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Autore: DarkYuna    09/03/2019    1 recensioni
(Seconda parte di "Ricama il mattino con i fili della notte")
Dal nono capitolo:
"La luce opalescente del giorno vicino alla morte si riverbera suggestiva nei suoi occhi
e le iridi trasparenti albeggiano su un cuore che si strugge, nella forza tragica,
di un amore non corrisposto.".
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chris Evans, Nuovo personaggio, Sebastian Stan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8.








 
Posso ingannare tutti, raccontare bugie, fingere che sia questo che desidero, convincere chi mi ascolta a credermi, ma non posso ingannare me stessa, non posso raccontarmi frottole e mentire, perché la verità è sempre ben diversa da ciò che appare: io... questo bambino lo voglio.
E sto per commettere un peccato indicibile.
 
 
Sfioro delicata il ventre piatto, mentre cammino senza meta tra i corridoi bui dell'ospedale taciturno, non ho pace. Sono le due del mattino passate, i pazienti del reparto femminile dormono da molto tempo, solo io non riesco a prendere sonno, nella mente ho fisso il pensiero che tra poco meno di sei ore impedirò alla vita che ho in grembo di venire al mondo. Un mondo che lo ha già deluso, due genitori che non si amano e non lo vogliono, un mondo cattivo, che gli sta già negando ogni gioia.
Se decidessi altrimenti, che futuro potrei dargli?
Non ho niente, né un lavoro stabile, né una casa di mia proprietà, è tutto molto incerto e non è questo che progettavo, io sognavo una famiglia come in quella in cui sono cresciuta. Che cosa gli racconterò un giorno, quando negli occhi di mio figlio troverò quelli di Sebastian, che mi chiederanno perché il suo papà non l'ha voluto? Cosa risponderò in quel momento?
Che sua madre è stata una sciocca sentimentale, che si è fidata di un uomo per quello che credeva che fosse, e non per chi era realmente? Che esempio sarei? Cosa penserebbe di me? Come crescerebbe con questa consapevolezza?
Vorrei essere più forte, ma non lo sono.
 
 
Proseguo sconsolata verso un atrio in penombra costellato da sedie di plastica fisse al muro, un luogo d'attesa e preghiera per chi aspetta un caro o un amico che esca sano e salvo dalla sala operatoria. Ciò che rischiara la notte, sono le numerose candele date in dono alla grande statua della Madonna, dalle vesti bianche ed azzurre: ogni candela equivale ad una supplica.
Esamino l'imponente statua, ha tra le braccia un paffuto bambino biondo, dagli occhi azzurri, che sembra quasi mi stia sorridendo. Gli sfioro una mano di ceramica e l'anima si acquieta.
 
 
<< Cosa devo fare? >>, bisbiglio più a me stessa che alla statua. L'odore di cera satura l'ambiente circostante. Non mi sono mai posta il dilemma se un Dio esistesse o meno, poiché, fino ad oggi, non mi sono mai dovuta rivolgere a lui per un problema. << Dammi un segno. >>, invoco piena di amarezze ed illusioni, spero in una risposta che non arriva... o almeno, non arriva come la immaginavo.
 
 
Sto ancora auspicando che qualcuno prenda questa difficile decisione al posto mio, quando odo dei passi concitati salire veloci la scalinata poco distante e poi, a perdifiato una figura ansimante fa il suo ingresso nell'atrio al chiaroscuro. Perfino al buio i suoi occhi sono come una luna d'argento che risplende in una notte nera.
Ho bisogno di un minuto di troppo per capire che quella che è entrata nel mio campo visivo, sia la realtà e non il mio feroce desiderio che ha assorbito il discernimento.
Sebastian è qui, ed impiego relativamente poco a risalire alla persona che gli ha telefonato: Josephine.
 
 
Ha un borsone tra le mani, deve essere partito in tutta fretta, talmente tanto che questa è la sua prima meta, dopo il viaggio. Lascia cadere a terra con un tonfo rumoroso il bagaglio, non appena riconosce i miei tratti, illuminati dalle fiamme delle candele.
Avverto un crepitio al di là del cuore, in un frammento di tenebra che è perpetuato dopo che lui se ne è andato, non ha eguali, non posso esporlo, tale è il male insopportabile che ne sta nascendo. Un mostro viene fuori da quel varco, sgretola la prigione che lo teneva recluso e, con un'inclemenza spietata, infilza gli artigli in ciò che resta di vivo in me.
E, con un'orribile chiarezza agghiacciante, prendo consapevolezza di amarlo come non ho mai amato nessuno in precedenza e come non amerò mai nessun altro dopo. La sua indifferenza, è stata la mia condanna. 
Così come capisco che è l'ultima persona con cui voglio avere a che fare, se è qui è perché sa che sono incinta, non è qui per me, solo per ciò che ho dentro di me, l'involucro che costituisco è un contrattempo e nulla di più.
 
 
<< Elaine... >>, sussurra sconvolto, facendo un passo in avanti.
Di riflesso indietreggio, poi lo faccio ancora ed ancora, fino a quando non ripiego verso il lato opposto, per fuggire il più lontana possibile.
Riesco a fare appena dieci passi, Sebastian è più veloce di quanto mi augurassi, mi afferra irruente per un braccio, spinge brutale al muro, tappandomi la bocca con una mano, per impedirmi di urlare. Scalcio come una scalmanata e lo colpisco come meglio posso, lui usa il suo peso per evitare che mi agiti così tanto ed attirare le attenzioni di qualche infermiere notturno. Provo a reagire ancora, ma è impossibile, sono alla completa mercé della sua forza fisica.
 
 
<< Basta Elaine! Basta, finiscila! >>, sibila furente, cercando di parlare il più sottovoce possibile. L'odore fresco di rose d'oceano solleticano le narici e mi fanno venir voglia di piangere; smetto di lottare: ho perso di nuovo. << Se tolgo la mano, griderai? >>.
 
 
Gli lancio un'occhiata accigliata, sto ancora decidendo se urlerò o meno. Alla fine scuoto la testa, sconfitta.
 
 
Adagio la pressione sul mio corpo si allenta, sposta accorto la mano e sono di nuovo libera e padrona di me stessa.
<< Perché? >>, chiede ad un certo punto, dopo avermi fissato scompaginato. << Perché questa reazione? >>, interroga, realmente ferito.
 
 
<< Credi che debba anche darti una spiegazione? Ma tu chi sei? Chi credi di essere eh? Te lo dico io chi sei: non sei nessuno! >>. Lo spintono malamente con entrambe le mani sul torace. Accusa il colpo, non proferisce parola, sa che ho ragione e che non può fare nulla per scusarsi, per questo subisce la mia rabbia in colpevole silenzio. << Hai fatto un viaggio a vuoto, se credi di potermi far cambiare idea! >>.
 
 
<< È anche mio figlio! >>, replica accalorato, fregandosene che qualcuno possa udirlo. Avevo ragione io, gli importa solo del bambino, non di me.
 
 
<< Hai perso ogni diritto su di lui il giorno che te ne sei andato! >>. Sono un condensato di tormenti violenti ed impetuosi, che ardono in una pira fatale, ho un covo di lacrime che grava in gola, una voragine abissale che si apre ogni secondo sempre di più, una brama devastatrice di essere amata allo stesso modo in cui lo amo io. << E mi dispiace... mi dispiace davvero non essere la tua Andria, mi dispiace non poter essere alla sua altezza e mi dispiace che non sia lei a poterti dare questa gioia! Mi dispiace di essere solo io... >>, strepito affranta, la voce perde d'intensità, sto piangendo, sto tremando, sto morendo.
 
 
L'orrore si ritrae nei tratti spigolosi di Sebastian, ora è consapevole che sono al corrente del suo folle amore per Andria, ha gli occhi sbarrati da ciò di cui è testimone, la bocca sussulta appena, non è questo che si aspettava, non è questa la replica che credeva dovesse affrontare. Balza in avanti in un gesto imprevedibile e, come se fosse guidato dall'istinto, mi abbraccia con una prestanza che mi toglie il fiato.
All'inizio provo ad oppormi, blatero inascoltati: "lasciami,", di poco conto, che non vogliono saperne di essere accontentati, poi il calore del corpo vigoroso raggiunge il mio ed intiepidisce l'inverno che si dirocca nell'anima.
 
 
<< Perché hai permesso questo? >>, domando debole, i lucciconi scivolano lesti ed inzuppano il suo cappotto nero. << Perché sei tornato, dopo avermi respinta? Perché... se è lei che ami? >>. Il capogiro inizia a rilento, non mi accorgo di esso fino a quando la nausea non ha la meglio, solo che questa volta ne prendo consapevolezza, prima di crollare sul pavimento. << Sto... sto... per cadere. >>, è l'unica richiesta d'aiuto che riesco ad articolare.
 
 
Le ultime cose che rammento è Sebastian che mi prende prontamente in braccio, la sua barba cresciuta di molto e il senso di sicurezza mai provato prima.
Quando riprendo i sensi, sono distesa nel letto della mia camera d'ospedale, ho una flebo attaccata al braccio e risento di meno delle vertigini e del voltastomaco. Sebastian è appollaiato sulla sedia dalla consistenza scomoda adiacente al mio letto, la sua mano è intrecciata alla mia, in un legame che non esiste tra di noi, fissa un punto indefinito nel crepuscolo della stanza.
Nessuno lo ha buttato fuori e una parte di me è grata per questo.
Percepisce i miei occhi che lo scrutano rapiti, alza i suoi verso di me, non toglie la mano, anzi, resta ancorata e ferma nella mia, nessuno può scindere quel contatto.
 
 
<< Sei ancora qui? >>. Sono sorpresa che non se ne sia andato, che sia rimasto a vegliarmi.
 
 
<< Perché quel tono sbigottito? >>. Ha il viso stanco, i capelli spettinati, sembra quasi più umano e meno un attore irraggiungibile. << Sei la madre di mio figlio. >>, rende noto. E in quella semplicistica frase, muore un altro pezzo di me: sono solo la madre di suo figlio.
 
 
Distolgo lo sguardo per evitare che lui vi possa leggere tutto il rammarico che transita in essi.
<< Giusto. >>, rispondo spenta, faccio per togliere la mano, non voglio ulteriori motivi per ingannarmi, ma lui aumenta la presa, rischiando quasi di farmi male. Gli lancio un'occhiataccia ostile. << Almeno in questo frangente, puoi lasciarmi andare? >>, viene fuori come una supplica.
 
 
La mascella si irrigidisce, le iridi divampano di un fuoco corvino, le fiamme rischiano di bruciare anche me.
<< No. >>.
 
 
Il suo modo di fare, le risposte monosillabiche, il privilegio di distruggermi il cuore, scatenano una rabbia sinistra, voglio che anche lui provi il mio stesso dolore.
<< Tra poche ore non sarò più la madre di tuo figlio! >>, sputo crudele, le parole fanno velocemente presa su di lui, scorgo l'espressione contratta lasciare il posto ad un sordido dispiacere che mi pento immantinente di avergli causato.
 
 
Annuisce risentito, le iridi annegano in un oceano di pensieri, tira via la sua mano e si alza in piedi inflessibile, sto per dire qualcosa, perché credo che se ne stia per andare, invece lui scalcia le scarpe e si toglie il cappotto. Scosta le coperte, s'infila nel letto angusto, è costretto a stare sul fianco altrimenti non c'entriamo in due, il braccio scivola sul mio corpo e la mano si apre a ventaglio sul ventre.
In quell'unico punto giace informe la conseguenza di noi due, legati insieme in un solo essere.
<< Allora facciamo che per le poche ore che rimangono, questo bambino è solo nostro. >>, sussurra con un tono mesto che colpisce il centro esatto del nucleo pulsante delle emozioni e scatena uno spasmo immenso, che ha delle conseguenze devastanti. L'intento di abortire viene meno. Quasi mi illudo che possa provare qualcosa per me.
 
 
Il respiro viene fuori in uno sbuffo afflitto.
<< È solo il bambino che vuoi? >>.
 
 
Non risponde, resta in un serafico silenzio a fissarmi con quelle iridi di laguna liquida, adesso il fuoco non è più distruttore, assomiglia più ad un accogliente fuoco che scalda in inverno e non incenerisce.
La mano risale pigra, percorre l'addome, si sofferma di poco tra i seni coperti dalla maglia, giusto il tempo di farmi rabbrividire, sfiora la clavicola, traccia i contorni della gola e trova la sua destinazione sulla mia bocca. Ben presto ad esse si sostituiscono le labbra soffici, è la prima volta che mi bacia con dolcezza, non c'è l'urgenza di sfociare in un rapporto fisico, sembra più bisognoso di un affetto di cui è sfornito, un affetto che cerca con delicatezza, un affetto che vuole esattamente da me.
Nulla è cambiato, è ancora tutto sbagliato tra di noi, per questo, a malincuore lo pungolo sul petto per farlo smettere. Sono intossicata dal suo sapore, dalla presenza deleteria e dal suo non essere chiaro in nulla di ciò che sta accadendo.
Sembra sorpreso dalla mia reazione.
 
 
<< Cosa stiamo facendo? Tutto questo è sbagliato. >>. È tutto così sbagliato che al solo pensiero ho un gran mal di testa.
 
 
<< No, che non lo è. >>, insiste lui, che vede una gran semplicità, lì dove io scorgo solo ostacoli insormontabili.
 
 
<< Invece sì! Cosa daremo a questo bambino? >>.
 
 
<< Noi. >>.
 
 
<< Ma se non stiamo nemmeno insieme! >>. Moltissimi bambini nel mondo crescono con i genitori separati o divorziati, ma si da il caso che prima ci sia stato qualcosa che li univa, anche se dopo è finita. Tra me e Sebastian non c'è nulla di partenza.
 
 
<< Adesso sì. >>, conviene alla fine e ne resto profondamente sconvolta, anche se maschero il tutto con un'espressione scocciata.  
 
 
<< Quindi fammi capire da quando sei tu che decidi il bello ed il brutto tempo? >>.
 
 
<< Da adesso. >>, decreta risoluto, con un tono tra il serio e lo scherzo.
 
 
<< Ed io che ruolo ho in tutto questo? >>. Se ripete che sarò la madre di suo figlio, gli tiro un pugno su quel naso perfetto.
 
 
<< Il ruolo di quella che dice sì. >>, stuzzica di proposito, per non dare le risposte che merito. Impazzisco nel non avere un responso serio ed affidabile.
 
 
<< Invece interpreterò il ruolo di quella che dice no! Non abitiamo nemmeno nella stessa città, cosa farai, il genitore per corrispondenza o nel fine settimana? >>.
 
 
<< Ne stiamo davvero discutendo? Stiamo parlando di come sarà il futuro con questo bambino? Hai cambiato idea. >>, non è una domanda, più una certezza.
 
 
<< Fino a quando non verranno a prendermi per l'operazione. >>.
 
 
L'espressività muta al battito di ciglia, non ha più voglia di scherzare, sa che faccio sul serio, che se non ho delle basi solide, non cambierò idea. Scosta appena i miei capelli, l'indice si attarda a lambire il viso, la tristezza è ricamata nei tratti virili, gli occhi sono stelle che rischiano di spegnersi al suono della mia decisione.
<< Io non ho veramente niente di mio... ho solo questo. >>, sfiora delicato il mio addome. << E sei tu che puoi darmelo. >>.
 
 
Increspo le sopracciglia.
<< Se al mio posto ci fosse Andria? >>, chiedo, pentendomene un istante dopo. Non sono così eroica da ascoltare il responso.
 
 
Resta chiuso in un silenzio desolante, le iridi si riflettono nelle mie, dischiude appena la bocca.
<< Ma non c'è... ognuno di noi ha preso delle decisioni... le mie sono state una conseguenza delle sue. >>.
 
 
<< Perché sei tornato a cercarla? >>.
 
 
D'improvviso scoppia a ridermi in faccia, non so cosa di divertente ci sia, mi sento offesa e molto arrabbiata.
<< Sei gelosa? >>, desume certo.
 
 
<< No! >>, sbotto orgogliosa. Preferisco morire che ammettere il contrario. << E smettila di rispondere alle mie domande, con altre domande! >>.
 
 
<< Allora fai le domande giuste. >>, rimbrotta divertito.
 
 
<< E quale sarebbero? >>.
 
 
<< Come glielo diciamo agli altri cinque figli, che è in arrivo il sesto? >>, sogghigna, sbellicandosi per la mia espressione.
 
 
Gli tiro una pacca sulla spalla, smetto di essere risentita, sotterriamo l'ascia di guerra.
<< Io dovrei essere arrabbiata con te! >>, gli faccio presente, ma non riesco a fermare la risata.
 
 
Lancia un'occhiata alla flebo, è preoccupato per la mia salute, sulla motivazione che mi ha condotta in ospedale e causato il malore poc'anzi.
<< Magari quando finisci la bottiglia e ci assicuriamo che non svieni più, una volta che ti riporto a casa... >>.
 
 
<< Allora t'importa di me? >>, lo interrompo. Gli importa di me o solo di suo figlio? Il cuore batte così forte da procurarmi una fitta fisica.
 
 
Mi guarda a lungo, mi guarda in silenzio, mi guarda con un'intensità che spezza il respiro, mi guarda ed è come se mi amasse, mi guarda e la tempesta che si dirocca nella sua anima, si seda momentaneamente.
<< Sì Elaine, mi importa di te. >>.









Note:
Oh questo capitolo mi è venuto proprio triste, non che gli altri fossero tutta questa allegria, lo so xD 
Però ha qualcosa di particolare, di molto malinconico tra le righe, comunque a Sebastian importa, altrimenti non sarebbe mai tornato, ma non sarà così facile, purtroppo il suo essere andato via, non verrà dimenticato molto facilmente. 
Elaine è piena di dubbi, sinceramente non era questo che aveva immaginato, troppo innamorata dell'amore e sognante sul principe azzurro che non è arrivato. Purtroppo le persone ingenue hanno questa tendenza ad incontrare chi spezza loro il cuore. 

 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna. 

 
  
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