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Autore: NPC_Stories    12/03/2019    5 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Teatime


Daren si presentò alla Casa degli Scapoli il giorno dopo, fingendo di essere appena arrivato in città. Il mattino era sempre il momento più tranquillo della giornata, c'erano pochi clienti nel pub. Era anche il momento della giornata in cui Amaryll aveva del tempo libero. Il suo turno era sempre pomeridiano e serale, ma era facile trovarla al pub anche di mattina perché viveva lì. Se non era sul posto, quantomeno i suoi colleghi gnomi avrebbero saputo indicargli dove fosse.
Lei però era al pub, e nella situazione più strana che Daren potesse immaginare. Aveva requisito il più grande tavolo tondo del locale, abbastanza ampio per ospitare sei o sette avventori, e l'aveva riempito di teiere, tazzine, biscotti e torte. C'erano altre quattro elfe con lei e a quanto pare stavano facendo una colazione degna della più graziosa sala da tè di… di una città elfica più grande e più raffinata di Myth Dyraalis, di sicuro.
La cosa doveva essere in onore di lady Aphedriel, che stava calamitando l'attenzione di tutte, al tavolo. La maga sembrava a suo agio e stava conversando sottovoce con le altre ragazze. Alla sua sinistra era seduta lady Freya, che le stringeva una mano sotto al tavolo. Accanto a lei c'era Amaryll. Alla destra di Aphedriel sedeva una vecchia conoscenza di Daren, l'arciera Pilindiel, e fra lei e Amaryll c'era una ragazza che somigliava a Pilindiel come un clone riuscito male.
Amaryll lo vide entrare e gli fece un cenno di saluto. Daren rispose con un sorriso incerto e si avvicinò al tavolo affollato.
“Buongiorno, signore. Amyl, non immaginavo che avessi ospiti.”
“Oh, Daren, sapessi che novità! Lady Aphedriel ieri sera è entrata nel pub. Riesci a crederci? In un comunissimo pub! Ha detto che stava cercando di vincere la sua naturale timidezza ma il luogo era così affollato che sarebbe stato come lanciarsi in un lago ghiacciato per superare la paura del freddo, quindi le ho consigliato di tornare stamattina perché ci sarebbe stata meno gente. Abbiamo deciso di organizzare una colazione con solo poche amiche in modo da cominciare a farle conoscere qualcuno, un po’ per volta. In città sono tutti curiosi di conoscerla, ma è meglio iniziare da persone fidate e discrete, non credi?”
Amaryll era così emozionata che aveva parlato tutto d'un fiato e si era anche riferita a lady Aphedriel come se non fosse presente, ma la maga non sembrava esserne risentita. Anzi, sorrideva come se la palese venerazione della ragazza le facesse piacere.
“Uh… sì? Mi sembra una buona idea.”
“Non sembri molto entusiasta” il sorriso di Amyl vacillò, sentendo che il suo slancio non era corrisposto.
“No, no, sono molto contento che tu sia contenta. Io non ci capisco molto di queste cose, quindi non so bene cosa dire.”
Lady Aphedriel fu abbastanza accorta da non sorridere apertamente, ma incrociò lo sguardo di Daren e lui capì che era molto divertita dalle sue menzogne. Il drow stava indossando i panni del guerriero non interessato ai rapporti sociali fra donne, anche a rischio di esasperare la sua ragazza, e questo doveva essere esilarante agli occhi di qualcuno che conosceva la verità.
Amaryll abbassò lo sguardo, con aria un po’ abbattuta.
“Sì, posso immaginare cosa stai pensando. Che tutto questo sia una frivolezza, uno stupido passatempo da donnette.”
“Cosa? No!” Daren spalancò gli occhi e si avvicinò alla sua sedia. Si spinse perfino a metterle una mano sulla spalla. “Amyl, io e te siamo diversi e conduciamo vite diverse. Tutto il tuo mondo è qui, è normale che cose come il prestigio e le amicizie siano importanti per te. Non ti sto giudicando, ti ammiro perché sei perfettamente integrata nel tuo tessuto sociale. Ma io no. Non mi sento coinvolto nel balletto politico di questa città perché non faccio parte della città, passo quasi tutto il mio tempo fuori. Giudico importanti delle cose che a te non direbbero nulla.”
L'elfa ammorbidì il suo cipiglio e poggiò una mano su quella di Daren, stringendola leggermente. In questo modo si accorse che portava ancora i guanti che indossava sempre prima di uscire dalla città, e che lei credeva gli servissero a maneggiare le armi con più sicurezza. Questo le fece capire che doveva essere appena arrivato, a quell’ora assurda, probabilmente aveva viaggiato di notte… non come qualcuno che vive in città, ma come qualcuno che è lontano dai ritmi della vita normale.
In realtà il drow era arrivato il giorno prima per parlare con lady Aphedriel, però prima che la mattina scollinasse nel pomeriggio era nuovamente uscito dalla città perché non voleva farsi vedere dalla locandiera, e aveva passato il resto della giornata e tutta la notte a pattugliare la zona intorno a Myth Dyraalis, da solo.
Non sarebbe riuscito a dormire comunque; l’incontro con gli spettri dei nani l’aveva lasciato debole e un po’ sconvolto. Le creature non morte portavano chiaramente impresso il marchio di una morte violenta e terribile, forse più innaturale di una onesta morte in battaglia. Qualunque cosa avesse ucciso quei nani, aveva impedito loro di trovare la pace, e ciò che restava delle loro anime era solo un tormentato guscio vuoto.
Per Daren questa cosa era disturbante a diversi livelli. Lui stesso in passato era morto, ma non aveva mai perso la propria identità in quel modo. Neppure quando gli sembrava di impazzire aveva mai perso se stesso fino a non riconoscere più la propria anima.
In quanto drow era abituato a considerare le torture del corpo come qualcosa che faceva parte della vita, qualcosa che poteva accadere, se una persona era sfortunata. Di solito però la sfortuna terminava con la morte. Era comune decenza, perfino fra i drow come lo era stato lui. Solo le sacerdotesse, che rappresentavano il picco della malvagità del suo popolo, avevano il potere e la volontà di condannare anche un’anima al tormento eterno. Proprio quel senso devastante di eternità aveva tormentato i suoi pensieri negli ultimi due giorni, togliendogli il sonno.
Il tocco degli spettri, la stanchezza per la mancanza di sonno e il turbamento emotivo stavano avendo un effetto deleterio sui suoi nervi e sui suoi riflessi. Temeva che se si fosse tolto i guanti, Amaryll si sarebbe accorta che le sue mani erano fredde e rigide, prive della solita grazia. Daren non era tipo da condividere facilmente i suoi pensieri e le sue preoccupazioni, specialmente perché la cosa sembrava mettere a disagio Amaryll. Davanti alle elfe avrebbe continuato a fingere che non ci fosse nulla fuori dall’ordinario.
“Ho dovuto tratteneremi in pattuglia più a lungo del solito” mentì “e non posso usufruire della solita licenza. Sono passato a trovarti, ma entro stasera dovrò ripartire.”
“Oh” Amaryll strinse un po’ più forte la sua mano. “Devi proprio?”
“Se voglio essere utile alla foresta, devo fare come mi dicono. Per fortuna venivo da ovest e devo recarmi a est, così ho potuto fare una piccola deviazione e passare a salutarti. Ma Johel e altri sono già lì e dovrei raggiungerli.” Almeno quello era vero, anche se non le stava dicendo che aveva usato i suoi due giorni di libertà per quella piccola missione personale.
“Capisco…” l’elfa accettò la sua giustificazione, ma non ne era felice. “Va bene, il mio turno inizia solo dopo pranzo, ho un po’ di tempo e potremmo… stare insieme, fare qualcosa.”
“Certo. Quello che vuoi.” Il drow strinse ancora un momento la sua spalla e poi si congedò dal gruppetto.
Amaryll lo seguì con lo sguardo mentre andava a parlare con il giovane Tippet, l’oste gnomo che formalmente possedeva il pub. L’elfa non capì di cosa stessero parlando ma ad un certo punto il piccoletto guardò verso di lei come per chiederle conferma, e la ragazza annuì per rassicurarlo. Breildrend Orpip Dimble Tippet dei Tippet del Bosco, questo era il suo nome completo, non riusciva a fare un passo senza l’approvazione di Amaryll. Aveva ereditato la locanda dal suo vecchio padre solo un paio di anni prima, quindi l’elfa per lui era la “collega anziana”, anche se era una sua dipendente. Era divertente dover approvare tutte le decisioni del suo capo. Non sapeva cosa Daren gli avesse chiesto, ma lei si fidava del fatto che non fosse nulla di male.
Decise di lasciar perdere la questione e di dedicarsi alla sua tazza di tè e alle sue amiche, vecchie e nuove.

Per un po’ lasciò che fosse lady Freya a condurre la conversazione. Le riusciva naturale, era una ragazza frizzante e dall’entusiasmo coinvolgente. Di norma Amyl l’avrebbe ascoltata con aria rapita cercando di capire come diventare simile a lei, ma adesso rimase sulle sue, ignorando i flussi e riflussi del cicaleccio.
“Amyl? Amaryll?!” La sua storica migliore amica, Kalifein, le toccò discretamente una mano. La locandiera si riscosse dai suoi pensieri, accorgendosi solo allora che si era isolata.
“Oh… pe-perdonatemi, la mia mente vagava” balbettò, all’indirizzo di tutte le altre.
“Pensavi al tuo bel drow?” la incalzò Kalifein con un sorriso sghembo.
“No!” sbottò Amyl, forse con troppa fretta. “Cioè, sì, ma non è il mio drow. Non è il mio niente.”
“Ah no? È un niente che fa una deviazione solo per passare qualche ora con te.”
“Che sciocca che sei, Kali” sbuffò Amaryll. “Non è qui solo per me, è anche più comodo riposare in città anziché campeggiare nella foresta.”
“Riposare? È per questo che lo hai lasciato andare via da solo, perché potesse riposare?” intervenne Pilindiel, dando man forte a sua sorella Kalifein.
“Be’... che… ragazze, che avrei dovuto fare?” domandò, spostando lo sguardo sulle quattro elfe e cercando risposte nei loro occhi.
“Dovresti andargli dietro” suggerì Pilindiel.
“Tanto qui non è che sei molto di compagnia, se la tua mente è altrove” notò Kalifein, con il solito acume malizioso.
“Sono d’accordo con le tue amiche” intervenne pacatamente la maga. “Apprezzo molto quello che hai organizzato per farmi sentire la benvenuta qui, ma noi saremo in città anche domani, mentre lui ripartirà prima di sera. Ed è un guerriero; so che ha la fama di essere molto capace, ma questa foresta non è priva di pericoli, non dovresti dare così per scontato che ritornerà sempre.” Le consigliò, con il pragmatismo e il tatto tipico degli accademici.
Non dare per scontato che tornerà, se continua a mettersi in situazioni pericolose senza dire a nessuno dove si reca. Pensò, ma non poteva certo dirlo ad Amaryll.
La locandiera sbiancò di colpo. Era qualcosa che non aveva mai, mai considerato. Ai suoi occhi Daren era solo… Daren. Troppo testardo per non tornare.
“Coglierò il vostro suggerimento” riuscì a rispondere chissà come, visto come le tremava la voce. Si alzò, rivolse un mezzo inchino alle sue ospiti, poi si diresse con malcelata fretta verso il bancone dello gnomo.

Nello stesso momento, Daren si immerse fino al mento nella vasca di acqua riscaldata magicamente. Come previsto la stanza era vuota, la gente di solito ne prenotava l’utilizzo di sera o di notte.
L’acqua era più calda di quanto lo gnomo avesse raccomandato, ma al drow non importava. Erano giorni che conviveva con i brividi di freddo, un freddo che sembrava venire da dentro.
Uno degli spettri dei nani l’aveva attraversato, lasciandogli addosso una sensazione di morte. Non era stato niente di grave, niente che avesse effetti collaterali a lungo termine, ma gli aveva ricordato una disavventura di molto tempo prima.
La caverna degli spettri dei nani si trovava nel territorio controllato dai drow seguaci di Vhaeraun, gli stessi che aveva diligentemente spiato per alcuni anni, circa sette decenni prima. Erano stati proprio loro a mostrargli l’ubicazione di quel luogo maledetto ma così pieno di risorse. Ogni tanto, un mago o un sacerdote faceva richiesta di recarsi nell’area per recuperare una Rinovdr’olva, oppure qualche altro materiale che s’impregnava facilmente di energia negativa. Talvolta i drow lasciavano di proposito degli oggetti in quel luogo, solo per recuperarli qualche decennio dopo. Se la richiesta veniva accolta, si organizzava una spedizione coinvolgendo i migliori guerrieri e qualche chierico, visto che non era semplice tenere a bada quegli spettri.
Ogni tanto qualcuno moriva. A volte venivano perfino portati dei prigionieri, seguaci di Lolth oppure schiavi di razze inferiori, e venivano gettati in pasto agli spettri affamati di vita mentre i drow si dedicavano alla loro missione di recupero. Daren aveva preso parte a una di quelle spedizioni, come guerriero. Il suo scopo era principalmente quello di proteggere persone più importanti di lui durante il viaggio per arrivare alla grotta, ma poi arrivati in loco era richiesto che tutti dessero il loro contributo. Un mago aveva incantato le sue armi (per infiltrarsi nelle cittadelle drow aveva dovuto abbandonare le sue armi sacre e munirsi di due spade corte di fattura umana), ma anche quella era soltanto una pezza. Daren si era sentito nudo e indifeso senza la sua splendida spada bastarda, incantata per uccidere le creature malvagie e colpire anche gli incorporei.
Però non era stato lui a morire quel giorno. Un altro guerriero drow che faceva la guardia come lui, uno di cui non si era mai curato di imparare il nome, era stato scelto dagli spettri per chissà quale ragione. Forse era solo il più vicino a loro. Lo avevano attaccato, lui si era difeso, alcuni compagni erano intervenuti per aiutarlo… ma alla fine era diventato chiaro che ce l’avevano con lui e che stava per morire. Con crudo pragmatismo, uno dei chierici l’aveva assassinato con un incantesimo, poi era arrivato il segnale della ritirata.
Daren credeva di sapere come mai il sacerdote l’avesse fatto; chi viene ucciso da uno spettro diventa uno spettro. Uccidendolo prima lui, invece, aveva fatto in modo che la sua anima fosse libera di raggiungere il loro dio. Eppure Daren era convinto che il chierico avrebbe almeno dovuto provare a salvarlo. Certo, il pensiero stesso era ridicolo; non è così che agiscono i drow.
Io sono forse diverso? si rimproverò, immergendosi nell’acqua fino agli occhi. Non ho forse preso decisioni altrettanto spietate?
L’esistenza stessa di quella grotta era il fulcro dei suoi ripensamenti. Tutte quelle anime intrappolate gli muovevano pietà, anche se non era un grande amico dei nani. Una parte di lui avrebbe voluto fare qualcosa per liberarli dalla loro pena.
Da solo non sono in grado di fare molto. L’altro giorno ne ho distrutto uno, ed è un’anima fra centinaia che è andata in pace. Questa è una buona cosa, ma so che non posso rifarlo.
L’ho deciso decenni fa. Quando non ho rivelato l'esistenza della caverna a quella nana che si era infiltrata fra i drow. Se c’era qualcuno a cui dirlo, era lei. Quelli sono i suoi antenati, penso.
Ma i nani sarebbero così folli da attaccare i drow per liberare delle anime di guerrieri già morti? E se anche lo facessero, quante perdite ci sarebbero? Inoltre i drow scoprirebbero che qualcuno gliel’ha detto. Potrebbero risalire a me, alla mia missione, e allora saprebbero che gli elfi sono coscienti della loro presenza e preparati in caso di attacco.
Inoltre, ci sono le Rinovdr’olvan. I drow ne hanno già collezionate un po’, ed esse rendono i loro insediamenti impossibili da divinare. Non posso ignorare l’utilità che potrebbero avere per gli elfi se riuscissi a rubarne delle altre. Se poi le anime dei nani venissero liberate, le piante morirebbero in poco tempo, e una preziosa merce di scambio di quei drow verrebbe meno. Che altro hanno da commerciare, a parte normali beni di consumo, armi e incantesimi? Anche i duergar hanno armi e incantesimi, non hanno bisogno di fare affari con i drow per queste cose. Senza il commercio quelle piccole comunità s’impoverirebbero, diventando un facile boccone per la città sotterranea di Guallidurth, che poi alzerebbe gli occhi sulla foresta di Sarenestar.
Non voglio rischiare un esercito di sacerdotesse di Lolth sotto Sarenestar. I seguaci di Vhaeraun sono abbastanza gestibili, perlopiù stanno nel loro, invece Guallidurth parte da una posizione di stabilità e non avrebbe ragione di agire con cautela.
Tuttavia, quanto sono personali le mie ragioni? Se quegli spettri fossero il
mio popolo, so che vorrei dargli la pace.
In quel momento la serratura scattò e la porta si aprì di una spanna. Daren non si allarmò, sapeva che l’unica altra chiave ce l’aveva Amaryll.
Non pensava che lei sarebbe arrivata così presto, ma quando la sua testolina rossa fece capolino dalla porta, lui sorrise istintivamente. La sua presenza in qualche modo riusciva ad allontanare i pensieri bui.
La ragazza sorrise come una bambina che sta per fare qualcosa di proibito, entrò e si chiuse la porta alle spalle. Il drow decise di concentrarsi su quel sorriso. Quello sguardo birichino era qualcosa per cui lottare. La vitalità di quella giovane elfa, la sua temporanea esistenza su questa terra, era così preziosa da non poterlo esprimere a parole.
Era questo che gli dava la forza, dopotutto. Era personale. La sua decisione. Era utilitaria e spietata e terribilmente personale. Voleva che Amaryll e la sua gente fossero al sicuro. Non soltanto perché erano elfi, ma perché erano vivi. L’idea di quegli spettri imprigionati in un’eternità di tormento era annichilente, ma era ancora peggio la prospettiva di condannare delle persone viventi, persone che avevano così tanto da perdere.
Daren era stato un fantasma, per un certo periodo. Ricordava abbastanza che cosa si provasse; era come far parte del mondo eppure non farne parte. I giorni si confondevano in una nebbia grigia di emozioni ovattate, o peggio, ossessive. Quell’esperienza gli aveva lasciato addosso una certezza incrollabile: non importava quanto potesse essere triste il destino dei morti, il mondo apparteneva ai vivi prima di tutto.
Rimase in silenzio a guardare Amaryll, mentre si spogliava dei vestiti eleganti che aveva indossato per colazione e poi si calava nell’acqua accanto a lui.
“Ah! Diamine, quanto è calda!” Borbottò.
“Troppo calda?”
“No, insomma… è tollerabile.” Rispose con una certa prudenza, agitandosi nell’acqua.
Daren si scoprì nuovamente a trovarla adorabile, per come metteva da parte i piccoli disagi per stare con lui. Non era un comportamento che si sarebbe aspettato da una femmina, e questo rafforzava i suoi sentimenti. La tenerezza che provava per lei lo aiutava a sopportare anche le decisioni più crude.
“Grazie per essere qui, Amyl” buttò lì, prima di riuscire a mettere in ordine le idee.
La ragazza piegò le labbra in un mezzo sorriso perplesso.
“Uh… prego? Lo sai che oggi sei più strano del solito?”
“Non esagerare, sono strano sempre.” Scherzò.
Amyl sorrise, ma non lasciò che la sua battuta rompesse la serietà del momento. Nonostante il piacere di essere insieme, ognuno dei due covava pensieri impegnativi, ed entrambi l'avevano intuito.
“So che stai pensando a qualcosa” esordì la ragazza. “Fai sempre quella faccia quando rimugini troppo sulle cose. Perché non condividi i tuoi fardelli con me?”
Il drow le passò un braccio intorno alla vita, un gesto spontaneo e familiare, ma il suo sguardo rimase in qualche modo distante.
“Non condivido certi pensieri con nessuno. Né con un’amante, né con il mio migliore amico. Nemmeno con la mia famiglia.”
“E ti sembra sano?” Lo redarguì lei.
“Dal tuo tono immagino che dovrei dire di no” ipotizzò lui “ma la verità è che non so fare diversamente. Se qualcosa pesa sulle mie spalle e lo condivido con qualcuno, posso ottenere solo due risultati. O quella persona è d'accordo con le mie decisioni, in quel caso la graverei di un inutile peso, oppure non lo è, e questo renderebbe ancora più penosa la mia situazione.”
Amaryll si appoggiò a lui, e il contatto con la sua pelle nuda riuscì in qualche modo ad ancorarlo al presente.
“Non so cosa ti passi per la testa, e tu non me lo dirai” sospirò lei “però sono convinta che passi troppo tempo da solo, nella foresta. Anche quando sei di pattuglia con gli altri, non è che abbiate modo di parlare, giusto? Quindi stai sempre solo con i tuoi pensieri, e lo sanno anche gli dèi che tu pensi troppo. Prima hai detto che non ti senti parte di questa città perché ci passi poco tempo. Bene, io stavo riflettendo su…” prima di continuare, gli poggiò una mano sulla guancia e lo costrinse a guardarla negli occhi “Daren, ti dico queste cose, ma per me non è affatto facile. Mi sento una stupida che si sta esponendo troppo, ma voglio che tu sappia che non ti sto chiedendo nulla. Non voglio che tu faccia cose per cui non sei pronto, o che non vuoi fare. Non ne ho la necessità, non ho alcuna fretta, voglio solo darti un consiglio.”
Lui annuì, perché era chiaro che l'elfa aveva bisogno di essere rassicurata.
“Stavo pensando” riprese lei “che potresti venire a vivere in città. Non tutto il tempo, ma… con un po’ più di costanza. Ci sono ranger che hanno famiglia e che passano parte del loro tempo nella foresta e parte a fare la guardia in città o nel loro villaggio. Tu invece vieni a stare qui solo per due giorni ogni due settimane. Non deve essere per forza così.”
“Amyl…” cominciò il drow, sentendosi la lingua impastata, come se avesse in bocca della melassa. Questo era un discorso pericoloso per lui, perché nonostante tutte le sue rassicurazioni, era chiaro che la ragazza desiderava portare la loro relazione ad un gradino superiore.
Lei attese per qualche secondo che lui continuasse, ma il guerriero sembrava non trovare le parole.
“Ho capito, scusami” sospirò lei infine “ti ho fatto troppe pressioni, non intendevo metterti a disagio”.
“Non è…” balbettò lui. “Lascia che ti spieghi. Ti prego di non offenderti, perché non so in che altro modo spiegarlo. Fare la guardia in città è una passeggiata rispetto a pattugliare il bosco. Ho rispetto per le guardie di Myth Dyraalis, anche perché spesso sono le stesse persone che esplorano la foresta in altri periodi, ma questo lavoro non fa per me.”
“Certo, ma pensi che non sia lo stesso per tutti? Fare un turno di guardia in città, che di solito è di due settimane ogni tre mesi, è praticamente solo una scusa per stare con i propri cari facendo finta di svolgere un lavoro vero.” Ammise lei.
“È per questo che ti chiedo di non offenderti.” Rispose lui, con quella sua orribile sincerità che veniva fuori solo quando doveva fare un discorso molto serio. “Tu sei carina e io adoro passare il tempo libero con te, ma per me avere delle responsabilità è uno stile di vita. In ogni momento di ozio mi sento un impostore. Se non mi rendo utile, io sono… inutile. Di troppo. Una persona impossibile da approvare o sopportare. Amyl, credimi, non è facile per me esprimere questa percezione, ma è così che penso a me stesso.” Si giustificò. “Vivo nella convinzione che nemmeno tu mi vorresti intorno, se non fossi… utile.”
“Ma…” l'elfa rimase senza parole “è la più grossa sciocchezza che abbia mai sentito! Daren, sono una locandiera. Non so difendermi da sola. Un gatto molto incazzato potrebbe uccidermi. Per questo vivo in città, da sempre. Questo è il luogo più protetto di Sarenestar, lo era prima che tu arrivassi e lo sarà ancora dopo che entrambi saremo morti. Non ho bisogno di una guardia, non mi serve che tu mi faccia sentire al sicuro, sono solo felice di stare in tua compagnia.”
“Perché?” Domandò, sinceramente stupito. “La mia abilità con le armi è il mio unico vero pregio!”
“Sei anche intelligente.”
“È sempre intelligenza bellica.”
“Le capacità possono essere trasferite anche ad altri ambiti. Prima di dire che non sei adatto a una vita normale, ci hai mai almeno provato? Ti sei mai messo in gioco, oppure l’idea di essere una persona comune con delle normali relazioni sociali ti è davvero così odiosa?”
“Non… sai che non me lo sono mai chiesto? Odiosa, non penso. Però difficile. Un cambiamento radicale è faticoso, e finora non mi era mai stato chiesto, nemmeno dai miei amici.”
Amaryll raggelò, nonostante l’acqua calda. Gli stava chiedendo più di quanto chiunque gli avesse mai chiesto prima? Gli stava praticamente consigliando di cambiare vita per lei? E se lui avesse deciso che non ne valeva la pena?
“Non voglio chiederti questo, se non è nelle tue corde. So benissimo che noi non stiamo davvero insieme, anche se tu mi piaci molto. Non ho un ruolo nella tua vita e non lo pretendo.”
Daren sospirò, incerto di come rispondere per non allontanarla, ma allo stesso tempo non voleva darle false speranze.
“Amyl, non è una questione di ruoli, o di cosa tu abbia o non abbia il diritto di chiedermi. È vero che questo è il motivo per cui rifuggo le relazioni stabili; non voglio che qualcuno possa dirmi cosa fare, soprattutto facendo leva sui miei sentimenti. Però qui il… problema… è più profondo. Non so se sarei in grado di cambiare il mio stile di vita, nemmeno se si trattasse di due settimane ogni tre mesi. È il principio. Una vita più sedentaria è l’anticamera di una relazione stabile, e anche se tu mi piaci molto, l’idea mi mette a disagio. Non sono certo di essere la persona giusta per te, non sono certo di voler vivere per sempre qui. Ho comunque dei doveri fuori da questa foresta, non posso farti promesse a lungo termine e poi sparire.”
Amyl si sentì un po’ abbattuta per questo discorso, ma non era andata male come temeva. Ad un certo punto aveva avuto paura che lui stesse per tirarsi indietro del tutto, invece era stato capace di un discorso serio e lucido in cui le aveva spiegato chiaramente i suoi limiti e i paletti che aveva stabilito.
“Va bene, non mi offendo. Mi fa piacere che abbiamo avuto modo di parlarne. So che a volte vai via dalla foresta anche per mesi o anni, non stavo suggerendo che tu vivessi qui in modo stabile. Era solo un’idea: passare due settimane in città ogni tre mesi poteva essere un modo per avvicinarti gradualmente alla vita normale di noi elfi. Ti assicuro che non l'ho proposto pensando a noi come a una coppia.”
Lui si rilassò, accorgendosi solo in quel momento che era rimasto in tensione per tutto il tempo. Amyl passò una mano fra i suoi capelli bagnati, giocando con le ciocche candide.
“Se stasera riparti, sarà meglio utilizzare bene il nostro tempo.” Propose la ragazza, con un sorriso accattivante.
Daren sapeva che Amaryll gli aveva appena chiesto di fare l'amore. Non era partito con l'idea di fare quello, o meglio, sapeva che lei prima o poi l'avrebbe suggerito ma pensava che sarebbe stata impegnata con le sue amiche almeno per un'altra ora o giù di lì. In quel momento avrebbe preferito restare immerso nell'acqua per riprendersi dalle fatiche dei giorni precedenti, lasciando che il calore rilassasse i suoi muscoli e che quell’ambiente protetto lo aiutasse a calmare i nervi.
Era stato contento di vedere la ragazza così presto ma non aveva previsto di dover sostenere quella conversazione con lei; era certo di non aver dato il meglio di sé a livello dialettico, e come se non bastasse non si sentiva molto in forma neanche dal punto di vista fisico. Daren però non era abituato a dire di no a una donna. Amaryll non aveva usato un tono autoritario, non lo faceva mai, per questo lui trovava intollerabile l'idea di deluderla.
Lei mi piace, si disse, per farsi animo. Se ora non sono pronto, lo sarò in poco tempo.
Dopotutto sapeva bene come occuparsi di lei mentre aspettava di entrare nel giusto stato d'animo.

Amaryll non sembrava avere alcuna fretta. Per molto tempo si accontentò di baciarlo e stare abbracciata a lui, lì nella vasca. Soltanto quando l'acqua cominciò a diventare tiepida uscirono per spostarsi nella stanza dell'elfa.
“Soddisfatto? Adesso abbiamo i polpastrelli raggrinziti come uva passa!” Scherzò lei. “Anche se sarà interessante sentire l'effetto di queste piccole pieghe ogni volta che le tue dita mi toccheranno” ridacchiò, studiando le mani di Daren con interesse scientifico.
Amyl intrecciò le dita con quelle del suo amante e lo invitò con gentilezza verso il letto.
“Tu… hai aspettato per me? Avevi capito che volevo restare lì più a lungo?” domandò lui, spiazzato.
L'elfa lasciò andare la sua mano e procedette a legarsi i capelli sopra la testa. Le punte erano bagnate e non voleva quel tipo di distrazione durante i loro giochi.
“Acqua troppo calda, niente olii profumati, un solo telo per asciugarsi… è chiaro che avevi preparato la stanza per te, non per noi.”
Il guerriero era del tutto senza parole. Non solo lei se n'era accorta, ma non si era nemmeno offesa?
“Prima, quando ero a colazione con le altre, mi hai detto che dopo avremmo fatto quello che volevo. Ma non dobbiamo fare sempre quello che voglio io. Tu non mi dici mai che cosa vuoi fare, quindi una ragazza deve sapersi arrangiare. Ho dovuto imparare a leggere fra le righe.”
“Amyl…” sussurrò lui, quasi commosso. Non era il comportamento che si sarebbe aspettato da un'amante. “Devi tornare a lavorare fra poche ore e mi hai concesso tutto questo tempo?”
Lei si strinse nelle spalle, imbarazzata. “Uh… li contiamo come preliminari?”
“Oh, sì. Il rispetto reciproco è così sexy” sorrise lui, e probabilmente non stava scherzando. “Mi dispiace solo che farai tardi al lavoro per colpa mia.”
“Non farò tardi al lavoro” ridacchiò la giovane.
“Dobbiamo recuperare il tempo perduto” il sorriso di Daren si fece più affilato, più… pericoloso. Amaryll sapeva che non aveva nulla da temere da lui, ma quello sguardo le faceva sempre venire i brividi. Brividi piacevoli.
Quando il drow si avvicinò e la fece stendere sul letto, l'elfa sentì di nuovo le farfalle nello stomaco, come se fosse la prima volta che si amavano.
“Non dobbiamo per forza… recuperare il…”
Lui non la stava più ascoltando, e dopo poco tempo anche lei perse la capacità di sentire i suoi stessi pensieri.
No, forse non dobbiamo, Amyl. Però lo voglio.

           

   
 
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