con lei era in realtà un mostro
disposto a tutto pur di
ottenere qualcosa. Non sapeva perfettamente di cosa stessero parlando,
ma aveva
capito che c’era in ballo qualcosa di importante, altrimenti
che bisgono c’era
di coinvolgere anche dei giovani attori?
E lei che aveva pensato che fosse un principe
azzurro.
-Sensei,
ero… ero venuta a chiamarla: gli altri stanno
festeggiando la fine dello spettacolo- disse lei con un filo di voce,
quasi
avesse paura di essere mangiata viva dai due uomini.
Naraku la osservò, si avvicinò a lei e disse:-
Così lei è la
nostra piccola star- e mentre parlava, le prese il mento tra le dita e
la
obbligò a guardarlo. Quando gli occhi scuri di Rin
incontrarono le iridi quasi
rosse di Naraku si sentì a disagio più che mai.
Non le piaceva per niente quell’uomo.
Il ragazzo si accorse di questo disagio e sentì crescergli
nel petto un sentimento di soddisfazione. Sorrise a mezza bocca come
era suo
solito e disse ancora una volta:-Dov’è finita
tutta la tua energia di prima? Ti
spavento, forse?-
Per Midoriko quello spettacolo era durato abbastanza e non
sopportava che qualcuno potesse trattare così una sua
allieva. Come una
leonessa che difende il proprio cucciolo, corse in soccorso di Rin,
mettendosi
tra lei e Naraku.
-Vogliate
scusarmi, ma sono attesa dai miei allievi- e
insieme si allontanaro.
Sesshomaru,
senza neanche rivolgere una parola a Naraku, si
avviò anche lui verso l’uscita, ancora leggermente
in collera con sé stesso per
essersi fatto sentire da quella ragazzina. Quando fu fuori,
l’aria gelida di
dicembre gli sferzò il viso, quasi con crudeltà.
Mentre si apprestava a salire
sulla macchina pronta a portarlo a casa, notò che in
lontananza c’era un
fioraio ancora aperto ed istintivamente si diresse verso il negozio.
Moltissimi erano i fiori esposti. Lui non era un fan delle
composizioni floreali, anzi lo lasciavano del tutto indifferente, come
la
maggior parte delle cose che lo circondavano.
Il negozio traboccava di fiori magnifici: peonie, rose,
orchidee, gigli e tanto altro ancora. Notò in lontananza un
vaso di garofani
bianchi e subito gli venne in mente la ragazzina, pensava che in
qualche modo
gli somigliassero: delicati e semplici. Sarebbero stati un ottimo modo
per
premiarla per la sua recitazione appassionata.
Senza sapere come si ritrovò con un grande mazzo in mano.
Mentre
camminava verso il teatro si fermò.
“Che
stupido. Non posso di certo consegnarglieli di persona,
non li accetterebbe mai” pensò tra sé e
sé.
Tornò
di nuovo al negozio e disse:-Ho una richiesta da
farle-
***
Nel
camerino c’era aria di festa. Durante il loro tragitto
verso i camerini, Midoriko aveva cercato di calmare Rin, spiegandole
che non
doveva preoccuparsi di niente, che era tutto sotto controllo. Lei aveva
annuito, sperando che le parole della sua sensei fosse vere, ma aveva
una
strana paura dentro di sé. Poco prima di entrare
però Midoriko si fece
promettere che mai e poi mai avrebbe fatto parola di quello che aveva
assistito
con gli altri ragazzi, nemmeno con sua nipote Kagome. Rin rispose in
maniera
affermativa: sarebbe stata muta come un pesce.
Dopo essersi cambiata e tolta il trucco di scena, si era
unita agli altri nei festeggiamenti. Rideva alle battute di Jakotsu, si
complimentava con Ayame per la sua performance molto, troppo credile
come
innamorata di Koga e osservava divertita i teatrini tra Miroku e Sango.
-Brutto
maniaco, con la scusa che eravamo in scena, ne hai
approfittato per toccarmi il sedere- urlava lei.
Kohaku
si avvicinò a lei con un bicchiere di succo di frutta
e glielo porse.
-Complimenti, Rin. La tua performance è stata strabiliante-
le disse con un sorriso dolce. Rin lo ringraziò mentre
accettava il bicchiere
che lui le stava porgendo.
Che ragazzo dolce che era Kohaku, sempre con una buona parola
per chiunque.
Mentre
erano tutti intenti a ridere e scherzare, qualcuno
bussò alla porta.
-Scusate l’interruzione, è qui Rin Damashita?-
chiese un
ragazzo robusto con i mano un mazzo di fiori.
La diretta interessata si fece avanti e subito si trovò tra
le mani decine di garofani bianchi. Chi poteva averglieli mai mandati.
-Wow Rin, qualcuno deve essere rimasto molto impressionato
da te- esclamò Sango, la quale aveva una vera e propria
passione per i fiori.
Solo che la ragazza non aveva la benchè minima idea di chi
potesse essere quel pensiero per lei. Mentre guardava il gigantesco
mazzo che
le era stato recapitato, notò un bigliettino. Lo prese
subito e, curiosa, lesse
il contenuto.
-La
sue perfomance è stata stupefacente. Spero di vederla
ancora sul palcoscenico. Un suo ammiratore- lesse Rin incredula.
Da
nessuna parte compariva un nome.
Un ammiratore, pensò. Ho un ammiratore. Era buffo quasi a
pensarci.
-Oh,
Rin ha un ammiratore segreto- cinguettò Jakotsu, con
una punta d’invidia.
La
ragazza avrebbe voluto tanto ringraziare quella persona
sconosciuta: ricevere quei fiori la faceva sentire importante,
perché qualcuno
stava credendo in lei e nel suo talento. Istintivamente corse fuori dal
camerino, diretta verso l’uscita. Forse poteva incontrarlo.
Strinse il mazzo al petto, inalò il profumo di quei fiori e
poi sussurò un “grazie” che si perse nel
vento.
Da lontano, una macchina scura accese il motore e partì
perdendosi tra le luci della città.
Ed
eccomi di nuovo qui, questa volta in tempo record. Devo ammettere
che la storia sta prendendo anche me, ho tantissime idee e le voglio
mettere
tutte per iscritto. Allora, come promesso i due piccioncini si sono
incontrati
ancora una volta, ma non è stato dei migliori, almeno per
Sesshomaru. Ma non vi
preoccupate, fa tutto parte del piano ;)
Nel corso dei prossimi capitoli verranno svelate altre
storie ed altre svelate, quindi non posso che dirvi “stay
tuned!”.
Come sempre ringrazio Maria76, Gaudia e Seydna per aver
commentato il capitolo precedente; a queste si aggiunge anche Edhie.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, commentante J
Alla
prossima.