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Autore: Tigre Rossa    09/03/2019    3 recensioni
I primi ad andarsene furono i dettagli.
Sì, proprio quelle piccole sfumature impercettibili che appaiono tanto insignificanti, ma che in realtà donano colore e profumo ad ogni cosa.
Cose piccole, quasi futili, che Bilbo non si accorse di star perdendo fino a quando si rese conto di non ricordare più la sensazione del vento che lo colpiva in viso mentre lasciava di corsa casa per inseguire un’avventura che, ne era certo, sarebbe stata indimenticabile.
Era stato solo allora che aveva capito che non sarebbe stato così, non per lui almeno.
Solo in quel momento aveva capito di star dimenticando sul serio.
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La mia trentesima storia in questa sezione poteva essere su qualcuno che non fosse il mio amato Bilbo?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bilbo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordi dimenticati

 

 

 

 

 

 

 

 

Ogni storia mai raccontata è successa davvero. Le storie sono i ricordi quando vengono dimenticati.

-Doctor Who-

 

 

 


I primi ad andarsene furono i dettagli.

Sì, proprio quelle piccole sfumature impercettibili che appaiono tanto insignificanti, ma che in realtà donano colore e profumo ad ogni cosa.

Come l’ora precisa del loro arrivo a Casa Baggins, il pungente odore di fumo che gli rimase addosso per giorni dopo essere riusciti a fuggire da goblin, orchi e mannari tutti in una volta, o l’esatta sagoma della Montagna Solitaria che tagliava in due l’orizzonte, silente e maestosa.

Cose piccole, quasi futili, che Bilbo non si accorse di star perdendo fino a quando si rese conto di non ricordare più la sensazione del vento che lo colpiva in viso mentre lasciava di corsa casa per inseguire un’avventura che, ne era certo, sarebbe stata indimenticabile.

Era stato solo allora che aveva capito che non sarebbe stato così, non per lui almeno.

Solo in quel momento aveva capito di star dimenticando sul serio.

 

Quella consapevolezza l’aveva distrutto, ma non aveva fatto nient’altro, se non spezzargli il cuore.

Da quel momento, infatti, molti altri ricordi iniziarono a sfumare sempre di più, senza lasciare dietro alcuna traccia. Rendersene conto non lo aveva aiutato a ricordare, né a trattenere con sé quello che gli stavano portando via.

 

Ma lui ci aveva provato comunque. Oh, se ci aveva provato.

Bilbo Baggins, accettare che il tempo si stesse portando via frammenti di ciò che aveva reso la sua vita degna di essere vissuta? Non lo avrebbe mai fatto. Non lui.

Aveva lottato con le unghie e con i denti per richiamare a sé ciò che già aveva perso e trattenere tutto il resto. Aveva cercato ogni soluzione, attuato ogni possibile strategia per non dimenticare.

Aveva iniziato a raccontare a chiunque storie, quelle storie di cui era stato a lungo tanto geloso e aveva custodito come tesori preziosi, condividendoli solo con le persone di cui si fidava di più.

Storie sulle sue avventure, sui pericoli affrontati, sui suoi amici, sul mondo esterno, sulla gioia e il dolore lancinanti che vivere tutto ciò gli aveva impresso a fuoco dentro.

Storie che, se all’inizio erano anche solo un pochino romanzate perché suvvia, ogni racconta storie si prende le sue piccole licenze, dopo hanno perso qualsiasi artificio, diventando nient’altro che uno specchio di ciò che era stato, nel vano tentativo di trattenere ogni ricordo possibile.

Storie che aveva anche iniziato a scrivere, quando si era reso conto che raccontarle non bastava.

Storie che scriveva e riscriveva, perché non andavano mai bene, perché aveva l’impressione che mancasse sempre qualcosa, ed in effetti era così.

Storie, però, che aumentavano ancora di più il suo strazio, quando intingeva la penna nell’inchiostro e poi rimaneva lì, con la pagina bianca a fissarlo, perché ciò con cui avrebbe dovuto riempirla era appena svanito di fronte ai suoi occhi.

 

Pian piano, tutto quanto svanì, costringendolo a posare la penna per periodi sempre più lunghi, fino a non prenderla più in mano.

 

Ad andarsene, subito dopo i dettagli, furono i suoni, come i passi strascicati dei suoi nani lungo la strada, o il tintinnio sordo delle chiavi della prigione, o ancora le scoppiettanti risate attorno al fuoco.

 

Dopo, quasi a fargli compagnia, li seguirono gli odori, a partire dal familiare profumo di vecchia pergamena della mappa fino ad arrivare alla nauseabonda puzza di pesce di Pontelagolungo.

 

Poi, fu il turno dei colori, che sbiadirono uno ad uno, sia l’oro accecante del tesoro di Erebor, sia il rosso feroce della fiamme di Smaug che quello più cupo del sangue che gli macchiava le mani, sia l’azzurro senza difetti degli occhi di Thorin.

 

Ancora, iniziarono a lasciarlo i nomi, sia quelli dei luoghi che aveva visitato sia quelli più cari dei suoi nani, che cominciarono a confondersi tra loro, a perdere ritmo e forma, diventando quasi fumo.

 

In seguito le parole stesse lo lasciarono solo, impedendogli di rammentare le condizioni del suo contratto, le rime di quel canto che lo aveva spinto a desiderare davvero per la prima volta l’avventura, i consigli di Gandalf, gli scherzi dei suoi amici, addirittura l’ultimo saluto di quel re che aveva seguito fino alla fine come se fosse suo.

Lui, che aveva sempre giocato con le parole, si ritrovava ormai derubato di quelle più importanti di tutta la sua semplice esistenza.

 

Infine interi pezzi della sua avventura si frantumarono, chiudendo questa caduta infinita.

L’arrivo a casa, gli indovinelli nel tunnel, l’abbraccio dopo essere sfuggiti ad Azog, le notti fredde trascorse a Bosco Atro, la fuga tra i corridoi di Erebor inseguiti dalle fiamme, quella guerra che gli aveva portato via un po’ di quella luce che aveva dentro, tutto si era spezzato, lasciandolo nudo ed indifeso di fronte ad un tempo crudele senza alcuna pietà per quel corpicino fragile e per quel cuore che batteva a fatica da quando quell’avventura era finita.

A volte la marea gli riportava qualche scheggia, ma poi gliela rubava di nuovo, lasciandogli una sensazione di vuoto ancora più straziante, tutto ciò che gli era concesso conservare del suo passato e che era una ben misera compagnia, in quell’inverno così lungo in confronto alla sua breve primavera.

 

 

 

Ora Bilbo è vecchio, molto più vecchio di qualsiasi altro hobbit, la fine del suo inverno si fa sempre più vicina, e di ricordi da stringersi forte al petto per addormentarsi gliene sono rimasti bene pochi.

 

Eppure, nonostante la nebbia che riempie i suoi pensieri e la sua voce ormai tremante, egli continua a raccontare le sue storie.

A volte si confonde, a volte si addormenta mentre parla, a volte resta a fissare il vuoto, ma continua a raccontarle e raccontarle.

Gli è rimasto solo questo, dalla sua lotta contro la memoria, e per molti è un mistero come quei racconti possano essere ancora là, vivi e pulsanti tra le ombre che ormai sono da troppo tempo dentro la sua testa.

Ma per Bilbo non lo è, non veramente.

 

Perché, se c’è qualcosa che il tempo non ha potuto portargli via, quelle sono le emozioni che ha provato lungo il suo cammino. Sono troppo impresse nel suo cuore perché anche il più abile ladro possa sottrargliele, e sbiadiranno solo quando questo vecchio cuore stanco smetterà di battere.

Lo stupore e la stizza di ritrovarsi tredici nani sconosciuti in giro per casa.

Il desiderio di andare, di scoprire il mondo, di vedere cose che ha sempre a stento solo immaginato, di far parte di qualcosa di più grande.

La certezza di voler fare davvero parte di quella bislacca e disastrata compagnia.

La paura di fronte ai mille pericoli, ma anche la sicurezza di avere qualcuno al suo fianco pronto a combatterli con lui.

Il dolore di vedere quella che aveva iniziato a considerarla sua famiglia ferita, turbata, in pericolo, spezzata.

L’amore, eterno ed incondizionato, che ancora lo lega a quei nani di cui non ha mai smesso di parlare, pur di poterli tenere un altro po’ con sé.

 

Queste emozioni, queste sensazioni, questi sentimenti, non possono essergli portati via, perché fanno così tanto parte di lui che sarebbe come strappargli il cuore dal petto.

 

È grazie a quelle emozioni che continuano ad esistere ancora le sue piccole e fragili storie.

 

Bilbo, vecchio scrittore che dentro di sé non ha mai smesso di scrivere, si limita solo a tradurre in parole la tempesta che ancora anima quel cuore che si ostina a tenerlo in vita, ed è così che quelle storie continuano a sfuggire da quelle vecchie labbra stanche.

 

E grazie a quelle storie, ecco che ritrova, anche senza saperlo, anche senza rendersene conto, ogni singolo ricordo che gli è stato portato via, ogni momento dimenticato, ogni singolo dettaglio.

Poi, quando la storia finisce, anche questa magia termina, e Bilbo resta lì, ancora più vuoto, senza sapere di aver avuto in mano, giusto per il tempo di una fiaba, ciò che per tanti anni ha cercato quasi con la stessa ostinazione con la quale la Compagnia aveva seguito il cammino per la Montagna.

Eppure, nonostante ciò, lui continua a raccontare, perché lo fa sentire bene, perché lo fa sentire vivo, perché lo fa sentire giovane e libero e amato come lo era stato solo una volta, tanto tempo fa.

 

E poi, continua a raccontare perché deve.

Ha un pubblico da soddisfare, dopotutto, che è sempre lì, ad aspettare ogni sua storia e a chiederne sempre un’altra, e un’altra, e un’altra ancora.

Non è il suo solito pubblico del passato, composto da elfi o bambini hobbit con al centro il suo caro Frodo, no.

È un pubblico molto più piccolo, di tredici persone appena.

Tredici persone che aspettano in silenzio, sorridono e piangono nei momenti giusti, e a volte aggiungono dettagli che nemmeno lui credeva di sapere ma che sono dannatamente giusti, e che ad ogni storia sono lì, ad ascoltare.

 

A Bilbo, a volte, sembra quasi di riconoscerli.

È certo di riconoscerli quando parla, ma poi la storia termina e con lei anche questa certezza.

Ma, nonostante ciò, loro sono sempre là, ad ascoltare ogni storia, aiutandolo a ricordare almeno un po’, anche solo per poco.

E lui continua a raccontare storie per loro, perché sa che glielo deve e soprattutto perché, quando lo fa, si sente davvero come se fosse di nuovo là, a narrare i suoi buffi racconti attorno al fuoco, circondato da quella famiglia ormai dimenticata ma che non smetterà mai di amare, anche quando il più piccolo ricordo sarà ormai portato via.

 

  
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