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Autore: BlueButterfly93    12/03/2019    2 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 43

Che ne è di noi?





🎶P!nk - What About Us (Secondo POV Miki)🎶

🎶P!nk - Just Give Me a Reason (Parte finale secondo POV Miki)🎶

🎶Paralyzed - NF (Castiel)🎶

Quando sono diventato cosí insensibile?

Quand'è che ho perso me stesso?

Sono paralizzato; ho paura di vivere, ma ho anche paura di morire.

E se la vita è dolore allora ho sepolto la mia tanto tempo fa, ma è ancora viva.

Tutte le parole che escono dalla mia lingua sembra vengano da qualcun altro

Sono paralizzato. Dove sono le mie emozioni? Non sento più nulla.

Sono in una scatola, ma sono io che mi sono rinchiuso dentro

Qualcuno mi porti un po' d'ossigeno in più..

***

MIKI

Il valore delle cose non sta nel tempo in cui esse durano, ma nell'intensità con cui vengono vissute. Per questo esistono momenti indimenticabili, cose inspiegabili e persone incomparabili. Castiel era uno di quelli. Il tempo trascorso con lui, per quanto scorreva veloce, sembrava essere formato da piccoli e brevi attimi. Senza quasi accorgermene giunse la primavera: Aprile. Da due mesi ero la ragazza di Castiel Black. Ne erano accadute di cose in quei giorni.. avvenimenti positivi e negativi. In qualche occasione avevamo discusso ma, nonostante ciò, nessuno dei due aveva mai osato abbandonare l'altro. Riuscivamo a litigare e far pace alla velocità della luce: a volte dopo qualche ora, altre volte dopo un solo giorno. Non andavamo mai oltre; il giorno successivo qualcuno dei due si avvicinava nuovamente all'altro con una scusa banale, finivamo per far pace in un modo poco casto e tutto nostro. Marzo era stato un mese intenso per noi, soprattutto per Castiel: quasi ogni sera, lui e la sua band si esibivano in locali notturni di Parigi e dintorni. Dopo il successo riscosso nei concerti organizzati nel locale della famiglia Duval, i Drunkers erano riusciti ad ottenere ingaggi anche altrove. Ed io ero parecchio felice di quel risultato, perché sapevo bene quanto la musica fosse importante per il mio ragazzo. Durante alcune serate riuscii a sostenerlo dal vivo, ad essere presente tra il pubblico, insieme a Rose. Avevo iniziato persino a simpatizzare e a riconoscere facilmente brani delle band rock suonate nei loro live. Durante quel mese, poi, ci fu la cena per il lancio ufficiale ed internazionale della campagna "Ivre", alla quale dovetti partecipare nonostante avessi reso noto il mio dissenso a prender parte a qualcosa del genere. Dal quindici Marzo in poi la mia faccia era stata piazzata tra una pubblicità e l'altra di quasi tutte le reti televisive internazionali; avevo persino ricevuto qualche messaggio di ex compagni di scuola italiani che, improvvisamente interessati a conquistare la mia amicizia, mi chiedevano spiegazioni sul mio lavoro. Nei primi giorni di Aprile, Teresa concluse definitivamente il trasloco divenendo anche lei ufficialmente una Parigina. Ci sentivamo telefonicamente quasi ogni giorno, ma non mi ero ancora scomodata a visitare la sua nuova casa. Le promisi di farlo presto. 

Tra tutti quegli accadimenti vari io e Castiel trovavamo ugualmente il modo per costruirci i nostri attimi, la nostra bolla. Benedetti erano gli istanti, i millimetri, e le ombre delle piccole cose. Non pretendevamo il mondo, il "per sempre insieme", ci bastavano solo quelle poche certezze che ci assicurassero un altro giorno trascorso l'uno accanto all'altra. Stavamo bene con poco: io, lui e il nostro affetto; nel mio caso amore, nel suo caso... Ancora non sapevo bene cosa provasse. Diceva di essere ubriaco di me e ciò era un buon segno, giusto?!

Ultimo fatto - di quell'elenco -, ma non meno importante: Aprile era il mese del mio compleanno, non lo avevo mai festeggiato. Quando Rose scoprì quel piccolo particolare iniziò con un'organizzazione alquanto sopra gli schemi, ed io le volevo bene ugualmente accettando la sua eccentricità.

«Dobbiamo assolutamente rimediare», batté le mani ripetutamente mentre ci accingevamo ad entrare in classe per la prima ora di lezione. «Come puoi non aver mai festeggiato il compleanno?! In che mondo vivevi prima d'incontrarmi? Che orribiltà!» 

«Orribiltà?! Nuova parola del Rosabolario?» da quando la frequentavo la sua mente sovraffollata aveva partorito tante brutte parole inesistenti. «Cenavo con Ciak e dopo cena mangiavamo il gelato o un dolce. Non so se questo possa esser considerata festa, ma era una tradizione per noi..» non aggiunsi altro a causa di un nodo in gola improvviso dovuto alla nostalgia nel ricordare i numerosi compleanni trascorsi in compagnia del mio migliore amico. Giorni che non sarebbero più ritornati. 

«No, direi di no. Non è da considerare festa. Dobbiamo rimediare.. assolutamente!» ripeté la stessa frase di qualche minuto prima. «Ti organizzerò una festa a sorpresa», saltellò mentre prese gli ultimi libri dal suo armadietto.

«Ehm», finsi un colpo di tosse. «Non vorrei dover essere proprio io la guastafeste, ma... i compleanni a sorpresa vengono chiamati tali perché la festeggiata non dovrebbe essere a conoscenza di nulla», risi per la sua gaffe. 

«Oh certamente, che sbadata!» si colpì in fronte. «Non organizzerò nessuna festa a sorpresa. Non ho mica tempo da perdere con queste sciocchezze», sorrise falsamente, ma la lasciai concludere «Ho dei vestiti da cucire e da ingegnare per il tuo matrimonio, il che è molto più importante ed urgente di un diciassettesimo compleanno», sventolò le mani davanti al mio volto per accentuare la sua esclamazione. Voleva come cancellare il lapsus commesso pochi secondi prima, peccato non si potesse fare realmente.

«D'accordo, meglio così», l'accordai per non rattristarla.

«Miki posso parlarti?» Ciak. Il tono della sua voce che pronunciava il mio nome pareva essere quasi un miraggio, come acqua in un deserto. Erano mesi che non si degnava neanche di rivolgermi un saluto, fu strana quella sua entrata improvvisa.

«Certo che...» Rosalya replicò al posto mio lasciando la risposta in sospeso per qualche istante «NO! Smamma!» gli fece cenno con le mani per allontanarlo, ma lui non accennò ad andarsene. Apprezzavo quel senso di protezione della mia amica nei miei confronti, ma avevo già ferito Ciak in più occasioni; non gli avrei voltato le spalle una volta tanto che mi aveva chiesto di parlare. Mi mancava. 

«Stanno per iniziare le lezioni ora, magari dopo scuola?» intervenni beccandomi un'occhiata omicida di Rose. Provava una forte antipatia nei confronti di Ciak e non si faceva problemi a mostrarlo anche a lui stesso. 

«Perché invece non entriamo alla seconda ora? In Italia lo facevamo sempre..» mi rispose in Italiano rinvangando, così, i vecchi tempi. Come avrei potuto rifiutare quella sua splendida richiesta?

«Rose, se i prof dovessero chiederti qualcosa, potresti dire che entrerò alla seconda ora perché sto poco bene?» mi rivolsi alla mia amica in francese. 

«Intendi sul serio andare a parlare con questo babbuino?! Ti ha fatto stare male per mesi, Miki...» si agitò «Fa' attenzione», ma alla fine cedette. Sapeva bene che non le avrei dato ascolto nonostante le ramanzine. Mi salutò con un bacio sulla guancia ed entrò in classe. 

«Poco protettiva la tua amica: se avesse potuto mi avrebbe ucciso», Ciak sorrise portandosi una mano dietro la nuca. 

«Un tempo eri tu ad occupare quel ruolo..» non potei evitare di replicare con una nota di nostalgia. Iniziammo a camminare senza meta per i corridoi della scuola.

«Non è del tutto colpa mia se non sono più io ad occupare quel posto», una nota di rimprovero nella sua voce. 

«Quindi.. Sarei stata io ad indurti a invaghirti di me?» salimmo le scale che ci avrebbero dato accesso al terrazzo della scuola; lì non ci avrebbe visto nessun professore. L'aria divenne tesa sin da subito.

«No, non sei stata tu! Come non è colpa mia.. Non volevo innamorarmi proprio di te, non si comandano queste cose; accadono e basta», mi guardò negli occhi sincero. Non mi stava rimproverando nulla, per fortuna. «Ciò che sto cercando di dirti è che... Entrambi abbiamo sbagliato qualcosa: tu per il tuo menefreghismo, per la tua ingenuità di continuare a raccontarmi i tuoi inciuci con il pellerossa senza pensare che mi avresti ferito, per le tue omissioni sul passato, ed io per l'eccessiva rabbia nei tuoi confronti, per il continuo incolparti di qualunque cosa, per esser stato impulsivo a voler chiudere del tutto i rapporti con te, per esser stato avventato a proporti quella falsa relazione. Tu non avresti dovuto accettare, ma io non avrei dovuto proporla; dovevo immaginare che quella sarebbe stata l'ultima goccia per la rottura del nostro rapporto già fragile a causa dei vari accaduti». Concluse quel riepilogo di colpe proprio dinanzi alla porta socchiusa del terrazzo. Quelle parole non parvero neanche uscire dalla sua bocca; ormai ero abituata a ricevere soltanto accuse da lui.

«Mi fa piacere che tu l'abbia ammesso. Hai ragione, siamo stati un totale disastro negli ultimi mesi», evidentemente aveva ripreso a ragionare con la sua testa, aveva ritrovato la ragione, glielo riconobbi. 

«Siamo ancora in tempo per recuperare, no?!» mi sorrise come non gli vedevo fare da troppo tempo, come non gli avevo mai visto fare a Parigi. Mi sciolse il cuore: il mio migliore amico stava per ritornare. Non ero capace di resistergli, avevo bisogno di accorciare le distanze, di abbattere quei muri.

«Mi sei mancato Ciak», mi fiondai tra le sue braccia stringendolo senza permettergli neanche di respirare. Inevitabilmente una lacrima solitaria mi solcò il viso; era nostalgia, era affetto, gioia. Finalmente la vita aveva deciso di regalarmi qualche gioia: Castiel, Ciak, Rosalya, mia madre. Ero circondata da persone che ogni giorno si preoccupavano di mostrarmi del bene, di donarmi un pizzico di quella felicità sempre ricercata ma mai avuta. Il mio migliore amico era il tassello mancante per chiudere il cerchio, l'unico rimpianto che in quei giorni di tranquillità mi martirizzava, e dal momento in cui  - persino lui - aveva voluto chiarire con la sottoscritta mi sarei potuta definire la persona più felice al mondo.

Ricambiò l'abbraccio con un bacio in fronte finale, eliminando definitivamente il grosso peso percepito sullo stomaco fino a quell'istante. Sollievo, ecco cosa predominava più di tutto dentro di me. Una sensazione bellissima. Non necessitavo neanche di tempo per perdonargli il prolungato silenzio di quei mesi, sperai fosse lo stesso per lui. 

«Anche tu mi sei mancata», sussurrò come se fosse un segreto. Avrei voluto volentieri scoppiare a piangere, ma riuscii a trattenermi. «Si sta avvicinando il giorno del tuo compleanno e questo mi ha aperto gli occhi. Lo abbiamo sempre festeggiato insieme e - proprio quest'anno - non potevo permettere al mio orgoglio di prevalere», poggiò entrambi le mani sulle mie spalle e mi guardò dritto negli occhi. «Ho meditato parecchio in questi giorni in cui ho preferito evitarti, è stato un bene che io l'abbia fatto. Avevo bisogno di tempo per smaltire la delusione, per comprendere che tra noi non ci sarebbe mai stato niente oltre l'amicizia. E se sono qui oggi è perché ormai mi sono rassegnato: ho accettato la tua relazione con Castiel, ho capito che prima o poi mi disinnamorerò di te... Perché la nostra amicizia è più importante di tutto il resto», si fermò qualche istante per riprendere il respiro. «Diamoci un'altra possibilità, Miki. Ricominciamo da Settembre, da quando sono scappato - come un codardo - con la mia Vespa», a quel punto afferrò le mie mani e le strinse. Sapevo fosse sincero, finalmente era ritornato ad essere il Ciak lasciato in Italia: senza gelosia, rancore, risentimento. Lo leggevo nei suoi occhi chiari che stava dicendo la verità. «Vuoi essere la mia migliore amica?» terminò con un sorriso sghembo e piegando il collo verso sinistra. 

«E me lo chiedi anche?!» replicai semplicemente iniziando a ridere e saltandogli addosso a mo' di koala. Ora potevo farlo senza che lui pensasse a secondi fini, nonostante fosse invaghito ancora, sapevo ci fosse rassegnazione da parte sua; non avrebbe più tentato di abbordarmi. 

Non sapevo se quella nostra pace sarebbe stata definitiva, se la nostra amicizia sarebbe ritornata ad essere quella di un tempo, ma.. meglio l'ennesima cantonata di un rimpianto.

Con me ancora su di lui - tra le sue braccia - spinse la porta socchiusa uscendo sulla terrazza del liceo. «Dove mi porti? Vuoi buttarmi di sotto? Già non mi sopporti più dopo pochi secondi di tregua?!» scherzai ma, diversamente dal solito, non rispose. Anzi, dopo aver avanzato per qualche altro centimetro, si bloccò divenendo una statua di sale. Guardò dritto davanti a sé con gli occhi sgranati e il volto improvvisamente arrossato. Roteai lo sguardo anch'io e ciò che vidi pietrificò anche me. Scesi dal suo corpo incredula, tentando di non giungere a conclusioni avventate. 

Ma cosa diamine ci facevano Castiel e Debrah, lì su quel terrazzo - di nuovo insieme -, da soli e lontani da occhi indiscreti? Perché ridevano? E perché avevo la sensazione di esser spettatrice di un video - in replay - risalente a due anni prima? La loro complicità, compatibilità, il loro vissuto, il loro legame forte, la loro storia; mi uccisero per l'ennesima volta. Ma lui stava con me, voleva soltanto me... non più lei, giusto?

"Solo il tempo ti darà le risposte che stai cercando, e te le darà quando avrai dimenticato persino le domande".

-

CASTIEL

Quella mattina d'inizio Aprile, ancor prima di metter piede all'interno dell'infernale gabbia di matti che era il Dolce Amoris, mi arrivò un messaggio del tutto inaspettato. Pensavo si fosse arresa, pensavo mi avesse concesso realmente altro tempo da trascorrere con la mia - ancor per poco - Miki. E invece.. mi ero sbagliato di nuovo su di lei. M'ingannava sempre.


Da: Debrah

Le cose non funzionano senza te, è un dato di fatto.

Non posso stare senza te, è un dato di fatto. 

Se mi abbandonerai, camminerò dietro te. 

Puoi perdonarmi di nuovo? Non avevo intenzione di ferirti.

Poi tu guardi me, sei silenziosamente spezzato. Darei qualsiasi cosa ora per uccidere quelle parole per te. Ogni volta che dico qualcosa me ne pento. Non voglio perderti.. Ma in qualche modo io so che tu non mi lascerai mai, perché tu sei fatto per me. In qualche modo ti farò vedere che io non posso vivere questa vita senza te al mio fianco. Quindi rimani con me, guarda nei miei occhi. Sto urlando dentro che mi dispiace.

Ti aspetto dove ascoltavamo la musica insieme.


Mi aveva mandato più messaggi scrivendo la traduzione francese di due brani di band rock che piacevano ad entrambi. Mi stava chiedendo scusa e, nello stesso tempo, tentava di farmi capire che non potessimo stare divisi. L'ultimo messaggio diceva che mi stava aspettando e solo io potevo sapere dove: sul terrazzo del nostro liceo. 

E... Non seppi spiegare cosa pensò esattamente la mia mente in quell'istante, ma la raggiunsi senza neanche avvertire Miki. Per la prima volta dopo mesi, quel giorno - stranamente - arrivammo a scuola divisi. Dovetti accompagnare mia madre ad una seduta di chemio e arrivai a scuola con qualche minuto di anticipo. Debrah parve essere a conoscenza di ogni mio spostamento; lei sapeva sempre tutto.

«Oh.. allora non hai perso così tanti colpi come pensavo», fu la prima battuta che disse non appena mi vide varcare la soglia. Sul suo volto trovai un sorriso sincero che non vedevo da anni, mi sorprese. Era poggiata alla balaustra di ferro al centro del terrazzo: gli anfibi neri ai piedi, una gonna nera corta a pieghe, una camicia rossa a quadri aperta con sotto una semplice canotta nera scollata. Era a dir poco provocante. Il suo corpo, le sue curve, le sue forme erano sempre stati il mio punto debole. Peccato però... da ormai otto mesi - da Settembre duemilaquattordici, per l'esattezza - non lo erano più. 

La mia ossessione, il mio punto debole, le mie perversioni erano dirottate verso tutt'altra persona. La mia Ariel.

«Devo ammetterlo: ottima tattica di abbordaggio i Foo Fighters e gli Evanescence. Non i loro brani migliori, ma direi appropriati al tuo stato d'animo, credo», la raggiunsi a passo lento con il sorriso tipico da stronzo come accessorio, con le mani nelle tasche anteriori dei jeans.

«Esatto. Non avevo dubbi, sapevo avresti indovinato al primo colpo», batté le dita sulla ringhiera. Il suo nervosismo sembrò crescere a causa della mia vicinanza, ma non ne fui sicuro. Mi confondeva.

«Walking after you e Forgive me.. Cosa stai cercando di dirmi Debrah?» la scrutai senza abbassare lo sguardo, sebbene per un attimo mi persi nell'azzurro dei suoi occhi.

«Ammetto di esser stata tremenda in questi mesi, non ti ho lasciato respirare neanche un attimo. Avevi già sofferto a causa mia, non avrei dovuto calcare la mano ancor di più; ma... Mi sono sentita minacciata dalla presenza costante di un'altra ragazza al tuo fianco, al mio ritorno non mi aspettavo di trovarti invaghito proprio di lei. Ero convinta di poter tornare insieme a te, di avere maggiore possibilità. Sapevo di dover faticare prima di ottenere nuovamente la tua fiducia, ma non così tanto. Ecco, diciamo che... Mi sono sentita sopraffatta da tante emozioni, ero confusa, delusa e.. tutto è sfociato in quei ricatti e piani ridicoli», sollevò le spalle, poi si portò le mani tra i lunghi capelli castani e lisci. Era così diversa da Miki, così tanto da... spiazzarmi. «Mi dispiace!» parve essere sincera, quasi dispiaciuta. Non avevo mai notato quella fragilità, quella dolcezza in lei. Per quella peculiarità si avvicinò alla mia Miki... Dio, che disordine mentale!

«Non credi sia troppo tardi per rendertene conto?» nonostante il mio intontimento momentaneo, per fortuna, agii istintivamente in difesa mostrandomi addirittura contrariato e diffidente dalle sue ammissioni. 

«Non troppo, se fossi pronta a ritirare ogni ricatto..» quelle parole per poco non m'indussero a vomitare la colazione ingerita un'ora prima. Diceva sul serio?

«Ho acconsentito ad incontrarti, ma questo non cambia nulla. Quindi non pensare che io sia disposto a bermi ancora le tue balle. Ora dici questo, domani ti alzerai con la luna storta e cambierai di nuovo idea... O magari, proprio in questo momento, la tua mente malata sta già tramando qualcosa alle mie spalle». Il cervello era funzionante al novanta percento. Quel dieci percento restante era ammaliato, di nuovo, da quella maledetta arpia. Non dovevo. Non potevo. 

«Dammi del tempo Castiel. Ti chiedo solo questo.. Non escludermi dalla tua vita dopo tutto ciò che siamo stati. Permettimi di dimostrarti che sono ancora la persona conosciuta tre anni fa. Lasciami esserti amica almeno..» figurò un'elemosinante, mi fece quasi pena. 

«Come potrei farlo? Come posso fidarmi di nuovo di te? Intendi farlo perché così, dopo aver abbassato la guardia, potrai raccontare tutto a Miki?» Inutile. La coscienza e la testa agirono contro di lei; furono l'autodifesa per quel briciolo di cuore ancora in suo possesso. Prima o poi me lo sarei ripreso. 

«NO! Nessun ricatto, Castiel. Nessun giochetto. Non più.. mi sono stancata di fare la cattiva. Voglio che tu stia accanto a me di tua spontanea volontà, che tu decida di partire con me senza costrizioni».

«Ancora con questa partenza..»

«A Giugno.. è questo il mese fissato per la partenza. Dopo il concerto del club di musica a fine anno scolastico. Vedi?! Ti ho detto persino questo.»

«Stai parlando di qualcosa d'inesistente. Per quanto mi riguarda questa partenza è astratta: non conosco la meta, il motivo del viaggio, in più non acconsentirò mai più a fare qualcosa con te.. quindi il problema non si pone!» dal tono di voce parvi essere tenace, ma in realtà - dentro di me - non lo ero per niente.

«Sarà qualcosa di vantaggioso per entrambi, credimi. Avrai davanti te due strade, starà a te la scelta di quale prendere», la sua tranquillità e convinzione mi agitarono. 

«Come posso pensare che tu non ti stia inventando queste parole a caso? Non mi fido di te, non posso farlo!» a quel punto lesse la confusione nei miei occhi, posò una mano sulla mia guancia. Lì dove la notte prima c'era stata la bocca di Miki. Persi un battito a quel pensiero e mi risvegliai dallo stato di trance momentaneo. Mi allontanai di scatto dal contatto di Debrah. Non potevo fare un torto del genere a Miki, non lo meritava. 

«Ti sto dicendo la verità. Lo giuro sulla vita di Flora!» accennai un sorriso davanti all'ultima supplica e mi rilassai visibilmente. Durante la nostra storia, per mostrare la lealtà di un'ammissione, usavamo spesso giurare sulle persone o cose che avevamo di più caro. Le credetti. Sapevo ci tenesse parecchio alla sua sorellastra: era la sua unica amica, la sua unica sorella. Il suo unico punto debole.

«Perché allora? Perché lo fai proprio ora?» non riuscii a spiegarmi cosa l'avesse spinta a ragionare, a farle mutare visione e pensiero all'improvviso, in poco tempo. Non era mai stata una ragazza dall'animo buono. Da quella gentilezza, da quel cambio repentino, avrebbe avuto un tornaconto. Ne ero sicuro. 

«Perché...» deglutì, come se quello che stava per dire le stesse costando l'intera vita «Non posso restare a guardare mentre tu t'innamori di un'altra. O di me o di nessuno, Castiel. Ricordalo!» quello che ebbe bisogno di deglutire, a quel punto, fui io. Lei mi conosceva bene. Solo Debrah aveva avuto occasione di ammirare la versione migliore del sottoscritto. 

Fu per questo che, quando ammise quel particolare, percepii le gambe divenire gelatina. Per poco non caddi sul pavimento, devastato. Sgranai gli occhi ed annaspai in cerca di aria. Io non sarei dovuto arrivare a tanto, non avrei dovuto permettere ad un'altra donna di avere così tanto potere. Com'era potuto accadere? Io mi ero già inn... Dio, era assurdo anche solo da pensare. Non poteva essere vero, Debrah si era sbagliata. Sì. Non potevano esserci altre spiegazioni. Lei non mi conosceva più così bene come riteneva. 

«Io non ho più un cuore. Non potrebbe mai accadere di nuovo, neanche con te!» quelle frasi suonarono più false di una canzone rock strimpellata da una band commerciale da quattro soldi. Volevo convincere me stesso, ma soprattutto lei.

«Di quanto tempo hai bisogno per perdonarmi?» finse di credermi chiedendomi altro. Risi per quella sua abitudine; per un attimo mi squadrò stranita, poi capì.

«Hai ancora la fissazione di voler quantificare ogni cosa?» la mia mente bastarda rievocò gli attimi felici della nostra relazione. Le immagini, le scene scorsero davanti agli occhi come se fossero un film. Quella strega era stata parecchio importante per me.

«Oh be'...» si unì a me, sorrise anche lei. Quanto tempo era passato dalla nostra armonia...

"Il tempo passa, eppure nessuno vorrebbe fermarlo, nell'illusione che il domani sia migliore dell'oggi."

Quando smisi finalmente di fantasticare guardai nuovamente Debrah, notai stesse fissando un punto dietro di me, mi voltai e ciò che vidi furono: l'ombra di Miki scappare giù per le scale, un Ciak immobile difronte alla porta del terrazzo. Tempismo perfetto, come sempre. 

Il tempo era anche un giocatore avido che vinceva senza barare, a ogni colpo.

-

MIKI

Ci avevo provato. Ce l'avevo messa tutta a tentare di non scappare come avrebbero fatto i codardi, i fragili di cuore, gli incapaci di affrontare le situazioni a testa alta. Ma alla fine quell'audacia non era bastata. Lo avevo sentito forte e chiaro. Castiel non sarebbe stato in grado d'innamorarsi di nuovo, lo aveva rivelato proprio a colei che il suo cuore lo aveva rubato tempo prima e, a quanto parve, non glielo aveva mai restituito. Era stata crudele Debrah; non per i suoi piani insulsi, quanto per aver negato a qualsiasi ragazza - che sarebbe stata accanto al suo ragazzo dopo di lei - di avere un'altra possibilità. Aveva piegato quel muscolo cardiaco così prezioso per me, lo aveva reso glaciale, incapace di provare qualsiasi tipo di sentimento. E allora che ne sarebbe stato di noi? Di quelle risposte trovate dopo mesi di dubbi, di quelle promesse, dei nostri momenti. Cos'ero stata io per tutto quel tempo? Cosa ne sarebbe stato di quel lieto fine letto solo tra i libri, visto solo nei film, al quale - da patetica illusa - avevo iniziato ad ambire? Avevo forse corso troppo con la fantasia?! Quello sicuramente; era un mio difetto. Ma allora perché diceva di essere ubriaco di me? Cosa significava per lui? Tutte quelle domande si sovrapposero nella mente durante la corsa che mi portò dritta nella toilette delle ragazze. Mi chiusi a chiave in uno dei tre bagni disponibili, mi sedetti sul water poggiando i gomiti sulle gambe e, portandomi le mani sul volto, sospirai frustrata. 

Quando avrei smesso di sentirmi il terzo incomodo tra loro? Quando l'avrebbe dimenticata realmente? Quando avrei finalmente avuto la soddisfazione e l'occasione di sferrarle un bel calcio in culo spedendola per direttissima nel Polo Nord? Sarebbe stata perfetta nella sua trasformazione in statua di ghiaccio, non avrebbe più avuto il privilegio di aprir bocca. Un mondo senza Debrah sarebbe stato decisamente migliore. Ma non era lei ad avere tutte le colpe, anche Castiel aveva le sue. Non era stato capace di crearsi una vita senza di lei e quella a subirne le conseguenze sarei stata io.

A breve sarebbe suonata la campanella della seconda ora, sarei dovuta entrare in aula, ma non avevo voglia di sorbirmi gli interrogativi della classe intera, non volevo che qualcuno mi scattasse una foto e la mandasse a Peggy - permettendole di creare un altro dei suoi scoop fasulli. Ero sulla bocca di tutti, venivo giudicata da chiunque visti gli accaduti di quell'anno, ed era snervante. Il dolce journal - data la presenza di volti noti all'interno del nostro liceo - da qualche mese veniva pubblicato anche online dove, i fan di Ciak, Castiel o addirittura miei, potevano aggiornarsi di qualsiasi notizia di gossip. Avevo addirittura contribuito ad incrementarne il successo di quella rivista. Tutta colpa di quella dannata pubblicità. Rabanne mi aveva rovinato la vita.

«Miki?!»

Castiel. 

Come mi aveva trovata? Cosa voleva ancora? Forse.. Spiattellarmi in faccia che avesse intenzione di tornare insieme alla sua strega preferita?

«Non puoi entrare. Se lo venisse a sapere la preside verresti sospeso!» gli risposi infastidita, non ero in vena di battibeccare con lui. 

Le porte non erano lunghe fino al pavimento per cui lo potei vedere - dalle scarpe fino alle caviglie - avvicinarsi e fermarsi proprio davanti al bagno in cui ero rinchiusa. 

«Quel confetto gonfiato non saprà nulla», il solito Castiel. Aveva sempre una parola buona per chiunque. 

«Se glielo dirò io lo saprà eccome».

«Non faresti mai un torto del genere al tuo ragazzo», bisbigliò nonostante fossimo completamente soli. 

«Mio solo quando conviene a lui!» non mi avrebbe imbambolata con la sua voce suadente.

«Non è come dici..»

«Allora com'è Castiel? Vuoi spiegarmelo tu?» alzai il tono di voce fissando il masso di legno bianco sul punto in cui pensai si trovasse il viso del rosso. 

«Cos'hai sentito?» 

«Ah.. c'era dell'altro da sentire oltre al fatto che non amerai mai nessuna all'infuori di Debrah? Te l'ho sentito dire miliardi di volte, Castiel, sono stanca!»

«Non è una novità Miki, ti ho sempre detto che non sarebbe stato facile starmi dietro!» si permise il lusso anche d'irritarsi. Che stronzo!

«Sempre le solite frasi...» era sfiancante sentirgli di nuovo ripetere le stesse e identiche parole di qualche mese prima. «Allora questi mesi insieme non hanno significato nulla per te? Sono io ad essermi inventata tutto, sono stata la sola a provare quelle sensazioni? Mi sono inventata persino le parole che mi hai detto? Che ne è allora di noi? Quei discorsi, quelle tue promesse, non credo siano cose da dire ogni giorno alla prima che passa per strada..»

«Appunto per questo non avresti dovuto dubitare..» lo immaginai passarsi le mani tra i capelli, era strano discutere senza poterlo vedere in viso. «Non mi fido più di Debrah, penso stia tramando qualcosa, perciò ho preferito dimostrare indifferenza nei tuoi confronti». "Oh... Ora sì che tutto inizia ad avere un senso". «Io... Non credo di riuscire a tornare ad essere quello di un tempo, questo è vero.. non ho più nulla da donare: mi sento vuoto, paralizzato. Ho la paura costante di vivere, ma anche di morire. Non riesco a spiegarlo a parole Miki, ma devi credermi.. Io ci tengo realmente a te!» lo sentii sospirare e fu una tortura non poter ammirare la sua espressione; si stava aprendo a me, ancora una volta. «Provo davvero ciò che ti ho detto in questi mesi, ma ci sono dei momenti in cui mi perdo, mi sento confuso, e penso di non poter essere in grado di darti niente oltre quello che ti ho già dato... Nonostante ciò in quegli attimi di smarrimento, dove mi rinchiudo in una scatola, continuo a ritenere che tu sia l'unica in grado di donarmi l'ossigeno necessario per non soffocare».

Di nuovo quel pessimismo, quelle torture, quelle allegorie capaci di togliermi e restituirmi allo stesso tempo, subito dopo, più battiti. Senza rifletterci, scattai la serratura facendogli intuire che - quando avesse voluto - avrebbe potuto spalancare la porta di quello spazio ristretto e raggiungermi. Lui lo fece subito. M'inchiodò al muro e, ad una distanza millimetrica dalla mia bocca, sussurrò penetrandomi con lo sguardo: «Sono ubriaco di te, Miki.. Solo di te», e mi baciò offuscando completamente qualsiasi pensiero. 

Era così bello poter ammirare di nuovo i suoi occhi, i suoi capelli assurdi; poterlo baciare, toccare. Ogni tensione, in un battito di ciglia, svanì. Sparì persino Debrah ed ogni mia competizione, insicurezza, gelosia nei suoi confronti. Perché le sue braccia, il suo respiro, la sua presenza, erano medicina per qualsiasi male.

«Cosa ci facevi con Ciak sul tetto della scuola?» si ricordò di chiedermi dopo essersi allontanato dalla mia bocca.

«Mi ha chiesto di ricominciare da capo la nostra amicizia», sollevai le spalle.

«Prima ci farò due chiacchiere, poi si vedrà se potrete o meno ricominciare ad essere amici», corrugò la fronte e m'impose autorevole.

«Non devi dirgli un bel niente. Sono abbastanza grande e responsabile per decidere da sola con chi passare il mio tempo». Semplice e coincisa. Non avrei lasciato decidere lui in quell'occasione.

«Se solo si azzarda ad avvicinarsi più del dovuto alla tua bocca o a sfiorarti in modi fraintendibili è un ragazzo morto!»

«Geloso, Black?» lo schernii accennando un sorriso.

«No, e lo sai!» ribadì convinto.

«E allora perché non dovrebbe avvicinarsi?» tentai di portarlo al limite per indurlo ad ammettere di essere geloso. Era palese che lo fosse, non riuscivo a capire perché volesse a tutti i costi nasconderlo. 

«Perché tu stai con me; solo io posso baciarti, toccarti e tutto il resto», concluse sbrigativo riprendendo a baciarmi intensamente, a sfiorarmi la schiena e poi il sedere. «A quanto pare ci toccherà rimandare a più tardi questa perlustrazione», aggiunse dopo aver udito il suono della campanella. Il rosso, finalmente, aveva iniziato ad acquisire buone abitudini scolastiche per evitare di perdere un altro anno e per avere al più presto il diploma: entrava quasi sempre in orario o, quando non ne poteva fare a meno, un'ora dopo con tanto di giustifica, aveva persino alzato la media dei voti a sette. Il sesso come forma di ricompensa all'impegno scolastico e allo studio serio stava iniziando a dare i suoi frutti. Esatto, avevo metodi di approccio efficienti per aiutarlo ad ottenere buoni risultati. 

Quando si accinse ad aprire la porta per abbandonare il bagno, lo bloccai dal polso. C'era ancora una cosa che mi stava a cuore dirgli: «T'insegno io..» corrugò la fronte dinanzi a quella mia affermazione.

«A fare che?»

«Ad amare. Lascia che io t'insegni ad amare di nuovo, Castiel..» lo scongiurai sussurrando. Gli occhi lucidi, il fiato corto, il cuore che batteva all'impazzata; necessitavo che me lo consentisse come dell'aria per respirare. 

«Tu.. saresti capace di farlo?» tentennò come immaginavo. 

«Credo di sì, potremmo provarci insieme», contrattare fu l'ultima spiaggia. 

«Non ne sono più capace, te l'ho detto.. Non voglio ferirti più di quanto non abbia già fatto in questi mesi. Sono un disastro, lo sai», fissò pensieroso le mattonelle del muro, non mi guardò negli occhi. Quella strana conversazione stava avvenendo nel posto meno romantico esistente al mondo, eppure quei minuti li avrei ricordati per sempre. Fu uno di quei dialoghi capaci di smuovere intere montagne, capace di generare tempesta ma nello stesso istante anche  l'arcobaleno e il sole. 

«Non mi feriresti. Sono io a volerci provare, senza nessuna scadenza, senza alcuna strana profezia. Apri il tuo cuore, non privarti di emozioni solo perché pensi di non essere in grado di poterle provare. Non essere pessimista, non sentirti paralizzato, non rinchiuderti in te stesso. Lasciami entrare Castiel..»

"È nelle stelle.. Sei scritto nelle cicatrici del mio cuore. Non sei distrutto, solo piegato. Posso insegnarti ad amare di nuovo. Niente è cosi brutto come sembra. Dammi un motivo, basterà poco.. 

Fin dall'inizio eri un ladro, hai rubato il mio cuore, ed io la tua vittima consenziente. Ti ho lasciato vedere ogni parte di me, anche quella meno bella; con ogni tocco mi hai aggiustata, ora lascia fare a me. Ti prometto che non ti ferirò come altri hanno fatto. Non sarò un ladro, come tu sei stato per me; non sarai la mia vittima, come io sono stata la tua. Sarò una benefattrice, la custode di un tesoro in grado di preservare la ricchezza più grande: il tuo cuore. 

Dammi un motivo, solo uno, ed io sarò capace di farlo". 

«Insegnami Miki.»

Solo per te. Solo con te. Grazie amore mio. 

 

 

 


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🌈N.A.🌈

WOW CHE MAGONE SULLO STOMACO. L'ultima parte mi ha emozionato tanto scriverla.

Comunque hello, vi chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione ma è stata una settimana piena di alti e bassi, non ce l'ho fatta proprio a terminare prima. Spero che il capitolo non abbia risentito del mio umore, se fa schifo o per qualsiasi errore, dimenticanza, non esitate a commentare. Accetto ogni tipo di critica costruttiva. 

Vi ringrazio per i commenti e messaggi privati carini che mi avete scritto. Mi avete mostrato tantissimo supporto per il discorso "segnalazioni" e per la storia in sé. Non mi aspettavo di leggere che ciò che scrivo è fonte di così tante emozioni dentro ogni lettore, mi rende davvero fiera del lavoro svolto finora e motivata a fare di meglio. Grazie. La fase di "incazzatura" è passata, preferisco dedicarmi alla scrittura e rendere felice chi mi segue. Grazie ancora di tutto. 

Ok, ora veniamo a noi. Capitolo ricco di fraintendimenti, intromissioni, dubbi, incertezze.. Del tutto diverso dagli ultimi pacati e tranquilli, ma almeno ha un lieto finale puccioso. 

Ciak e Debrah sono sinceri? O è proprio Ciak colui che sta tramando alle spalle dei Mikistiel?

Giustificate e condividete lo stordimento di Castiel nel relazionarsi con questa versione docile di Debrah? 

Vi è piaciuta l'ultima parte del capitolo riguardante Castiel e Miki? Io sto fangirlando da sola davanti al PC.

So che i mesi stanno scorrendo velocemente nella ff, ma purtroppo non posso far accadere diversamente a causa di ciò che ho in mente per il seguito della storia. Conto, comunque, di scrivere delle OS sui mesi mancanti e non descritti. Non avverrà ora, ma in futuro vorrei tanto riuscire a pubblicare qualcosa extra. 

Ora vi saluto, Buona giornata

All the love💖

Blue🦋

  
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