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Autore: vali_    06/03/2019    3 recensioni
[Seguito di "Wash Away"]
Sam, dopo aver perso Jessica, è tornato a cacciare con suo fratello, nonostante continui a credere che la sua vita potrebbe essere molto di più che inseguire mostri e un incubo infinito. Dean si sente meglio ora che ha nuovamente suo fratello al suo fianco, ma Ellie gli manca più di quanto voglia ammettere e, quando una persona a lui cara lo cerca per chiedergli di occuparsi di un problema che la riguarda, non esita un istante a prendere l’Impala e correre da lei.
… “«Scusa Sam, ma non andiamo in Pennsylvania».
La smorfia che compare sulla faccia di suo fratello è un misto tra il disperato e lo spazientito, ma a Dean poco importa di come prenderà questo cambio di programma. «Come? Ma se avevamo detto—»
«Non importa quello che avevamo detto» prende fiato e lo guarda intensamente; non ha voglia di discutere, ma almeno deve dargli qualche informazione su questo cambiamento improvviso. Tanto poi sa che, durante il viaggio, Sam lo riempirà di domande comunque
”…
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima stagione, Seconda stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Note: Ma sono o non sono stata brava anche oggi a pubblicare ad un’ora decente? *guarda il pubblico aspettandosi applausi* Non ci fate l’abitudine eh, che potrebbe essere solo un miracolo passeggero XD
Innanzitutto ciao a tutti e buon mercoledì :D volevo dirvi due cose: la prima è che sono davvero contenta che questa storia stia riscuotendo un discreto successo. Ci ho messo l’anima e mi ci sono buttata a corpo morto per scriverla, quindi mi fa piacere constatare che la fatica è ripagata :D
La seconda è che in questo capitolo – e un po’ anche nel prossimo, in realtà – troverete miste un po’ di vicende tratte dalla serie, in particolar modo avvenute negli episodi 2x02, 2x03 e 2x04. Riconoscerete sicuramente qualche dialogo o qualche scena e sappiate che sì, le ho prese e modificate a mio piacimento XD spero che la cosa non vi disturbi.
Detto questo vi mando un fortissimo abbraccio, vi ringrazio per il costante affetto e vi auguro una buonissima lettura! A mercoledì! :**

Capitolo 26: Love and death
 
Death leaves a heartache no one can heal,
Love leaves a memory no one can steal.
 
(Unknown)
 
 
Stringe la mano destra di Dean più forte, facendosi più vicina mentre, di fronte a lei, si consuma un’immagine tristemente familiare: una pira di legno su cui un cadavere avvolto in un lenzuolo brucia lentamente.
Ellie ormai conosce la prassi: ogni cacciatore che si rispetti vuole un trattamento simile dopo la morte, essere cosparso di sale e fatto ardere su quello che si può considerare una specie di altare. Sam e Dean, a cui ha dato una mano, ne hanno costruito uno in un campo fuori Columbia non appena ha cominciato a calare la sera. Hanno trovato dei legni e li hanno accatastati uno sopra all’altro, formando una pira. Poi, non senza sforzo, vi hanno poggiato sopra il cadavere di John e gli hanno dato fuoco. Ora, come vuole la tradizione, stanno aspettando che si estingua.
 
Sam è distrutto: tiene le mani in tasca, il suo viso ancora ferito – il taglio sul naso è ancora fresco e anche l’occhio è abbastanza pesto – è bagnato di lacrime. Dean, invece, è più contenuto: c’è solo una lacrima a rigargli la guancia destra mentre fissa il fuoco ardere e quel lenzuolo che avvolge suo padre che tra un po’ diventerà cenere, proprio come lui, che è stato una colonna portante nella sua vita e al quale Dean era così attaccato che sta faticando notevolmente a dirgli addio. Non che Ellie si aspettasse qualcosa di diverso: conoscendo lui e il modo in cui affronta certe cose, non poteva di certo prenderla bene, anche se sta facendo di tutto per non darlo a vedere.
 
Appoggia la mano destra sul braccio di Dean e stringe più forte; alla sua sinistra, Sam tira su col naso. «Ma prima di… prima di… » Ellie allunga la testa verso di lui che fa una pausa, singhiozzando piano «Papà non ti ha detto niente?» Dean volta appena il capo senza guardarlo, l’orecchio teso per ascoltarlo. «Proprio niente?»
Ellie lo guarda riportare gli occhi sulla pira infuocata e rifletterci qualche istante «No» fa una pausa mentre Sam si volta per osservarlo «Niente». Una nuova lacrima silenziosa gli scende giù dall’occhio destro ed Ellie non è convinta che sia del tutto sincero perché ci ha riflettuto un po’ troppo e non ha guardato Sam in faccia, ma di certo non gli dirà nulla. È troppo sconvolto da tutta questa storia e non è il momento adatto per affrontare certi discorsi. A patto che il suo dubbio sia fondato, poi. Potrebbe essere solo una sua impressione, perciò a maggior ragione è meglio tacere.
 
Sono passati due giorni da quando John li ha lasciati. I medici hanno parlato di un attacco di cuore, qualcosa di improvviso e imprevedibile oltre che inarrestabile, tanto da non riuscire a salvarlo. Sam ha reagito scoppiando in lacrime, in un pianto silenzioso ma continuo mentre Dean, invece, è rimasto a fissare il vuoto a lungo, incapace di dire o fare qualsiasi altra cosa. A nulla sono valsi i tentativi di Ellie di farlo tornare a letto, visto che era ancora in piena convalescenza; più che riposare, quantomeno avrebbe dovuto coprirsi, ma non c’è stato verso. L’unico modo per farsi ascoltare è stato portargli una maglia, la più pesante che aveva, e mettergliela sulle spalle.
 
I dottori hanno dimesso Dean quasi subito, dopo la morte di John. I parametri erano ottimi e non c’era alcun motivo per trattenerlo ancora. Così, hanno atteso che gli restituissero il corpo e poi sono venuti qui, in periferia, per dare al vento i suoi resti.
 
Ellie sta cercando di stare accanto a entrambi come può. Non è semplice: Sam parla, almeno, ma è scosso, mentre Dean si è chiuso dietro un muro e non si sfoga neanche sotto tortura. A volte passano ore prima che dica anche solo una parola, come adesso, che non si sa quanto sforzo deve aver fatto per aprire la bocca e rispondere a suo fratello.
 
Stringe appena più forte la sua mano, seguendo il filo dei pensieri, una stretta che Dean non ricambia. Non se la prende, sapendo che non sarà semplice scalfire il muro e far sì che le permetta di aiutarlo, di confortarlo. Lei ci è passata non tanto tempo fa e sa bene come ci si sente: impotenti, soli e abbandonati da una delle persone che più di tutti al mondo dovrebbe proteggerti. Papà non era stato tanto in grado di adempiere questo compito, ma John, a modo suo, l’ha fatto e per i suoi figli la sua mancanza sarà molto, molto dura da digerire. Soprattutto per Dean che ha trascorso tanto tempo con suo padre, fino a cucirsi sotto pelle e sul cuore ogni suo insegnamento.
 
Una volta che il fuoco è arso completamente, s’incamminano verso la macchina, rifacendo la strada che hanno percorso all’andata.
Hanno dovuto rubare un’auto per venire fin qui: ne avevano bisogno usciti dall’ospedale per andare in un motel dove hanno prenotato una stanza per questi pochi giorni di permanenza e per giungere fino a qui. L’Impala, oltre a essere ridotta malissimo, è nella rimessa di Bobby a Sioux Falls e il pick-up di John, che gli sarebbe potuto essere utile, è probabilmente rimasto in Nebraska, dove l’ha lasciato prima che Meg lo rapisse. Sarebbe bene cercarlo e recuperarlo, almeno per riprendersi le armi che nascondeva nel bagagliaio, ma non è di certo questo il momento per pensarci.
Montano sull’auto e il tragitto fino al motel è silenzioso: ci sono solo i singhiozzi di Sam a scandire i secondi che passano lenti. Ellie, seduta dietro, gli passa un fazzoletto di carta e gli poggia una mano sulla spalla, in segno di conforto. Non è molto, ma spera che possa almeno suggerirgli che è lì per aiutarlo.
 
Dopo essere rientrati, Ellie si guarda velocemente intorno. La stanza che si sono trovati è davvero piccola, ma non ci resteranno a lungo, perciò non ha molta importanza. È tutto stipato: i due letti quasi appiccicati addossati alla parete destra, la porta del bagno di fronte e un armadio a un’anta pure mezza rotta sulla sinistra. È un miracolo pure riuscire a passare, per quanto è stretto lo spazio tra un mobile e l’altro.
 
Appoggia le sue cose vicino alla porta d’ingresso e lascia il bagno libero a entrambi; quando tocca a lei, cerca di fare tutto velocemente. Spegne la luce e s’infila sotto le coperte, raggiungendo Dean che è sdraiato di lato e le dà le spalle. Non tentenna un istante quando lo abbraccia, il braccio destro attorno alla sua vita e la mano a cercare la sua. La trova e la stringe forte, posandogli un bacio tra le scapole. Dean non risponde, non la stringe nemmeno a sua volta, rimane immobile ed Ellie lo sa che è sveglio e che probabilmente ci rimarrà a lungo, ma non dice nulla.
Non tagliarmi fuori, permettimi di starti accanto. Non fare come ho fatto io. Vorrebbe tanto dirglielo, ma almeno per adesso sa che è meglio tacere.
 
Non dormirà neanche stanotte, ne è sicura. Le due notti precedenti le hanno passate a vegliare sulla figura di John, disteso con gli occhi chiusi, inerte, nella camera mortuaria dell’ospedale su una di quelle fredde lamine d’acciaio su cui distendono i cadaveri per effettuare le autopsie. [1]
Almeno stanotte Dean dovrebbe provare a riposare, ma Ellie lo conosce bene e sa che non riuscirà a trovare vero riposo a lungo. Questa storia lo terrà sveglio per molto tempo.
Lei, invece, non riesce a resistere e si lascia sopraffare dalla stanchezza dopo averlo stretto appena più forte. Ancora una volta senza essere ricambiata.
 
*
 
Una settimana è trascorsa in fretta. Più di quanto Ellie si aspettasse.
Sono da Bobby da ormai cinque o sei giorni. Ha già perso il conto. In fondo, non è che queste giornate siano state tanto diverse l’una dall’altra: da quando sono arrivati, Bobby studia le sue cose e aiuta vari cacciatori come al solito, Dean è impegnato ad aggiustare l’Impala e Sam passa il tempo a leggere delle carte di suo padre o a gironzolare da una stanza all’altra, senza una meta precisa. A volte aiuta Ellie che sta approfittando di questi giorni di “vacanza” – se così li può chiamare – per rimettere un po’ a posto il casino che c’è costantemente in casa di Bobby. Quell’uomo è in grado di lasciare pentole sporche nel lavello per una settimana intera; è sempre bene fare un po’ di ordine. Perlomeno per ricambiare il grosso favore che gli fa a ospitarli.
 
È rimasto in silenzio quando Ellie l’ha chiamato per dirgli che si stavano dirigendo da lui dopo che John era morto. E anche quando sono arrivati lì, qualche ora dopo, ha detto poco e niente. Ha chiesto com’era successo – a lei, i ragazzi erano entrambi visivamente scossi – e nient’altro. Nei giorni successivi si è mostrato normale, più o meno… dispiaciuto, ma normale. In fondo, poi, non è mai stato un chiacchierone, perciò Ellie non si stupisce del suo atteggiamento. Come di quello degli altri: Dean, che nel mutismo ci sguazza, non dice una parola se non interpellato mentre Sam, che ha bisogno di parlare di qualsiasi cosa anche solo per distrarsi, è raro che stia in silenzio. Almeno, fa un po’ di compagnia ad Ellie che ha passato troppi momenti da sola in questi giorni.
 
È di nuovo mattina quando lo trova davanti al finestrone che si affaccia sulla rimessa delle auto. [2] È appena scesa dalle scale che la portano al piano di sopra – stanotte è stato il turno suo e di Dean sul letto – ed è diretta a preparare la colazione, ma vederlo lì con una tazza di caffè in mano e gli occhi fissi verso un punto fuori dalla finestra le fanno cambiare idea. Almeno per qualche minuto. Sapendo che si è svegliata da sola anche oggi, poi, non fatica a capire cosa – o forse sarebbe meglio dire chi – sta spiando Sam.
Gli si avvicina; lei ha ancora la sua maglia blu lunga che usa per dormire addosso, lui è già vestito con tanto di camicia a quadri rossi e neri e jeans scuri. Chissà da quanto è in piedi.
Sam percepisce la sua presenza e si volta; il livido intorno all’occhio non è ancora guarito del tutto, nonostante Ellie gli abbia dato una crema da metterci ogni sera. Lo guarda abbozzare un debole sorriso nella sua direzione «Buongiorno».
«Buongiorno Sam. Hai dormito bene?»
Lui stringe le spalle «Ho passato notti peggiori. E tu?»
«Anch’io».
 
Abbozza un sorriso e si volta a guardare fuori dalla grossa finestra: come aveva previsto, fuori c’è Dean che, con una maglietta a maniche corte grigia sporca di grasso addosso e un paio di jeans slavati, si sta occupando della sua adorata macchina.
 
Ascolta Sam sospirare appena «Non so come parlarci». Ellie stringe le labbra in una linea sottile, riflettendo sulle sue parole. Da che sono qui, Sam non aveva mai tirato fuori il discorso: nonostante sia sotto gli occhi di tutti e due che Dean non se la stia cavando un granché bene con questa storia, hanno aspettato a pronunciarsi. E non perché non ce ne sia stata occasione. Forse, più semplicemente, speravano che questo momento passasse più in fretta, ma Dean ha un carattere chiuso e scostante e per superare uno shock simile ci vorrà un tempo piuttosto lungo. Ellie deglutisce, aspettando che Sam dica qualcos’altro. «È scontroso, è strano, non so davvero come affrontarlo».
Sorride appena e lo guarda «Lo dici a me? Non mi dà neanche un bacio quando si alza la mattina» Sam si volta nella sua direzione ed è perplesso, forse perché non si aspettava quell’uscita nel bel mezzo di un discorso tanto serio, ma poi capisce che è il suo modo di sdrammatizzare. «È la verità, prima lo faceva sempre».
Lo osserva leccarsi le labbra «Ok, ma—»
«Ho capito cosa intendi dire» adesso è più seria, la voce più ferma. Lo guarda negli occhi «Per carità, potresti provare a parlarci se è quello che vuoi fare. Forse a te dà più ascolto. Con me non parla. O forse… » sospira appena «Forse dovremmo solo lasciarlo stare per un po’».
Sam storce le labbra «Non credi che l’abbiamo lasciato fare abbastanza? Insomma, da che siamo qui non fa altro che lavorare a quella macchina. Non pensi che—»
«Quello può aiutarlo» lo guarda ancora «Quello che voglio dirti, Sam, è che ho imparato a capire quando Dean ha voglia di parlare e quando proprio non gli va. Adesso è uno dei momenti in cui non gli va e non… non penso sia il caso di forzarlo. Ma se credi di riuscire a sbloccarlo fai bene a provare» gli sorride debolmente, una smorfia alla quale Sam ricambia stringendo le labbra in una linea sottile.
«È solo che… che è così evidente che ci sia il demone dietro tutto quello che è successo a papà che non… non capisco perché lui si stia ostinando a non affrontare questa cosa».
 
Sam gliene ha parlato, una delle tante volte in cui ha preferito darle una mano che girovagare per casa senza far nulla. Non è stato difficile fare due più due: quando hanno ritrovato John privo di sensi, si sono anche accorti che la Colt era sparita e nessuno a parte il demone poteva essere interessato ad averla. È chiaro che Sam, che è più incline a volersi sfogare quando c’è qualcosa che non va, abbia voglia di parlarne con suo fratello. Per lui, è la cosa più naturale e semplice da fare, perciò Ellie comprende il suo stato d’animo e la sua voglia di condividere i suoi pensieri su questa storia, su John che non c’è più e di cui sente terribilmente la mancanza – basta guardarlo per rendersene conto – e di una vendetta che desidera compiere da molto prima di quest’ultima scomparsa. Solo che Ellie non pensa che riuscirà a parlarne a Dean tanto facilmente, tutto qui.
 
Lo guarda negli occhi e stringe le spalle «Non lo so, Sam. Provaci, se ti fa stare meglio. Solo non aspettarti grandi cose».
Lui le risponde tirando nuovamente le labbra in una linea sottile per poi voltarsi e andare in cucina, portando la tazza di caffè alla bocca e lasciarla vuota sul tavolo.
Ellie non si muove e osserva la scena dal finestrone: Dean che è sotto la macchina, poi ne esce e risponde a Sam che gli parla prima con calma poi alzando di più la voce, tanto che lei può sentirlo parlare di vendetta e risposte.
 
Sospira appena e distoglie gli occhi da quella scena per andare a preparare qualcosa da mangiare per colazione. Non le piace immischiarsi nelle faccende tra Sam e Dean: se si tratta di dare un consiglio, come glielo ha chiesto Sam prima, non si fa problemi, ma altrimenti non le piace né origliare né tanto meno dire la sua quando non è richiesta. Soprattutto quando si tratta di quei due, poi, è meglio farsi i fatti propri.
 
In cucina trova Bobby, seduto a capotavola con il berretto bianco e verde in testa e il giornale aperto. Ellie gli sorride appena «Buongiorno» e lui le risponde con un cenno della testa.
È diventata ormai pratica della casa: sa dove sono gli utensili e gli ingredienti e non fatica a trovare quelli che le servono per fare dei pancake. Prepara anche la marmellata di fragole che le piace tanto, quella ai mirtilli che amano Sam e Bobby e la crema di nocciole che invece preferisce Dean e appoggia tutto sul tavolo prima di dare le spalle a Bobby per mettersi a sbattere le uova, lo zucchero e la farina con una frusta. «Oggi ti dispiace se faccio un paio di lavatrici? Vorrei approfittarne prima di rimetterci in viaggio… quelle a gettoni non sono tutte buone».
 
È un’abitudine che ha preso da quando ha litigato con papà prima di andare a Buckley: ha scoperto che, dietro una porta di legno, c’è una rampa di scale che porta a un piano sotterraneo dove c’è una piccola stanza in cui Bobby, tra le altre cianfrusaglie, tiene una lavatrice. [3] Da allora, quando viene qui e ha qualcosa da lavare – quindi praticamente sempre, considerando che ogni volta aspettano di avere un carico di vestiti cospicuo prima di andare a farla da qualche parte – gli chiede se può utilizzarla e Bobby quasi si offende quando la sente chiedergli il permesso.
 
Come adesso, che, non ricevendo una risposta, Ellie si volta e lo trova ad alzare gli occhi dal giornale per rivolgerli verso di lei con misurata lentezza. «Mi casa es tu casa, te l’ho detto un milione di volte. Fai quello che ti pare, l’importante è che non me lo chiedi». Ellie sorride in risposta e torna a fare i suoi pancake. «Quei due sono fuori?» a quella domanda, annuisce senza voltarsi «Come va?»
Ellie fa spallucce, un sorriso mesto dipinto sulle labbra «Come vuoi che vada… come con due persone che hanno appena perso il proprio padre» sospira appena, aggiungendo del latte al composto e continuando a mescolare. «Ma non mi lamento. Quando è successo a me, loro hanno subito di peggio».
Bobby aspetta qualche secondo prima di rispondere «Ognuno reagisce a certe situazioni a modo suo» fa una piccola pausa «Non fartene una colpa se sei stata fredda nei loro confronti quando è toccato a te. E non farti mettere i piedi in testa perché soffrono» Ellie si ferma un istante, tendendo un orecchio per ascoltare bene le sue parole «Sono dei bravi ragazzi e sei parte della famiglia, per loro, ma tu non meriti di… » si interrompe e sicuramente vorrebbe aggiungere altro, ma non ne ha il tempo perché Sam e Dean rientrano ed è costretto a tacere.
Ellie torna a mescolare il composto come se niente fosse, incuriosita, però, da ciò che Bobby voleva dirle. Spera proprio che ci riesca, magari più tardi, anche se più o meno crede di aver compreso dove voleva arrivare.
 
I ragazzi si siedono e attendono i loro pancake e, quando Ellie si volta a guardarli, glielo può leggere in faccia che hanno discusso. Sam è cupo e pensieroso e Dean, che solitamente riesce a nascondere meglio quello che sente, sta fissando un punto immaginario, la testa persa in chissà quali pensieri.
Ellie rigira un paio di pancake nel pentolino, sospirando appena. Sam ci sta mettendo tutte le sue buone intenzioni, ne è sicura, ma non è semplice scalfire il muro che ha tirato su suo fratello. Prima riuscirà a capirlo, prima smetterà di rimanerci male.
 
La colazione trascorre piuttosto silenziosamente: Bobby ha messo il giornale da parte, borbottando che non c’è nulla di strano su cui porre l’attenzione, ultimamente. Finiscono presto ed è Sam ad alzarsi per primo, che dice di voler andare a leggere delle cose di John – probabilmente una delle cartelle colme di fogli che hanno recuperato dalla sua macchina quando sono andati a prenderla e l’hanno portata qui [4] – , seguito da Bobby che si rintana nel suo studio senza dire nulla. Dean è l’ultimo a finire di mangiare e, quando si alza, Ellie sta già lavando la pentola e i piatti sporchi. Dean le si avvicina per appoggiare il suo nel lavello, affiancandola a destra, e lei volta il viso verso di lui, le labbra distese in un piccolo sorriso.
«Torni fuori?» Dean annuisce senza guardarla, poggiando una mano sul bordo del lavello. «Come procede il lavoro?»
«Lentamente».
 
Ellie tira le labbra in una linea sottile. Ogni giorno, da che sono qui, Dean si piazza fuori ad aggiustare l’Impala, ridotta praticamente a una carcassa, e almeno una volta al dì lei lo va a trovare mentre lavora, per portargli una birra fresca – il sole picchia forte anche se l’autunno è alle porte e fa caldo – o per vedere i suoi progressi. Deve ammettere che, anche se a lui sembra di aver fatto molto poco, è stato bravo: ha già rimesso a posto buona parte della carrozzeria esterna, riparando anche la grossa bozza che l’auto aveva su un fianco. Chiaramente non è un lavoro semplice, né tantomeno veloce, considerando che la sta praticamente rimettendo a nuovo, ma ce la sta mettendo tutta e i risultati sono già evidenti.
 
Si volta anche con il busto, allungandogli le braccia al collo, cercando di tenere le mani umide lontane dalla sua schiena per non farlo bagnare. «Ci vorrà il tempo che ci vorrà, ma sono convinta che ti verrà come nuova» si allunga appena, alzandosi sulle punte, per stampargli un bacio sulle labbra. Lo guarda con attenzione: anche lui porta ancora i segni dell’incidente addosso. Il taglio che aveva sulla fronte, ad esempio, sembra non volerne ancora sapere di sparire.  «L’importante è che non ti stanchi troppo».
Dean sbuffa aria dal naso «No. Sto facendo ciò che posso, io—»
«Lo so» Ellie stringe le labbra in una linea sottile «Ma non… non strafare».
Lo guarda roteare gli occhi e spostarsi un po’ indietro per prendere le distanze, irritato «Sono guarito, è tutto a posto. Mi è successo un fottuto miracolo e non ho bisogno di tutte queste premure» Ellie stringe gli occhi e Dean, forse rendendosi conto che ha alzato il tono della voce e che le ha parlato in modo un po’ troppo aspro, sospira appena. «Senti, non… non voglio discutere. Ma ti sarei grato se non mi trattassi come un malato terminale».
Ellie si morde le labbra. Non vorrebbe dirlo, ma non resiste «Ma lo eri, fino all’altro giorno» lo guarda con gli occhi persi; appoggia le piante dei piedi a terra e lascia scivolare le mani sul suo petto – totalmente incurante di averle ancora bagnate –, appoggiandone una proprio sopra al suo cuore «È stato come vivere un incubo, Dean. Ho avuto tanta paura».
Dean deglutisce amarezza insieme a un grumo di saliva «Sto bene adesso».
 
Ellie lo scruta a fondo; ha gli occhi stretti e piccoli, lo sguardo mesto un po’ perso ed è come se stesse cercando di convincersi di stare bene davvero, ma entrambi sanno che non è così. Il suo non è un male fisico, ma un dolore che gli attanaglia il cuore e gli fa tremare le ossa. Ma se non è pronto per esternarlo, lei non vuole forzarlo in nessun modo.
 
Stringe le labbra e lo asseconda «Meglio così» gli sorride appena e si scosta, lasciandolo libero. Dean si volta, dirigendosi verso l’altra stanza dove c’è la veranda da cui può uscire ed Ellie lo ferma, ricordandosi di dovergli chiedere una cosa. «Ah, Dean?» lui si volta a guardarla «Hai qualcosa da lavare? Faccio almeno un paio di lavatrici dopo che ho finito qui».
Lo osserva piegare le labbra in una smorfia pensierosa «Credo di sì. Ci dovrebbe essere una busta accanto al borsone, di sopra in camera. Mi sembra di averlo lasciato dentro l’armadio».
Ellie gli sorride «Ok, grazie» e lo guarda allontanarsi dalla sua vista. Sospira appena – se stai così quando stai bene, finora hai sempre finto – e torna alle sue cianfrusaglie da lavare.
 
Poco più tardi, dopo aver finito, chiede anche a Sam, rintanato nel salotto a “studiare” le carte di suo padre sul demone, se ha dei panni sporchi e lui glieli prende subito, porgendogli una piccola busta bianca.
Anche per questa mansione, solitamente fanno a turni: quando il mucchietto della roba da lavare di ognuno diventa abbastanza grande, giocano a morra cinese per decretare a chi tocca, perché non si ricordano mai chi è stato l’ultimo ad andare. Spesso, quindi, a meno che qualcuno non si offre volontario, tocca a Dean fare le lavatrici, perché è quello che perde più spesso, ma c’è di bello che non ha problemi. E così anche Sam. Ellie è contenta di questo: sono due ragazzi praticamente autonomi e per questo non si approfittano di lei. Certo, sarebbe stato meglio – per loro, soprattutto – se avessero imparato l’arte della sopravvivenza per altri motivi, perché si trasferivano lontano dai genitori, ad esempio, e non perché costretti a girovagare senza fissa dimora, ma si accontenta.
 
Prese tutte le buste, compresa quella dei suoi indumenti da lavare, Ellie scende di sotto e le appoggia sopra la lavatrice. L’ambiente non è dei più belli al mondo: è disordinato, pieno di attrezzi e cianfrusaglie messe malamente qua e là su una scaffalatura di metallo appoggiata al muro. È come un grande garage in disuso e sarebbe da mettere a posto, ma Ellie non pensa che Bobby glielo approverebbe, perciò non ha mai chiesto.
La lavatrice è posta all’angolo destro della stanza, quasi attaccata al muro grigio. Quando è rimasta qui per un po’, ha preso uno stendino per stendere i panni e l’ha poggiato lì accanto. Così è più comodo; di sopra, infatti, non c’è molto posto per metterne uno.
 
Apre le buste e sparpaglia i panni sopra la lavatrice, cominciando a dividere quelli bianchi da quelli scuri e così via. Si accorge dopo poco, però, che il suo cellulare ha preso a vibrare, così lo afferra dalla tasca per rispondere. Sul display compare un nome familiare e sorride prima di premere il tasto verde «Pronto?»
«Ciao, El. È un po’ che non ci sentiamo… anche se mi piacerebbe dirti che ho ricevuto così tanti messaggi che non sapevo da quale cominciare per risponderti».
Ellie si morde le labbra, sentendosi un po’ in colpa. È vero: da quando Dean è stato male, di tempo per sentire Janis ce ne è stato poco. Avrebbe voluto chiamarla, ma è stata alquanto impegnata, tra una cosa e l’altra.
«Hai ragione, io… sono stata impicciata, ho… ho avuto delle giornate un po’ difficili» e ti avrei chiamata, se solo non dovessi ogni volta filtrare le informazioni.
Janis stenta un attimo prima di rispondere «Che ti è successo, tesoro?» ed Ellie sospira appena, prima di cominciare a raccontare ciò che può: le parla dell’incidente, giustificando la sua assenza dicendo che era rimasta dallo zio di Dean perché aveva un po’ d’influenza e lui l’aveva costretta a rimanere a letto. Le racconta della paura che ha avuto e di Dean, che è riuscito a sopravvivere per miracolo, al contrario del padre che, invece, è venuto a mancare. Janis ascolta in silenzio il suo racconto prima di parlare nuovamente «Oddio, mi dispiace. Ma com’è successo?»
Ellie si umetta le labbra. Odia mentire a Janis «Ha avuto un malore. Improvviso» si morde appena il labbro inferiore. Sa che è una balla, perché – anche se non ne ha parlato nemmeno con Sam e non intende farlo al momento – la successione degli eventi è stata fin troppo strana: prima il risveglio di Dean, poi John che viene attaccato, molto probabilmente dal demone, e ci lascia le penne… c’è qualcosa che non le torna. Ma è un pensiero che, almeno al momento, ha deciso di tenere per sé. «Eravamo già in ospedale, ma i medici non hanno potuto fare niente per salvarlo».
«Capisco» Ellie sente Janis sospirare dall’altro lato del telefono «E Dean come l’ha presa?»
«Malissimo. Era… era molto attaccato a suo padre. Era come un eroe, per lui».
«E scommetto che non ti permette di stargli vicino».
Ellie sospira appena, appoggiandosi alla lavatrice. Nessuno la sente, essendo di sotto, e si sente libera di parlare «Non molto, ma posso capirlo: io… io ho fatto di peggio, quando è morto mio padre. Però anche le cose tra noi erano differenti, era tutto più confuso. Adesso, invece—»
«Non fare affidamento su quello» Ellie si zittisce, ascoltando attenta le parole della sua amica «Se ha un carattere chiuso, gli risulterà difficile aprirsi proprio con te che lo conosci bene. O con suo fratello».
Sospira, rassegnata «E cosa devo fare, allora?»
«Vuoi il mio parere? Portare pazienza. Sperando che basti» fa una pausa ed Ellie attende che continui a parlare «Insomma, non… non farlo sentire diverso da prima, come se provassi compassione per lui».
«Sto cercando di non farlo, io—»
«Lo so, ma… ma quando hai dubbi su come comportarti, pensa a come ti sentivi tu quando è venuto a mancare tuo padre. Non avresti voluto essere trattata normalmente? Senza favoritismi di alcun tipo?» ci riflette per un istante e, beh, sì, era ciò che le sarebbe piaciuto di più in una situazione tanto delicata. «Questo tuo silenzio mi fa pensare che ho ragione».
Ellie abbozza un sorriso «Sì, è così».
«Bene. Allora cerca di fare lo stesso con lui: trattalo come faresti sempre. E spera che funzioni».
 
Parla ancora un po’ con la sua amica, finendo per affrontare anche altri argomenti. Janis dice di stare bene, che con David stanno cominciando a pensare a una convivenza ed Ellie pensa che sia giusto: da quello che le ha raccontato, sono più le volte che dormono insieme che quelle in cui stanno ognuno a casa propria e, vivendo entrambi da soli, tanto vale dividere le spese e vivere sotto lo stesso tetto. Lavorano entrambi, ma non navigano nell’oro, e stare insieme, almeno secondo Ellie, sarebbe un grande giovamento, perciò incoraggia questa scelta, dicendole che David è un ragazzo eccezionale e che sarebbe una decisione più che giusta.
Chiude la telefonata con un sorriso appena accennato sulle labbra: non si era accorta di quanto avesse bisogno di parlare con qualcuno di estraneo a tutto il caos che l’ha circondata negli ultimi giorni, di parlare con Janis. È un pensiero egoistico, forse, ma tutti, in una situazione più o meno difficile, sentono la necessità di staccare un po’, almeno per qualche minuto, spostare l’attenzione su problemi diversi. Ed Ellie ne aveva, sebbene non se ne fosse resa conto.
Anche Janis, probabilmente, era sulla stessa barca: sicuramente voleva un consiglio, anche se non glielo ha chiesto espressamente. È una ragazza molto sicura di sé, ma quando si parla di vicende di cuore è molto più… titubante. Ha sempre avuto paura di affezionarsi e parlare d’amore la metteva in difficoltà e anche adesso, nonostante le cose con David vadano a gonfie vele, ogni tanto ha dei vacillamenti, sicuramente per paura che, un giorno, potrebbe perderlo.
Qualsiasi sia stato il motivo della telefonata, comunque, è sempre un piacere sentirla e parlare con lei.
 
Ellie infila il telefono in tasca e torna a occuparsi delle sue cose, tenendo a mente la conversazione con la sua amica per tutto il giorno. I consigli di Janis sono sempre preziosi e, così, decide di cercare di metterli in pratica la sera stessa.
È il turno suo e di Dean sul divano di Bobby e si ritrova sdraiata su di esso un po’ prima di altre sere: Dean dice di essere stanco presto e lei lo segue senza tante cerimonie, anche se non ha affatto sonno. Si sdraia di lato, la coperta addosso e il volto rivolto verso di lui che le abbraccia la schiena con il braccio destro. Più per non farla cadere che a mo’ di carezza. Ellie, anche se si accorge della differenza, non si dà per vinta e fa come aveva deciso: gli bacia piano il collo prima di salire su e farlo sulla bocca. Lo fa con tenerezza, piegando la testa di lato e chiudendo gli occhi, le labbra schiuse desiderose di un po’ di affetto. Gli accarezza i capelli dietro la nuca mentre Dean è un po’ rigido, quasi freddo. Risponde ai suoi baci, ma senza quel trasporto a cui Ellie è abituata. Non gliene fa una colpa, però: quando è morto papà per lei era lo stesso. Anzi, forse era pure peggio, perciò capisce come si sente. Per questo non vuole fare niente di scabroso: non è solo perché il divano di Bobby non è di certo il luogo adatto, ma soprattutto perché sa che non se la sente. Vuole solo un po’ di intimità, regalargli un po’ di tenerezza.
Se lo aspetta, comunque, quando Dean si scosta, indietreggiando con la testa e stringendo le labbra, gli occhi bassi. Ellie lo bacia a stampo per poi scostarsi immediatamente, cercando di essere il più naturale possibile, sorridendo appena.
 
Gli si stringe un po’ più addosso, carezzandogli il fianco destro con la mano sinistra.
Rimane in silenzio per un po’, riflettendo sul fatto che forse non dovrebbe giustificarlo troppo per la sua mancanza di voglia di avere un po’ di intimità con lei, anche se minima. Ed è sicura che non sia la stanchezza a tenerlo a freno. O perlomeno non solo.
 
Sono stati insieme una volta, nell’ultima settimana. Dormivano di sopra e per Ellie è stato abbastanza inaspettato: si era quasi appisolata quando Dean le si è avvicinato e l’ha stretta forte, cominciando a baciarle il collo e infilandole una mano sotto la maglietta. Era venuto a dormire e non aveva detto una parola ed Ellie non l’aveva forzato, come ha sempre cercato di fare in questi giorni. Ma lui neanche in quel momento aveva tanta voglia di parlare.
È stato diverso da come Ellie era abituata con lui: più frenetico, frettoloso. Dean era furioso e sfogava la sua rabbia tra le lenzuola insieme a lei che, quando le veniva bene farlo, lo guardava senza dire niente, sospirando appena a ogni sua spinta. Sì, perché Dean la teneva a distanza, nascondendosi contro il suo collo sottile ed Ellie, la schiena contro il suo petto, si allungava come poteva verso di lui per baciarlo ma, anche se l’assecondava, poi si trincerava dietro alle palpebre chiuse o alla sua pelle candida, mascherando qualsiasi emozione.
 
Ellie forse sarà troppo sentimentale, ma generalmente non preferisce farlo così, senza la possibilità di guardare l’altra persona negli occhi, qualcosa di fondamentale per lei, quasi più eccitante del rapporto stesso. Per questo cercava di stringere forte le mani di Dean, di sentirlo più vicino possibile, malgrado lui, invece, tentasse di fare tutt’altro.
 
Si è detta più volte, nei giorni successivi, che era stata una stupida, che avrebbe dovuto cercare di parlargli anziché lasciarsi usare così, ma Dean l’ha abbracciata forte, poi, tenendola stretta al petto, un gesto che per Ellie significava solo una cosa: era il suo modo di chiedere sostegno e forse anche un po’ perdono, rendendosi conto della differenza con il modo in cui l’aveva sempre trattata in precedenza.
 
Dean, più che un chiacchierone, è una persona molto fisica: non gli piace parlare dei suoi problemi e preferisce celare i suoi malesseri dietro a un sorriso o a una battuta scherzosa. Talvolta anche dietro al sesso. E dietro a ogni suo bacio famelico e alle sue spinte serrate e veloci c’era tanta rabbia. La stessa che, quando si è ritrovata nella medesima situazione, Ellie ha voluto sfogare diversamente. Per questo non gliene fa una colpa se si è comportato così: ognuno reagisce a modo suo quando si ha a che fare con eventi del genere. In fin dei conti, non le ha fatto né male né l’ha costretta in nessun modo. Poteva fermarlo, se non le andava, invece l’ha lasciato fare perché ha capito. Perciò non può prendersela.
 
Non crede che ricapiterà, comunque. Dean non è stupido e, anche se lei non gli ha detto nulla, dev’essersi accorto che Ellie era un po’… distante, subito dopo, perché si sentiva usata e non desiderata come in precedenza. Ci ha ragionato su dopo, su quale fosse il problema, e non è riuscita a mascherare l’amarezza. Crede quindi che Dean, che ha un grande rispetto nei suoi confronti, se ne sia accorto, anche se non le ha detto nulla. Ellie avrebbe tanto voluto parlargli, chiedergli di sfogare con le parole la sua rabbia, ma è rimasta in silenzio. L’unica cosa che riusciva a chiedersi era se prima di conoscere lei le trattava tutte così, le altre ragazze, o se quello che le era toccato era un “trattamento speciale fidanzata affettuosa”. Non ha potuto fare a meno neanche di pensare a cosa le aveva detto Meg quando, prima di esorcizzarla, Dean le ha dato quello schiaffo. Forse a te piace di meno saperlo così violento. O fa così anche con te? Quelle parole le rimbombavano nelle orecchie come se le stesse sentendo in quel momento per la prima volta ed era difficile ignorarle. Alla fine, però, ha deciso di non domandarselo più e di non cercare neanche una risposta dal suo atteggiamento: si è detta che è la rabbia a dettare certe scelte, il più delle volte, e non c’è consigliera più cattiva.
 
Si morde appena il labbro inferiore, osservando le linee marcate del suo viso. Ha gli occhi chiusi e, a giudicare dal suo respiro regolare, si è già addormentato. Doveva essere davvero stanco stasera. Nell’ultima settimana sono state poche le volte in cui può dire che si è addormentato prima di lei.
Ellie si accoccola un po’ di più al suo fianco, stringendogli la vita. Chiude gli occhi e sospira forte, cercando di lasciare andare tutti i pensieri negativi e, anche se non troppo velocemente, lasciandosi andare anche lei al sonno.
 
*
 
Tiene gli occhi socchiusi fissi sulla strada, il volante della sua piccola ben stretto tra le dita e un’espressione contrita sul viso «Sam, ti prego, è stupido».
È sicuro che suo fratello stia facendo una smorfia perplessa con quella boccaccia che si ritrova. «Perché?»
«Andare sulla tomba della mamma?» Dean si volta appena a guardarlo e sì, è decisamente perplesso. «Non ha neanche una tomba. Dopo l’incendio di lei non è rimasto niente».
«Ha una lapide».
Sam gli parla con quel tono ovvio che gli dà tanto sui nervi. «Messa da suo zio, un uomo che non conosciamo» lo osserva ancora con la coda dell’occhio «Vuoi salutare un pezzo di granito piazzato lì da uno sconosciuto? Ma dai».
«Non è questo il punto» ora siamo passati alla donzelletta ferita e Dean si volta a guardarlo un’altra volta; Sam lo sta fissando «E allora illuminami, Sam: qual è?»
«Non si tratta di un corpo o di una cassa da morto, ma del suo ricordo» Dean rotea gli occhi «Dopo che papà è morto, mi sembra una cosa giusta da fare».
Si volta un altro paio di volte a guardarlo, gli occhi piccoli e pieni di rabbia.
 
Sono in viaggio da diverse ore, ormai. Sono passati altri dieci giorni da quando Dean, Sam ed Ellie si sono piantati da Bobby e non c’era l’ombra di un caso neanche a pagarlo. Ora, invece, sono nuovamente sulla strada perché finalmente – per Dean, almeno, che proprio non ce la faceva più a stare rinchiuso – è spuntato fuori qualcosa di interessante all’orizzonte e Sammy vuole sprecare ore preziose di viaggio perché vuole andare a tutti i costi a trovare la mamma. Il problema è che quella tomba è vuota e Dean vorrebbe solo che la smettesse con questa cosa stupida e che si convincesse a lasciar perdere.
 
«A me sembra una buona idea».
La vocina di Ellie spunta dai sedili posteriori e Dean la guarda in cagnesco dallo specchietto retrovisore, trovandola a osservarlo a sua volta con lo sguardo deciso. Sicuramente ora sarà più difficile far cambiare idea a Sammy, visto che lei ha deciso di schierarsi dalla sua parte.
Stringe il volante più forte «No, non lo è. È irrazionale».
«Io non credo» la sente avvicinarsi, le mani strette sulla pelle del sedile anteriore. Si rivolge a Sam «Anzi, dovresti portarle dei fiori» avverte il fruscio dei vestiti di suo fratello mentre si volta verso di lei «Alla mia mamma piacevano tanto, per questo gliene porto sempre un mazzo quando vado a trovarla a Buckley. Ti ricordi, Dean? Anche quando ci siamo andati insieme le ho—»
«Certo che sì» sbuffa «Ma io non capisco. Tu sai che c’è un corpo sotto quella pietra, ma la nostra mamma non è lì, è bruciata, non c’è niente di lei là sotto».
«E allora? Se a lui fa piacere… io non ci vedo niente di male» Dean scuote la testa, ma Ellie non sembra arrendersi «Te li vado a prendere io dei fiori se vuoi, Sam. Così puoi stare di più dalla tua mamma».
Con la coda dell’occhio, Dean vede suo fratello annuire e sorriderle ed Ellie ricambiare per poi riaccomodarsi con la schiena contro il sedile posteriore, gli occhi rivolti fuori dal finestrino.
 
Gli sembra di essere tornato ai vecchi tempi, quando lui ed Ellie non si parlavano: non che generalmente le cose vadano diversamente, ma adesso lei e Sammy si spalleggiano sempre. È incredibile: sono sempre d’accordo su tutto, soprattutto quando si tratta di andargli contro e suggerirgli di essere calmo e gentile quando Dean, invece, vorrebbe spaccare tutto ciò che lo circonda dalla rabbia che prova.
 
Una cosa buona è che, almeno, con la tregua che gli hanno dato le creature soprannaturali, ha avuto tutto il tempo di aggiustare la sua piccola [5]: l’ha rimessa in sesto completamente, riuscendo a riportarla alla sua natura di guerriera di strada. Ci sono voluti tanto tempo, sudore e pazienza, ma il solo sentirla rombare in risposta al suo piede che spinge sul pedale apposito chiedendole di accelerare un po’ gli suggerisce che ne è valsa la pena.
 
Sono diretti a Burlington, nel Vermont. Non tanto nei paraggi visto che sono partiti da Sioux Falls, ma è meglio di niente.
Sul giornale locale online della zona, Sam ha trovato qualcosa che potrebbe fare al caso loro: una ragazza di ventiquattro anni, Casey Williams, è stata ritrovata senza vita sulle sponde del Lago Champlain, famoso per il mostro che vi abita, un lumacone chiamato cordialmente Champ. [6] Proprio pochi giorni prima dell’accaduto, sono stati riportati sui giornali locali degli avvistamenti della creatura e si fa presto a fare due più due.
Gli sembra troppo semplice, eh, ma sicuramente non se ne lamenta. Anzi, se fosse così, per una volta ben venga. L’importante era uscire da quella casa che cominciava a stargli stretta. Non per Bobby, chiaramente, che l’avrebbe ospitati in eterno, ma proprio perché gli dava sui nervi la sola idea di stare fermo. In più, ha decisamente voglia di fare a brandelli un qualche mostro.
 
In questi giorni, Sam ha studiato un po’ le carte di papà sul demone. [7] Si è fatto aiutare anche da Bobby, ma non sono riusciti a scoprire niente di nuovo, a parte il fatto che papà era un fottuto genio e si era inventato un buon metodo per scovare Occhi Gialli: “inseguire” tempeste e fenomeni naturali anomali perché presagi dell’arrivo di un demone. Assolutamente geniale. Ma questo Dean lo sapeva da un pezzo.
 
Dopo un’altra ora di viaggio, giungono a destinazione, precisamente al cimitero di Greenville, Illinois. Sam – e anche Ellie, in parte – l’ha costretto a fare questa sosta che gli allungherà il tragitto di almeno tre ore e prima di domani non ce la faranno ad arrivare alla vera destinazione. [8] Il tutto si riduce, quindi, a un incredibile spreco di tempo ed energie preziose per nulla. Più si sforza e meno li capisce, ma non ha più intenzione di discutere, per cui non dice niente.
 
Parcheggia l’Impala su un lungo viale accanto a una striscia di lapidi; poco più avanti ne segue un’altra e così via.
Rimane in disparte mentre Sam va a cercare la tomba della mamma – o meglio, il pezzo di pietra su cui hanno scritto il suo nome – ed Ellie il baracchino dei fiori.
Si chiede perché mai questo zio – anche se fatica davvero tanto a chiamarlo tale – abbia avuto un’idea così poco brillante. Non l’ha fatta mettere neanche a Lawrence, dove la mamma è morta, ma qui, in un posto che non ha niente a che vedere con lei. Certe scelte non riuscirà mai a comprenderle.
 
Ellie gli passa davanti con un piccolo mazzolino di fiori che porta a Sam, accucciato davanti a una lapide poco più in là. Si abbassa appena per porgerglieli e Sam la ringrazia con un sorriso; lei, poi, si allontana, tornando verso Dean, interessato alla lettura dell’iscrizione sulla tomba posta non tanto lontano dall’Impala. Vi è un uomo, sotto quella pietra: si chiamava Liam Clayston ed è passato a miglior vita all’età di cinquantaquattro anni. Più o meno come papà. Chissà cos’è passato in convento, per lui, e cosa l’ha portato qui sotto.
 
I passi di Ellie che gli si avvicina lo distraggono dalla sua lettura. La guarda: oggi, sotto il suo giacchetto verde, indossa una camicia celeste e un paio di jeans scoloriti. Ha i capelli legati in una treccia spostata a destra del viso, le Converse rosse ai piedi e lo osserva con lo sguardo interrogativo.
«Preferisci osservare la lapide di uno sconosciuto piuttosto che salutare la tua mamma?» non glielo dice con un tono di rimprovero, è solo… curiosa.
Dean, invece, nel risponderle è più severo «È solo un pezzo di pietra. Lì sotto non c’è la mamma, c’è della terra e nient’altro».
Ellie stringe le spalle «Sarebbe cambiato qualcosa se ci fosse stata lei?» Dean allarga appena gli occhi, colpito da quella domanda. O dalla pacatezza con cui lei gliel’ha rivolta. La guarda avvicinarsi e appoggiargli una mano sul petto per poi lasciarla scivolare un po’ più giù, a mo’ di carezza. «Io lo so che… » abbassa gli occhi per una manciata di istanti, forse in cerca delle parole giuste «Che queste cose ti mettono… non proprio a disagio, ma che… insomma, che non ti va. Però… però per Sam è diverso» Dean fa una smorfia scocciata per poi allontanarsi e dirigersi verso l’Impala, appoggiandocisi con la schiena. Ellie gli va dietro come un cagnolino, guardandolo perplessa. «A me… a me sembra che ce l’hai con lui, ma non ne capisco il motivo».
 
Dean svia il suo sguardo, abbassando la testa. Non ha tempo di rispondere, perché c’è Sam di ritorno, ma pensa che non l’avrebbe fatto comunque. Se c’è qualcosa di cui proprio non vuole parlare ora più che mai è ciò che riguarda la sua famiglia. Né di Sam né tantomeno di papà.
Lo guarda di sottecchi mentre Ellie gli sorride appena: Sam ha gli occhi lucidi e le labbra strette in un sorriso tirato, ma Dean non prova alcuna compassione. Non tanto perché è voluto venire qui per forza, facendogli perdere un sacco di tempo prezioso che avrebbero potuto dedicare al nuovo caso, ma per tutto il resto.
 
È da quando papà è morto che Sam fa così: ogni cosa che fa, sembra volerla fare per papà. Cercare vendetta, andare sulla tomba della mamma… persino il caso di cui ha deciso di volersi occupare. Dean pensava che volesse rimanere ancora da Bobby per cercare qualcos’altro sul demone perché, a detta sua, ancora non aveva finito di fare ricerche, doveva controllare altre fonti, e invece ha cambiato idea, preferendo venire qui. E alla domanda – secondo Dean tremendamente lecita – «Perché sei voluto partire? Non volevi continuare a cercare il demone?» ha risposto con una stretta di spalle, aggiungendo «Penso che papà avrebbe voluto così». E a Dean sono saltati i nervi, perché Sam per tutta la vita ha sempre cercato di fare l’esatto contrario di quello che diceva papà e ora che lui non c’è più si comporta da perfetto soldatino obbediente. E poi era lui quello che “non metteva mai in discussione ciò che diceva”.
 
Il resto del viaggio è piuttosto silenzioso: Ellie, dopo un po’, si addormenta, rannicchiata sul sedile posteriore e anche Sam che, quando riapre gli occhi, insiste per dargli il cambio per guidare. Dean cede solo perché si sente un po’ stanco dopo quasi venti ore che guida. Altrimenti col cavolo che gli avrebbe dato la sua piccola rimessa a nuovo: si sente così orgoglioso di averla sistemata che, se possibile, ne è ancora più geloso.
 
Arrivano a destinazione al mattino, con poche ore di sonno addosso e ancora meno energia. Considerando che il viaggio gli ha portato via più di un giorno intero, si dirigono subito all’obitorio cittadino, per farsi un’idea di cosa possa essere accaduto a quella ragazza.
Si fingono agenti dell’FBI – il travestimento più facile per queste situazioni – e trovano immediatamente la ragazza, adagiata su uno dei tavoli freddi di una stanza altrettanto asettica. A spiegargli ciò che è successo alla vittima c’è una ragazza sulla trentina, slanciata, occhi verdi da cerbiatta e i capelli castani raccolti in una mezza coda. Dean, al solo guardarla, pensa che sia un peccato che abbia a che fare con i morti e che sia ormai praticamente accasato con Ellie, anche se, tra le due, è la cosa che gli dispiace di meno. Di certo, però, se non lo fosse stato, dei morti che tocca ogni giorno se ne sarebbe fregato e avrebbe cercato di verificare personalmente come se la cava con i vivi. Su questo non ci piove.
 
Dà un’occhiata al cartellino appeso al camice che riporta il suo nome: dottoressa Angela Murphy. La guarda inforcare un paio di occhiali dalla montatura colorata e sgargiante e prendere una piccola cartellina su cui è scritto il referto. «Allora, vediamo: Casey Williams, ferita su gambe e addome» scosta il lenzuolo che giace sulla ragazza e lo spettacolo che gli si para di fronte fa contorcere a Dean tutte le budella: la pelle delle gambe della vittima risulta bruciacchiata, in parte addirittura mangiucchiata, stessa cosa per l’addome. Sulle braccia, per di più, ci sono dei lividi, più o meno vistosi e intorno al collo c’è un cerchio violaceo, come un segno di qualcosa che l’ha stretta. Una corda, o un laccio. La dottoressa riprende a parlare «Le cause della morte sono ancora incerte. Visti i morsi sulle gambe e sull’addome, si può pensare a un animale. Non si spiegano, però, i lividi».
«Forse erano precedenti» azzarda Sam e la dottoressa lo guarda stringendo le spalle «È possibile. Sono tante le ipotesi, ma non ce n’è una certa per il momento».
 
Sam chiede se possono essere lasciati soli e la ragazza lo asseconda ed esce. Dean lo osserva girare intorno al cadavere, studiandolo come se fosse per lui un’opera di profondo interesse. Anche Ellie gli si avvicina, il taccuino su cui è solita prendere appunti tra le dita, ma la sua espressione è più schifata di quella di Sam che, invece, è più fredda, quasi clinica.
Dean stringe le labbra in una smorfia piuttosto disgustata «A che pensi, Woods? Vuoi chiedere a questa donzella com’è stata uccisa?» [9]
Sam lo guarda di sottecchi prima di tornare a puntare gli occhi sul cadavere. «Ai segni sul collo. Mi sembra assurdo che un mostro di quel genere possa afferrare una ragazza così».
Dean fa spallucce «Perché no? In fondo, non sappiamo neanche che aspetto ha, solo che esiste».
«Chi l’ha visto, o almeno crede di averlo fatto, lo ha descritto come un serpentone con le corna. Non penso abbia le mani per metterle addosso a una ragazza».
Dean fa una smorfia perplessa. Effettivamente non fa una piega, ma l’idea del lucertolone lo intriga, in un certo senso, perciò “punta” su di lui. Ci sta, in fondo: una bella ragazza cammina lungo le sponde del lago, lui la vede, gli prende un qualche raptus e si avvicina per poi farla a pezzettini. O almeno ci prova, visto che una parte del suo corpo sembra mangiucchiata. Magari poi si è stancato e l’ha lasciata lì, quasi integra. Un mostro volubile, perché no.
 
Si tiene le sue ipotesi per sé per il momento e, insieme a Sam ed Ellie, esce dall’obitorio qualche minuto dopo. La prossima tappa è la casa della madre della vittima, una signora di nome Sandra Cain. Poi forse un altro colloquio con qualcun altro, poi ricerche… si prospetta una giornata molto lunga, per Dean, ma spera che il premio finale, stanotte, sia tagliare la testa a quel mostro bastardo. Ne ha proprio bisogno.
 
*
 
Stende le braccia verso il basso come se le stesse sgranchendo nella perfetta imitazione di un gatto che si stiracchia mentre dorme, un sorriso compiaciuto dipinto sul viso. «Bene, direi che stasera andiamo a far fuori lo stronzo».
Sam fa una smorfia delle sue, una di quelle che è sinonimo di io non canterei vittoria tanto presto, la classica da secchione qual è.
 
Sono appena usciti dall’appartamento di Sandra Cain, la mamma della ragazza scomparsa. La donna – una signora sulla cinquantina, secca e atletica, con i capelli lunghi e il viso segnato dalla sofferenza per la recente perdita – vive da sola, in un appartamento di pochi metri quadrati poco fuori dal centro di Burlington.
Dopo essersi presentati come agenti federali, li ha accolti in casa e ha risposto – con non poca fatica – alle domande che i ragazzi le hanno posto. In particolare, è emerso che la vittima adorava passeggiare lungo il lago Champlain quando aveva qualcosa che la turbava, qualche pensiero scomodo o una situazione strana da risolvere. La aiutava a pensare. Questa parte del racconto ha dato modo a Dean di aggiungere la tessera del puzzle mancante: il motivo per cui la vittima si trovava nei pressi del lago. Avrà avuto qualche brutto pensiero in testa e, mentre faceva un giro, Champ si è fatto uno spuntino. Niente di più facile.
 
La fastidiosa voce di Sam interrompe il suo flusso di pensieri. «Beh, ancora non è detto che sia stato lui».
Dean rotea gli occhi «E che ti serve per capirlo? Un’ammissione di colpa scritta? Perché non credo che quel lucertolone sappia scrivere. O parlare».
Sam sbuffa appena «Certo che no, Dean. Ma non ti sembra troppo… facile?»
Lui stringe le spalle «Ben venga, per una volta», ma suo fratello scuote la testa «No, non sono convinto».
Sospira e si volta verso Ellie, che cammina alla sua destra. «Tu che dici?»
Lei fa spallucce «Penso sia presto per parlare, ma sembra un po’ troppo semplice anche a me» ecco, ti pareva che desse ragione a Dean per una volta. «Credo, però, che fare due chiacchiere con il fidanzato ci aiuterà a capirci qualcosa».
 
Sì, perché Sandra Cain, durante il loro colloquio, ha parlato espressamente di un ragazzo, Andrew Malloy, con cui la vittima aveva una relazione da almeno un paio d’anni. Per questo, adesso, sono diretti da lui, per cercare di estorcergli qualche informazione. In queste situazioni tutto fa brodo e non bisogna mai dare nulla per scontato, è vero, ma Dean è abbastanza deciso sul fatto che, se si deve trattare di un qualche mostro, c’entri per forza quel lumacone di Champ.
 
Si dirigono prima nel negozio dove lavora Andrew Malloy – una ferramenta situata fuori Burlington – ma, come sospettavano, uno dei suoi colleghi – un uomo alto e stempiato, sulla cinquantina – gli riferisce che si è preso dei giorni di stacco per digerire l’accaduto. In fondo, la sua ragazza è morta due giorni fa, c’è da comprenderlo. Il tipo è così gentile da dargli l’indirizzo di casa sua – Sandra Cain non ne era a conoscenza – e, dopo averlo ringraziato, si dirigono lì, seguendo le indicazioni sulla mappa di Burlington trovata in un autogrill lungo la strada.
 
Andrew Malloy vive in un appartamento completamente diverso da quello della signora Cain: situato in un quartiere più centrale e più elegante di quello visitato in precedenza, è posto in un complesso residenziale moderno, le mura dipinte di bianco e delle ampie vetrate a circondare ogni alloggio. Anche il portone d’ingresso, al centro, ha una vetrata colorata – un mosaico privo di significato – e i ragazzi vi si mettono davanti per suonare il campanello, ma una donna con i capelli castani corti con un bambino piccolo in braccio esce dal portone e li lascia passare.
A Dean non sfugge il sorriso genuino che Ellie rivolge al bimbo. Non che sia la prima volta che lo faccia: questa cosa, in un certo senso, ha sempre catturato la sua attenzione.
 
Dopo una rampa di scale, trovano la porta di Andrew Malloy e Sam bussa, aggiustandosi la cravatta celeste ben abbinata col vestito grigio chiaro.
Ad aprirgli, poco dopo, è un ragazzo sulla trentina, moro, i capelli ricci e la barba di almeno dieci giorni. Ha gli occhi annacquati – più probabilmente dall’alcol che dal pianto; Dean sa riconoscere la differenza – e li guarda con un’espressione che è un misto tra lo stralunato e il confuso.
Si gratta sulla testa; Dean ha l’impressione che si sia svegliato da poco. «Chi siete?»
Tutti e tre mostrano i loro finti tesserini «Agenti Collins, Rutherford e Banks. [10] Siamo qui per farti qualche domanda su Casey Williams».
Il ragazzo storce la bocca in un’espressione contrita e stringe appena le spalle prima di farli passare. Dean non capisce se la sua è indifferenza o antipatia per le forze dell’ordine. La prima, considerando che la vittima in questa faccenda è la sua ragazza, sarebbe discretamente preoccupante.
 
I tre entrano mentre Andrew Malloy chiude la porta alle loro spalle. Dean si guarda intorno: al contrario dell’aspetto esterno, quest’appartamento sembra abitato da un gruppo di profughi. Il salone è piuttosto grande: TV al plasma e divano foderato di blu alla sua sinistra, un tavolo da sei di fronte alla porta d’ingresso, dietro una delle grandi finestre che si vedeva anche da fuori. Un muro divisorio non permette a Dean di sbirciare oltre quella che dovrebbe essere una piccola cucina, ma gli basta scorgere un paio di bottiglie vuote di Jack Daniel’s e vodka sul tavolo per comprendere che la sua intuizione, prima, non era affatto sbagliata.
Sopra il divano c’è una coperta grigio topo spiegazzata, nemmeno messa in ordine, e Dean, anche a giudicare da come Andrew Malloy è vestito – i pantaloni di una tuta nera stropicciata e una t-shirt a maniche corte grigia chiara –, non ha dubbi su come abbia passato la serata di ieri.
 
Il ragazzo si passa una mano sugli occhi e li guarda stralunato. «Allora, che volete?» il suo accento è spiccatamente inglese.
Dean lascia parlare Sam «Volevamo chiederti qualche informazione su Casey Williams» glielo aveva già detto, ma a quanto pare è duro di comprendonio, il ragazzo. O ci sono ancora l’alcol e il sonno ad annebbiargli i sensi. «Non so, l’ultima volta che l’hai vista, se—»
«Io e Casey non ci vedevamo da un po’» Andrew Malloy pronuncia quelle parole con un tono piatto. Fin troppo. «Ci eravamo presi una pausa».
Ellie, penna e taccuino in mano, alza gli occhi per poi riabbassarli velocemente, visibilmente perplessa. Sam, invece, non si premura di nascondere la sua sorpresa. «Ah sì?»
«Sì. Da un paio di settimane».
«Ah… beh, perché… perché sua madre ci ha detto—»
«Sua madre non sapeva nulla di questa storia» stringe le labbra in una linea sottile per poi portare le braccia al petto, in una chiara postura di difesa. «Non andavamo granché d’accordo, ultimamente. Così abbiamo deciso di non vederci per un po’».
«Non mi sembra tu te ne sia fatto una ragione» stavolta è Dean a parlare; con un piccolo cenno della testa, indica le bottiglie vuote sul tavolo dietro di loro, così che anche Sam ed Ellie – in caso non l’avessero fatto – possano farci caso.
Andrew Malloy non si scompone. «L’abbiamo deciso insieme, ma… ma il fatto che lei non ci sia più mi fa pensare che avrei dovuto insistere di più per tenerla con me».
«Ne eri molto innamorato?» Sam gli pone questa domanda con la sua classica espressione mortificata, da cucciolo abbandonato che fa sciogliere chiunque.
Infatti, Andrew sospira appena, abbassando gli occhi per qualche istante «Quello non conta. Non davvero» li rialza, fissando Sam «La verità è che quando ami qualcuno devi volere il suo bene. E se certe cose non coincidono più, bisogna lasciarlo andare» stringe le spalle, abbandonando la postura rigida «Vorrei solo aver avuto più tempo per passarlo con lei».
 
Quelle parole, per un motivo che vorrebbe gli sfuggisse, restano incastrate nel cervello di Dean creando un ronzio fastidioso, perciò perde un po’ di ciò che Sam gli domanda dopo, quando chiede conferma delle abitudini di Casey descritte da sua madre e altre domande random sul loro rapporto.
 
Se ne vanno dopo non molto e il tragitto fino al motel è piuttosto silenzioso; Ellie lo passa a rileggere i suoi appunti e Dean la spia dallo specchietto retrovisore di tanto in tanto, vedendola concentrata su quei foglietti. Ha un’espressione corrucciata e seriosa, come se avesse la sensazione che qualche tessera del puzzle non fosse al suo posto e stesse cercando di ricontrollare.
 
Anche Sam è taciturno e Dean non capisce se è perché non è convinto sul caso o per qualche altro motivo.
Quando rientrano in camera, il silenzio continua a regnare sovrano per un po’. Dean rientra per ultimo e dà un’occhiata in giro: la stanza non è tanto diversa da tante altre. È appena più grande, forse, ma con una disposizione di mobili che la fa sembrare tremendamente stretta: la porta d’ingresso addossata a un armadio posto alla sua destra, di fronte la porta del bagno, sulla parete sinistra il divano, quella davanti ai due letti e a destra, sotto la finestra, un tavolino addossato al muro e tre sedie. Per fortuna, pensa che dovranno rimanerci per poco.
Con la coda dell’occhio si accorge che Sam sembra più inquieto, come se dovesse dire qualcosa ma non sapesse come fare. Lo osserva togliersi la giacca e buttarla sul secondo dei due letti, quello posto più vicino alla finestra. «Sei ancora convinto che c’entri Champ, dopo aver ascoltato quel tipo?»
La domanda è sicuramente diretta a lui che, con le dita al nodo della cravatta, intento a scioglierlo, si volta nella direzione del fratello. Si trova di fronte all’altro letto e lo guarda un po’ perplesso. Stringe le spalle «Io sì. E penso che adesso ci riposiamo, facciamo qualche ricerca e stasera andiamo ad accopparlo».
 
Gli occhi di Sam si fanno più stretti e aguzzi, segno evidente del fatto che non è d’accordo. Ellie, che rientra con il borsone in mano, osserva la scena perplessa mentre si chiude la porta alle spalle.
«Beh, io non la penso così. A parte che non ci sono prove che quel mostro esista veramente… »
Dean sorride sghembo «È stato avvistato da più di una persona, anche recentemente. Che altre prove ti servono?»
«… e poi non credo che sia il responsabile della morte di Casey Williams».
Sam non sembra averlo ascoltato e Dean lo guarda perplesso «E chi sarebbe, allora?»
Ellie poggia il borsone sul letto e non apre bocca, mentre Sam sbuffa aria dal naso, pronto a parlare ancora «Andrew Malloy».
Dean lo guarda e gli viene quasi da ridere per quell’assurdità. Non riesce a trattenersi, infatti, e uno sbuffo divertito gli esce dalle labbra prima di poter evitare di esternarlo. «E questa come ti è venuta in mente?»
«A te è sembrato sconvolto?»
Dean piega le labbra in una smorfia pensierosa «Discretamente, sì».
«Beh, a me no. E non credo affatto alla storia della pausa di riflessione, perché non sta in piedi. Sandra Cain ce ne avrebbe parlato se fosse stata vera, e poi lui che ne sa che non era al corrente di nulla se non vedeva Casey da un po’?»
Dean si puntella i fianchi con entrambe le mani «Che stai insinuando?»
Sam stringe le labbra «Che Andrew Malloy l’ha uccisa. L’ha strangolata, magari per gelosia o perché lei l’ha lasciato. E che, se così fosse, questo non è un caso per noi».
Dean intreccia le braccia al petto, aggrottando la fronte «Mi stai dicendo che avremmo fatto tutta questa strada fin qui per niente? Che dovremmo andarcene?»
Sam fa spallucce, mentre Ellie continua a rovistare nel suo borsone in silenzio. «Forse sì».
Dean gli sorride ironico «Non se ne parla».
 
Sam allarga gli occhi «Pensaci un attimo: i segni sul collo, i lividi sulle braccia… quella ragazza è stata picchiata e forse a farlo è stato proprio Andrew». Dean continua a sorridere; effettivamente la sua teoria non è tanto stupida, ma il solo pensiero di dover lasciare il caso alla polizia lo irrita. E poi quel ragazzo gli è sembrato davvero provato, non stava facendo finta. A giudicare da come lo sta guardando suo fratello, però, forse non sta apprezzando il suo sarcasmo. Anzi, probabilmente gli stanno girando le scatole «Tu ti sei fissato con questa storia di Champ perché lo vuoi far fuori. Perché hai bisogno di qualcosa da uccidere. Ma devi guardare in faccia la realtà, Dean: non ci sono prove che quel mostro l’abbia ammazzata».
Il sorriso sul viso di Dean si spegne immediatamente. Ora non ha più tanta voglia di scherzare. Non che prima ne avesse a iosa, ma adesso non ne ha più di certo. «Quindi io avrei bisogno di qualcosa da uccidere?»
Sam rimane immobile «Sì. Perché sei arrabbiato, perché papà è morto ed è l’unico modo che ti viene in mente per esorcizzare la cosa» Dean lo guarda respirare a pieni polmoni, come se, insieme all’aria, cercasse di immagazzinare anche un po’ di coraggio. «Potresti anche parlarne, invece di fare così. Non devi gestire tutto da solo» respira ancora «Insomma, sappiamo tutti cosa provavi per nostro padre e—»
Questo discorso si sta allargando un po’ troppo e soprattutto sta andando decisamente troppo sul personale, perciò a Dean non resta altro da fare se non difendersi. «Perché, pensi che tu la stai affrontando meglio?»
Guarda Sam stringere gli occhi «Che vuoi dire?»
«Che non te la stai cavando bene. Affatto».
«Neanche tu».
«Almeno io non nutro un improvviso rispetto nei suoi confronti come stai facendo tu. Tutte quelle storie su “cosa papà voleva che facessi”… Hai passato tutta la vita a litigare con quell’uomo, è un po’ troppo tardi per sistemare le cose» lo dice praticamente urlando, ma non ce la fa più a contenersi, troppo incazzato e offeso dalle accuse di Sam che lo scruta stralunato, come se stesse cercando di mettere insieme ogni pezzo.
«Perché mi dici queste cose?»
«Perché devi essere onesto con te stesso, prima di scaricare la tua rabbia su di me. Non mi sto inventando nessun caso, so fare il mio lavoro… »
«Io non ho detto questo—»
«… e sto affrontando la morte di papà. Tu?»
 
Sam lo fissa con gli occhi vuoti e lucidi, colmi di tristezza. «Vado a prendere il pranzo» dice, e lo fa a denti stretti prima di voltarsi e aprire la porta per poi sbattersela dietro.
 
Ellie continua a rimanere in silenzio, tirando su la schiena. Si aspettava qualcosa del genere da quando ha visto che Dean continuava a insistere sul caso. In più, aveva capito che ci fosse un problema di fondo, tra i due, perciò è rimasta in disparte senza dire nulla e continuerebbe a farlo se solo non sentisse lo sguardo di Dean addosso.
Volta il viso nella sua direzione e lo guarda «Beh, non dici niente?»
Ellie sospira appena; forse Dean avrebbe bisogno di appoggio, in questo momento, che lei gli dica che ha ragione, ma non può farci niente se vede la cosa diversamente e decide di essere sincera. «Sai che non mi piace immischiarmi nelle cose della tua famiglia» fa una pausa, sempre più conscia di non riuscire a tenere il suo pensiero per sé. «Però… però credo che tu debba andarci piano con Sam». Lo guarda negli occhi e vi legge una certa delusione, ma non si pente di aver parlato. Non lo ha mai fatto finora, cercando di far placare il dolore di Dean, ma lui sembra voler scaricare tutto sul fratello – o su di lei, anche se in modo molto diverso – e questo non è giusto. Non trovando risposta, decide di proseguire «È vero che magari adesso si sente in colpa perché è stato via per due anni, però—»
«Poteva pensarci prima, quando io e papà avevamo bisogno di lui e lui era a fare il secchione» il suo tono è abbastanza aspro; Ellie espira, ma Dean non la lascia parlare «E poi sono solo stato sincero» distoglie lo sguardo, puntandolo sul nodo della cravatta che cerca di sciogliere con le dita. Ellie sa bene che è un tentativo per cercare di sfuggirle. «Lui e papà non sono mai andati d’accordo. Adesso che è morto vuole compiacerlo e mi sembra un po’ tardi, cazzo».
«Ognuno sente il dolore in modo diverso, Dean. Per me dovresti essere un po’ più comprensivo. Soprattutto considerando che Sam sta vivendo la stessa cosa che stai affrontando anche tu. Non sei l’unico ad aver perso qualcuno» si prende una piccola pausa e solo adesso capisce davvero cosa voleva dirle Janis con il suo consiglio. «E almeno lui ammette di non stare bene».
Dean si volta adesso, gli occhi rabbiosi e stanchi e le dita impegnate a slacciare i primi bottoni della camicia. «Io. Sto. Bene. Non chiedermelo più».
Ellie stringe le spalle «Se lo dici tu».
 
Abbassa la testa, prende dal suo borsone il suo beauty case pieno di creme, spazzole, shampoo e bagnoschiuma e si dirige in bagno, lasciandolo solo con i suoi pensieri. È sicura che abbia bisogno di schiarirseli.

 

[1] Considerando che nella serie non ci viene mostrato il momento in cui il cadavere di John viene “restituito” dall’ospedale ai ragazzi, ho pensato un po’ alla procedura italiana, che prevede che il corpo rimanga nella camera mortuaria per almeno un paio di giorni e che, passati questi, si possa fare il funerale. Per questo ho pensato che i ragazzi possano aver passato i primi due giorni dopo la scomparsa di John a vegliare il suo cadavere disteso su una barella d’acciaio di quelle che si usano in quelle sale.
[2] Non mi sembra che esista un finestrone che dà sulla rimessa delle auto, ma me lo sono inventato per rendere il dialogo tra Ellie e Sam un po’ più scenico XD
[3] La stanza a cui mi riferisco è quella che compare nell’episodio 6x04 “Weekend at Bobby’s” dove Bobby rinchiude un demone per estorcergli il vero nome di Crowley. La disposizione dei mobili e soprattutto la presenza della lavatrice, ovviamente, sono una mia invenzione XD
[4] Nell’episodio 2x02 “Everybody loves a clown”, si parla di vecchie carte di John e dei suoi telefoni, probabilmente recuperati dalla sua auto una volta usciti dall’ospedale. Non viene fatto accenno a questo fatto nella serie, ma l’ho menzionato perché è probabilmente avvenuto, sebbene non ci sia stato mostrato. Altrimenti Sam e Dean non avrebbero potuto accedere a quelle carte, non avendo John una fissa dimora dove nasconderle.
[5] Nella serie, Dean aggiusta la macchina nell’episodio 2x02 “Everybody loves a clown” ed è pronto a rimetterla su strada in quello successivo. Qui, considerando che ho saltato quei casi per non essere ripetitiva e gli ho dato più tempo per rimanere da Bobby, le cose vanno in maniera leggermente diversa.
[6] Quella del Lago Champlain è una leggenda metropolitana: si dice che nel lago viva questo mostro, Champ, ed è molto simile alla storia del Lago di Lochness. Vi sono stati avvistamenti nelle cittadine di Burlington e Plattsburgh, entrambe situate nel Vermont.
[7] Riferimento all’episodio 2x02 “Everybody loves a clown”, quando i Winchester mostrano ad Ash una cartella piena di fogli di giornale e altre scartoffie e dicono che è tutto il lavoro fatto da John nell’ultimo anno per trovare Occhi Gialli.
[8] Calcolando il tragitto con Google Maps, da Sioux Falls, South Dakota, per arrivare a Burlington, nel Vermont, sono necessarie più di ventitré ore in macchina. Facendo una sosta a Greenville, nell’Illinois, impiegano tre ore in più, per un totale di più di ventisei ore di viaggio.
[9] Alexx Woods è il medico legale fino alla sesta stagione nella serie CSI: Miami. È interpretata da Khandi Alexander. La particolarità del suo personaggio era quella di “parlare” con i cadaveri.  
[10] I cognomi usati sono quelli dei componenti dell’ultima formazione dei Genesis, rispettivamente di Phil Collins, Mark Rutherford e Tony Banks.
  
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