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Autore: _Lightning_    09/03/2019    4 recensioni
I Vendicatori hanno sconfitto Thanos, salvato la Terra e riportato l'universo alla normalità. Ma, almeno per Peter, il lieto fine non è ancora arrivato.
Tony si ritrova a sospirare di nuovo, in un moto spossato. [...] Riporta gli occhi a Peter e la sua espressione diventa seria, quasi austera, come quando è dietro la sua maschera in missione – e in realtà lo è. Non può permettere che Peter si trovi a passare un’altra notte insonne: ha accettato il compito di guidarlo, e ciò include arginare i demoni che non è ancora in grado di respingere da solo. E, soprattutto, non può permettere che le sue ultime parole siano quello straziante “mi dispiace” perso nella cenere che continua a perseguitarlo negli incubi.
[post-Infinity War non canonico // Tony&Peter // What If? // PoV Multiplo]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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Il prigioniero


 
“I look inside myself
And see my heart is black
I see my red door

I must have it painted black
Maybe then I'll fade away

And not have to face the facts
It's not easy facin' up

When your whole world is black”
 
[Paint It, Black – The Rolling Stones]
 
 
 
          Respirare diventa sempre più difficile.

Ha l’impressione non riuscire a incamerare abbastanza ossigeno, non importa quanto si sforzi: c’è un macigno sulla sua cassa toracica che gli comprime lentamente e dolorosamente i polmoni.
Ha l’impressione di essere di nuovo sotto le macerie.

Il ricordo dell’edificio crollato continua a emergere, insistente, e non riesce a smettere di pensare che ciò che è accaduto su Titano sarebbe dovuto accadere proprio sotto quelle macerie. L’edificio avrebbe dovuto schiacciarlo, fermando il suo cuore e il suo respiro, confondendo i suoi resti con la polvere sottile dei calcinacci. Sarebbe dovuto morire tempo fa. Non riesce a spiegarsi come non sia potuto accadere, come sia riuscito a sfuggire alla morte solo per essere ridotto in cenere due anni dopo su Titano.
Il destino sa essere beffardo.

E adesso che vi è sfuggito di nuovo non può fare a meno di temere che qualcos’altro arriverà a disintegrarlo, stavolta per sempre. Stavolta la sua gabbia toracica cederà di schianto, spappolandogli i polmoni, o magari finirà per dissolversi di nuovo nell’aria mentre il suo senso di ragno grida agonizzante.

Invece è intrappolato in questo mondo inquietante e tinto di giallo, nel quale respirare si fa sempre più difficile. Riconosce ciò che lo circonda: i luoghi, i volti, le voci, ma gli sembrano così fasulli, così irreali. Tutto è immerso in una sfumatura ambrata e angosciante – persino le voci suonano gialle, e sembrano settate su una frequenza più grave, disturbata.

Si è chiesto a lungo – non sa dire con esattezza quanto – se ciò che vede sia reale o se sia solo una parte meno raccapricciante del vuoto arancione in cui è stato scaraventato, o magari una proiezione della sua mente che tenta di impedirgli di diventare pazzo. Il punto è che sta comunque diventando pazzo, quindi ha smesso di mettere in discussione la materialità di ciò che vede o sente, bollando il tutto come mera illusione.

E tutti sanno che non si deve parlare con le illusioni, o rischiano di diventare reali. E soprattutto non può abbandonarsi al sonno, o rischierebbe di non svegliarsi mai più.

Così tace e tiene gli occhi spalancati, paralizzato in quel mondo falsamente invitante che non può permettersi di raggiungere se non vuole perdersi per sempre.
 
§
 
I dubbi emergono a più riprese, subito scacciati dalla coscienza che tutto ciò non è reale.

È la Gemma che cerca di convincerlo a non lasciare i suoi meandri, così da privarlo anche dell’ultima goccia di linfa vitale. È la Gemma che gli presenta le immagini artefatte di zia May che lo bacia sulla fronte e lo stringe a sé accogliendolo a casa, di Iron Man ferito e in lacrime che lo abbraccia su Titano, di MJ e Ned che gli parlano con occhi lucidi in camera sua cercando di ottenere una reazione.
Quella forza malefica attinge dalla sua stessa mente, rivoltandola alla ricerca di ciò che più gli è caro, manipolando ciò che vorrebbe veder accadere per poi materializzarlo e presentarlo davanti ai suoi occhi per convincerlo a cedere.

Sa che è un’illusione, ma quella certezza inizia a sfrangiarsi quando vede May farsi sempre più preoccupata, più triste. È un’immagine che rema contro il piano della Gemma: non vorrebbe mai rimanere intrappolato in un’illusione simile. Quella certezza pencola, e barcolla, e oscilla sempre più, ma si impone di tenere bocca chiusa e occhi aperti perché anche quello potrebbe essere un trucco, finché non la percepisce schiantarsi in mille pezzi in fondo alla sua mente.

Ha sempre avuto una fervida immaginazione, ma quello che gli sta dicendo ora il signor Stark, Iron Man, l’eroe che ammira di più sull’intero pianeta, esula da qualunque fantasticheria che avrebbe mai potuto concepire, e mette a tacere l’irrealtà del sentirlo pronunciare più di due parole su di sé. La sua voce è distante, ovattata, il suo volto è distorto dal velo ambrato che gli offusca lo sguardo, ma quella non è un’illusione. È troppo accurata, troppo amara e intensa per essere frutto della sua mente o l’elucubrazione di una Gemma cosmica, distante dalle emozioni e sofferenze umane.

Rimane in ascolto della storia di Iron Man, quella vera, e se da una parte riesce a rallegrarsi del fatto che tutto ciò stia accadendo veramente, dall’altra sente le parole scivolargli via dalla testa non appena le ascolta, lasciando solo una vaga impressione a lambirla. Poi sente un freddo terrore risalirgli le membra quando si rende conto che non può parlare, non può muoversi, anche adesso che vorrebbe compiere quei semplici gesti con tutto se stesso. Dopo un tempo e uno sforzo che gli sembrano interminabili riesce a sollevare una mano per stringere quella del signor Stark, aggrappandosi alla nuova certezza di essere davvero lì, anche se non del tutto. È arenato a metà strada, tra la freddezza di un mondo deserto e tinto di falso oro e il calore di chi gli vuol bene che trapela appena attraverso la membrana della sua mente paralizzata.

Non sa ancora come riuscirà a dissipare quella nebbia giallastra che lo tiene prigioniero rendendogli difficoltoso il respiro. Ma lui è Spider-Man, ha Iron Man al suo fianco e zia May a coprirgli le spalle, e lei da sola vale quanto tutti i Vendicatori messi insieme.

Non potrebbe desiderare compagni di squadra migliori.
 
§
 
Si è abituato alla rigidezza del proprio corpo e al fatto di non poterlo muovere come desidera, così come a non sentirlo come parte di sé per la maggior parte del tempo – una sorta di marionetta appesa ai suoi arti con fili invisibili e rigidi come piombo. Ci sono dei frangenti in cui la pressione che lo schiaccia si allenta, permettendogli qualche goffo, breve sprazzo di vitalità, ma è quasi sempre bloccato sotto quelle macerie inamovibili.

Ma ciò che lo frustra di più è la sua voce scomparsa, le parole che si rifiutano di salirgli alle labbra. Può sentirle accumularsi contro le corde vocali facendole tendere fino allo stremo, e ogni volta che sembrano trovare una fessura in quel muro invisibile vengono semplicemente ricacciate indietro, dentro al vortice interiore che sta minacciando di farlo impazzire e risucchiarlo a sua volta.
Vorrebbe chiamare May e dirle di non preoccuparsi, ma non ci riesce. Vorrebbe chiamare il signor Stark e dirgli che non è colpa sua, ma non può. Vorrebbe dire a entrambi quanto è felice nel saperli entrambi vivi, ma non ci riesce, maledizione. La Gemma ha semplicemente deciso di chiudere a doppia mandata la sua gola e di gettare poi la chiave dentro al vortice.

In questo momento ha almeno la consolazione di poter percepire il proprio corpo; o almeno, quello che immagina esser il suo corpo e che sente solo come un’ombra di percezione che fa da contenitore ai battiti del suo cuore. Gli costa sempre un grande sforzo rimanere vigile e cosciente di ciò che avviene attorno a sé, ma a volte la sua presa sulla realtà si allenta del tutto e ogni senso si annebbia facendolo scivolare in uno spiacevole torpore. In quei momenti è di nuovo sotto le macerie, o chiuso in un armadietto buio a scuola, o bloccato in un ascensore, e tutto ciò che può fare è sforzarsi di respirare per impedire che i suoi polmoni si tramutino in blocchi di cemento.

Prova a muoversi, ma come sempre solo un flebile impulso raggiunge i suoi arti, non abbastanza per controllarli. Si sforza di mettere a fuoco qualcosa, e la sua testa inizia a pulsare come se volesse spaccarsi in due. La sua vista si sdoppia per un istante: da una parte un vuoto ambrato e senza fine; dall’altra i contorni di una stanza sconosciuta. Si concentra su quest’ultima, incapace di sbattere le palpebre per alleviare la secchezza dei suoi occhi brucianti, ma riesce infine a scacciare la pesante cappa che li offusca.

Non è più a casa.

Un fiotto di puro, irrazionale panico gli rivolta le viscere.

Dove si trova? Quando l’hanno spostato? Chi l’ha spostato? E perché non ricorda nulla?

Quelle domande gli mozzano il respiro.

Si era infine addormentato?

A quel punto non riesce a reprimere il tremore che prende a fargli vibrare la spina dorsale. Vorrebbe solo poter chiudere davvero gli occhi; ma non può concederselo, quella è l’unica cosa che può e non deve fare, se non vuole tornare nel deserto dorato che l’ha tenuto ostaggio fino ad allora. Il solo pensiero lo annichilisce, così lascia che il suo corpo si arrenda alla paura, nella remota speranza che tutti quei brividi lo aiutino almeno a rimanere sveglio.

«Tesoro, cos’hai?» 

È la voce di zia May, proprio alla sua sinistra, ma non riesce ad obbligarsi a girare la testa: è troppo faticoso e i suoi muscoli sembrano già sul punto di strapparsi di netto. Si sente sfiorare la guancia da una mano liscia e tiepida, e May entra nel suo campo visivo. Riesce a contare ogni singola linea di preoccupazione sulla sua fronte e ogni ombra violacea attorno ai suoi occhi, anche se tutto è distorto da quel terrificante vetro ambrato.

«Stai tranquillo. Sei al sicuro,» lo calma May, pur con una nota d’ansia che si intreccia alle sue parole.

Gli prende brevemente il volto tra le mani, morbide e confortanti, e Peter si trova a sperare che non lo lascino più, ma ben presto il calore che gli lambisce la pelle sfuma, sostituito da una patina gelida. May si scosta da lui, rimanendo in un punto da cui può solo intravederla con la coda dell’occhio. Vorrebbe avere di nuovo la forza di abbracciarla come ha fatto prima – quando sarà mai stato? – ma si sente troppo debole persino per tenere in riga i propri pensieri, figurarsi per muoversi.

Cerca comunque di capire dove si trova ed è con difficoltà che riconosce un laboratorio, probabilmente quello al Complesso; non si sforza troppo di radunare altri ricordi al riguardo, visto che in precedenza si è rivelato un processo inutilmente doloroso. Sa solo che è seduto su una comoda sedia da ufficio, con le punte dei piedi che toccano il pavimento. Riesce a sbattere un paio di volte le palpebre e quel movimento gli invia una scossa atroce ai nervi ottici. Si irrigidisce, trema, digrignando i denti e desiderando di poter almeno esternare verbalmente il suo fastidio.
In quel momento un’altra mano, più grande e salda di quella di May, si posa sulla sua spalla stringendola con delicatezza.

«Ehi, ragazzino, non ti agitare. Ci siamo qua noi.»

La voce bassa del signor Stark raggiunge i suoi timpani ovattati, e Peter si sente più al sicuro nel sapere che sono entrambi lì con lui. Sa che è una considerazione infantile, ma non vuole rimanere da solo, non quando tutto ciò che vede è filtrato da un’orrida lente gialla.

«Allora, li hai testati?» interviene una terza voce maschile e sconosciuta alle loro spalle.

La mano del signor Stark si sposta leggermente, come se si stesse voltando verso l’interlocutore.

«Certo: funzionano a meraviglia e mi hanno già fatto venire un mal di testa tremendo,» risponde, concludendo la frase con un lamento smorzato.

«Quindi possiamo procedere?» chiede ancora l’altra voce, accompagnata da uno scalpiccio di passi pesanti. 

«Direi di sì…»

Il signor Stark lascia la sua spalla, e un istante dopo è di fronte a lui. Ha l’aria di non dormire da un mese ed è accigliato, anche se il principio di uno dei suoi soliti sorrisetti fa capolino agli angoli delle labbra. Tiene in mano uno strano paio di occhiali, che fa girare su se stessi tenendoli per una stanghetta. Prima di riprendere a parlare si accovaccia davanti a lui, portandosi a livello dei suoi occhi per permettergli di guardarlo.

«Ok, Pete, questo è il tuo biglietto per uscire di lì, ovunque tu ti sia cacciato,» esordisce, quasi allegro. «Dacci un altro paio di minuti e ti tiriamo fuori,» conclude incoraggiante, senza interrompere il contatto visivo come ad assicurarsi di essere ascoltato.

Peter non può dargli alcuna conferma, ma si concentra intensamente su ogni singola parola, cercando di non farne sfuggire neanche una attraverso le maglie allentate della sua mente intorpidita. Ripete tra sé quelle semplici frasi, cogliendone a rilento il significato: può uscire di lì, può tornare normale, può sollevare quel sipario giallastro dai suoi occhi. Qualunque piano stia architettando il signor Stark, funzionerà, come tutto ciò che crea. Cerca di rimettere in carreggiata i propri pensieri, impedendosi di distrarsi.

È difficile trattenere le informazioni che registra: i giorni passati – o settimane, o mesi, non lo sa di preciso – non sono che una macchia confusa e intrisa di paura.

Titano si staglia nitido su quello sfondo sfocato: prima il dolore straziante di dover lasciare di nuovo sola zia May e il signor Stark a credere che fosse tutta colpa sua; poi il vuoto, interrotto solo dalla crudele sensazione di riavere il proprio corpo per poi sentirselo sottrarre nuovamente. Ricorda May che lo culla come quando era piccolo, cercando di farlo addormentare e parlandogli sottovoce, ma potrebbe anche essere un ricordo molto più remoto. Ricorda il signor Stark che gli racconta di Iron Man e di molte altre cose che non riesce a richiamare con chiarezza – e ha la sensazione che sia meglio così. Ricorda quanto è stato sfiancante abbracciare May quando ha menzionato zio Ben. Quel momento è impresso a fuoco nella sua mente ed è felice di averle dato almeno un briciolo di conforto, anche se poi si è messo a piangere come un bambino – perché è colpa sua se Ben non è con loro.

Si sente strizzare il cuore come uno straccio bagnato. May ha sempre fatto del suo meglio e non le ha causato altro che dolore e preoccupazioni. Per lei vale la pena compiere ogni sforzo che sia in suo potere, anche se non sarà comunque mai abbastanza per ripagarla di tutto.

«Tony, mi garantisci che è sicuro, vero?»

Le mani gentili di May si posano sulle sue spalle, da dietro; non riesce a raggiungerle, stavolta. È così frustrante, così avvilente non avere alcun controllo sul proprio corpo, e adesso è così esausto che non ci riuscirebbe neanche mettendoci ogni fibra del suo essere. Maledizione, è Spider-Man: ha sollevato un intero edificio da solo e adesso non riesce nemmeno a sollevare un dito. Si sente ribollire di frustrazione. 

«Lo è. Li ho usati più volte e sono ancora vivo e vegeto. Ma a dirla tutta, non so come reagirà,» risponde il signor Stark, soppesando gli occhiali sul palmo.

Punta lo sguardo oltre la sua spalla, in direzione di May, per poi riportarlo su di lui e fare un mezzo sospiro.

«Sicuramente ci stai odiando per parlare di te come se non ci fossi, ma ti prometto che tra poco ce lo potrai rinfacciare di persona,» conclude, sollevando gli occhiali per permettergli di vederli chiaramente.

Peter prende nota dei sensori che spuntano dalle estremità delle stanghette, e maledice il suo cervello annebbiato e sprofondato in una melassa torpida: fino a qualche tempo prima si sarebbe slanciato nelle più svariate ipotesi sul loro funzionamento, adesso è invece costretto a guardarli vacuamente senza che la minima nozione scientifica lo illumini su cosa siano o a cosa servano.

Qualcuno si muove alle spalle del signor Stark, fermandosi a un paio di passi da lui con le braccia strettamente incrociate sul petto. Peter non osa distogliere lo sguardo dagli occhiali per evitare di perdere la sua messa a fuoco traballante, ma dal camice e dalla postura gli sembra di riconoscere il dottor Banner – Hulk. Non sa esattamente come interpretare quell’informazione, ma conclude che più menti geniali ci sono nei paraggi, tanto meglio per lui.

«Brucie, preparalo, vuoi?» lo sprona il signor Stark, e nonostante il tono quasi gioviale i suoi occhi rimangono seri e fissi su Peter; sente May che gli accarezza leggera le spalle, in un riflesso nervoso.

Bruce gli si fa prontamente incontro, assicurandogli al polso quello che sembra un orologio.

«Questo serve solo a monitorare il tuo battito cardiaco e la pressione sanguigna,» spiega pacatamente, per poi piazzargli sulle tempie quelle che sembrano delle piccole ventose. «E queste sono per le tue onde cerebrali, così sarai coperto su tutti i fronti.»

Peter inizia a sentirsi abbastanza inquieto per tutti quei “preparativi”. Segue i movimenti del dottore con la coda dell’occhio, prendendo nota di come i suoi lineamenti sembrino rilassati. Non è esattamente il tipo di persona che assocerebbe ad Hulk. La sua parte infantile si chiede per un istante se la sua controparte verde e mostruosa apparirebbe egualmente gialla ai suoi occhi, se si trasformasse adesso, ma scaccia rapido il pensiero: ha faccende più urgenti a cui pensare.

«Adesso che sei pronto, ti presento questi gioiellini,» il signor Stark agita con un certo orgoglio gli occhiali a mezz’aria, per poi posare la mano che li tiene sul suo ginocchio.

Peter è grato di avere un contatto fisico sia con lui che con May; per quanto suoni ridicolo, lo aiuta enormemente a rimanere concentrato, presente a se stesso, oltre ad essere intrinsecamente rassicurante, come se potessero afferrarlo in caso di caduta.

«Dovrebbero aiutarti ad eliminare i brutti momenti che hai vissuto ultimamente. Se riesci a cestinarne una parte, o a modificarli come preferisci, ti renderanno più semplice comunicare con noi, e a noi con te. Almeno, questo è il piano,» aggiunge, come se temesse di sperarci troppo. «Ho apportato qualche miglioramento, così non dovrai proiettare fisicamente i tuoi ricordi: avrai la tua privacy e sarai l’unico a poterli vede qui sopra,» spiega, ticchettando con l’unghia sulle lenti leggermente opache.

Peter annuirebbe, se solo potesse, ma è costretto a guardarlo con occhi vacui, mentre l’ingegnere si domanda probabilmente se non farebbe meglio a parlare col muro invece di sprecare il suo tempo con un ragazzino catatonico che l’ha quasi fatto uccidere. Soffoca quel pensiero, ma quello continua a strisciare nel retro della sua testa, pronto a far di nuovo capolino come un cobra velenoso. 

«Non devi fare altro che concentrarti su un ricordo spiacevole. Uno che--» balbetta per un istante, distogliendo altrettanto brevemente lo sguardo. «Magari potresti iniziare da ciò che è successo su Titano, visto che è da lì che è partito tutto,» dice d’un fiato, sforzandosi chiaramente di mantenere un tono noncurante.

Peter percepisce il suo senso di ragno mandare un lieve impulso allarmato, anche se non c’è alcun pericolo in vista: gli succede sempre quando si sofferma su quel momento e non è affatto certo di poterlo rivivere per eliminarlo o “aggiustarlo”.

«Comunque, la scelta è tua, basta che tu scelga un-- un ricordo degno, se mi passi il termine. Questo gingillo non è piacevole da indossare e ti ritroverai con un bel mal di testa, quindi non voglio che lo usi più del necessario.» Si umetta le labbra prima di concludere: «E non lasciarti trascinare dai ricordi. Gestire un sovraccarico può essere… complicato, fidati. Quindi scegline uno, mantieni la scelta e lavoraci sopra, capito?»

Il signor Stark gli rivolge un sorrisetto fiducioso, poi lancia un’occhiata in direzione di May e fa un lieve cenno col capo, come se avesse appena ricevuto il via libera da lei.

«Allora, ci siamo,» annuncia, tirandosi in piedi e facendo scivolare con cura le stanghette degli occhiali dietro le sue orecchie, raddrizzandoli poi sul naso e assicurandosi che i sensori aderiscano per bene alla sua testa.

Peter sente i capelli sulla nuca rizzarsi all’istante e un lieve, molesto ronzio che prende a riverberargli tra le orecchie, attraverso il cranio. Un anello di pressione inizia a comprimergli la testa, e socchiude gli occhi in un riflesso involontario. La sua vista rimane limpida, sebbene ancora imbevuta di una tinta ambrata, e potrebbe quasi far finta di stare indossando un paio di quei buffi occhiali da festa colorati e scadenti. Si impone ancora una volta di rimanere concentrato, e sente la bocca farsi secca mentre cerca di ricordare — prima di tutto, in effetti, dovrebbe capire come ricordare qualcosa con il cervello che sembra essere diventato una massa inerte e gelatinosa nella sua scatola cranica.

«Puoi andare, Peter,» dice Banner. «Saremo pronti a intervenire nel caso dovessi mostrare segni di stress.»

Peter è scettico sul fatto che il suo corpo sia in grado di reagire in modo consono a qualsivoglia stress dovrà sopportare di lì a pochi secondi – sempre che riesca a far riattivare le sue sinapsi avvizzite – ma al momento non è nelle condizioni di protestare.

Percepisce zia May posargli un bacio leggero sulla testa, cingendogli ancora le spalle, e il signor Stark che gli stringe esitante il polso libero. Si concentra su quelle sensazioni, che lo aiutano a rimanere presente a se stesso, ancorato a terra. Punta lo sguardo sulle lenti ambrate, mentre immagini sfocate già iniziano a farvi capolino, e riversa ogni stilla di energia nel dare loro forma e consistenza. Riesce a prendere un respiro più profondo, per quanto qual semplice gesto sia sfiancante, e sente la stretta di May e del signor Stark aumentare appena.

«Andrà tutto bene, tesoro.»

«Forza, ragazzino. Ce la puoi fare.»




Note Dell'Autrice:

E rieccoci qui, finalmente con il primo PoV Peter!
Questo è forse il capitolo che differisce di più dall'originale inglese, tra parti aggiunte e modifiche alle varie sequenze e, per chi ha letto l'altra versione, spero apprezziate i cambiamenti :)

Ci tengo a sottolineare che tengo in altissima considerazione il potenziale di Peter (che hanno "nerfato" nel MCU) e che se vi sembra "debole" in questo contesto è solo perché sta effettivamente contrastando il potere di una Gemma dell'Infinito, un artefatto che persino Wanda ha avuto difficoltà distruggere e il cui utilizzo strema Thanos. Nella sua resa ho voluto mediare tra la versione fumettistica e quella del MCU, tenendo conto della giovane età e del suo vissuto fino ad ora, oltre che della sua condizione particolare (e del fatto che qui non compare nelle vesti di Spider-Man).
Chiusa questa parentesi, ovviamente tutte le digressioni tecniche presenti nel capitolo sono come sempre miei headcanon plausibili ma di improbabile realizzazione pratica.

Ringrazio come sempre la mia cara beta _Atlas_ per la revisione e per aver recensito gli scorsi capitoli, così come T612 e tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite/ricordate/preferite (orsù, fatevi avanti! :'D <3)

Per il prossimo capitolo ci sarà un appuntamento anticipato a giovedì, visto che questo finesettimana non ci sarò, e anche il successivo arriverà prima di sabato, data la brevità del prossimo capitolo.
A presto,

-Light-

P.S. Link al capitolo originale (la traduzione include solo la prima sezione) -> There's Always a Light at the End of the Tunnel
P.P.S. Colgo l'occasione per sottolineare che non ho ancora visto Capitan Marvel, quindi se qui dovessero esserci discrepanze col film in qualunque aspetto (per esempio riguardo alle Gemme), vi prego di non farmelo notare adesso, grazie <3



 
   
 
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