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Autore: Teo5Astor    27/02/2019    24 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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5 – Il primo appuntamento
 
 
 
«Non avrò molto tempo libero quando rientrerò nel mondo dello spettacolo, quindi voglio uscire con te già domenica questa» dice Lazuli, voltandosi un’ultima volta in cima ai gradini che danno accesso alla portineria dell’elegante condominio in cui vive. «Vivo qui da due anni e non ho ancora visto Kamakura, questa mi sembra una buona occasione».
«Posso considerarlo come un…» butto lì, ancora troppo confuso e felice per quello che sta succedendo stasera dal riuscire a dire qualcosa di sensato.
«Non è un appuntamento» mi interrompe lei, gelandomi. In realtà la adoro quando fa così.
«Non è giusto…» sbuffo, fingendomi corrucciato e facendola ridere. Quanto mi piace riuscire a farla ridere. Mi fa sentire bene.
«Ci vediamo alle 14:30 alla stazione della linea Enoden di Fujisawa, allora» mi dice, regalandomi l’ultimo sorriso di questa assurda e magnifica serata. «Arriva anche solo un secondo in ritardo e me ne torno a casa!» aggiunge, improvvisamente serissima, regalandomi così anche l’ultima doccia fredda di questa assurda e magnifica serata, prima di entrare definitivamente nel palazzo e lasciarmi lì, inebetito.
«Sì, cazzo!» esulto, una volta rientrato in casa. Sto finalmente realizzando che uscirò con Lazuli Eighteen tra cinque giorni!
«Urca! È successo qualcosa, fratellone?!» accorre subito Goku con la sua felpa da tirannosauro, preoccupato per il mio urlo di gioia.
«C’è che finalmente la ruota sembra aver ripreso a girare anche per me!» gli rispondo.
«Non capisco… condividi questo “Sì, cazzo!” anche con Goku!» protesta, mettendo il muso.
«Un giorno mi capirai, fratellino…» gli sorrido, tirandogli giù il cappuccio dalla testa e scompigliandogli i capelli.
 
 
25 maggio
 
«Uhm…».
Osservo pensieroso due paia di boxer distesi sul letto, pensando se indossare quelli blu elettrico o quelli giallo fluo. Sono appena uscito dalla doccia e sono in camera mia con l’asciugamano legato in vita, mentre decido cosa indossare per il mio appuntamento con Lazuli. Noto con la coda dell’occhio Goku che mi osserva perplesso all’ingresso della stanza, probabilmente non capisce perché sono indeciso persino sulla scelta delle mutande.
«Un uomo deve essere pronto per ogni evenienza quando esce con una ragazza» gli spiego, afferrando i boxer blu e infilandomeli. Metto poi una maglia bianca con un lupo nero stampato davanti, dei jeans a vita bassa strappati grigio scuro e delle scarpe sportive bianche ed esco per andare a piedi verso la stazione. Sono in perfetto orario. E sono felice.
Passando davanti al parco giochi, scorgo al suo interno una bambina di tre o quattro anni che piange disperatamente, da sola.
«Qualcosa non va?» le chiedo, avvicinandomi a lei e chinandomi leggermente per mettermi all’altezza del suo viso. Lei smette di piangere e mi guarda.
«Tu non sei la mia mammaaaaa!» urla all’improvviso, riprendendo a piangere disperata.
«No, non sono decisamente la tua mamma…» sospiro, rialzandomi e guardandomi intorno. «Ti sei persa, eh?» le sorrido, dandole una carezza sulla testa per cercare di rassicurarla. «Non ti preoccupare, adesso la troviamo sicuramente».
«D-davvero?!» mi chiede, tra un singhiozzo e l’altro.
«Certo, ci penso io!» le dico, facendola smettere di piangere.
«Toglile le mani di dosso, lurido pervertito!» sento urlare alle mie spalle, prima che un calcio poderoso mi colpisca in pieno sul sedere e mi sbilanci in avanti, rischiando di farmi cadere.
«Scappa!» urla la stessa voce, rivolta alla bambina.
«Ma sei… ma sei pazza?!» borbotto, voltandomi in direzione della voce misteriosa e scoprendo con mia grande sorpresa che quel calcio così ben assestato me l’ha dato una ragazza, anche piuttosto minuta a dire la verità. «Non hai capito niente! Quella bambina si è persa e io la stavo solo aiutando a cercare sua mamma!»
«Eh?!» esclama la nuova arrivata. Ora che la guardo meglio mi sembra di averla già vista da qualche parte. I suoi lunghi capelli blu legati in un vistoso fiocco rosso mi dicono qualcosa, sembra più piccola di me.
«Sì, è vero» conferma la bambina, con un filo di voce.
«Ahia, cazzo…» sospiro sottovoce, massaggiandomi il sedere.
«Scusami, mi dispiace tanto!» esclama la ragazza, avvicinandosi a me. Il suo viso è totalmente diverso da prima, quando era arrabbiata. Ora la sua espressione è così dolce e ingenua da farla quasi sembrare un’altra persona. Si inchina leggermente.
«Mi hai aperto il culo in due, lo sai?» le bisbiglio, contrariato, facendola arrossire. È abbastanza timida, in realtà.
«E va bene, ho capito!» esclama all’improvviso, con un’espressione del tutto diversa stampata sul volto. Non sembra più timida e indifesa, ora mi sorride sadica. «Dammi anche tu un calcio nel sedere o una sculacciata, così saremo pari!» aggiunge, prima di voltarsi e abbassarsi a novanta gradi, appoggiata a uno scivolo. Indossa una gonna molto corta, e mi lascia un attimo basito, accanto alla bambina che stavo cercando di aiutare.
«Eh?» le dico perplesso.
«Muoviti, ho un appuntamento con delle mie amiche e mi stai facendo fare tardi!» sbotta.
«Guarda che anch’io avrei un appuntamento!» ribatto, proprio mentre vedo arrivare dalla strada un poliziotto di quartiere in bicicletta.
«Ehi, cosa state facendo?!» ci domanda, dirigendosi verso di noi con la ragazza dai lunghi capelli blu ancora piegata in avanti. Comincia di nuovo ad arrossire, la sua voce si fa tremolante.
Ho a che fare con una ragazza bipolare, una bambina che si è persa e un poliziotto. Ok.
«Venite con me in centrale» ci dice l’agente, dopo che gli ho spiegato la vicenda. Bene, sta andando a puttane il mio primo appuntamento con Lazuli. Benissimo. Non le scrivo nulla, questa storia sembra così assurda, del resto… penserebbe a una scusa.
 
«Che disastro!» sbuffa la ragazza dai capelli blu, quasi un’ora e mezza dopo, quando riusciamo finalmente ad andarcene dalla centrale della polizia.
«Se durante le deposizioni avessi mollato un attimo il tuo telefono, avremmo fatto molto prima!» le dico, irritato. «Non hai fatto altro che mandare messaggi tutto il tempo, anche il poliziotto era scocciato!»
«Non è mica colpa mia se continuavo a ricevere messaggi! Dovevo rispondere alle mie amiche!» prova a giustificarsi, offesa. «Se non rispondessi subito, scommetto che smetterebbero di essere mie amiche!»
«E tu le consideri amiche?! Bah…» sbuffo. «Ora vado, anche se è tardissimo per il mio appuntamento…» aggiungo, correndo verso la stazione.
«Ciao, ci si vede!» mi urla la ragazza dai capelli di blu, mentre svolto l’angolo e penso che Lazuli mi ammazzerà la prossima volta che la rivedrò. Non mi ha scritto nessun messaggio, ma dubito sia ancora lì ad aspettarmi. Dubito che usciremo mai più insieme, purtroppo. Ma che cazzo ho fatto di male io?!
Merda, merda, merda! Perché devo sempre essere una calamita per i casini?!
Corro a più non posso fino alla stazione, mi brucia il fianco da quanto mi manca il fiato. Arrivo all’ingresso della linea Enoden e mi piego sulle ginocchia, stremato. Mi guardo intorno, ma non la vedo. Ovviamente. Sono quasi le 16:00, è stato folle da parte mia sperare anche solo lontanamente di poterla trovare ancora qui.
Sospiro profondamente, rassegnato. Triste, soprattutto.
Vaffanculo! Altro che ruota che finalmente comincia a girare anche per me…
«Ne hai di fegato per farmi aspettare un’ora e ventisette minuti!»
Una voce irritata alle mie spalle mi gela il sangue e mi riempie il cuore allo stesso tempo. Una voce che riconoscerei tra mille, ormai.
Mi volto e guardo Lazuli, che mi fissa con fare polemico e altezzoso tenendo le braccia incrociate sul petto. Indossa una maglietta aderente nera leggermente scollata sotto a un gilet di jeans, una minigonna di jeans che le fascia i fianchi, leggings neri, una cintura marrone e degli stivaletti dello stesso colore. È semplicemente bellissima. Le sorrido. Sono felice che sia ancora qui, forse troppo per riuscire a descriverlo a parole. Ha anche la sua solita mollettina glitterata a forma di coniglio tra i capelli.
«Non pensavo che Lazuli Eighteen fosse tipa da aspettare un ragazzo ritardatario» la provoco. «Comunque, mi dispiace. Tanto, anche. Ma non è stata colpa mia!» aggiungo, chinando il capo e giungendo le mani in modo teatrale.
«Io faccio quello che mi pare» mi dice freddamente, passandomi accanto e dirigendosi verso l’obliteratrice e i tornelli alle mie spalle. Il suo profumo fresco mi pervade. Mi fa sentire bene. È dolcissima quando fa l’offesa. «Muoviti, voglio vedere Kamakura» ordina, timbrando il suo biglietto e dirigendosi verso i binari. «Ora dovrai tirar fuori una buona scusa per il tuo ritardo» continua minacciosa.
Le spiego quello che è successo, in fondo sono davvero in buona fede.
«Ho capito…» sbuffa, scocciata, alla fine del mio racconto, mentre siamo seduti sul treno. Il vagone è piuttosto tranquillo. «Almeno è arrivata alla fine quella pessima madre a riprendersi la bambina? Il mondo è pieno di pessime madri, a quanto pare…».  
«Per fortuna sì, è arrivata» le rispondo. Penso anche a mia madre, ma solo per un istante. Non voglio essere triste, non adesso.
«Sicuro che non c’è altro?» mi chiede a bruciapelo, guardando fissa davanti a sé fuori dal finestrino. «Sai, già non mi va a genio la storia del ritardo, in più sapere che eri insieme a una ragazza non fa altro che peggiorare la situazione».
«Non è successo nient’altro» sorrido. Vuole farsi vedere fredda e superiore, ma in realtà ci tiene a me. Lo spero, almeno.
«Se scopro che mi hai mentito, ti faccio mangiare i Pocky dal naso» mi spiega tranquillamente, voltandosi poi in mia direzione e fissandomi con uno sguardo glaciale e infuocato al tempo stesso, mentre tira fuori dalla borsa una scatoletta di bastoncini ricoperti di cioccolato bianco.
«Me ne infilerai solo uno, spero, nel caso».
«No, tutta la confezione» mi minaccia, prima di riprendere di nuovo a guardare davanti a sé mangiando un Pocky. Me ne offre uno, mentre il suo sguardo si fa malinconico. Mi fa una tenerezza che non saprei descrivere. Vorrei tanto proteggerla da quello che la preoccupa, da quello che le fa paura. Dal mondo, che a volte sa essere davvero infame.
Dalla realtà, che a volte può essere così dura da accettare da lacerarti il petto. Letteralmente, nel mio caso. Soprattutto se sei troppo piccolo per sapere come gestire problemi più grandi di te. O se non sei abbastanza forte.
«Rad…» sospira, dopo qualche secondo di silenzio. «Perché ti interessi tanto a me? Io sono una ragazza problematica, di solito la gente sta alla larga dalle persone come me».
«Perché adoro il tuo cinismo» le spiego. «Anche se forse è questo tuo essere così cinica che ti porta a non avere amici».
«Dammi una risposta seria» mi dice, tornando a guardarmi negli occhi. «Perché cerchi di aiutarmi? Perché fai tutto questo per me?»
«Perché questa è l’occasione per avvicinarmi alla mia bellissima senpai» le rispondo, cercando di farla ridere. Anche se in realtà non è che stia proprio scherzando. «Passare del tempo con te mi manda letteralmente in estasi».
«Non ti ho detto di rivelarmi i tuoi secondi fini, che sono fin troppo evidenti, tra l’altro» ribatte, socchiudendo leggermente gli occhi per scrutarmi e accennando un sorriso.
«Eh, ma mi hai detto tu che volevi una risposta seria…» sbuffo, guardandola negli occhi. Lei continua a fissarmi, mi rendo conto che ha capito che c’è qualcosa in più che mi spinge a starle accanto. A provare ad aiutarla. Lei mi legge dentro. Mi capisce.
Inspiro profondamente, non è facile dire questo proprio a lei. Perché mi fa ancora un po’ male parlarne, e perché non vorrei parlarne con Lazuli. Non adesso, almeno. Ma devo farlo, sento che è giusto così.
Sento che con lei posso concedermi il lusso di essere me stesso. Fino in fondo.
«È brutto non avere nessuno su cui contare quando se ne ha più bisogno… quando le cose vanno male…» le dico, tornando a guardare fuori dal finestrino. La mia voce si è fatta malinconica, senza nemmeno rendermene conto. «Quando mio fratello ha mostrato i primi sintomi della Sindrome della Pubertà, nessuno ci ha dato ascolto. Peggio ancora quando mi si sono formati quei tre squarci sul petto».
«E i vostri genitori?»
«Non viviamo più insieme da quando Goku è stato male… nostra madre non è… non è riuscita ad accettare la situazione» rispondo, con un filo di voce. Mi rendo conto di avere gli occhi lucidi. Giro la testa leggermente nella direzione opposta a quella di Lazuli e ricaccio indietro le lacrime. Vaffanculo, lacrime. Vaffanculo, dolore. Io sono più forte. Non sono più quello di due anni fa.
«Però… però c’è stata una persona che a un certo punto ha deciso di credermi, e non mi riferisco a quella giornalista. Lei, in fondo, aveva visto in quella storia semplicemente un’opportunità per il suo lavoro» riprendo, e noto che Lazuli mi sta fissando. Accenno un sorriso, seppur piuttosto triste. «Credo che non sarei uscito facilmente da quella situazione, se non avessi incontrato quella persona» ammetto con estrema sincerità. «È per questo che voglio esserci per te, così come quella persona c’è stata per me, due anni fa».
«Si tratta di una ragazza, vero?» mi domanda Lazuli.
«Eh?!» esclamo, quasi senza rendermene conto e guardandola di nuovo negli occhi. Il suo sguardo, da dolce diventa improvvisamente duro. Glaciale.
«Io scendo qui» annuncia, gelida, non appena le porte del treno si aprono davanti a noi alla fermata di Shichirigahama. Si alza di scatto ed esce dal vagone, lasciandomi basito. Si è offesa? È gelosa?
«Eh?! E Kamakura?!» le chiedo, perplesso, mentre mi affanno per seguirla e non farmi chiudere dentro dalle porte automatiche del treno.
«Per colpa tua è tardi per andare a Kamakura!» sbotta, fredda come sa essere solo lei, senza nemmeno voltarsi e accelerando il passo sulla banchina.
«E-ehi, aspettami!» le dico, correndo per affiancarla. «Io non volevo…».
«Ho voglia di vedere il mare» mi interrompe, facendo strada verso una meta anche a me ben nota. «Visto che mi hai voluta seguire, continua il tuo racconto mentre andiamo alla spiaggia» aggiunge, senza guardarmi, camminandomi davanti con le mani dietro la schiena
Già, il mare… e quella spiaggia…
 
Due anni prima
 
Non saprei dire da quanto tempo sono seduto sulla sabbia, con le gambe raccolte sul petto e il mento che sprofonda tra le ginocchia. Perso tra i miei pensieri da quasi quindicenne che deve prendere in mano la sua vita troppo presto, mentre la osserva inesorabilmente sgretolarsi tra le sue mani senza riuscire a far nulla. Solo, sempre più solo. Un fratello che non è più quello di prima, due genitori che non accettano questa novità, tre enormi cicatrici che mi solcano il petto senza che io abbia fatto nulla per procurarmele. Nessuno che mi crede. Le voci sul mio conto che iniziano a circolare. E mi fanno male, anche se cerco di non pensarci.
Mi sembra di essere troppo piccolo per affrontare problemi così grandi. Mi sento solo.
Solo, sempre più solo.
L’acqua cristallina del mare che avanza sulla battigia, verso di me, fino a sfiorarmi i piedi, e poi si ritrae verso l’orizzonte. Un moto infinito, un suono rilassante.
Dovrei fregarmene di tutto, come fa il mare. Così grande, così forte, che anche durante una tempesta la pioggia dà l’impressione di sfiorarlo appena. Mi sembra invincibile.
Ma io non sono così, non sono abbastanza forte da fregarmene. Non riesco più a sorridere. Davvero un tempo sapevo addirittura ridere?
Guardo l’acqua verso l’orizzonte, ed è bellissima. Blu. Quando la marea la porta verso di me, invece, è così trasparente da sembrare di ghiaccio.
In lontananza il blu sembra volermi guidare, rassicurare. Da vicino il color  ghiaccio sembra voglia accarezzarmi, farmi capire che ci sarà sempre.
Meglio il blu o meglio il ghiaccio?
«Lo sai?»
Una voce allegra e gentile mi fa voltare di scatto alla mia sinistra, non mi ero accorto che fosse arrivato qualcun altro in questa spiaggia deserta. C’è una ragazza, in piedi, scalza, che sorride e guarda il mare. Ha la mani dietro la schiena e indossa una divisa scolastica. Gonna corta blu, camicetta bianca e giacca marrone chiaro. I suoi lunghi e lucidi capelli neri sono legati in due codini laterali.
«Se calcolata all’altezza degl’occhi, la distanza dell’orizzonte è di circa quattro kilometri!» mi spiega, prima di guardarmi e sorridermi con una dolcezza con cui nessuno mi aveva mai sorriso prima. I suoi occhi sono blu, blu come il mare all’orizzonte. A quattro kilometri da me, a quanto pare.
La guardo, e non so cosa dire. Non riesco nemmeno a sorriderle, perché forse non so neanche più farlo. Però sento il cuore battermi nel petto, nel mio petto sfregiato. Lo sento battere forte, come non succedeva da tempo. Una, due, tre volte. E poi ancora, e ancora.
«Mi chiamo Videl Satan, frequento la terza media alla scuola Minegahara e tra poco comincerò lì anche il liceo!» mi spiega, sorridendomi ancora di più. «E tu? Come ti chiami?»
 
«Tu frequentavi il secondo anno delle medie allora, giusto?» mi interrompe Lazuli. «Questa… questa Videl ha la mia età, a quanto pare» sibila, cominciando a scendere la scalinata di pietra che ci conduce alla spiaggia. «Hai scelto il liceo Minegahara solo per poterla incontrare di nuovo?»
«Beh, se devo essere sincero… sì…» ammetto.
«Ma lei ti ha rifiutato, vero?» mi chiede Lazuli, smettendo improvvisamente di camminare davanti a me con le mani dietro la schiena.
«A dire la verità ci siamo baciati solo una volta in quel periodo, ma da quel giorno non l’ho più vista. Alla fine ho scoperto che alla Minegahara non c’era una studentessa con quel nome» le spiego, mentre lei si volta di scatto e mi pianta addosso quei meravigliosi occhi di ghiaccio che si ritrova. Color ghiaccio, come l’acqua che la marea porta fino ai nostri piedi, prima di ritrarsi di nuovo verso l’orizzonte, dove l’acqua appare blu. Blu e lontana.
«Ho persino controllato l’elenco degli alunni, sia delle medie negli anni passati, sia del liceo. Ma niente, non esiste nessuna studentessa con quel nome, a quanto pare» riprendo, abbassando gli occhi verso l’acqua trasparente che sembra volermi accarezzare. «Eppure sono certo di aver conosciuto una ragazza di nome Videl Satan e di essere stato salvato dalla sua presenza».
«Sei ancora innamorato di lei?» mi domanda Lazuli, in apparenza imperturbabile, continuando a fissarmi intensamente negli occhi. Cercando di scavarmi dentro. Perché lei sa farlo. Perché io voglio che lei lo faccia.
«Mi piaceva, due anni fa» ammetto candidamente. Non avrebbe senso mentire. Non so mentire a Lazuli, e non voglio nemmeno farlo. Non lo farò mai. «Molto».
«Ammetti di essere innamorato di un’altra ragazza nel bel mezzo di un appuntamento con me…» esclama lei, piuttosto acida e irritata. Incrocia le braccia sul petto con stizza e volta la testa di scatto, facendo ondeggiare i suoi capelli biondi. «Ma quanto fai schifo?!» aggiunge, girando il coltello nella piaga.
«M-ma… me l’hai chiesto tu!» provo a giustificarmi. «E poi ho detto che mi “piaceva”, non che mi piace ancora! C’è una bella differenza!» protesto.
«È arrivata» mi dice Lazuli, indifferente alle mie parole, guardando oltre le mie spalle in direzione della strada. Mi giro e vedo scendere da una macchina sportiva nera una donna sulla quarantina dai lunghi e lisci capelli biondi, fasciata in un tubino nero e con un paio di occhiali dalla montatura nera che le conferiscono un’aria ancora più austera e severa, nonostante mi sembri molto ben curata. Scende la scalinata di pietra e si dirige verso di noi, guardandosi intorno. Sembra scocciata e di fretta. È una bella donna, ma soprattutto mi sembra gelida.
«Chi è che è arrivata?» domando, perplesso, rivolto a Lazuli. Lei tira fuori il suo cellulare e mi mostra un messaggio scritto da lei la sera del 20 maggio, quella in cui abbiamo fatto la spesa insieme, inviato a un contatto salvato come “Manager” e il cui testo recita: Fatti trovare alla spiaggia Shichirigahama alle 17:00 di domenica 25.
«Manager?!» esclamo, allibito, dopo aver realizzato il tutto. «Ma allora quella che sta arrivando è tua madre!» aggiungo, voltandomi verso la donna che nel frattempo ha raggiunto la spiaggia.
«Voglio dirle chiaramente che ho deciso di tornare sulle scene, ma che lei non sarà più la mia manager. Mi affiderò a un’altra agenzia» spiega Lazuli, fissando sua madre a distanza con occhi pieni di risentimento e delusione. Sembra decisa, nonostante non debba essere facile per lei.
«Sei sicura di volerlo fare? Se hai bisogno di una mano, conta su di me» le dico, mentre guardiamo entrambi in direzione di sua madre, che si è fermata in mezzo alla spiaggia con le mani sui fianchi e si guarda intorno, irritata.
«Continueremo il nostro appuntamento dopo che avrò finito con lei, aspettami qui» mi risponde, accennando un sorriso e dirigendosi verso sua madre.
Osservo Lazuli camminare decisa, mentre sua madre si gira proprio in quel momento verso di noi e riprende a camminare anche lei. Solo che, più che guardare sua figlia, sembra guardare me. Lazuli si ferma a un paio di metri da sua mamma, ma la donna continua a camminare, passandole accanto senza degnarla nemmeno di uno sguardo, e si dirige verso di me.
Guardo Lazuli, impietrita, le braccia distese lungo i fianchi e le mani leggermente aperte. Si volta di scatto, i suoi occhi di ghiaccio sono sgranati. Pieni di dolore.
Sgrano a mia volta gli occhi. Sento una fitta nel petto. Un nodo alla gola.
Nemmeno sua madre riesce più a vedere Lazuli.
«Sei stato tu a chiamarmi?» mi domanda la donna in tono scocciato, fermandosi a un paio di metri da me e incrociando le braccia sul petto. Distolgo lo sguardo da Lazuli, che osserva la scena con la bocca leggermente aperta, e lo fisso sulla persona che ho davanti. Si vede che è sua madre, le assomiglia. Solo che a questa donna manca una cosa fondamentale, a differenza di sua figlia: le manca il cuore.
«Chi sei? Cosa vuoi?» mi incalza. La sua voce è severa. Guardo di nuovo Lazuli. I suoi occhi sono lucidi, la sua anima si sta sbriciolando lentamente senza che io possa fare qualcosa per impedirlo. Stringo i pugni così forte da farmi male.
«Mi chiamo Radish Son, sono un kohai di Lazuli-san» mi presento.
«Di chi?» mi domanda, perplessa.
«Di Lazuli-san!» ripeto.
«E chi sarebbe?»
«Come, “chi sarebbe”?! È sua figlia!»
«Cosa stai dicendo?! Io non ho nessuna figlia! Smettila di scherzare e di farmi perdere tempo!»
«Ma io non sto scherzando! Il messaggio che le chiedeva di recarsi qui l’avrà ricevuto da lei, no?»
«Intendi questo messaggio?» mi chiede, mostrandomi il suo cellulare con il messaggio inviatole da Lazuli sul display. «Come vedi, il mittente è anonimo. Non so chi me l’abbia inviato».
«Eh?» riesco a dire, sgranando ancora di più gli occhi e guardando Lazuli, pietrificata e spaventata.
«Ho fatto i salti mortali per trovare il tempo per venire qui oggi, e guarda cosa mi ritrovo…» sbuffa la donna. «Cosa significa tutto questo?»
«È sua madre! Come può essersi dimenticata di lei?!» le grido in faccia, quasi senza rendermene conto. «Non può essersi addirittura dimenticata di lei dopo tutto il male che le ha fatto!»
«Basta, Rad! Basta così!» mi interrompe Lazuli, correndo verso di me e abbracciandomi. Affonda la testa nel mio petto, mi stringe forte. Trattiene a stento un singhiozzo. «Basta, per favore…» sussurra.
«Perché?! Io non ho ancora finito di dirle quello che penso!» urlo. Mi sento fuori di me.
«Basta… basta, ti prego…» mi implora di nuovo, cercando la mia mano con la sua e stringendola forte, mentre con l’altra continua a cingermi la schiena. Riprendo fiato, cerco di tornare in me e di calmarmi.
«Ne ho abbastanza di questa pagliacciata! Mi hai fatto perdere fin troppo tempo!» sbotta la madre di Lazuli, prima di andarsene dalla spiaggia.
La seguo con lo sguardo per qualche metro, rassegnato. Sento un singhiozzo sommesso di Lazuli contro il mio petto. Ne sento un altro. Le accarezzo la nuca con una mano, la stringo un po’ di più a me. Voglio che sappia che io ci sono per lei. Che ci sarò sempre, se lei lo vorrà. Che non deve avere per forza bisogno di una madre come quella per essere felice.
Vorrei dirgliele, queste cose. Ma non ce la faccio. Non adesso, almeno.
Le accarezzo ancora la testa, e ancora. Lei mi stringe più forte la mano. Mi punta quasi le unghie nella schiena con l’altra, da quanto sta stringendo la maglietta per non staccarsi da me. Appoggio la testa contro la sua, mentre il suo profumo fresco mi avvolge e il suono delle onde tranquille del mare cerca di calmarmi. Di dirmi che va tutto bene. Che andrà tutto bene.
«Perché… perché le cose devono andare così?!» singhiozza Lazuli. «Io… io… cosa ho fatto di male?!»
«Non sempre le cose vanno come vorremmo… o come meriteremmo. E anche i genitori non ce li possiamo scegliere, non è colpa nostra se sono così…» le rispondo, accarezzandole la testa. «A volte la realtà può fare così schifo da lacerarti il petto. Letteralmente, come è successo a me. Perché non sai come reagire, perché hai paura, perché senti di non essere abbastanza grande per farcela. Di non essere abbastanza forte».
Mi interrompo, e sento il suo respiro farsi più regolare. I singhiozzi diminuiscono, eppure continua a stringermi forte. Le accarezzo di nuovo i capelli. Sento il suo cuore battere sul mio petto sfregiato da una realtà che non sono stato in grado di affrontare due anni fa. Ma ora è diverso. Ora sono io ad essere diverso.
«A un certo punto poi accetti la realtà, capisci che puoi affrontarla, per quanto faccia schifo. Ti accetti per quello che sei e vai avanti, reagisci. Restano i segni addosso, magari, ma alla fine vai avanti lo stesso. I segni restano solo un ricordo del passato, stanno lì a ricordarti che sei stato più forte di quello che è accaduto» riprendo, mentre la sua mano resta stretta alla mia. Mentre il suo cuore batte più forte. «Io non ti lascerò affrontare tutto questo da sola, non voglio farti vivere quello che ho vissuto io. In due è più facile farcela. In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore».
Restiamo così, in silenzio, in questa spiaggia deserta che io conosco bene. La spiaggia in cui ho imparato a rialzarmi di nuovo, una volta. E in cui non lascerò che sia Lazuli a cadere, oggi.
Restiamo così, e non saprei dire per quanto. So solo che non potrei desiderare altro, adesso.
«Rad…» mi sussurra, senza guardarmi.
«Sì?» le chiedo, accarezzandole di nuovo la nuca e dandole un leggero bacio sulla testa.
«Io… se… se anche tu dovessi…» prova a dire.
«Non succederà, te lo prometto» la interrompo. «Io mi ricorderò sempre di te, Là» aggiungo, senza esitazioni. «Non potrei mai dimenticarti».
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: ok, lasciamo i nostri protagonisti abbracciati sulla spiaggia a dirsi cose carine dopo i danni provocati dalla famosa “mamma di Lazuli”. Tutto questo, però, aggiunge un dubbio sulla situazione della nostra protagonista: sembra che le persone che non la vedono più abbiano anche perso ogni ricordo relativo a lei, a giudicare da quello che dice sua madre. E, se ci pensate, questa sarebbe una cosa devastante.
Il finale è un po’ triste, anche se Rad fa del suo meglio per trovare le parole giuste: spero vi sia piaciuto, sia il finale che il capitolo! In ogni caso l’appuntamento prosegue nel prossimo, per il momento salutiamo i nostri eroi sulla stessa spiaggia in cui Rad ha conosciuto Videl poco più di due anni prima. Si tratta di una spiaggia tranquilla e non attrezzata per il turismo attaccata a Fujisawa, considerando che Kamakura (quella che doveva essere la destinazione del loro appuntamento) è a soli 6 km da Fujisawa e la fermata del treno che conduce a questa spiaggia dal nome impronunciabile si trova prima. I Pocky, invece, sono quei bastoncini ricoperti di cioccolato di vari gusti conosciuti in Italia come Mikado.
Abbiamo avuto un assaggio del personaggio di Videl Satan, vi è piaciuta? È un personaggio avvolto nel mistero, direi. E, così a naso, non mi sembra stare esattamente simpatica a Lazuli.
Stessa cosa per la ragazza dai capelli blu che prende a calci Rad e lo fa arrivare tardi all’appuntamento. Anche lei non sembra andare a genio alla nostra Lazuli. L’avete riconosciuta? Dai, è facile! È già comparsa di striscio e alcuni di voi l’avevano beccata subito.
Lei avrà ruolo molto prima di Chichi, per la quale bisognerà avere pazienza stando alla trama e al ruolo che ho in mente per lei. Che sarà molto bello e particolare nelle mie intenzioni, per questo mi fa piacere che c’è stato molto entusiasmo per l’annuncio della sua presenza nel “cast” di questa AU. Non l’ho detto subito perché sapevo che ci sarebbe voluto tempo per il suo ingresso sulla scena, ma era prevista fin dall’inizio. Infatti, in qualche modo e indirettamente, si è già parlato di lei tra le righe in uno dei precedenti capitoli. Mi sono affezionato anche a lei dopo “Beauty and the Beast”, quindi fin da subito ho pensato che ci sarebbe stata bene anche in questa avventura!
Tornando al capitolo, Radish non sembra parlare volentieri della sua famiglia, ma qualcosa ci dice a riguardo. Oggi lo vediamo così, ma due anni fa deve aver vissuto dei momenti davvero difficili secondo me. Cosa sarà successo? Ci vorrà pazienza per sapere tutto, lo sapete. ;-)
Nel frattempo spero vi sarete goduti certi atteggiamenti e certe battute di Lazuli, spero siano uscite bene, con i suoi modi spesso gelidi e a volte estremamente teneri!
 
Niente, non mi resta che ringraziare ancora una volta tutti voi che state leggendo questa storia e che la state apprezzando. Non potete capire quanto mi faccia piacere, perché fatico anch’io a spiegarmi quanto mi sto legando a questi personaggi e alle loro vicende!
Mi avete scritto cose bellissime e trasmesso tanto entusiasmo, non so davvero come ringraziarvi!
Grazie in anticipo a chi vorrà lasciarmi il suo parere e chiedermi chiarimenti a riguardo, a chi continua a leggere questa long e a chi la sta inserendo nelle varie categorie.
Ci vediamo giovedì prossimo, se volete uno spoiler il titolo sarà “Notte magica”, quindi sembra promettere bene. Spero di avervi emozionato e divertito in questo, e spero che lo farò ancora di più nel prossimo… ci sarà anche una telefonata memorabile tra Rad e Vegeta, quindi non perdetevelo! E vedremo soprattutto se i nostri Raduli (per chi ancora non lo sapesse, è un neologismo osceno creato da me qualche tempo fa) faranno ancora qualche passo l’uno verso l’altra!
Ho aggiornato anche questa settimana con qualche ora di anticipo perché domani, finalmente, esce al cinema il tanto atteso film su Broly e così oggi potete ingannare l’attesa leggendo i miei deliri su Efp, magari! ;-)
Io andrò subito domani sera, non vedo l’ora!
 
Teo
 
 
 
   
 
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