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Autore: MisSilvieLemon    16/03/2019    0 recensioni
-Forse è arrivato il momento- sorrise lei, una mano sull'avambraccio caldo e dorato del ragazzo.
-Sei già stanca?- una risata appena accennata sulle labbra reduci da uno sbadiglio, e ora sorridenti
insieme a quegli occhi gonfi e pieni.
Erano settimane che tiravano avanti sino a notte fonda, così fonda che spesso diveniva mattina presto.
-Non hai capito…- lei continuava a sorridergli, ma lo sguardo iniziò a vagare oltre la spalla di lui, lontano, verso il mare.
Sguardo proiettato in un futuro non troppo lontano del quale lui non voleva saper niente ma che, loro malgrado, era proprio quello verso cui si stavano dirigendo; forse da sempre, da ancor prima di conoscersi.
Un lampo rapidissimo e lui scorse una tristezza nuova, un'ombra di dolore, forse.
Ma era passeggera e lei ritornò a lui con gli occhi carichi di coraggio.
-Forse..è ora che torni casa Harry-
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II

 

Harry si svegliò presto la mattina seguente, nonostante avessero festeggiato il loro arrivo tirando fino a tardi con le chitarre e consumando un'innumerevole quantità di birra, persi in quel giardino umido ed invaso dalle zanzare. Rimase qualche istante a bearsi delle lenzuola bianche avvolte intorno al corpo, il viso a sfregare sul cuscino, la testa completamente sgombra.
Per un istante, uno solo, credette di essere ancora in Inghilterra, finché i rumori provenienti dalla grande vetrata non gli diedero il loro buongiorno, si voltò su un fianco, piantando gli occhi appannati sulla vegetazione, verdissima, ancora scura e profonda nelle prime ore del mattino.
Si alzò indossando solo un paio di pantaloncini, mentre i suoi piedi nudi strisciavano sul parquet trascinandolo sino alla cucina. Sedette al tavolo della sala pranzo al cui centro era stato posto un vaso di fiori freschi, si chiese a che ora fosse accaduto, essendo per lui così presto. Accanto ad essi il solito foglio in cui scrivere la lista di ciò che gli occorreva, stavolta però recava la scritta "Solo tre desideri", sorrise piano.
Poco dopo ingoiò l'ennesimo cucchiaio colmo di cereali per poi gettare un'occhiata al suo telefono, gli occhi si spostarono fuori dalla finestra mentre pian piano riprendevano la loro limpidezza seguendo la vita che si svegliava e si srotolava piano.
Poi un lampo, un lampo e gli sembrò di scorgere una figura nel giardino tra la luce celeste dell'alba e l'aria fresca, che passava come un soffio vicino al giardiniere, avvolta in una giacca. Vide solo dei capelli scuri e delle gambe lunghe attraversare con sicurezza il prato, e questo gli bastò per ritrovarsi lontano mille miglia da lì. In un'altra vita, in un'altra parte del mondo. Gli occhi non lasciavano il perimetro tracciato dagli infissi in legno bianco  ma ora, al loro interno, Harry non vedeva più il giardino.
Non seppe cosa fece scattare in lui quel tumulto di ricordi che gli invasero la mente. Era da tanto che non pensava a lei.
Rimase lì, seduto, per una buona decina di minuti, con il cuore a battere più forte mentre ripensava a un giorno, a una sera particolare, quando con l'amaro che gli riempiva la bocca aveva accolto l'ennesima sconfitta.  L'ennesima corsa contro il tempo, contro la sua stessa vita, per una ragazza che, forse, per una volta, poteva davvero amare.
Quanti tavoli di ristorante, quanti alberghi, quante lenzuola fresche di lavanderia, quanti vestiti disseminati per il mondo e quante chiamate perse gli stavano passando davanti agli occhi. Ormai non si sentivano da più di un'anno e mezzo. Le parole cominciarono a uscire, incespicando, fra i suoi capelli aggrovigliati e i pensieri assonnati. Butto giù un'altro  cucchiaio di cereali, gli occhi più scattanti alla ricerca di una penna e di un pezzo di carta nel quale cominciò a scrivere, febbricitante, con il cuore veloce nel petto. Gli veniva quasi da ridere per l'entusiasmo.

 

Quando Jeff e Mitch si svegliarono fu solo per il suono degli accordi che Harry premeva sulla sua acustica dal legno lucido, macchiato di impronte, poggiato sul suo petto nudo. Petto che ogni tanto si tendeva oltre di essa per correggere un verso, una parola, sul foglio posto di fronte a lui.
Cantava piano, sottovoce, ignaro che a pochi metri Anna, mentre tornava sui suoi passi, lo osservava resa spettatrice di un film muto.

 

-

 

-Cazzo, è fantastica, Harry, fantastica- la voce di Jeff, il suo produttore, arrivò dagli altoparlanti mentre Harry si sfilava le cuffie, sorridendo. Al di là del vetro vide i ragazzi fargli cenni d'approvazione mentre discutevano se fosse meglio spostare l'entrata del basso nella canzone o rallentare alcune battute sulla seconda strofa.
Un'intera settimana, o poco più, era passata e tre demo per l'album erano state già incise. Aveva scritto pensando a lei, solo a lei, anzi più precisamente pensando a quella sensazione che lo aveva invaso, che gli faceva avere nostalgia del cuore a mille, eccitato. Aveva scritto il verso "tryin' to remember how it feels to have a heartbeat", e non era sicuro che lei provasse lo stesso, ma le aveva voluto ficcare a forza le parole in bocca, nella speranza di dividere il fardello.
Aveva scritto a Gemma che, forse, un album poteva venire fuori, ma poi era sparito per giorni, così preso dalla musica e dalle parole che gli vorticavano in testa, suonava, suonava, sino a tarda sera, in quel giardino di cui ormai iniziava a riconoscere le forme, la pompa lasciata ordinatamente a terra, la bicicletta nascosta fra i cespugli e i fruscii degli animali fra la vegetazione.

-

 

-Io non ce la faccio più- disse come l'ultimo, disperato, grido d'aiuto mentre covava la speranza che ci fosse qualcuno, almeno questa volta, ad ascoltarla. Immaginava che qualcuno la vedesse, che si accorgesse di lei, piccola come si era fatta per nascondersi, desiderava potersi alzare in piedi, sbracciarsi e chiedere aiuto perché era naufraga e voleva lasciare quel posto, voleva gettarsi su prore e su ali e non voltarsi più indietro. Libera, per una volta veramente libera.
La "svolta", l'eroe coraggioso, il fatto miracoloso, ciò in cui credeva Anna, in quei primi pomeriggi afosi carichi di rancore e frustrazione, diventava qualcosa da guardare con una tenerezza quasi penosa, con imbarazzo perché anche solo si è pensato di sognare così in là.

-Sono io a non farcela più, Anna la devi smettere di vivere nei tuoi sogni, la devi smettere, mi hai capita? È questa qui la tua vita- ogni parola di sua madre andò a segno, la rabbia le faceva tremare le mani e il petto si caricava, pronto ad accogliere l'aria per urlare. Ma un solo accenno di sua madre al corridoio la fecero desistere quasi all'istante, lasciandole il corpo indolenzito.
-Devi fare la spesa per la villa- concluse, come svuotata, quella donna così pallida che le stava davanti. Per un'istante, come risvegliandosi da un ricordo, si rese conto che sua madre era invecchiata. Si concesse pochi attimi per contemplare la pelle più spessa del suo viso, gli occhi stanchi, i capelli più opachi di come ricordava. Si fermo ad osservare quelle mani che compivano gesti sapienti ma ormai meccanici nel preparare il pranzo e fu trafitta dall'affetto, dal senso di colpa, e le mancò l'aria, perché per quanto la volesse, una via d'uscita non c'era.
E l'unica vita che l'aspettava, che le toccava di vivere era proprio quella lì che le si presentava ogni mattina e scorreva, incurante di lei.

Non indugiò oltre, era ancora tremante e voleva provare solo rabbia, così uscì sbattendo la porta d'ingresso, le dita strette intorno a quel foglietto scritto con una grafia infantile e tonda, con la quale aveva ormai familiarità circa di tre settimane. Sentiva le lacrime che spingevano per uscire, prepotenti, ma ancor più forte era il desiderio di prendere a pugni la staccionata bianca, non sentì nemmeno il dolore alle nocche quando, per davvero, sferrò il pugno.
Ormai svuotata saltò sulla sua bicicletta, desiderando di pedalare sino all'estremo della terra, o almeno dell'isola, ma, come più comunemente accadeva, finì semplicemente davanti al market. Prese un respiro profondo appena fu dentro e diede un'occhiata a quella maledetta lista, notando poi, solo in quell'istante che sul retro del foglio strappato si trovava un'appunto in corsivo: "From the dining table". Si chiese cosa significassero quelle parole e per un'istante ebbe il ricordo quel ragazzo, mentre faceva colazione, sempre la chitarra sotto braccio, ogni mattina. L'aveva perfino sentito, una notte in cui era tornata da casa di Ernie, non l'aveva visto ma l'aveva sentito suonare perso chissà dove in mezzo al giardino, sicura di non essere vista, lei aveva nascosto la sua bici, come ogni volta.
Il pensiero di Ernie la face illuminare, improvvisamente la voracità che le abitava il petto cominciò a scalpitare, le era venuta un'idea per soffocare la frustrazione. In pochi istanti decise cosa fare, sarebbe andata da l'unica persona che poteva aiutarla, e prestarle una chitarra, sopratutto.
Quando uscì, sistemò le buste nel cesto e fece in tempo a ridere, addirittura, per una conversazione che stava avvenendo in mezzo ai banchi di frutta all'esterno tra un palesemente confuso e balbettante ragazzo inglese e Frank, il proprietario, che parlava la lingua patois dell'isola.


-Ti sta chiedendo dove hai comprato gli occhiali da sole- sentì dire Harry da una voce alle proprie spalle. 

Ringraziò il cielo perché negli ultimi cinque minuti, incredibili e stupefacenti cinque minuti di conversazione, poteva dire di non aver capito niente. Sentiva già la risata sfuggire dalle sue labbra. Harry si voltò verso la ragazza che aveva parlato, la quale ora rideva leggera, si alzò gli occhiali sulla testa tirandosi indietro i capelli, in un gesto abituale, gesto che però interruppe sfilandoseli e rigirandoseli fra le dita. Con gli occhi fissi sui propri Rayban non notò lo sguardò sbalordito della ragazza davanti a lui. Ma Anna aveva capito, sapeva di star ammirando Harry Styles in tutta la sua bellezza, in quel primo pomeriggio soffocante che aveva appena preso una piega decisamente inaspettata.
-Questi? Chiedeva di questi?- rise di gusto, con le guance piene e arrossate dal sole di quella mattina. -Pazzesco, come li ha chiamati?-
-Darkers, si dice così sull'isola…ma Frank sa benissimo come si dice in inglese! Ti prendeva in giro, o mi sbaglio?-
Harry si voltò con gli occhi colmi di sorpresa e sbottò senza poter trattenersi dal sorridere, ancora, -Andiamo! Frank! Mi prendeva in giro?-
L'uomo rispose in maniera incomprensibile ma, Harry capì, che, con molta probabilità, lo stava ancora prendendo in giro. Ripeteva "bawn back a cow, but bonafide" scuotendo la testa, sorrideva e tratteneva un sigaro ormai consumato fra le labbra. Harry notò che a quel sorriso mancava qualche dente.
-Faccio così ridere?- scosse la testa Harry, incapace di trattenere ulteriori sorrisi a vedere come quella ragazza si stava divertendo.
Era particolarmente bella, forse complice il muro di un azzurro vivace dal quale spiccava, forse la voce di Sam Cooke che risuonava all'esterno del market, forse il sole che gli aveva picchiato in testa per tutta la mattina sulla spiaggia o forse, semplicemente, il vestito più corto mai visto.
Anna si chiese quanto fossero lontane quelle urla che poco prima erano pronte a deformarle le labbra, mentre Harry, camicia a fiori e giorni pesanti addosso, si stava chiedendo se ci fosse qualcosa nell'intero mondo che sembrasse più morbido di quelle labbra.
-Non immagini nemmeno, dice che sei uno stupido ma di buon cuore- rispose, facendo un cenno alle sue spalle, mostrando ancora quei denti bianchissimi sulla pelle color caffellatte.
-Una magra consolazione- rispose parlando lentamente, gli occhi che passavano piano a studiare quel nuovo volto.
-Sei qui in vacanza da solo? Neanche una guida?- continuò lei, poggiando entrambi i piedi a terra, tenendo le mani ancora strette al manubrio e uno sguardo indecifrabile a muovergli quegli occhi scuri.
Harry notò le nocche graffiate e rosse ma lei non le ritrasse, gli sembrò solo vederle stringersi di più.
-Sì, io sono qui…sono da solo, neanche una guida- mentì spudoratamente e gli occhi di lei si fecero scintillanti, i capelli smossi dal vento e un twist alla radio. Non sapeva, esattamente, perché avesse mentito, ma ripensando ai giorni passati aveva un'incredibile voglia di giocare.
E aggiunse con quella sua faccia un po' da schiaffi -Ti ho dato l'impressione di averne bisogno?- 

Anna quasi non riuscì a trattenere lo sgomento davanti a una bugia così sciocca, pensò, che forse, voleva solo mantenere la sua privacy. Ma no, ma no, qualcosa le diceva che si sarebbe spinto persino oltre se lei avesse continuato a porgli delle domande.
-Dove alloggi?— insistette, aggiungendo poi - E si, ne hai decisamente bisogno-
-Sto in una piccola pensione vicino…vicino alla spiaggia-
-Ah, si…una piccola pensione, perfetto allora!-
-Perfetto?-
-Senti, hai qualcosa da fare stanotte?- lo prese alla sprovvista lei, mentre stava già pensando a qualche storia credibile e fantastica da raccontarle se avesse fatto altre domande sul suo conto. Harry non le aveva lasciato gli occhi un solo istante e sentì l'ennesima risata spontanea e leggera premere sulle sue guance per uscire, ma si trattenne con un'espressione che lei doveva ritenere particolarmente comica.
-Come scusa?- si fece scappare, gli occhi grandi e increduli dentro quelli di lei, scuri e brillanti -no, non devo fare niente- si affrettò ad aggiungere, convinto forse dai suoi zigomi alti e dalla promessa che si era fatto proprio quella mattina, quando era quasi scappato da casa.
-Allora stasera, verso le dieci, vieni sulla piazza vicino alla spiaggia…immagino tu sappia di cosa parlo, no?- 
-Si…io…certo, certo, vicino- farfugliò Harry, estasiato dalle lentiggini che aveva appena scoperto sul naso di lei - ma almeno, posso sapere come ti chiami?- con la voglia di dare un nome a quello che sarebbe stato il suo pensiero lungo tutto quel lungo e caldo pomeriggio che lo attendeva.
-Anna, mi chiamo Anna-
E aveva già canzoni da dedicarle, ma soprattutto, pensò, esisteva davvero una pensione vicino alla spiaggia?
 

-Aah, i-dren! dat ooman is sugga- disse la voce impastata alle sue spalle, ed Harry afferrò in pieno il concetto, almeno 'sta volta.

 
 
  
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