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Autore: Teo5Astor    13/03/2019    23 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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7 – Ricordi in dissolvenza
 
 
 
Giro leggermente la testa in direzione del comodino e leggo per l’ennesima volta l’ora sul display luminoso della sveglia dell’albergo. Segna le 06:31, e io non ho dormito assolutamente nulla stanotte.
26 maggio, leggo ancora, per non pensare alla durissima erezione che mi ha fatto compagnia nelle ultime quattro ore, quelle in cui Lazuli ha dormito. Quelle in cui ha dormito appoggiata a me.
Non ho avuto bisogno di dormire per sognare. Non stanotte.
Mi giro di nuovo verso di lei e incrocio il suo sguardo. La sua testa è ancora appoggiata al mio petto, ma i suoi occhi di ghiaccio mi fissano, adesso. La guardo a mia volta, la contemplo in silenzio. Penso che sarebbe bello svegliarsi così tutti i giorni, vedere lei per prima nella mia giornata.
«Buongiorno» sussurra, sorridendomi, sfilando la sua mano dalla mia e facendosi scivolare lentamente sul cuscino, senza smettere di guardarmi. Ha dormito stringendo la mia mano. Ha dormito stretta a me.
Lazuli Eightenn si è addormentata tenendomi per mano e appoggiata sul mio petto, non riesco ancora a realizzare bene quello che è successo. 
«Ciao» le dico, sorridendo a mia volta. Mi manca già il suo calore, il suo profumo fresco. Eppure lei è qui, accanto a me.
«Non sei riuscito a dormire, vero?»
«Non sono riuscito a chiudere occhio».
«Mi stai dicendo che è colpa mia?»
«Assolutamente sì, l’emozione è stata troppa».
«Mi sembra giusto» ghigna lievemente. Mi piace che abbia voglia di scherzare un po’, non voglio vederla triste. «Invece dormire accanto a te non è stato nulla di che».
«Mi fa piacere sentirtelo dire, vorrà dire che la prossima volta che dormiremo insieme ti farò una bella sorpresa» ghigno a mia volta.
«Certo, intanto resta pure convinto che ti concederò un’altra notte in mia compagnia…» sbadiglia, mettendosi a sedere e stiracchiandosi le braccia. «Adesso torniamo a Fujisawa e andiamo a scuola insieme dopo la pausa pranzo, ok?»
«Agli ordini, mia bella senpai!»
«Allora esci da questa stanza oppure chiuditi in bagno, devo cambiarmi» ordina freddamente.
«Beh, ma se vuoi, per me non c’è problema a restare qui mentre…» comincio, per poi interrompermi di fronte al suo più classico sguardo omicida. «E va bene, va bene…» borbotto, scendendo dal letto senza pensarci troppo su. Non ricordandomi che la situazione tra le mie gambe non è più esattamente sotto controllo e che ho passato la notte con un paio di boxer aderenti e basta. Merda!
«Sparisci dalla mia vista, porco che non sei altro» sibila Lazuli, mentre mi fissa. Sta sorridendo, anche se un po’ è arrossita. «Non pensavo fossi ancora conciato così».
«Colpa tua…» le rispondo ghignando, mentre cerco di infilarmi i pantaloni.
«Mi fa piacere, anche se questo non cambia il fatto che sei un maiale senza speranza. E ora, sparisci».
 
Stiamo per entrare alla stazione di Ogaki, quando incrociamo un signore con al guinzaglio un cane che ci viene incontro. Lazuli si abbassa per accarezzare il cane, ma sia lui che il suo padrone passano oltre, senza degnarla di uno sguardo. Noto la tristezza dipingersi sul suo volto, e mi si stringe il cuore. È passato un giorno, ma anche oggi sembro l’unico a vederla, qui.
La notte passata insieme ci ha aiutato a darci forza a vicenda, a scambiarci quell’affetto che tanto ci manca e ci è mancato per troppo tempo. A fantasticare sul fatto che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi, senza sapere come, però. Ma adesso è mattina, il sole è alto nel cielo. Adesso è tempo di affrontare la realtà, purtroppo. Già, purtroppo… perché si sa che spesso la realtà non è all’altezza della fantasia.
«Andiamo, Là» le dico, allungando la mia mano verso di lei, ancora accucciata a terra. La prende e si rialza, la stringe forte mentre ci dirigiamo verso il treno. Intreccia le sue dita nelle mie. La stringe forte, sì, e non la molla per tutto il lungo viaggio di ritorno che ci riporta a Fujisawa. Non parla molto, ma certi suoi gesti, certi suoi sguardi, valgono più di mille parole.
 
Facciamo un salto veloce a casa entrambi, per cambiarci, mangiare qualcosa e prendere le cartelle, per poi dirigerci a scuola insieme per seguire le lezioni del pomeriggio. Saliamo le scale del liceo uno accanto all’altra e noto subito che due ragazzi che stanno scendendo velocemente in direzione opposta alla nostra rischiano di travolgere Lazuli. Come se non l’avessero vista. Entriamo nel grande corridoio che dà su alcune classi e nessuno dei tantissimi studenti presenti si volta verso di noi e ci degna di uno sguardo, a parte qualche immancabile occhiataccia nei miei confronti. ‘Fanculo.
«Fanno solo finta di non notarti o non riescono proprio a vederti?» chiedo a Lazuli, che istintivamente ha afferrato tra pollice e indice la piega della mia giacca all’altezza del gomito. Come se non volesse lasciarmi andare. Ha la testa bassa. «Andrà tutto bene in ogni caso, ok, Là? Perché ci sono qui io».
«Provo… provo ad andare a vedere nella mia classe» sospira lei, dirigendosi verso le scale per salire al piano superiore, dove ci sono le aule del terzo anno.
«Son-kun».
Mi giro e mi ritrovo davanti Bulma, con il suo solito lungo camice  bianco da scienziata aperto, sopra alla divisa.
«Ciao Bulma» le sorrido, anche se sono molto preoccupato.
«Non ho buone notizie» mi dice, diretta ed essenziale come sempre. «È probabile che tutti si siano dimenticati di Eighteen-senpai. Anche Vegeta non si ricorda più di lei».
«Come?! L’ho sentito stanotte e se la ricordava… cazzo…» esclamo a denti stretti, mentre le risate di un gruppetto di quattro ragazze, apparentemente del primo anno, ci interrompono. Incrocio il mio sguardo con quello di una ragazza minuta dai lunghi capelli blu legati in un vistoso fiocco rosso.
«M-ma tu sei quello di ieri!» farfuglia sottovoce, bloccandosi all’improvviso davanti a me con i suoi occhi nocciola sgranati. Le sue amiche si fermano a loro volta. Mi guardano male. Non penso l’abbiano sentita.
«Senti, sai chi è Eighteen-senpai, vero?!» le domando a bruciapelo. L’ho riconosciuta anch’io, è la pazza che ieri mi ha dato una pedata nel culo al parchetto e mi ha fatto arrivare tardi all’appuntamento con Lazuli. Ecco dove l’avevo già vista.
«Eh?!» ribatte, sgranando gli occhi ancora di più.
«La senpai Lazuli Eighteen, frequenta il terzo anno!» insisto, guardando negli occhi anche le sue amiche, una dopo l’altra.
«Ehi, Lunch-chan, perché il senpai dell’incidente dell’ospedale ti sta parlando?» le chiede una sua amica, quella coi capelli argentati. Quella con lo sguardo meno ostile nei miei confronti, almeno se rapportato a quello delle altre due.
«Eh? N-non lo so…» balbetta la ragazza dai capelli blu, che a quanto pare si chiama Lunch, abbassando la testa visibilmente a disagio. Si vergogna di me.
«Eightcosa-senpai?! E chi sarebbe?» borbotta l’amica dai capelli biondi.
«Dai, andiamo via» dice freddamente l’unica che non aveva ancora parlato, una ragazza alta dai lunghi capelli rossi e un’espressione dura dipinta sul volto.
«Perché non ti ricordi di lei?! Parlo di Lazuli Eighteen, è un’attrice famosa!» grido, seguendo Lunch per qualche passo. Ma lei non si volta nemmeno, continua a camminare col suo gruppetto. «Ehi! Ehi!» insisto, inutilmente. Stringo i pugni così forte da farmi male, mentre Bulma mi si avvicina e mi dice di seguirla nel laboratorio del club di scienze.
«Mi viene in mente solo una possibile spiegazione…» mi spiega, una volta giunti lì, mentre sorseggia una tazza colma di caffè. «Hai dormito la scorsa notte?»
«Non ho chiuso occhio» le rispondo, seduto in mezzo a provette e contenitori pieni di strani liquidi colorati.
«Nemmeno io ho più dormito dopo che ci siamo sentiti per telefono» mi spiega. «È possibile che sia solo una coincidenza, ma potrebbe anche essere questo il motivo per cui noi due riusciamo ancora a ricordarci di lei».
«Intendi che ci ricordiamo ancora di Lazuli perché non abbiamo dormito?» le domando, fissando intensamente i suoi occhi azzurri dietro alle lenti dei suoi occhiali.
«Ti ricordi quando abbiamo parlato della Teoria dell’Osservazione?» mi chiede a sua volta.
«Il gatto di Schrodinger…» sibilo.
«Sinceramente ero convinta che fosse tutto assurdo, ma ora che ne ho la prova concreta mi sento quasi la pelle d’oca» mi spiega, mostrandosi molto calma come sempre.
«Intendi la Sindrome della Pubertà?»
«No, intendo il fatto che, qui a scuola, Eighteen-senpai venisse trattata da tutti come imponeva l’atmosfera che si era venuta a creare intorno a lei ancora prima che cominciasse a scomparire fisicamente dalla vista di tutti» afferma, senza smettere di fissarmi. «Anch’io mi sono lasciata trascinare da questa atmosfera nei suoi confronti e, nonostante fosse strano che venisse ignorata da tutti, ho accettato inconsciamente questa cosa senza farmi troppe domande» sospira.
«Dici che è possibile venir inghiottiti dall’atmosfera solo se non si hanno dubbi relativi alla sua veridicità?» le chiedo.
«Probabilmente sì. Io penso che la causa di tutto questo risieda nell’atmosfera che si è generata in questa scuola intorno a Lazuli e che ha avvolto lentamente tutto il suo mondo. Prima è sparita nel mondo esterno alla scuola, e ora persino nel luogo dove è nata l’atmosfera che ha reso possibile tutto questo» mi dice.
«Io non ho mai creduto a questa atmosfera! Anche quando tutti la vedevano ma la trattavano come se fosse invisibile, io non ho mai avuto dubbi sulla sua esistenza, sulla sua vera personalità! Io l’ho sempre guardata, l’ho sempre ammirata! Lo capisci?!» esclamo battendo i pugni sul tavolo e facendo tintinnare alcune ampolle tra loro. «Non mi dimenticherò di lei!»
«Credo che quest’atmosfera stia diventando troppo forte per potervi resistere, arrivati a questo punto. Non è un caso che tu sia l’ultimo a ricordarti di lei, ma non credo potrai resistere ancora a lungo. Per quanto riguarda me, ipotizzo che sia solo questione di ore ormai, prima che la dimenticherò anch’io» mi spiega, scuotendo leggermente la testa e abbassando lo sguardo. «Ma se la causa di tutto risiede in questa scuola, anche la soluzione si deve trovare qui. Eighteen-senpai si è talmente assuefatta a questa atmosfera che l’ha portata con sé inconsciamente al di fuori della scuola, per questo la gente ha iniziato a non vederla più. Ma quell’atmosfera è nata qui a scuola, quindi il modo per abbatterla deve trovarsi qui, per forza».
«Io… io troverò una fottuta soluzione, allora!» ringhio, sforzandomi di non farmi prendere dall’ansia e dalla rabbia.
«Stando alla Teoria dell’Osservazione, non venendo osservata da nessuno all’interno di queste mura, l’esistenza di Eighteen-senpai non può essere definita» riprende Bulma. «Questa scuola rappresenta la scatola, mentre lei è il gatto imprigionato al suo interno».
La mia amica si alza e cammina in direzione della finestra, guardando il mare illuminato dal sole che si perde all’orizzonte. «Se la cognizione e l’osservazione sono i fattori chiave, è ragionevole accettare che il sonno, una fase in cui la coscienza non è di fatto operativa, provochi la perdita dei ricordi».
«Stai dicendo che se avessi dormito la scorsa notte, anch’io me la sarei dimenticata?!» sbotto, spingendo via la sedia alle mie spalle.
«Probabilmente sì, al massimo avresti resistito un giorno in più perché sei tu, perché non ti fai condizionare dall’atmosfera» risponde, serissima. «Non voglio illuderti, Son-kun: domani mattina non ricorderai più nulla di Eighteen-senpai».
«No! No!» sbraito. «Io sarò più forte di questa atmosfera del cazzo, io sono sempre stato più forte di tutto!» aggiungo, uscendo dal laboratorio sbattendo la porta.
 
«Ehi, Rad, stai bene?» mi domanda Lazuli, mentre usciamo dalla stazione di Fujisawa camminando uno accanto all’altra al termine delle lezioni. «Hai parlato pochissimo durante il viaggio, c’è qualcosa che non va?» aggiunge dolcemente.
Mi sorride. È molto più carina del solito, molto più gentile. Certo che c’è qualcosa che non va. Ma questo l’ha capito da sola, è stato sufficiente guardarmi perché lo capisse. Ma non voglio dirle niente, non voglio metterle paura.
Non voglio dimenticarla. Sono io ad avere paura, adesso.
«No, va tutto bene» le sorrido a mia volta, mentre la mia vista comincia ad appannarsi a causa del sonno. Resto fermo davanti a lei e la guardo negli occhi. Nei suoi bellissimi occhi di ghiaccio. Potrei davvero dimenticarmeli?
Sento l’ansia salire dentro di me, dallo stomaco fino alla gola. Mi toglie il respiro. Abbasso lo sguardo, il mio sorriso si spegne.
«Dovresti andare al lavoro, Rad. Farai tardi se non ti sbrighi» mi dice Lazuli. Si avvicina e mi abbraccia, mi passa una mano tra i miei folti capelli. Sgrano gli occhi, incrocio lo sguardo della gente che ci passa accanto. Che non sa che Lazuli mi sta abbracciando, perché non è in grado di vederla. Sento i miei occhi inumidirsi.
«Io… io non voglio andare al lavoro stasera…» farfuglio, ingoiando un singhiozzo e ricacciando indietro le lacrime. Lazuli si stacca da me e appoggia le mani sulle mie spalle, tenendo le braccia tese. La sua espressione è severa, adesso.
«Non puoi ignorare le tue responsabilità» mi dice, gelida e con tono autoritario.
«Io voglio… voglio stare con te stasera» le rispondo.
Mi sorride dolcemente, come solo lei sa essere quando vuole. Mi fa sciogliere il cuore. «Non preoccuparti per me, me la caverò!» esclama, felice. I suoi occhi di ghiaccio brillano. «Ci vediamo domani!» aggiunge, dandomi un bacio sulla guancia e correndo via in mezzo alla gente. Gente che non è in grado di vederla.
Già, avremo un domani? Sospiro, e mi dirigo verso il ristorante “Kame House”, col cuore pesante e la testa piena di angosce.
 
Mi metto il grembiule da cameriere e comincio a prendere le ordinazioni dai clienti. Sento a malapena quello che mi dicono, scrivo, sorrido di circostanza. Penso a lei, non faccio altro che pensare a lei.
Non so cosa fare, non riesco a trovare una soluzione a tutto questo casino.
Non essendo osservata, l’esistenza di Lazuli non può essere definita. È per questo che sta svanendo. Non essere riconosciuta da nessuno è come non esistere affatto.
Svanire equivale a morire? Lazuli sta morendo mentre io pulisco un cazzo di tavolo di merda con uno straccio! Vaffanculo! I miei occhi si riempiono di nuovo di lacrime, mentre rientro in magazzino e getto per terra lo strofinaccio, prima di dare un pugno al muro.
Vorrei urlare, cazzo. Vorrei che qualcuno mi dicesse che ce la farò a salvare Lazuli, che non la lascerò sola. Mi sento stanco. Stanco e spaventato. Faccio dei respiri profondi, mi calmo. Completo il turno e mi dirigo verso casa, è molto tardi ormai.
Penso all’atmosfera che qualcuno crea intorno ad ognuno di noi. L’atmosfera è invisibile, eppure fa sentire eccome la sua presenza. Una volta ho detto a Lazuli che sarebbe inutile scontrarsi con questa atmosfera. Ma aveva ragione lei: non posso lasciare le cose come stanno, io posso essere più forte di questa atmosfera di merda! Io non devo arrendermi.
«Se mi dovessi addormentare, l’atmosfera sicuramente inghiottirebbe anche me, come ha detto Bulma» mormoro tra me e me, mentre entro in un konbini vicino a casa mia. «Ma, finché resterò cosciente, non potrò dimenticarmi di Lazuli».
Compro lattine di Red Bull, bottigliette di caffè freddo, scatolette di mentine. Riempio una borsa. Non ho altre idee al momento.
Rientro in casa e mi siedo alla scrivania, devo anche studiare. Studierò tutta la notte e mi terrò sveglio con questa roba, penso, mentre comincio a bere una lattina anche se non mi andrebbe, in realtà. Mi intravedo allo specchio, ho gli occhi gonfi e tutt’altro che una bella cera. Ma non posso mollare.
«Cosa stai bevendo, fratellone?» mi domanda Goku, perplesso, all’ingresso della mia stanza. Ha la felpa del tirannosauro col cappuccio in testa e il nostro gatto Balzar in braccio. La sua espressione è a metà tra l’essere preoccupata e l’essere contrariata. Ha capito anche lui che c’è qualcosa che non va, il mio aspetto orribile di certo l’avrà aiutato.
«Per i prossimi tre giorni sarò impegnato con gli esami di metà semestre» gli spiego, sorridendo e cercando di rassicurarlo. «Tu vai pure a dormire, io studierò fino a tardi. Questa roba mi aiuterà a restare sveglio» lo congedo.
Ora che sono solo, e prima di tentare di studiare qualcosa, devo fare una cosa fondamentale. Devo farlo mentre sono ancora lucido. Apro un quaderno e prendo in mano una biro.
È l’unica idea che ho avuto, per il momento: scrivere una sorta di lettera al me stesso che si dimenticherà di Lazuli, sperando che, grazie alle parole che butterò giù ora, potrà riuscire a ricordarsela. Lascerò questo quaderno aperto sulla scrivania, lo noterà per forza anche il me stesso che non sarà in grado di ricordare questo momento, oltre che l’esistenza stessa di Lazuli.
Lascio cadere dalla scatoletta una decina di mentine sul palmo della mia mano e me le infilo in bocca. Stringo più forte la biro e respiro profondamente, prima di cominciare a riordinare i miei pensieri:
 
Quello che sto per scrivere potrà sembrarti assurdo, ma in realtà è tutto vero. Quindi vedi di leggere fino alla fine, stronzo. Senza se e senza ma.
 
6 maggio
Nella biblioteca di Fujisawa mi sono imbattuto in una coniglietta selvatica. Alla fine ho scoperto che era una mia senpai con indosso un costume, la famosa Lazuli Eighteen. Frequenta il terzo anno al Liceo Minegahara.
[…]
Notte tra il 26 e il 27 maggio, firmato Radish Son
 
Concludo così, dopo aver riassunto per iscritto tutti gli avvenimenti di queste fantastiche e folli tre settimane. Cerco anche di studiare qualcosa poi, mi prendo a schiaffi per non dormire. Infilo la testa sotto l’acqua ghiacciata. Altro caffè, altra Red Bull. Vorrei vomitare, dovrei dormire.
Mi faccio una doccia quando ormai è mattina e mi vesto per andare a scuola. Non dormo da due notti ormai, ma ce l’ho fatta. Ho lo sguardo allucinato e una faccia spaventosa, non ho nemmeno la forza di sistemarmi la cravatta della divisa. La lascio storta ed esco, con il sole che splende e mi stordisce, data la situazione in cui verso. Barcollo, scendendo la scalinata della portineria.
«Non hai una bella cera».
Sollevo lo sguardo e mi trovo davanti Lazuli, con le braccia incrociate sul petto e un’espressione severa dipinta sul volto. Sorrido, la vedo ancora. Posso ancora salvarla, in qualche modo.
«Tu sei sempre bellissima, invece» le dico, avvicinandomi verso di lei. Mi sembra un’oasi in mezzo al deserto, stamattina. «Ma come fai?»
«Lasciati sistemare la cravatta» borbotta, mentre me la aggiusta e mi avvolge col suo profumo fresco. Mentre mi travolge con la sua sola presenza. È davvero possibile dimenticarsi dell’esistenza di una persona? Come potrei dimenticarmi una ragazza così? «Non puoi andare in giro conciato così, soprattutto se sei in giro con me».
«Non pensavo ti saresti calata nei panni della novella sposina così in fretta!» esclamo, ghignando.
«Limita la stupidità alla tua faccia, Son» ribatte freddamente, dopo essere un po’ arrossita, in realtà.
«Non mi chiami più “Rad”?»
«Non meriti la mia confidenza stamattina» mi risponde, gelida. «Ora muoviti, o faremo tardi».
«Farai anche tu gli esami di metà semestre oggi? Potrai copiare a volontà!» provo a scherzare, mentre cammino al suo fianco.
«Per chi mi hai preso?! Non mi servono simili trucchetti!» ribatte Lazuli, stizzita, fulminandomi con lo sguardo. «Guarda che me la cavo molto bene a scuola».
«Ci avrei giurato» le sorrido.
«Però è tutto inutile se non mi passano il foglio delle domande…» sospira, improvvisamente triste.
«Eppure continui a frequentare le lezioni. Si vede che sei una diligente. Sei brava».
«A casa non avrei comunque nulla da fare, inoltre posso sempre sperare che qualcun altro possa tornare a vedermi, oltre a te» mi sorride. Mi sembra positiva, e mi fa piacere vederla così. «E poi…».
«Poi cosa?» la incalzo.
«Vengo a scuola per passare del tempo con te, no?!» esclama, stizzita, senza guardarmi.
Le sorrido e mi avvicino a lei. Le passo il braccio intorno alle spalle e la stringo a me, mentre continuiamo a camminare. Lei mi lascia fare. Appoggia la testa tra il mio petto e la spalla e continua a camminare, in silenzio.
Penso che sia il nostro modo di dirci che andrà tutto bene anche oggi. Che ce la faremo.
O, almeno, il mio cuore mi dice che è così.
 
Seduto al mio banco, mi ritrovo davanti i fogli dell’esame. Oggi è il turno di storia giapponese e inglese, mentre domani e dopodomani avremo le altre materie. Mentre compilo l’intestazione col mio nome inizio ad avere già i primi colpi di sonno. Vista offuscata, palpebre pesanti. Il cervello che sembra urlare nella mia testa. Non posso… non posso addormentarmi! Non posso dimenticarmi di Lazuli!
Sollevo la testa di scatto e sposto leggermente il banco colpendolo involontariamente con una ginocchiata. Qualcuno si volta a guardarmi, il professore mi osserva severo e sospettoso per qualche secondo. Non me ne frega un cazzo, sono sveglio. E resterò sveglio.
Durante la pausa pranzo mi si avvicina Bulma, sembra preoccupata. Io sono seduto, immobile e con gli occhi sgranati, che fisso un punto indefinito del mare dalla finestra. Indossa già il suo lungo camice bianco da scienziata, lo tiene aperto come sempre.
«Son-kun, come mai hai quelle occhiaie? Scommetto che è almeno due notti che non dormi» mi dice, scrutandomi senza togliere le mani dalle tasche del camice. Ho già capito tutto.
«Non ti ricordi più niente, vero, Bulma?»
«Eh? Di cosa dovrei ricordarmi?»
«Lascia stare, non importa. A dopo» le sorrido mestamente, alzandomi e cominciando a camminare, o meglio, a barcollare, in corridoio. Bulma mi segue con lo sguardo, perplessa. Alla fine aveva ragione lei. La sua ipotesi era giusta. Sollevo lo sguardo e ghigno.
Ce la farò, non so come, ma ce la farò.
 
Dopo il lavoro mi fermo ancora al konbini a fare scorta di roba da bere e da mangiare che possa aiutarmi a non dormire per la terza notte consecutiva. Mi sento stravolto, allucinato e distrutto, ma non sarò di certo io a mollare.
Non studio quasi nulla per l’esame di domani, non riesco a concentrami. Penso a una soluzione per Lazuli, provo a cercare su alcuni libri di meccanica quantistica che ho preso in prestito nella biblioteca della scuola, tento di ingegnarmi. Ma niente, tutto inutile.
«Ehi Rad, ma che cazzo stai combinando ultimamente? Fai schifo, sembri uno zombie!» mi dice Vegeta, sprezzante e allo stesso tempo preoccupato, mentre ci dirigiamo verso scuola col treno. Stamattina non c’era Lazuli ad aspettarmi sotto casa, forse ha deciso di non venire a scuola. Ci siamo scambiati i numeri, ma non abbiamo mai avuto bisogno di mandarci messaggi. Dovrei scriverle qualcosa, adesso? No, meglio lasciarla tranquilla. Probabilmente la incontrerò comunque più tardi.
«Sto bene, Prince. Non rompermi il cazzo…» farfuglio, prima di sbadigliare sonoramente.
Arriviamo al liceo e ci sediamo ai nostri banchi, dove ci vengono subito distribuiti i fogli per il secondo giorno di esami. Mi sento la testa pesantissima, ho delle occhiaie nere e profonde, sembra quasi che sono stato preso a pugni da qualcuno. Riesco a leggere a malapena la data sul foglio: 28 maggio. Sono tre notti di fila che non dormo. Mi si chiudono da sole le palpebre. Mi conficco la punta della biro nella mano, premendo con forza per farmi del male e recuperare lucidità. Mi sembra di vedere la porta della classe socchiusa e mi giro di scatto in quella direzione. La vedo richiudersi lentamente, ma, soprattutto, faccio in tempo a intravedere Lazuli che prova a non farsi notare. Mi stava guardando dal corridoio, sembrava preoccupata. Nessuno la vede, ma io continuerò a vederla. Non mi dimenticherò mai di lei.
 
Finita la scuola, vado al lavoro come al solito. E, dopo il lavoro, mi fermo anche stasera al solito konbini per prendere qualcosa che mi permetta di restare sveglio.
«Cos’hai comprato?»
Sollevo lo sguardo e vedo Lazuli, ferma davanti a me con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo severo. La sua voce è irritata.
«Ah… ecco, le solite cose…» farfuglio, troppo stravolto per riuscire a dire qualcosa di sensato.
«Lo sapevo, non stai dormendo, eh?» sbuffa, addolcendo però i tratti del suo volto. I suoi occhi mi sembrano molto preoccupati, mentre la luce del lampione si riflette sulla mollettina nera glitterata a forma di coniglio fissata tra i suoi capelli biondi. «Dai, andiamo a casa tua. Ti aiuto a studiare stasera» mi dice, distogliendo lo sguardo dal mio e prendendomi per mano. Mi lascio guidare, la lascio fare. Mi sento meglio, ora sto bene. Sì, quando sono con lei sto bene.
«Domani è l’ultimo giorno di esami, no? Quindi siediti davanti a me e ascoltami, queste cose le ho già studiate l’anno scorso» mi dice, perentoria, sedendosi sul tappeto davanti al basso tavolino di legno che dal salotto ho portato nella mia stanza.
«Darò anche l’anima se mi farai da sexy professoressa con indosso il tuo costume da coniglietta!» esclamo, sorridendo sghembo e fissandola negli occhi.
«Se lo indossassi, saresti più impegnato a fare pensieri sconci che a studiare!» ribatte lei, imbarazzata, distogliendo di scatto lo sguardo dal mio. È adorabile.
«Hai ragione…» sbuffo, sedendomi. Mi spiega delle cose di matematica e mi dice di svolgere un esercizio, mentre fisso il foglio davanti a me e vedo fondersi insieme i vari numeri e le lettere. L’adrenalina che ho addosso grazie alla presenza di Lazuli mi sta tenendo sveglio, ma sento di essere al limite. Questa è la mia quarta notte insonne, gli occhi mi bruciano come non mai.
«Se farai tutto giusto, ti ricompenserò» mi dice Lazuli, catturando la mia attenzione. Apre una confezioni di Pocky ricoperti di cioccolato bianco e fragola e ne mangia uno, prima di bere un sorso del tè matcha che ha preparato per entrambi poco fa.
«Nel senso che farai tutto ciò che vorrò?» le chiedo, malizioso.
«Diciamo di sì, ma dovrò darti dei limiti dato che sei un porco» ribatte lei, stando al gioco.
«Uhm… allora, se l’andare a letto insieme non dovesse rientrare nei tuoi limiti, mi accontenterò di fare un bagno con te» butto lì, ghignando.
«Scordatelo» mi fredda.
«Allora potremmo proseguire l’appuntamento di domenica scorsa e andare a Kamakura».
«Sicuro ti basti una cosa così poco estrema? Non prendermi in giro…» sbuffa, guardandomi male.
«Beh, te l’ho detto: vorrei avere la mia prima volta con te, in realtà» ammetto, ridacchiando.
Lazuli si avvicina, il suo sguardo è gelido. Mi pizzica forte una guancia e mi tira verso di sé, facendomi male. «Sei fin troppo sfacciato, a volte, per essere più piccolo di me» afferma, con tutta la freddezza che la contraddistingue quando vuole.
«Ma sono davvero così tanto più piccolo di te?» protesto. «Quand’è il tuo compleanno?»
«Il 2 dicembre» risponde. «Il tuo?»
«Il 15 aprile, quindi abbiamo diciassette anni entrambi in questo momento!» rido, mentre Lazuli si sporge e tira con forza la coda con cui mi sono legato i miei lunghi capelli neri. «Ahia! Ma cosa ho fatto stavolta?!» borbotto.
«Eri già stupido prima ancora di nascere» mi dice, gelida. «Se ti fossi dato una mossa a nascere una quindicina di giorni prima, in questi anni saremmo potuti essere in classe insieme».
«È il tuo modo per dirmi che ti sarebbe piaciuto avermi come compagno di classe e che avresti voluto conoscermi prima?» le chiedo, sorridendole.
«È un modo per dirti che mi piace passare il tempo con te, stupido» ribatte, stizzita e imbarazzata, distogliendo i suoi occhi dai miei e incrociando le braccia sul petto. Prende in mano un libro e lo apre, cercando di darsi un tono. Di fare la dura. Mi piace quando fa così. «Non montarti la testa, Son. Adesso cambiamo materia, sono stufa di matematica. Facciamo giapponese moderno, analisi grammaticale».
Prendo in mano la biro e cambio quaderno. La guardo, in attesa di istruzioni.
«Scrivi una frase che usi il significato della parola “garanzia” intesa come verbo e un’altra in cui è intesa come sostantivo» mi ordina.
«Signorina professoressa, vanno bene anche frasi maliziose?»
«Scrivi e basta, oppure me ne vado».
«Allora, in “Garantirò a Lazuli-san un futuro felice” uso “garanzia” come verbo, mentre in “Io e Lazuli-san abbiamo la garanzia che trascorreremo una magnifica vita coniugale” come nome. Giusto?»
In tutta risposta Lazuli arrotola il libro e mi colpisce in testa. «Almeno hai avuto il buon gusto di usare il “-san” dopo il mio nome» mi dice, guardandomi male.
Le sorrido, e bevo un po’ del tè matcha che mi ha preparato lei. Mi piacerebbe passare tanti momenti così, insieme. Sono piccole cose, ma sono anche le migliori.
«Tuo fratello come sta?» mi chiede Lazuli.
«Come al solito, starà dormendo adesso. Tu invece sei figlia unica?»
«Ho una sorella che ha due anni in meno di me» sospira, bevendo un sorso di tè e distogliendo lo sguardo dal mio. «Non ho ricordi dei miei genitori insieme. Hanno divorziato poco dopo che sono nata, poi mio padre si è risposato subito ed è nata lei».
«È carina?» le chiedo, un po’ per provocarla e un po’ per alleggerire la tensione.
«Non quanto me, ovviamente» risponde Lazuli, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Mi sorride.
«Sei modesta, vedo» sorrido sghembo a mia volta, mentre inizio a sentirmi improvvisamente le palpebre più pesanti che mai.
«Vuoi dirmi che preferisci le ragazze che, pur sapendo di essere più carine, fanno le false modeste e vanno in giro a lodare la bellezza delle altre?» ribatte freddamente. Sta giocando a fare l’altezzosa. Mi squadra dall’alto in basso.
«No… quelle… quelle le detesto proprio…» sospiro a fatica, mentre perdo la presa sulla biro e la mia testa si avvicina inesorabilmente al tavolino.
«Vero? Le detesto anch’io…» conferma lei. Non sorride più.
«Però… dai, è… è pur sempre tua… tua sorella…» dico a fatica, mentre sento la carta del quaderno contro la mia guancia. No… no! Sto cedendo, mi sto addormentando! Cerco di sgranare gli occhi, ma vedo tutto sfocato. Non riesco più a muovermi. Cazzo!
«Ho dovuto scioglierti nel tè ben due pastiglie di sonnifero perché non volevi proprio saperne di cedere, ma non potevi passare un’altra notte insonne… mi capisci, vero?» mi chiede Lazuli. Sento la sua voce lontanissima. «Mi preoccupo per te…».
«N-non posso… non posso ancora dormire… io devo…» farfuglio, mentre mi si chiudono gli occhi senza che io riesca ad oppormi. Mi sento tutto intorpidito.
«Ce l’hai messa davvero tutta, Rad» dice Lazuli, e la sua voce mi arriva come se stessi sognando. Sento la sua mano che mi accarezza la testa. Lentamente, dolcemente. «Non puoi neanche capire quanto hai fatto per me in queste ultime tre settimane».
«No… Là… Là, ti prego… c’è ancora molto da fare…» farfuglio, facendo una fatica immane. Sgrano gli occhi di nuovo, con quelle che sento essere le mie ultime forze. Allungo disperatamente una mano verso di lei. E lei la stringe, intreccia le sue dita intorno alle mie.
«Hai fatto abbastanza, davvero. Ora devi riposarti» mi dice dolcemente, senza smettere di accarezzarmi la testa e tenermi la mano.
«Non posso…» sussurro, cercando di guardarla negli occhi. Sta sorridendo, ma le sue guance sono rigate di lacrime.
«Sono abituata a stare da sola. Me la caverò, non devi preoccuparti più per me» continua, senza smettere di sorridere. Senza smettere di piangere. «Non fa nulla se ti dimenticherai di me» sussurra, appoggiando la sua fronte contro la mia. Le nostre facce sono premute entrambe contro uno stupido quaderno di giapponese moderno. Vedo sempre più offuscato, non percepisco quasi più nulla. Mi rendo conto che sto piangendo anch’io, e che non ho la forza di smettere. Non voglio smettere. E non voglio dormire.
Non voglio dimenticarmi di Lazuli.
«Ti chiedo scusa, ti ho causato solo un sacco di problemi. Invece tu… tu mi hai resa felice» le sento dire, sempre più in lontananza. «Nessuno mi aveva mai reso davvero felice».
Percepisco tutto sempre più ovattato, è come se fluttuassi in un mondo onirico. Scuro, sempre più scuro. Un buco nero mi attira verso sé. Mi inghiotte.
Precipito in un vuoto senza fine. In una voragine all’interno di me stesso.
«Grazie di tutto, Rad. Sogni d’oro».
Qualcosa sfiora appena le mie labbra, delicatamente. È una bella sensazione. Sì, le sue labbra sulle mie, per un istante. Sono loro. Muovo anch’io le mie labbra, con l’ultimo barlume di coscienza che mi resta, in quell’istante.
Un istante indimenticabile, destinato ad essere dimenticato.
Il nostro primo bacio, destinato ad essere anche l’ultimo.
Sento altre lacrime calde bagnarmi la guancia e arrivarmi fino alla bocca. Percepisco appena il loro sapore salato. Lacrime non solo mie, ma soprattutto sue.
«Addio».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci qui, avevo creato un pochino di hype intorno a questo capitolo e a quello che verrà pubblicato settimana prossima, spero solo di non avervi deluso a questo punto.
Scrivere la parte finale di questo capitolo mi ha abbastanza devastato a livello emotivo, forse mi era successa una cosa simile solo in un’altra storia molto diversa da questa, cioè “Dove finisce il cielo”. Immaginarmi Rad che cerca di resistere in quelle condizioni e Lazuli che, pur avendo capito a quale destino stia andando incontro, lo “narcotizza” perché preoccupata per lui e poi piange insieme a lui mi ha fatto a pezzi. Anche perché prima c’erano stati dei momenti davvero carini tra loro, quindi  è stata un po’ una doccia gelida anche per me decidere di dare quella svolta agli eventi.
Però, almeno, una sorta di bacio tra le lacrime se lo sono dati, i nostri eroi!
 
Bulma è l’ultima a cedere, prima di Rad. Avendo dormito poco quando Radish l’aveva svegliata di notte, era in grado di ricordarsi ancora di Lazuli perché non era ancora giunta alla fase del sonno profondo. Vegeta, invece, essendosi poi riaddormentato, ha perso la capacità di vedere la nostra bionda e anche di ricordarsi di lei. Anche Lunch, di cui finalmente viene svelata l’identità ufficialmente, non ha più ricordi di Lazuli, e lo stesso vale per le sue tre compagne di classe non propriamente simpaticissime che incontreremo di nuovo in futuro.
Bulma ci regala anche qualche perla a livello scientifico, il concetto è che Lazuli si è talmente abituata ad essere considerata invisibile a scuola da tutti (perché, anche se fisicamente la vedevano, non le rivolgevano la parola) da portare inconsciamente con sé questa atmosfera anche al di fuori della scuola, dove, pian piano, la gente che la conosceva o meno ha iniziato gradualmente a non vederla più. Ora anche a scuola non le vede più nessuno, a parte Rad dopo che anche Bulma ha ceduto, ma, secondo la nostra scienziata la soluzione deve per forza risiedere nella stesso luogo che ha generato l’atmosfera che ha avvolto gradualmente Lazuli, cioè la scuola. Questo, unito al turbamento emotivo che viveva Lazuli a causa della sua situazione familiare e lavorativa, ha fatto sì che la Sindrome della Pubertà si manifestasse in questo modo nel suo caso specifico.
 
Scopriamo anche una succosa novità sulla vita privata della nostra protagonista: ha una sorella minore, come del resto era comparso anche nel mare di notizie vere e false che aveva trovato Rad in rete all’inizio della storia. Chi sarà mai? Questa è una storia un po’ particolare, quindi ho voluto provare a stupire anche da questo punto di vista, spero apprezzerete. Il mio amico Lapis non ci stava proprio bene in questo ruolo, più avanti capirete anche perché era meglio darle una sorella e non un fratello in questa storia. Comunque ci vorrà tempo per vedere in azione questa sorella, con cui ha in comune solo il padre.
 
Una precisazione: Lazuli sgrida Rad per non essere nato entro il 31 marzo, sostanzialmente. Infatti le classi scolastiche vengono composte tra i nati dall’1 aprile di un certo anno al 31 marzo dell’anno successivo. Non sono basate solo sul classico anno di nascita come in Italia, quindi i nostri protagonisti non frequentano lo stesso anno scolastico per soli quindici giorni. Ed ecco anche svelato che manca ancora tanto al diciottesimo compleanno di Lazuli, come avevo già spiegato in una nota.
 
Niente, ringrazio tutti voi che continuate a seguirmi, incoraggiarmi e sostenervi. Vi ringrazio di cuore perché contribuite in maniera fondamentale a far crescere questa storia che mi è entrata ormai nelle vene e fate crescere anche me sotto tanti punti di vista. Quindi vi ringrazio, davvero. A chi recensisce, soprattutto, ma proprio tutti quanti! Grazie, siete la mia forza!
 
Allora, cosa dite? Rad si sarà davvero dimenticato di Lazuli quando si sveglierà? E cosa succederà alla nostra eroina?
Io ve lo dico già il titolo del prossimo capitolo, che non vedo l’ora di farvi leggere dal momento in cui l’ho buttato giù: “Il mondo senza di te”.
Cosa ne pensate? Promette bene? Direi di no… ;-)
Però dai, io resto lo stesso di ottimo umore, reduce da una straordinaria Fiera del Fumetto ricca d’incontri che ho appena vissuto e da un 3-0 calcistico niente male!
A settimana prossima!
 
Teo
 
 
   
 
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