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Autore: Marra Superwholocked    11/03/2019    1 recensioni
Ultimo capitolo della Trilogia delle impavide cacciatrici milanesi.
Durante il loro anno sabbatico, Catherine e Silvia avranno modo di capire se la caccia ai mostri fa realmente per loro. Tuttavia, da semplici cacciatrici in prova, si ritroveranno a dover escogitare un piano per eliminare la minaccia di Arimane, creatura malvagia scappata dalla sua Gabbia ai confini dell'Universo. Il Dottore le aiuterà anche questa volta? E Storybrooke da che parte starà?
Dal testo:
«Ed ecco a voi» disse Amnesha girando la scatolina bianca per mostrare alle cacciatrici il suo contenuto, «l'ultimo Fagiolo Magico.»
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Belle, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: Cross-over, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Chapter XIV

Witch's Rune*

 

Silvia fissava le due parole scritte velocemente dalla sua migliore amica. Crepuscolo e Latina. «Cosa vogliono dire, sis?» le chiese. Le cartacce dei panini accartocciate sul tavolo e lei che ci giocava quasi spensierata.
«Be'» fece Catherine deglutendo. «Crepuscolo sarà il nome del negozio e Latina... Dai, Latina è Latina» rise.
«Sì, okay, ma si trattava di un sogno. Come possiamo fidarci di esso?»
Catherine si picchiettò la fronte, poco sopra il lobo frontale.
Silvia sorrise e guardò fuori dalla finestra. «Certo» disse, poi andò a controllare il cielo. Terso. Limpido. Così come la strada. Però vi era qualcosa di strano... Ed eccola, davanti a lei, ciò che sembrava il riflesso di qualche auto. «Cathy, vieni qui, per favore.» Una volta che venne affiancata dall'amica, Silvia indicò il presunto riflesso. «Secondo te, cos'è?»
Catherine strizzò gli occhi e si sitemò meglio gli occhiali sul naso. «Sembrerebbe una-»
«Spaccatura spazio-temporale, eh, sì, ragazze mie!»
Catherine e Silvia, riflessi pronti, si voltarono immediatamente. Una donna, poco distante da loro, stava sorridendo con tristezza e malinconia. Era bionda, la chioma le scendeva fino a sfiorarle la mascella, gli occhi dolci e materni sovrastati da sopracciglia fini e castane e la bocca dalle labbra sottili ma gentili. Indossava una lunga giacca color tortora sopra ad una felpa con un arcobaleno lungo il seno piccolo e delle bretelle che davano sul mattone.
Silvia gettò uno sguardo fulmineo alla pistola lasciata incustodita sul suo comodino, troppo distante dalle sue mani; Catherine si toccò le tasche dei pantaloni: il coltellino di suo padre non c'era.
«Chi sei?» chiese Catherine.
La donna sbattè le palpebre e sorrise.
«E come sei entrata?» ruggì Silvia.
La donna si umettò le labbra e aprì la bocca, mostrando una fila di denti sani e bianchi. «Ci siamo già incontrate, molto tempo fa. Anche se per voi si tratta solo di un annetto, credo.»
«Okay, frena» disse Catherine ponendo una mano avanti a sé. «Cosa intendi dire?»
«Il tempo è corso in maniera diversa per me, Catherine.»
Alle due cacciatrici si gelò il sangue nelle vene.
«Non dirmi che sei...»
«Sì» disse la donna con un sorriso. «Sono proprio io. Devo ancora conoscermi e capire come mi piace muovermi e parlare, ma sono io.»
Catherine si coprì la bocca con le mani unite e guardò Silvia che non riusciva a capire che stesse accadendo. «Sis» le disse con le lacrime agli occhi per la felicità. «È il Dottore!»


«Ancora non mi convince.» Silvia guardava la donna, che per lei non era che un'estranea, dall'alto in basso, con le braccia incrociate e lo sguardo attento ad ogni suo minimo movimento.
«Te l'ho detto, Silvia!» esclamò la donna aggirandosi con fare naturale per la stanza d'albergo. Sfiorò con le dita affusolate le tende. Fuori il sole era alto in cielo e riscaldava i suoi piedi, chiusi in scarpe marroni e pesanti. «Noi Signori del Tempo ci rigeneriamo, cambiamo. Prima o poi sarebbe successo» si spiegò meglio. Accennò ad un sorriso, ma incontrò gli occhi severi di Silvia; quella ragazza non avrebbe ceduto facilmente. «Il Dottore che avete conosciuto a scuola esiste ancora, da qualche parte dell'universo. Una parte di lui è ancora con me, ecco perché vi riconosco: non ricordo tutti i volti che incontro, ma voi avete lasciato un'impronta che non se ne andrà mai.»
Catherine rimase a bocca aperta per lo shock. «C'è la possibilità di rivederti in quelle vesti?»
«Sì, assolutamente!» La donna si voltò per sorridere alla più piccola. «Me lo ricordo benissimo, quel giorno. Proprio quando stavo perdendo le speranze... ecco che siete apparse voi!»
«Quale giorno?» chiese Silvia rilassando ora le braccia indolenzite.
«Il giorno in cui...» Cominciò a dire, ma s'interruppe e parve ripensarci. «No, meglio di no.»
Catherine, prima seduta sul suo letto, s'alzò di scatto. «No! Vogliamo sapere!»
«No, credimi» le rispose calma. «Quando siete arrivate, mi avete raccontato tutto sul tempo che abbiamo trascorso ora e che trascorreremo fino al nuovo addio.»
«Quindi...» Catherine assottigliò gli occhi a fessure. «Tu ora non ce lo dici perché noi nel nostro futuro e nel tuo passato ti abbiamo detto che nel nostro passato nonché presente e nel tuo futuro non ci avevi detto nulla?»
Silvia avrebbe voluto tirare una testata al muro. La donna che diceva di essere il Dottore, tuttavia, sorrideva fiera e rispose: «Esatto!»
Ora Catherine non appariva più nè turbata nè confusa: aveva capito esattamente cosa fare una volta che avrebbero rivisto il loro Dottore. Il dove e il quando, con esattezza, ancora non lo sapeva, ma almeno erano un passo avanti, o no?
«Quindi ora che si fa?» Silvia si avvicinò piano piano alle altre due, cominciava a fidarsi. Dopotutto quella donna sapeva troppe cose per non essere il Dottore.
«Prendete le vostre cose, quelle essenziali, e poi tutti dentro al TARDIS!»
«A tutta birra?»
Il Dottore guardò Catherine di sottecchi. «Mhm» disse con una smorfia. «Troppo comune, ci vuole più fantasia!»


Era nuova. Aveva una nuova faccia. Una nuova voce. Nuovi modi di fare e di parlare. Non c'era da fare altro se non rassegnarsi e andare avanti. Silvia prese atto delle informazioni e mandò giù il boccone. Sebbene ritenesse il Dottore una creatura non terrestre altamente pericolosa – nonostante le numerose volte in cui salvò, salva e salverà la Terra –, era affezionata a quel ragazzo col papillon le cui mani si contorcevano continuamente nel vano tentativo di seguire i suoi pensieri. E ora quel ragazzo non c'era più. O così aveva capito.
«Da quel che ricordo» stava dicendo il Dottore aprendo le porte del TARDIS per le due cacciatrici, «mi avete detto che dovete andare a Latina, in Italia, giusto?»
«Quando te l'avremmo detto, scusa?»
Il Dottore si fermò un attimo con le mani sulla consolle. «È tutto molto complicato quando le linee temporali non coincidono» disse tra sé e sé. Poi, a voce più alta ma senza urlare: «Me lo direte! Anzi, dovrete dirmi tutto su questo giorno cosicché il futuro me possa ripetere le mie stesse azioni!»
Catherine e Silvia annuirono felici e, prima che potessero aggrapparsi da qualche parte per assicurarsi un minimo di stabilità, il TARDIS partì e lasciò il parcheggio incustodito di fronte al Motel Penna.
Dopo un attimo di trambusto, Catherine fu la prima a rialzarsi, seguita da Silvia ed il Dottore. «Wow, ma sono sempre così impacciata con la guida?» chiese quest'ultima.
Silvia si pettinò i ricci con le mani e la guardò torva. «Almeno l'altro Dottore avvertiva prima di partire» disse, poi le scappò un sorriso.
Uscirono dal TARDIS che sembravano una più disperata dell'altra: quella con i capelli più in ordine era Catherine poiché li aveva lunghi mezza spanna. Col sole dritto in faccia, poi, era ancora peggio. Ovviamente nessuno le notò così come nessuno notò l'astronave atterrare. Attorno a loro solo palazzine, auto e nogozi.
«Sicura che siamo a Latina?» chiese Catherine.
«Già» osservò Silvia guardando il panorama rumoroso. «Mi sembra simile alla nostra Milano.»
«Per di qua» fece dunque il Dottore. Prese entrambe le ragazze, un braccio ciascuna, e se le tirò dietro. Attraversò con loro la strada, come una madre con le due figlie. Sapeva esattamente cosa fare: doveva portarle al Crepuscolo il più veloce possibile.
Attraversarono ancora una volta, fino a lasciarsi alle spalle ettari di smog e chiacchiere e, dopo un lungo camminare in rettilineo, ecco che il Dottore le fece svoltare a destra, entro una viuzza buia e isolata dal mondo. Pareva di esser entrati in un altro mondo. Non l'avevano nemmeno notata all'inizio!
L'aliena lasciò le braccia delle due cacciatrici e scrutò il cielo. «Siamo in anticipo. Il sole è ancora troppo alto.»
Silvia e Catherine si guardarono preoccupate. «E quindi?» chiesero all'unisono.
«Come si chiama il negozio?» replicò il Dottore.
«Crepuscolo
Il Dottore continuò a guardare in alto, le nuvole pigre che pascolavano nel loro azzurro prato. «Vi siete risposte da sole!»
Catherine intuì che avrebbe avuto un po' di tempo per rimettere in ordine le idee. Theck aveva detto loro di recarsi da Amnesha e così stavano facendo. Ma se questa Amnesha non avesse voluto aiutarle? O se, peggio ancora, il sogno che aveva fatto la notte precedente si fosse rivelato solo un semplice sogno e Amnesha non fosse stata lì ad aspettarle ma da tutt'altra parte, per nulla vogliosa di aiutarle? Il panico cominciò a mangiarla dentro, ma stette zitta. Come sempre.
Silvia, d'altro canto, appariva più spensierata: guardava le mura di quella via. Costruita con mattoni e pietre centinaia di anni fa, risultava assolutamente fuori luogo. Ogni tanto, dalle crepe spuntava qualche felce selvatica o margherita dai lunghi e sottili petali bianchi. Le mura erano alte e prive di finestre o portoni: serviva solo a separare, così aveva pensato Silvia, due altissimi e antichi palazzi. A stento ci sarebbero passate quattro persone l'una di fianco all'altra, eppure nessuna delle presenti avvertiva il classico senso di claustrofobia che avrebbe generato una qualsiasi via come quella.
E fu proprio mentre Silvia tentò di scacciare col piede un orrido scarafaggio che il Dottore corse dalle due ragazze e disse loro: «È ora! Guardate il cielo!»
Catherine e Silvia spostarono i loro occhi da quelli dell'aliena fino a sopra, al cielo. Esso stava cambiando colori e, dal turchese intenso, stava raggiungendo tonalità calde e fredde che si mescolavano tra di loro come pigmenti sulla tavolozza di un pittore distratto. Il sole camminò ancora un poco tra le nuvole che sembravano tirate con una spatola ed ecco che presero il sopravvento l'arancio, il corallo e, striscianti qua e là, anche un pizzico di lilla, violetto e lavanda.
«Mio Dio» disse Silvia in un lieve sussurro, rimanendo a bocca aperta. Non aveva mai assistito ad un tramonto così spettacolare. A dire il vero, non aveva mai assistito a nessun tramonto. Solo qualche sguardo fugace tra gli alberi dal finestrino dell'auto in corsa. Fece di tutto per trattenere una lacrima e il miglior modo fu guardare altrove. Si lasciò dunque Catherine alle spalle, la quale ammirava quello spettacolo mozzafiato in silenzio, con un semplice sorriso stampato in viso. Tuttavia, la lacrima di Silvia scese comunque dinnanzi a ciò che le si presentò davanti quando i raggi del sole del crepuscolo colpirono la prima pietra di quella silenziosa via. «Mio Dio!» esclamò ora.
Alle parole di Silvia, si voltarono anche Catherine ed il Dottore. Per quanto riguarda quest'ultima, le era stato già tutto riferito dalle due cacciatrici, ma vederlo di persona era una cosa del tutto differente. Catherine, ovviamente, ne rimase così affascinata che assistette alla magia del tramonto semplicemente a bocca aperta. Ed il motivo era semplicemente magico.
Dalla prima pietra in poi, si era propagata una scia che aveva cambiato, man mano che essa camminava e si allargava, l'aspetto delle pareti. Dapprima umide e spoglie, erano ora gioiose e vive. Vive del chiacchiericcìo proveniente da tutto attorno a loro. La scia toccò il suolo e questi si allargò, dando l'impressione che la pavimentazione fosse più ampia e i tre viaggiatori videro nettamente persone e negozi e bancarelle tutti lì, ammassati, urlanti, colorati e spensierati.
«Mele candite!» si udì da una parte.
«Filtri d'amore!» urlarono dall'altra.
Ma, in fondo alla via, c'era qualcosa che attirò l'attenzione di Catherine. Oltre la massa di gente vestita chi di stracci chi di velluto e sete, vi era l'insegna più umile che la ragazza avesse mai visto. Lo sfondo color panna era ormai così lurido da apparire marrore da tutta la ruggine che vi era cresciuta sopra, tuttavia si leggeva ancora il nome del locale: Nero Di Seppia, dal 1894. L'unica vetrina che l'esercizio commerciale offriva a chi vi passava davanti era ricoperta da più di un secolo di polvere e grasso delle mani dei bimbi curiosi.
Silvia notò che l'amica era attratta da quel negozio anche se non ne capiva il motivo: non aveva mai visto un negozio più maltenuto. «Sis!» la chiamò, ma Catherine non le dava ascolto. Volle chiamarla una seconda volta, ma venne interrotta dall'arrivo di una ragazza che le dava le spalle e il cui abbigliamento, la capigliatura ed il make up facevano proprio pensare allo stile dark gotico.
«Catherine Sarah Girado?»
Catherine si scosse e si voltò. «S-sì?»
«Non andare. È lo stregone più truffaldino del quartiere Crepuscolo.»
Catherine, Silvia e il Dottore guardavano la ragazza gotica con tanto d'occhi, ma lei non ricambiava. «E tu devi essere Silvia Morelli» disse guardando i capelli della diretta interessata, ma mai gli occhi.
«Sì, ma tu come fai a sapere-?»
La ragazza la interruppe bruscamente con il gesto d'una mano bianca e dalle lunghe dita sottili, smaltate di un bordeaux tremendamente scuro. «E lei è il Dottore, quindi.»
Il Dottore rimase in silenzio, indispettita. Non le piaceva, dopotutto, che la sua fama la precedesse così tanto.
«Venite» disse la ragazza sorridendo per la prima volta in quella sera. «Amnesha vi sta aspettando.»

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*https://www.youtube.com/watch?v=mAsf8RUeE5U (tasto destro del mouse, apri in un'altra finestra)

   
 
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