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Autore: Marra Superwholocked    11/03/2019    1 recensioni
Ultimo capitolo della Trilogia delle impavide cacciatrici milanesi.
Durante il loro anno sabbatico, Catherine e Silvia avranno modo di capire se la caccia ai mostri fa realmente per loro. Tuttavia, da semplici cacciatrici in prova, si ritroveranno a dover escogitare un piano per eliminare la minaccia di Arimane, creatura malvagia scappata dalla sua Gabbia ai confini dell'Universo. Il Dottore le aiuterà anche questa volta? E Storybrooke da che parte starà?
Dal testo:
«Ed ecco a voi» disse Amnesha girando la scatolina bianca per mostrare alle cacciatrici il suo contenuto, «l'ultimo Fagiolo Magico.»
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Belle, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: Cross-over, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Chapter XIII

Time Has Come Today*

 

Amnesha.
Chi era?
Dove viveva?
Che aspetto poteva mai avere una persona, una strega di nome Amensha?
Ovviamente, sapevano solo che era femmina. Per il resto era tutta un'incognita, ma forse Silvia poteva fare qualcosa al riguardo...
«Cathy, prendi anche il libro, okay?» Silvia aveva già afferrato una delle due sacche, quella senza armi, e si stava dirigendo verso l'entrata del motel – l'insegna luminosa recitava un rosso vivo Motel Penna – mentre lasciava il parcheggio. Nell'altra mano reggeva i documenti per il check-in. Camminava spedita senza curarsi della pioggia e del buio, ormai che senso aveva dopo tutto quello che avevano passato? Era solo un po' di acqua e di oscurità, in fondo.
«Sis!» la chiamò Catherine allarmata.
Silvia si voltò assottigliando gli occhi per scrutare oltre le piccole gocce di pioggia ferme sulle lenti dei suoi occhiali. In effetti non era stata una buona idea non prendere l'ombrello. «Cosa c'è?»
«Hai spostato il libro?»
«No» rispose Silvia. Le venne in mente solo in quel momento che forse era meglio mettere in salvo i documenti, così si aprì la giacca di pelle nera a metà e le infilò dentro per poi tirar su di nuovo la cerniera.
«Sis...» Catherine pareva angosciata. «Qui non c'è. L'abbiamo perso?!»
«No, ehi, dai, calmati», ma c'era poco da stare calme: quel libro era un gran bel mistero, perderlo sarebbe stata una mossa da idiote. «Cominciamo a prenderci una camera, poi vedremo» disse.
E così entrarono nel motel a due stelle, il primo che trovarono sulla strada che le stava portando chissà dove. Il merlo indiano dei padroni era chiuso nella sua gabbia, adagiata sul bancone verso cui erano dirette Catherine e Silvia. L'animaletto dormiva appollaiato, sereno e spensierato. Quando Silvia fece suonare il campanello posto sul bancone, il merlo scattò sulle graziose zampe in un lampo. Craaaa, fece l'animale; sembrava volesse sgridarle per averlo disturbato. Clienti, clienti! gracchiò poi.
«Arrivo subito!» si udì da sotto al bancone; mezzo secondo dopo ecco spuntare quasi dal nulla un ragazzotto sorridente. Non sembrava affatto il proprietario del motel: un sottile paio d'occhiali neri erano accompagnati da una maglia nera con lo stemma di Batman ed un berretto con la visiera.
«Mi scusi, vorremmo una camera. Con chi possiamo parlare?» chiese Silvia accennando un sorriso imbarazzato.
Il ragazzo, che poteva avere trentacinque anni al massimo, si toccò il petto. «Con me! Sono io il proprietario non che factotum!»
Silvia, ora più che imbarazzata, diventò rossa per la vergogna. «Mi perdoni» disse abbassando lo sguardo.
Catherine ne rimase sorpresa. Non era più abituata a vedere Silvia così fragile e timida. Le piacque, le sembrò di tornare indietro di un paio di anni e le venne da sorridere.
«Una camera doppia, la prego.» Silvia cercò in tutti i modi di mandare via il rossore dalle sue guance mentre il proprietario del motel cercava nel database del suo computer. Silvia lo capì dal riflesso sulle lenti.
«Ecco qua, camera ventisei.» Prese le chiavi della camera che aveva assegnato loro e aggiunse: «Avrei bisogno dei vostri documenti per la registrazione.»
Silvia glieli porse senza dire una parola.
«Comunque non c'è nessun problema, riguardo a prima» disse il proprietario del motel. «Lo so bene anche io che non è l'abbigliamento che un cliente si aspetta da me.» Aveva ancora stampato in viso un gran bel sorriso felice. Le labbra sottili tirate senza mostrare i denti e gli occhi luminosi e simpatici, amichevoli. «È che mi piace essere me stesso, almeno nelle ore notturne quando entrano pochi clienti e non fanno nessun controllo!» Rise e la sua risata era leggera e confortante.
Risero anche Catherine e Silvia, dimenticando per un attimo mostri e fantasmi. Ed il sacrificio di Theck.
«No, allora...» Quando il proprietario del Motel Penna terminò di riportare i dati dai documenti delle due ragazze, egli allungò loro le carte e la chiave della loro camera. «Scherzi a parte, io mi chiamo Andrea, ma tutti mi chiamano Frank. E lui», indicò il merlo indiano al suo fianco, «è Penna, grande chiacchierone, ma solo di mattina» disse. «Mi avverte quando entrano facce nuove.»
«È un piacere» fece Catherine a Penna. Allungò un dito alla gabbia per farsi mordicchiare, ma il merlo indiano era così assopito che mancava poco che russasse.
«Grazie. Ora filiamo a letto, siamo stanche morte. La ringrazio» sorrise Silvia.
«No, no, no» disse Frank scuotendo il capo. «Vorrei che mi deste del tu per tutta la durata della vostra permanenza. A proposito... Quanto rimarrete?»
Silvia guardò Catherine; Catherine guardò Silvia. «Chi lo sa?» si disse la più grande.


«Mio, dio, vorrei che la doccia lavasse via non solo lo sporco e la stanchezza, ma proprio tutto...»
Catherine sorrise. Sapeva cosa Silvia volesse dire con quel tutto. Il dolore, il peso sulle loro spalle... Tutto.
«Come hai intenzione di cercare la strega?»
«Non so ancora con certezza, Cathy» disse Silvia sbarazzandosi della giacca di pelle e rimanendo con addosso un paio di jeans e un maglioncino leggero. Si accasciò su di un letto, a pancia in su e guardò il soffitto, ma non era una posizione comoda: si girò fino a mettersi a pancia in giù e fece per togliersi gli occhiali quando notò qualcosa di strano sotto al letto accanto al suo. «Sis, cos'è quello?»
«Mhm?» Catherine si voltò e puntò lo sguardo laddove le veniva indicato dall'amica. «Ma cosa...? Non è possibile, dai!» esclamò per poi fiondarsi a prendere l'oggetto nascosto sotto a quello che poi sarebbe stato il suo letto. Lo trascinò sulle piastrelle e lo sollevò reggendolo con entrambe le mani. Si trattava di un libro, un libro come quello che pensavano di aver perso. Lo aprì e vide il disegno di una ragazza riccia affiancata da una poco più alta della prima, con la carnagione scura e i capelli lisci e corti. Erano proprio loro due e quello era lo stesso libro che fino a poco fa davano per disperso.
«Non so che dire, sinceramente.» Silvia si era alzata a sedere e fissava a bocca aperta quel libro. «Forse è magico» disse, ma pareva più una domanda.
Catherine deglutì e poggiò il libro sul letto di Silvia. «Se qui c'è scritta e disegnata la nostra vita da cacciatrici, forse c'è anche un capitolo che parla di Amnesha e forse, ma forse, viene anche detto come trovarla o perlomeno dove si trova. È vero che è scritto in tempo reale, ma non si sa mai.»
«Buona idea!» Silvia prese il libro e lo aprì sulla prima pagina. «Gli do un'occhiata io, tu vai pure a lavarti!»
La più piccola la ringraziò e, presi i panni puliti e tutto il necessario, si chiuse in bagno.
Una ventina di minuti più tardi, Catherine si era appena accasciata sul letto, lavata e impigiamata, quando Silvia inspirò allarmata e richiuse il libro rilegato in pelle.
«Cosa?» mugugnò Catherine con il viso spiaccicato sul cuscino, a pancia in giù. «Cosa c'è?»
«Arimane!» esclamò Silvia. «Ha oltrepassato il portale! Ci ha seguite!»
Catherine scattò sulle ginocchia in un lampo. «Come sarebbe a dire Ci ha seguite?! Theck è...» Le parole gli morirono in gola. «Lui... Si è sacrificato per nulla...»
Fuori si alzò un vento improvviso, talmente forte che alcune macchine parcheggiate in strada fecero partire i loro antifurti. La finestra che dava sul piccolo balcone che offriva loro il motel si spalancò e tutta la camera venne invasa dall'alito fresco della notte. Silvia corse a richiuderla e lottò qualche istante prima di poter girare la maniglia e serrare il tutto. La tenda svolazzò ancora qualche istante, poi si accasciò mostrando qualche piastrella coperta da foglie di tasso.
«Oh-oh.»
Dall'altra parte della stanza, strisciando sulle bianche lenzuola, Catherine si alzò dal letto. «E ora che c'è?»
«Tasso.» Silvia si piegò sulle ginocchia per raccogliere una foglia secca e sa la rigirò tra le dita. «Esotericamente parlando, significa sia immortalità che morte.» Si rialzò, incontrando lo sguardo accigliato di Catherine. «Non intendo metter più naso in quel libro finché tutta questa faccenda non sarà finita» disse seria, «ma dobbiamo trovare quella strega e forse ho qualche asso nella manica. Però ora dormiamo, ci penseremo domani.»


Il vento della notte aveva spazzato via ogni nuvola affinché il cielo del mattino seguente fosse così limpido da far male agli occhi. Il sole caldo cercava di entrare, piano piano, nelle camere del Motel Penna. In una di quelle silenziose camere, la numero ventisei, due cacciatrici erano già in piedi, seppure ancora assonnate e frastornate: avevano dormito senza aver riposato.
Silvia trafficava con la connessione Wi-Fi; Catherine cercava ulteriori informazioni su Arimane.
«È in momenti come questi che gradirei la presenza del Dottore.» Silvia era riuscita a stabilire una buona connessione ad internet, trovando la giusta posizione del computer sul tavolo: un pochino storto, aperto sul sostegno cartaceo di un libro di magia bianca, il più vicino possibile alla porta d'entrata.
Catherine sorrise. «Perché?»
«Tutti i miei contatti magici sui vari forum conoscono Amnesha solo di nome, sanno che è molto potente e ha molte risorse, ma dicono che sia lei ad andare dai suoi clienti.» Silvia si sentì scoraggiata. Le avevano detto tutti la stessa cosa: è lei che ti contatta, perché lei sa. «Non c'è numero, non c'è indirizzo. Solo un nome e tante speranze di essere il prossimo sulla sua lista.»
«Se non ricordo male» disse Catherine staccando gli occhi dal suo computer, «senza coordinate, non potrebbe aiutarci nemmeno il Dottore.»
«Wow... Tu sì che sai come rallegrare le persone!» scherzò la maggiore. Si massaggiò gli occhi già stanchi poi abbassò lo schermo del suo portatile. «Tu? Trovato nulla?»
«Nada. Arimane è una divinità, quindi pressocché immortale.»
Silvia assottigliò gli occhi. «Pressocché. Non del tutto. Vuol dire che ha un punto debole. Troviamolo e miriamo a quello!»


Circa cinque ore più tardi, Catherine e Silvia erano al punto di partenza: di Arimane sembrava che ne sapessero meno di prima; di Amnesha solo che era una strega e che era impossbile contattarla.
Catherine era così stanca che si sorprese a fissare il vuoto, risvegliata da Silvia che sbatteva la testa sul computer.
«Ehi» disse Catherine stropicciandosi gli occhi. La foglia di tasso che era entrata la sera prima nella loro camera giaceva ancora sul tavolino su cui le due cacciatrici stavano facendo le loro ricerche, le guardava e ricordava loro che stavano sprecando troppo tempo.
Dall'altra parte del tavolo, Silvia smise di torturarsi la fronte e si mise a sedere ora più dritta. «Niente da fare» disse nascondendo male la sua frustrazione. «Questa Amnesha è fin troppo brava a nascondersi.»
Catherine inspirò e rimase con lo sguardo apparentemente perso per una manciata di secondi. «Senti. Io non mi reggo in piedi e tu hai bisogno di una boccata d'aria.»
«Ho già capito dove vuoi andare a parare e sono d'accordissimo. Uscire mi farebbe proprio bene» sorrise Silvia e si alzò pimpante. «Preferenze o quello che trovo?»
«Quello che trovi. Andrà più che bene.» Catherine lasciò il tavolino dopo aver spento i portatili e si sdraiò sul suo letto. «Prendi la chiave, mi raccomando.»
Silvia schioccò la lingua e le fece l'occhiolino. Controllò di avere abbastanza soldi per pagare il motel e del cibo. Sì, in contanti aveva ancora poco più di settanta euro, se li sarebbe fatti bastare. Lasciata la camera – senza dimenticarne la chiave –, salì in macchina e si diresse al discount più vicino per recuperare qualcosa per l'ennesimo pranzo da cacciatrici. Fin'ora è filato quasi tutto liscio, pensò la maggiore mentre guidava; non poteva proseguire così?
Nel medesimo istante, poco distante da lì, Catherine era già crollata nel mondo dei sogni.


Non si vedeva. Non vedeva le sua mani, non percepiva il suo corpo. Era come se non esistesse. Eppure lei era lì. Si muoveva. Si spostava tra le vie d'una città che non conosceva, come un drone, sinuosa e veloce, con movimenti perfetti e sicuri. Incontrò un bivio e guardò in alto. Un cartello la invitava a prendere la strada di sinistra e così lei fece: andò a sinistra e vide, in fondo alla via, un'insegna luminosa. Forse era viola. O forse rossa. Non ci fece caso, presa com'era a continuare ad aumentare la velocità. All'improvviso un taglio netto ed ecco che di fronte a lei vi era un gatto nero. La lunga coda si muoveva lentamente, ondeggiando. Al collo portava una targhetta con scritto "Bevimi", ma le lettere non stavano ferme, tremavano e ora erano cambiate in "Mangiami". Il gatto miagolò e strofinò una zampetta sul muso, leccandosela, poi la rimise a terra. O meglio, la rimise sul tavolo scuro su cui era seduta. O almeno sembrava essere un tavolo. Non lo sapeva più nemmeno lei. Poi vide che l'altra zampetta del gatto nascondeva un biglietto: lo afferrò e in quel momento vide le sue mani. Sì, era proprio lei, non era nessun altro, era ancora Catherine, la cacciatrice in prova. Ed il biglietto parlava chiaro.
Catherine spalancò gli occhi e non fece assolutamente caso a Silvia che stava rientrando con la busta del pranzo. Si fiondò al tavolo, prese carta e penna e scrisse Crepuscolo, Latina.

 

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*https://www.youtube.com/watch?v=COZzsTwDghQ (tasto destro del mouse, apri in un'altra finestra)

   
 
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