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Autore: Tenar80    08/03/2019    3 recensioni
Corea 2018. Olimpiadi invernali.
Una leggenda alla propria ultima gara.
Un campione in cerca di conferme.
Un atleta di valore, di uno stato periferico.
Una giovane promessa alla propria prima olimpiade.
Il tutto complicato dai sentimenti, dallo scandalo doping, da un calendario gare studiato apposta per accanirsi sui pattinatori, dalle rivalità sportive e gli infortuni.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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ANGOLINO DELL'AUTRICE: anche se su livelli infinitamente più bassi rispetto a questi e in una disciplina del tutto diversa, sono stata un'adolescente atleta, di quelle che si devono allenare tutti i giorni, incastrando scuola e vita sociale tutto intorno ad allenamenti e gare. Non sono mai riuscita a qualificarmi per una gara internazionale e la migliore delle mie amiche ha partecipato a dei campionati europei (tra l'altro, volendo, io avevo un Victor come allenatore, un bel ragazzo che aveva appena abbandonato le competizioni, e lei decisamente uno Yakov). Tutte sognavamo le Olimpiadi, pur sapendo che era un sogno impossibile per me e improbabile per la migliore di noi. Ebbene, scrivendo questa storia mi sono accorta che le Olimpiadi, sopratutto per chi, come me, ha un po' il carattere di Yuuri, sono un incubo. Sono almeno quindici giorni di tensione, magari dividi la camera col tuo peggior avverario o con qualcuno che non sopporti, con una tensione che, chi pratica sport minori, non conosce in altri momenti, perché anche un campionato mondiale avrebbe giusto un trafiletto sul giornale, mentre ogni medaglia olimpica è da apertura del telegiornale. Per la serie, a volte la scrittura porta via anche i rimpianti...
Una cosa curiosa accaduta durante la prima stesura, invece, è questa, a riprova che questi personaggi, più di altri che mi sono trovata a trattare, hanno più controllo di me su ciò che accade. Avevo completamente dimenticato che Chris compie gli anni durante le Olimpiadi. Lui no, evidentemente, e invitava qualcun altro a pranzo proprio il 14 febbraio...
Grazie di avermi sopportato e buona lettura!




    Poteva andare peggio.

    Dal corto della gara a squadre fino a quella mattina Victor si era allenato solo in palestra e in piscina per non sovraccaricare la caviglia. A quanto pareva, però, riusciva ancora a pattinare. Saltava anche decentemente, a parte il terribile atterraggio del Lutz che quasi aveva fatto concorrenza a quello di Yuuri. Il fatto che Yakov fosse stato più preoccupato che arrabbiato la diceva lunga. Beh, la caviglia non poteva certo migliorare, ma poteva ancora sperare che reggesse, più o meno, fino alla fine.

    Adesso la parte facile è andata. Ora devo parlare con Yuuri.

    Il giorno prima avevano comunicato solo via chat. Chi aveva organizzato le loro giornate con gli incontri tecnici, fisioterapisti, massaggiatori e medici doveva essersi impegnato per evitare che si potessero incontrare. E Victor, che su certe cose si sentiva ormai un dinosauro, non riusciva davvero ad aprirsi davanti a uno schermo di cellulare. 

    La verità è che questo posto inizia ad essere oppressivo e io non ho più l’età per reggere quindici giorni di tensione.

    Sospirò. 

    Vorrei scappare. Ci sarà pure un posto dove rifugiarci…

    Prima di aprire la porta che dava sull’esterno del palazzetto di scoprì ad esitare.

    E se c’è di nuovo quel tipo?

    Al diavolo, anche vigliacco sono diventato, adesso.

    Non c’era nessun energumeno ad aspettarlo fuori.

    C’era Yuuri. Dietro di lui c’era un taxi con la portiera aperta.

    – Sali – disse il giapponese. – Ti rapisco.

    Come fa a sapere sempre quello di cui ho bisogno?

*

    Yuuri si concesse di rimanere ancora nel letto e osservare Victor.

    Il compagno guardava il mare, fuori dalla finestra. Aveva ancora la schiena nuda. C’erano attaccati quei grossi cerotti che rilasciavano calore, per il di dolore, e si vedeva un livido che parlava di un atterraggio infelice, quella mattina. A Yuuri faceva male vedere quei segni, eppure, in qualche modo, era tutto perfetto.

    Quello era un momento fuori dal tempo e dallo spazio, che andava assaporato come tale. Come se non fossero in una località marina dal nome impronunciabile nel bel mezzo di quella follia sportiva chiamata olimpiade. Andava assaporata senza neppure pensare a quella medaglia mancata di cui, alla fine, Yuuri aveva avuto pochissima colpa, dato che la migliore pattinatrice della nazionale giapponese aveva finito per lasciare il menisco sull’atterraggio sbagliato del primo salto, finendo ultima e portando con sé ogni velleità che la propria nazione poteva aver avuto.

    L’idea gliela aveva data Phichit. Del resto, con la fidanzata che alloggiava fuori dal villaggio olimpico insieme alla sorella, aveva più o meno i suoi stessi problemi e con fare cospiratorio gli aveva passato l’indirizzo di quel quattro stelle proprio sul mare dove si poteva prendere una camera per mezza giornata. 

    Dopo più di una settimana di villaggio olimpico, quel minimo di comodità era sembrata loro quasi opulenza. 

    Yuuri si era fatto prestare una stampella. Aveva il terrore che Victor si sarebbe offeso, invece era sembrato davvero felice di poter saltellare sul lungo mare ventoso senza dover far finta che andasse tutto bene. Una volta accertatosi che non vi fossero giornalisti in agguato aveva claudicato gioioso tra le bancarelle e la spiaggia, entusiasmandosi per ogni sciocchezza. Per la prima volta da che erano arrivati in Corea, Yuuri aveva visto il fidanzato rispolverare quel lato infantile del proprio carattere che, in fin dei conti, era uno dei motivi per cui lo amava. Del resto non poteva aspettarsi niente di diverso. Con Yurio così evidentemente in crisi e Yakov sotto pressione, Victor non aveva altra scelta che mostrarsi forte. Se poi ci si metteva anche lui con le sue crisi di insicurezza, non c’era da stupirsi che avessero finito per litigare. Ma non era difficile far pace con Victor. Una stampella, una spiaggia…

    A volte, quello che ci serve è così poco… 

    Eppure è così difficile che qualcuno lo capisca…

    Avevano mangiato nel ristorante dell’hotel e finalmente avevano avuto una stanza tutta per loro, senza nessun diciassettenne in piena crisi adolescenziale che rischiava di entrare da un momento all’altro.

    C’era una parte di Yuuri che era un po’ offesa con se stesso per il fatto che il sesso migliorasse in modo così evidente il suo umore. Gli sarebbe piaciuto essere un po’ meno dipendente dalla parte meramente fisica dell’amore. Ma tant’era, e si godeva il momento.

    Il camera c’era il necessario per farsi un the. Victor ne aveva una tazza in mano e l’aroma si spandeva nell’ambiente.

    Vada come vada la gara, questo rimarrà uno dei ricordi migliori dell’olimpiade.

    – Yuuri… C’è qualcosa che devo dirti… Dal mondiale dell’anno scorso, credo.

    Il giapponese inarcò un sopracciglio.

    Non era mai un buon segno quando Victor parlava senza guardarlo.

    Che cosa c’è che non va?

    – Io… – iniziò Victor, incerto, sempre guardando il mare. – Mi sono reso conto di non essere del tutto onesto con te, come tecnico.

    – Non valgo abbastanza come atleta.

    – Cosa? No!… Ti prego, lasciami parlare… 

    Adesso Yuuri era davvero teso. Sembrava una cosa maledettamente seria.

    – Io… Dal mondiale… Come tecnico so perfettamente quali siano le tue potenzialità e dovrei spingerti a esprimerle tutte. Un allenatore dovrebbe sempre portare un atleta un po’ oltre rispetto a quello che lui ritiene il proprio limite. Dovevo allenarti per il quadruplo Axel. E hai ragione sulla difficoltà del libero. Ma non puoi provarlo in gara, con quel quadruplo Lutz finale. Perché è vero che non sei più un ragazzino e non quindi non puoi più improvvisare. Dovevamo parlarne e dovevo fartelo fare in allenamento. La tua caduta di ieri è colpa mia…

    – Victor, ero io sul ghiaccio…

    Non era davvero quello che Yuuri si era aspettato. Cosa…

    – Sono egoista, Yuuri. In parte volevo tenere quel maledetto salto per me. E in parte… Ho il terrore che tu ti faccia male. Un allenatore dovrebbe mettere in conto, entro certi limiti, la possibilità di un infortunio. Ma io non voglio vederti arrivare a fine carriera come me. Non voglio vederti piangere di dolore o non riuscire ad alzarti, al mattino… Non voglio essere io a spingerti a questo, anche se dovrei… Non credo di poter essere più il tuo tecnico.

    Yuuri scese dal letto e corse ad abbracciarlo. 

    Victor appoggiò la testa contro la sua e il giapponese si rese conto che c’erano delle lacrime sulle sue guance.

    – Non penso che nessuno mi abbia mai detto «ti amo» con questa intensità – disse Yuuri, sincero. – Ma non posso pensare a nessun altro come mio allenatore.

    Non aveva mai pensato a quell’aspetto del loro rapporto. Al fatto che un allenatore, per spingere un atleta al massimo debba necessariamente esporlo a dei rischi sul piano fisico. E che Victor, che aveva fatto così tanto per portarlo al top, si scoprisse a preferire la sua incolumità piuttosto che le sue vittorie. Per tutto quel tempo, nel profondo di se stesso, Yuuri aveva pensato che Victor non lo avrebbe potuto amare se non vincente. Che, forse, una volta ritiratosi, avrebbe perso di fascino ai suoi occhi.

    – Ti prego, resta il mio allenatore – sussurrò, come aveva fatto anni prima, in aeroporto, dopo la tappa russa del Grand Prix.

    – Però promettimi di essere sempre onesto su come ti senti. Promettimi di ritirarti prima che il tuo fisico ne sia compromesso per sempre.

    – Te lo prometto.

    In realtà Yuuri aveva pensato di ritirarsi dopo il mondiale. Non era pensabile per lui mantenere a lungo il livello di quelle ultime stagioni. Non senza rischiare di farsi male sul serio.

    È che ho il terrore di cosa ne sarà di noi, dopo. Sapremo davvero vivere senza tutto questo?

*

    Il McDonald del villaggio olimpico non era proprio il posto migliore per parlare con Otabek. Ogni volta che avevano gareggiato insieme in giro per il mondo, da che erano diventati amici, Yuri aveva finito per entrare in qualche locale storico di cui l’altro sapeva tutto, per sentirsi raccontare che cos’era successo lì, quale congiura era stata ordita o quale opera che lui mai avrebbe letto vi era stata scritta. A Mosca era stato il kazako a fare a lui da guida turistica.

    E adesso non accadrà mai più.

    Otabek guardava con intensità la propria bevanda nel bicchiere di quella carta plastificata che dava a qualsiasi cosa il proprio sapore. Se fosse stato un gatto, sarebbe stato del tutto immobile, salvo per la coda, che avrebbe continuato a ondeggiare nervosa.

    – Io… Possiamo rimanere amici?

    Yuri lo disse tutto d’un fiato, senza guardarlo, fissando le proprie mani appoggiate sul tavolo di plastica rossa.

    – Quindi non vuoi più ammazzarmi?

    Yuri alzò lo sguardo. Otabek aveva quella capacità di rendersi impenetrabile, con la sua espressione decisa che poteva voler dire qualsiasi cosa.

    – Eh?

    – Mi tiri calci nelle palle. Mi butti giù in allenamento. La mia era una deduzione logica.

    Non che tu non ci abbia messo del tuo, però.

    – Io voglio solo che tutto torni come prima.

    Otabek bevve un sorso del suo the.

    – Dipende. Sei innamorato di un’altra persona?

    Io non sono innamorato. Punto. Rivoglio il mio migliore amico.

    – No.

    – E allora temo che non sia possibile.

    – E perché mai?

    – Perché è passato un certo tempo tra quando ho iniziato a baciarti a quando tu hai iniziato a scalciare. Quindi ho il sospetto che ti sia piaciuto. Di certo è piaciuto a me. E questo, in un’amicizia, è un problema. Grosso.

    Otabek terminò di bere. Accartocciò il bicchiere e lo gettò nell’apposito cestino.

    – Stammi bene, Yuri – aggiunse, prima di andarsene.

    E io cosa dovrei dire o fare adesso?

*

    Victor batteva il tempo con le mani, mentre Yuuri si allenava.

    Certo, non avrebbe dovuto essere lì. Una delle cose che aveva promesso, prima dell’olimpiade, era che avrebbe pensato solo a se stesso e alla propria squadra, senza favorire alcun atleta straniero, quali che fossero i suoi rapporti professionali o personali. In fin dei conti, però, nessuno del team giapponese aveva interesse a rivelarne la presenza. Era evidente che volevano tutti bene a Yuuri e volevano per lui la migliore performance possibile. Il giapponese aveva anche ragione quando diceva che il tecnico federale, Tamura, era una brava persona, ma era del tutto impreparato a gestire atleti di quel livello. Anche il compagno di stanza di Yuuri, Kenijrou, aveva dei buoni margini di miglioramento, se solo qualcuno si fosse degnato di dirgli cosa fare.

    Beh, non posso essere io.

    Dare una sistemata al libero di Yuuri era un conto, aiutare un atleta avversario a cui non doveva nulla era quasi tradimento.

    Da quando mi piace così tanto dire agli altri come pattinare?

    – Allora, come ti sembra? – disse Yuuri, venendo a fermarsi davanti a lui.

    Aveva il viso arrossato e grondante di sudore, ma gli occhi brillavano di soddisfazione.

    Una risposta sincera su come gli sembrasse Yuuri avrebbe comportato delle azioni del tutto fuori luogo.

    – Bene. Adesso abbiamo la giusta successione di elementi tecnici e riesci ad arrivare in fondo senza temere un infarto – sorrise Victor. – L’ultimo salto dovrai decidere al momento come farlo, se rischiare o no. Spesso alle olimpiadi le prestazioni sono imbarazzati. La tensione c’è per tutti. A volte non vale la pena di forzare A Soci ho fatto 185 nel libero. Da vergognarsi, ma ho vinto lo stesso.

    – Negli ultimi quattro anni, però, il livello si è alzato. Anche per colpa tua.

    – Per colpa nostra – rettificò Victor. – Una volta solo io e Chris, in una giornata particolarmente buona, superavano il 300 di totale, adesso per te è la norma, per Yuri e J.J. è solo una questione di testa farlo o no e anche Otabek ci si avvicina spesso.

    Yuuri arrossì al complimento. 

    Victor ne avrebbe approfittato volentieri per rubargli almeno un bacio, ma si avvicinò Tamura.

    – Con questo si va sicuro a medaglia – disse.

    – Con questo, e un po’ di fortuna, si vince – rettificò Victor.

    Tamura lo guardò non del tutto convinto.

    Come molti altri, lo considerava ancora l’avversario da battere e lui odiava doverli contraddire con i fatti.

    – Si dice anche che il canadese tenterà il quadruplo Axel – continuò l’allenatore.

    Ecco. Perfetto.

    Distruggersi una gamba solo per essere il secondo al mondo ad essere riuscito a fare quel salto in gara. Che patetica fine di carriera.

    – Tentare è una cosa. Riuscirci è un’altra – si limitò a dire. Meglio pensare ad altro. – Vai a cambiarti, Yuuri, Chris ha scoperto un ristorante decente fuori dal villaggio olimpico e su questo aspetto è sempre affidabile. Ci ha invitato a mangiare con lui.

    – È il suo compleanno – disse Yuuri, sorridendo.

    – Davvero?

    Come diavolo faceva la gente a ricordarsi tutte quelle informazioni inutili come i compleanni? Dall’occhiata che gli lanciò il compagno, però, ricordarsi quelle assurdità era considerata una competenza di fondamentale importanza.

    – Beh, non credo che gli faccia piacere ricordargli che sta invecchiando – cercò di recuperare.

    Cos’è che si faceva in simili occasioni? Auguri? Regali? Di sicuro Chris non poteva aspettarsi niente di simile. Non da lui, almeno. L’unica cosa che importava era che il posto fosse decente.

 

    Lo era. A loro si erano uniti anche il tailandese e la sua fidanzata e il ragazzino cinese dallo sguardo sperduto, Guang-hong Ji. Tra tutti, riuscirono a far sembrare anche Yuuri rilassato. In allenamento aveva pattinato divinamente, ma la tensione era sempre la sua bestia nera e le Olimpiadi, in ogni caso erano le Olimpiadi. Nessuno, neppure il più esperto degli atleti, poteva sapere come avrebbe reagito. Lo stesso Victor sapeva solo cosa non poteva fare.

    – Ehi, Vecchio, non ti immalinconire – lo riscosse Chris. – Hanno del vero vino italiano, assaggia.

    – No, meglio di no.

    Con tutti i farmaci che stava prendendo non era proprio il caso.

    L’amico lo guardò con attenzione.

    Gli altri tre si erano messi d’impegno a spiegare a Janine le differenze tra un salto e l’altro, ognuno portando come esempio dei video con le loro prestazioni. Yuuri sembrava stupito di trovarne in rete più degli altri.

    – Cosa c’è che non va? – gli chiese Chris, a bassa voce.

    Victor voleva solo scuotere la testa, ma poi si trovò a parlare suo malgrado. Di certo, se lo avesse saputo, Yuuri lo avrebbe sgridato. Non è così che ci si comporta con il festeggiato.

    – Ci sono dei tizi, nella squadra russa, che stanno cercando di innervosirmi o anche di spaventarmi e un po’ ci stanno riuscendo. Ho una caviglia rotta. Devo in qualche modo dimostrare a Yakov che ha avuto senso lottare così tanto per portarmi, sopratutto dopo che abbiamo perso l’oro a squadre. Se crollo io crolla anche Yuuri… Ci sono già andato vicino…

    Chirs sorseggiò un po’ del proprio vino, serio.

    – Il tuo ragazzo è forte – disse. – Sinceramente, all’inizio non capivo perché anziché limitarti a portartelo a letto volessi anche allenarlo, sembrava una causa persa e invece… Guardalo lì, il campione del mondo. Pensa un po’ a te stesso e alla tua gara, adesso. Non rischieresti una gamba se tu non avessi un asso nella manica, sbaglio?

    – Potrei, dipende…

    – Victor, sono l’unico qui, ad averti visto pattinare male in gare importati, ma è successo molto poco e molto tempo fa. Prima di scendere sul ghiaccio pensa a qualcosa che ti fa arrabbiare e stendili tutti.

    Questo fece sorridere Victor. Chris aveva ragione. C’erano state delle volte in cui prima di esibirsi aveva pensato a quanto gli sarebbe piaciuto dargli un pugno in faccia. All’ultima olimpiade, ad esempio. Lo aveva mai detto a Chris che quel suo oro era colpa sua?

    – Per l’altra questione dipende da quanto è seria – aggiunse lo svizzero.

    Victor si strinse nelle spalle.

    – Non c’è una squadra russa alle olimpiadi. Metà degli atleti sono a casa. Fai un po’ te.

    – Tu hai a che fare con quello che è capitato?

    Victor sospirò…

    – Ho passato dei documenti alla commissione d’inchiesta. Dovrò anche testimoniare a uno dei processi, più avanti.

    Chris si concesse una sorta di basso fischio.

    – Lo sanno, quelli che ti stanno minacciando, che devi testimoniare?

    – In teoria no, ma in Russia basta pagare per ottenere informazioni.

    – E allora gareggia e poi torna subito in Giappone. Che cosa mai potrà succedere dentro il villaggio olimpico? …Aspetta, voi russi siete quelli col servizio segreto che avvelena i potenziali traditori?

    Quella di Chris voleva essere una battuta, ma nel momento stesso in cui la pronunciava nella sua voce si era fatta strada la preoccupazione.

    – Non sono io l’unico che testimonierà – buttò lì Victor. – Non valgo certo il veleno di una spia.

    Ma non ne era più tanto sicuro.

    Cosa mai potrà succedere nel villaggio olimpico?

*

    Affidarsi a qualcuno…

    Sapere che comunque vorrà il tuo bene…

    Yuri stava provando per la millesima volta i movimenti e i passi del libero.

    Stammi bene, Yuri.

    Perché diavolo continuava a sentirsi in testa la voce di Otabek?

    – Yuri! – sbraitò Yakov. – Vedi di darti una svegliata o ti faccio fare a pedate nel sedere tutta la strada da qui a San Pietroburgo.

    – Non è che non mi stia impegnando! – replicò il ragazzo, arrabbiato.

    Io non ce l’ho proprio questa cosa che serve.

    O, se ce l’ho, non la voglio avere.

    – Ah… Vieni qua – borbottò l’allenatore, in tono più calmo.

    Perplesso, Yuri si avvicinò al bordo pista.

    Si sentiva maledettamente in colpa nei confronti di Yakov. Non aveva ricevuto neppure la metà degli insulti che sentiva di meritare. Quella, per certi versi, era la cosa peggiore.

    – Ascolta – disse l’allenatore, serio, ma senza un filo di rabbia. – L’olimpiade fa paura a tutti. Nessuno di loro sa cosa combinerà sul ghiaccio, domani.

    – Lo so – replicò Yuri.

    Lo sapeva davvero. Persino Victor si svegliava urlando nella notte. Non era lui ad essere debole.

    – Bene. Nessun altro di loro ha fatto un record del mondo prima dei sedici anni. Neppure Victor. Tu sei forte. 

    – Lo so di essere forte.

    – No, non lo sai. Essere forte significa anche sapere quando affidarsi agli altri.

    E questo cosa vuol dire?

    «Pensa alle mani che vorresti ti afferrassero, se stessi cadendo davvero» aveva detto Victor.

    «Tutti abbiamo paura di cadere».

    – Un’ultima cosa, Yuri, prima di farti provare di nuovo – aggiunse Yakov. – Io sono forte. Ma mi sono esposto molto per portarvi, tutti quanti. Con le tue ultime prestazioni non eri certo una scelta sicura. Ma mi fido di voi. Tu, Victor e Mila non mi lascerete cadere.

 

 

 

   
 
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