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Autore: Lamy_    25/03/2019    0 recensioni
Ivar, oltre a possedere la fama di essere ‘’senza ossa’’, è anche noto per essere ‘’senza cuore’’. La sua condizione fisica gli ha procurato sin dalla nascita atroci sofferenze, emarginazione, e solitudine. L’unico barlume d’amore era sua madre Aslaug, che lo ha salvato da morte certa e lo ha sempre protetto, volendogli più bene degli altri figli. La vita di Ivar cambia quando arriva Hildr, la nipote orfana di Floki. Tra i due nasce una profonda amicizia che li lega in modo indissolubile e che li porterà a schierarsi sempre dalla stessa parte. A spezzare l’equilibrio, però, è la nomina del Senza Ossa a Re di Kattegat e il suo matrimonio con Freydis.
Ma quale sentimento si cela davvero dietro l’amicizia di Ivar e Hildr?
La sofferenza, il sangue e l’amore si scaglieranno su di loro come il fulmine di Thor sulla terra infrangendo promesse e spezzando cuori.
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. NOTTE D’AMORE

Un mese dopo.
Hildr attraversava la piazza centrale di Kattegat a passo lento, non aveva voglia di andare di fretta. Sveinn le aveva proposto di intensificare le ore di lavoro per la realizzazione del nuovo sistema difensivo, nonostante fossero già a buon punto, e si era dovuta precipitare giù dal letto all’alba. Alla fine aveva lasciato la baracca di Floki per trasferirsi nella casa di città dove aveva vissuto con gli zii. Isobel, invece, stava per sposare Hvitserk e andavano ad abitare in una delle svariate proprietà di Ragnar disseminate in tutta Kattegat.
“Guardatela un po’, la signorina cammina tra noi comuni mortali!” esordì Kara, la sua vicina di casa. La donna stava comprando del pesce assieme ad un paio di sue compagne.
“Kara, dovresti smetterla di parlare. Il mondo sarebbe un posto migliore se ti cucissi la bocca!”
Da quando Freydis era stata imprigionata e il matrimonio con il re era stato annullato, tra i cittadini circolava la voce che Hildr fosse l’amante di Ivar. In verità, tra Hildr e Ivar non era cambiato niente. Dopo essersi confessati a vicenda, il loro rapporto era tornato quello di prima, si comportavamo sempre come migliori amici. Non c’erano stati più baci o altre dichiarazioni, solo qualche sporadico abbraccio più stretto.
“Sei solo una donna, Hildr, e per questo nessuno ti considererà mai al pari di un uomo. Potrai anche andare a letto con il re, ma ciò non cambia quello che sei e i tuoi limiti.”
“Beh, sta di fatto che sono fiera di essere una donna diversa da te e dalle tue amiche. Io ho cervello e carattere, voi non avete neanche un briciolo di dignità.” Disse Hildr con un sorrisetto, dopodiché le sorpassò e si diresse alle mura. Sveinn l’attendeva insieme agli altri lavoratori, stavano revisionando alcuni progetti.
“Buongiorno, signori!”
“Hildr, ma che piacere averti fra noi. Finalmente ti sei decisa ad alzarti dal letto!” la canzonò Sveinn facendo un buffo inchino. Hildr rispose con un altro goffo inchino e poi gli diede una gomitata nelle costole.
“Sta attento, oppure ti pianto un’ascia nel petto.”
“Come sei manesca!” scherzò uno dei ragazzi che collaborava alla difesa. Hildr rise e scosse la testa, si sentiva a suo agio tra quella gente semplice come lei.
“Qual è il piano di oggi?” domandò, seguendo Sveinn verso una pila di legna.
“Dobbiamo rinforzare i ponteggi e la porta di accesso. Hai qualche idea che possa aiutarci e che possa piacere anche al re?”
“Il re è un ottimo stratega, nessuna delle mie idee potrà essere utile. Dovremmo parlarne direttamente con lui.”
“Immagino voglia essere tu a parlare con lui.”
Sveinn tentò di mascherare una risatina e Hildr lo trucidò con i suoi occhi scuri.
“Qual è il problema, Sveinn?”
“Circolano delle voci su te e Ivar, pare che tu sia la sua amante.”
“Non pensavo che tu fossi il tipo di persona che dà adito ai pettegolezzi.” Disse Hildr in tono serio, non aveva intenzione di scherzare su certi argomenti.
“Infatti non ci credo. Volevo solo dirti che ormai la voce si sta spargendo a macchia d’olio. Insomma, Ivar ti ha miracolosamente salvata dalle pretese di re Harald.”
“Harald è stato pagato per andarsene. Ivar gli ha ceduto la fortezza di York perché mi lasciasse in pace, e lo ha fatto perché ero stata accusata ingiustamente.”
Sveinn notò il cambio d’umore della ragazza e le mise le mani sulle spalle, la loro differenza di altezza era spiazzante.
“Ehi, io so la verità. Sono gli altri che fanno supposizioni. A me interessa sapere come stai tu.”
“Grazie per il pensiero, ma io sto bene. Ivar sta bene. Non capisco perché la gente si preoccupi tanto della nostra relazione. Se stiamo insieme o no è solo una faccenda nostra che non ha a che fare con tutta la città. Non mi piace essere additata come la concubina del re, non mi si addice.”
I capelli rossi di Sveinn risaltavano come una pozza di sangue contro i raggi del sole, e Hildr chiuse un occhio per ripararsi dalla luce.
“E quale relazione c’è tra voi due?”
“Secondo te vengo a raccontarti i fatti miei? Non essere imbecille, Sveinn.” Replicò lei inarcando il sopracciglio. Sveinn sorrise e si avvicinò a lei fino a far toccare i loro corpi.
“Non ti muovere. Il re ci sta fissando dalla veranda.” Le mormorò all’orecchio, gettando un’occhiata alla figura che li osservava da lontano.
“Che stai facendo?”
“Facciamo ingelosire un po’ il re, eh? Magari smuoviamo le acque.”
Hildr capì che Sveinn stava risolvendo la situazione di limbo più di quanto avesse fatto lei nell’ultimo mese, perciò annuì e non si mosse. Rimasero così per una decina di minuti prima che una serva intimorita picchiettasse l’indice sulla spalla di Hildr.
“Sì?”
“Il re richiede la tua presenza al suo cospetto. Ha urgenza di discutere con te circa il proseguimento dei lavori.” Balbettò la ragazza, piccola e timida.
“Ti conviene sbrigati, oppure ti rinchiuderà di nuovo.” Le suggerì Sveinn con un ghigno. Hildr alzò gli occhi al cielo e seguì la serva verso la dimora reale. Una volta entrata, trovò Ivar seduto al tavolo e intento a scolarsi un boccale di birra. Hildr prese posto di fronte a lui e rubacchiò una fetta di mela per mangiucchiarla.
“Ehi! Volevi vedermi?” 
“Ho costatato con disappunto che tu e Sveinn state lavorando poco alle difese. Devo dedurre che vi intratteniate con altre attività.”
Ivar era palesemente infastidito, il suo sguardo azzurro si era fatto scuro e le labbra erano una linea dura.
“Lavoriamo tutti i giorni da mesi alle tue difese! Non hai motivo di criticare il nostro operato. Inoltre, di quali altre attività parli?”
“Un tempo odiavi Sveinn.” Riprese Ivar, ignorandola. Hildr sbuffò e fece ricadere la schiena contro lo schienale.
“Io tuttora in parte odio Sveinn, non dimentico quello che ci ha fatto. Però tu mi hai ordinato di collaborare con lui, quindi adesso non ti lamentare.”
“Per l’appunto io ti ho chiesto di collaborare con lui, non di passarci tutto il tuo tempo tra toccatine e risate!”
“Toccatine e risate?! – fece Hildr alzandosi bruscamente – Tu non ti rendi conto di quello che dici, Ivar. Stai insinuando qualcosa che non esiste tra me e Sveinn. E tu lo sai.”
Ivar, colto dall’ira, scaraventò a terra il boccale di birra, che si frantumò sul pavimento.
“Io non si proprio un bel niente! Viviamo in una situazione di stallo da un mese, Hildr, e non ci sto capendo nulla.”
“E la colpa sarebbe la mia? Neanche tu sei stato molto espansivo ultimamente!” ribatté lei, stizzita. Si stavano urlando addosso senza alcun motivo, erano solo stanchi dell’incertezza della loro relazione. Ivar si avvicinò a lei con l’ausilio della stampella e le scostò un ciuffo di capelli dalla fronte, ma Hildr rimase a braccia conserte con espressione torva.
“Scusami, non è giusto prendermela con te. E’ colpa di entrambi.”
“Io non so nemmeno se stiamo insieme, Ivar. Ci siamo comportati come sempre, non sembra cambiato niente.”
Ivar aggrottò le sopracciglia e si morse le labbra.
“Tu vuoi che cambi qualcosa?”
“Dovremmo cambiare qualcosa?”
Si guardarono per un istante e poi scoppiarono a ridere, era ridicolo quel loro scambio di battute.
“Non abbiamo più sei anni, eh.” Disse Ivar portando le mani sui fianchi della ragazza. Hildr, dal canto suo, gli circondò il collo con le braccia.
“Nah, dire di noi.”
“Non so che fare.”
Hildr incassò quell’ammissione come il fendente di una spada, sciolse l’abbracciò e si ritrasse.
“Forse non siamo fatti per essere una coppia. Amarsi non implica per forza stare insieme.”
Ivar non si aspettava quelle parole, bruciavano come sale sulle ferite. Anche lui fece un passo indietro, serrando le dita intorno alla stampella tanto da far scricchiolare le nocche.
“Bene, a questo punto non abbiamo più nulla da dirci. Amici come sempre?”
Entrambi ricordavano quando anni addietro si erano baciati per sbaglio e avevano voluto dimenticare tutto per restare solamente amici, e ora stavano commettendo lo stesso errore.
“Amici come prima.”
 
Due settimane dopo
Isobel tremava come una foglia mentre Hildr l’aiutava a sistemarsi l’abito. Poche ore la separavano dal matrimonio con Hvitserk, e l’agitazione la tormentava da quando si era svegliata.
“Ecco fatto! Sei pronta.” Esordì Hildr, spingendo l’amica verso lo specchio perché si ammirasse. Era un semplice vestito grigio-perla a maniche corte con intarsi bianchi e argentati. Indossava un paio di perle ai lobi e i capelli erano intrecciati ad una corona di fiori.
“Grazie, Hildr. – disse Isobel voltandosi con gli occhi lucidi – Grazie di tutto. Senza di te oggi sarei ancora una schiava, oppure sarei morta, e devo la mia vita a te.”
“Beh, che dire, io salvo vite nel tempo libero!” esclamò Hildr, poi abbracciò l’amica e le baciò la testa. Il momento fu interrotto dall’arrivo di Sveinn che comparve sulla soglia.
“Hvitserk ti aspetta.”
Hildr e Sveinn accompagnarono Isobel sino alla spiaggia, dove si era riunito un nutrito gruppo di invitati, e Hvitserk sorrise raggiante. L’attenzione di Ivar si focalizzò su Hildr, si era seduta con Sveinn e parlottavano fitto tra di loro. Le curve del suo corpo erano messe in risalto da un abito rosso dall’ampio scollo, dotato di una cintura in oro, e portava i lunghi capelli neri sciolti e ribelli sulle spalle. Non diede retta alla celebrazione del matrimonio, restò concentrato su Hildr e Sveinn. Sembravano particolarmente intimi, si sfioravano con le mani, si sorridevano complici, e lui sentiva il sangue ribollirgli nelle vene.
Poco dopo si spostarono nella sala reale per il banchetto. Ivar stava sul trono in silenzio, lontano da tutti, mentre lasciava vagare gli occhi tra gli invitati. Fremette di ira quando il fuoco illuminò il profilo di Hildr che mostrava a Sveinn una testa di orso vinta da Ubbe anni orsono. Fischiò per richiamare un servo e gli fece cenno di avvicinarsi.
“Dì alla ragazza col vestito rosso di raggiungermi nelle mie stanze.”
Dieci minuti dopo Hildr si presentò negli appartamenti privati del re col cuore che batteva all’impazzata. Non si parlavano da due settimane e quell’invito era improvviso, temeva l’ennesimo litigio.
“Ivar?”
“Sono qui.”
Ivar stava affacciato alla finestra mentre il sole si spegneva per lasciare spazio alla notte.
“Perché mi hai fatta chiamare?”
Il ragazzo zoppicò e le afferrò il polso per attirarla a sé, al che lei sussultò. Quella vicinanza era come fuoco sulla pelle.
“Io ti guardo e ho una voglia disperata di baciarti. Più ti guardo e più la voglia aumenta. Sei tu l’amore della mia vita, Hildr. Sei tu perché altrimenti la mia vita non avrebbe senso.”
“Ivar …” incominciò Hildr, però lui le pose un dito sulle labbra per zittirla.
“Non pronunciare altre parole, ne sono state dette troppo e nessuna di loro ha funzionato. Non sopporto vederti con Sveinn o con qualsiasi altro uomo, divento folle di gelosia. Voglio essere l’unico per te.”
 Ivar aveva sussurrato ogni sua speranza con una veemenza esasperante. Il cuore di Hildr batteva il doppio e temeva che sarebbe uscito fuori dal petto.
“Tu sei l’unico, Ivar. Sei sempre stato l’unico.”
Questa volta Hildr non gli permise di parlare ancora, lo prese per il colletto della giacca e lo baciò. Ivar fece cadere la stampella a terra per stringerle i fianchi, avvinghiandosi a lei come fosse il solo scoglio di salvezza nella tempesta. Ben presto la bocca del ragazzo scese a baciarle il collo e le clavicole. Hildr gemette quando sentì le labbra di Ivar scendere verso il seno. Una miriade di emozioni si dibattevano in loro, era come scoprire il mondo per la prima volta. Si separarono quando due uomini ubriachi urtarono contro la porta aprendola.
“Scusateci, re Ivar.” Biascicò uno dei due, poi svanirono nel corridoio buio. Hildr si schiarì la voce nel totale imbarazzo.
“Beccati.”
Ivar sorrise contro la sua spalla, annusando il suo odore.
“Dovremmo tornare alla festa, è meglio.”
“Sì, decisamente.”
Hildr stava per uscire quando Ivar richiuse la porta e la schiacciò contro la superficie.
“La festa può aspettare qualche altro minuto.”
La risata della ragazza morì sulle labbra di Ivar, e la serata trascorse tra baci roventi e parole sussurrate al buio.
 
Il sole caldo di giugno rendeva arduo l’allenamento, per di più unito alla terra e ai fili d’erba che schizzavano dappertutto. Hildr prese fiato per qualche secondo, le mani sulle ginocchia piegate, la testa che ciondolava.
“Sei già esausta? Ci stiamo allenando solamente da tre ore!” la punzecchiò Ivar, accomodato su un tronco a maneggiare l’ascia.
Hildr grugnì, poi si tolse la casacca per rimanere solo con il seno coperto da una fascia e i pantaloni. Si legò i capelli in uno chignon in modo che non le dessero fastidio e riprese l’ascia, era pronta a continuare. Ivar si inumidì le labbra a quella visione, lei riusciva ad essere attraente in tutte le occasioni.
“Continuiamo, idiota.” Disse la ragazza puntandogli l’ascia al petto.
“Devi smetterla di insultare il tuo re, Hildr. Sei davvero una cattiva ragazza.”
“E tu devi smetterla di dirmi cosa devo fare.”
Ivar sorrise compiaciuto, adorava quando lei gli teneva testa. Con gli occhi percorse il suo corpo armonioso, ogni curva, ogni cicatrice, e si meravigliò di tanta bellezza.
“Ah, che caratteraccio!”
“Da che pulpito!” replicò Hildr, poi avanzò e gli assestò un colpo finto al collo come se volesse tranciargli la testa. Allora Ivar le ghermì il polso, la fece voltare e le spinse il braccio intorno al collo simulando uno strangolamento. Si trovavano schiena contro petto, e Hildr avvertiva la pelle bollente del ragazzo sulla propria.
“Sei lenta. Qualcosa ti distrae?” le disse lui all’orecchio in tono suadente. Aveva il gomito poggiato al seno sinistro e sentiva i battiti accelerati di Hildr riecheggiargli nelle ossa.
“Sei tu quello distratto, cocco.”
Ivar abbassò gli occhi e vide l’ascia di Hildr che gli pungolava l’addome. Da una settimana circa avevano deciso di provare a stare insieme con la promessa che tra di loro non sarebbe cambiato nulla, che l’unica eccezione sarebbero stati i baci e una maggiore fedeltà. Le cose stavano funzionando, in fondo la loro amicizia era soltanto passata allo stadio successivo. Hildr trasalì quando Ivar le baciò il collo facendola rabbrividire. Non erano mai andati oltre i baci e a stento avevano dormito nella stessa stanza, perciò quelle erano tutte sensazioni nuove. Ivar sussultò quando la mano di Hildr gli accarezzò la coscia, perciò si tirò indietro di colpo. La ragazza si girò per capire cosa fosse cambiato all’improvviso.
“Ivar, va tutto bene?”
“Ehm, sì, è solo che si è fatto tardi.” Disse laconico, e cercava in tutti i modi di evitare lo sguardo di Hildr.
“Ho sbagliato qualcosa?”
Ivar emise un sospiro frustrato, non voleva farla preoccupare ma non sapeva che altro fare. Ogni volta che Hildr aspirava a qualcosa di più di un bacio, lui si irrigidiva e lasciava perdere.
“Non hai fatto niente. E’ che ho degli affari da sbrigare in città.”
“E’ un peccato, ci stavamo divertendo.” Gli sussurrò lei sulle labbra per poi dargli un bacio a stampo.
“La verità è che non vuoi tornare a lavorare.” Scherzò Ivar per stemperare la tensione, però Hildr non rise.
“La verità è che non capisco perché non ti lasci toccare da me. Non sono stupida, lo vedo che ti sottrai ogni volta che andiamo oltre un banale bacio.”
“Sei troppo intelligente, Hildr.”
“E tu sei troppo imbecille, Ivar.”
Hildr gli diede un pugno sulla spalla e lui finse di essersi fatto male, ma tornò subito serio.
“Mi imbarazza l’idea di essere in intimità con te.” ammise Ivar, morsicandosi l’interno della guancia.
“Ti vergogni di me? Sono solo io.”
“Non è vero. Il problema è che sei proprio tu! Sei Hildr, e questo mi spaventa a morte. I baci vanno bene, ma non voglio che tu mi veda per davvero. Sono uno storpio.”
“Non sei uno storpio, piantala con queste idiozie. Per me sei solo Ivar. E voglio tutto di te, anima e corpo.”
Ad Ivar scappò un sorriso, rincuorato da quelle parole.
“Tu mi sorprendi sempre.”
“E’ una delle mie doti!” disse Hildr ridacchiando.
Stavano per baciarsi quando uno scoiattolo scorrazzò tra l’erba facendoli scostare.
“Sarà meglio tornare a Kattegat.”
 
Tre mesi dopo
Tutta Kattegat si era radunata nella piazza centrale in occasione delle nuove misure di difesa. Hildr e Sveinn solo due giorni prima avevano terminato il progetto e Ivar non aveva voluto sprecare altro tempo, pertanto era stata organizzata una grande festa. Erano stati compiuti tre sacrifici, la birra scorreva a fiumi, e i servi sballottavano interi vassoi ricolmi di cibo di qua e di là. Hvitserk aveva sfidato Sveinn in una gara di bevute, e sembrava che il figlio di Ragnar stesse vincendo. Isobel, incinta di quattro mesi, si teneva lo stomaco per le troppe risate. Ivar cinse col braccio le spalle di Hildr, che stava seduta accanto a lui, e le baciò la guancia.
“Per cos’era il bacio?”
“Mi andava. E’ vietato baciare la mia valchiria?”
Hildr scosse la testa, poi gli prese il mento e gli diede un bacio approfondito sulle labbra.
“E’ così che devi baciare la tua valchiria.”
Ivar sorrise sulla sua bocca prima di baciarla ancora.
“Ho una sorpresa per te. Seguimi.”
Hildr lanciò un’occhiata interrogativa a Isobel, la quale era del tutto ignara di cosa stesse accadendo, e salì sulla biga di Ivar. Il cavallo galoppò veloce in direzione della sua vecchia abitazione, laddove un tempo sorgeva la fattoria dei suoi genitori. Non ci andava più da quando aveva dieci anni, in fondo si trattava di un piccolo pezzo di terra abbandonato e bruciato. Ragnar si era assicurato che i resti rovinati della casa fossero sgomberati e poi aveva ordinato che nessuno andasse ad occupare quella terra.
“Hai ancora intenzione di uccidermi per aver salvato Alfred? Occultare il mio cadavere da queste parti è facile.” Esordì Hildr per spezzare il silenzio creatosi tra di loro. La ragazza non guardava davanti a sé, manteneva gli occhi sull’orlo del vestito per paura di essere investita dai ricordi. Ivar scavò nella tasca della giacca e ne estrasse una benda nera, dunque la cacciò nelle mani di Hildr.
“No, la voglia di ucciderti mi è passata. Ora vorrei che indossassi questa.”
“Una benda? Vuoi decisamente farmi fuori.”
“Fa la brava bambina e bendati.”
“Suona molto perverso.” Disse lei, allacciandosi la benda dietro la testa. Non vide il ghigno di Ivar, ma seppe lo stesso che gli increspava le labbra. La biga avanzò nel buio per altri venti minuti, poi Ivar tirò le briglie e il cavallo arrestò la sua corsa. Con qualche difficoltà mise i piedi sul terreno, imprecando a bassa voce, e tese una mano verso Hildr.
“Siamo arrivati, puoi scendere. Dammi la mano.”
“Siamo sul luogo della mia morte?” insistette lei, tastando l’aria per avere un minimo indizio di dove si trovassero.
“Sta zitta, Hildr. Non rovinare tutto con la tua parlantina.”
“E’ solo che mi crea una certa ansia essere bendata in mezzo al buio.”
“Adesso ti libero.”
“Oh, era ora!”
Dopo che Ivar le slacciò la benda, gli occhi di Hildr si velarono di lacrime. Davanti a lei torreggiava una piccola casa di pietra simile a quella dove abitava con i suoi genitori, e ai lati era costeggiata da un recinto per animali e da un pozzo. Dalla biga alla porta il tragitto era illuminato da una serie di fiaccole in fila.
“E’ mezzanotte. Sono trascorsi dodici anni da quando ci siamo conosciuti, mia adorata Hildr.”
Hildr non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto, era troppo commossa per poter pensare, e si limitò a gettargli le braccia al collo per abbracciarlo forte. Ivar la strinse a sua volta e le baciò la spalla, era contento di averla sorpresa.
“E per questo hai ricostruito la mia casa.”
“Entra, dai!” la incoraggiò lui con un sorriso, al che Hildr tutta tremante entrò dentro e fece un giro delle stanze. Le sembrava di avere di nuovo sei anni, di avere ancora la sua famiglia e tutta la spensieratezza di una bambina. Ivar la lasciò da sola per un po’, il giusto perché si abbandonasse ai ricordi e rivivesse gli ultimi istanti con i suoi genitori. Hildr si affacciò alla finestra e i suoi occhi saettarono verso il cielo trapunto di stelle, piccoli puntini luminosi che immaginava essere i suoi genitori che dal Valhalla vegliavano su di lei.
“Che fai lì impalato, Ivar? Vieni!”
Una volta dentro, Ivar si sedette sul letto, le gambe iniziavano a dolergli. Hildr già si era spaparanzata al suo fianco e fissava il soffitto con espressione felice.
“Ho una cosa per te.” disse Ivar, tirando fuori dalla tasca un sacchetto nero. Il sorriso di Hildr si allargò ancora di più quando, aperto il sacchetto, vi trovò una collana con un pendente a punta di freccia.
“E’ stupenda.”
La ragazza gli diede la collana e si girò di spalle perché lui gliela appuntasse al collo.
“La freccia è senza dubbio il tuo simbolo, tagliente, letale, affascinante.”
“Non avresti dovuto fare tutto questo per me. Non valgo tanta fatica.”
Ivar fece di no con la testa, toccò il pendente e poi si attorcigliò intorno al dito una ciocca corvina.
“Infatti, tu meriti molto di più. Credevo che dopo mia madre l’unica ad amarmi fosse Freydis, ma in realtà l’avevo liberata e mostrava interesse solo per mantenere il suo status. Mi ha addirittura tradito pur di essere regina, mi ha fatto credere di essere un dio invincibile, di essere il migliore di Midgard. Per colpa della mia follia di onnipotenza stavo per perdere l’unica cosa buona e pura della mia vita, tu. Rischiavo di lasciarti ad Harald, di ucciderti, e di vivere con il peso di averti fatta soffrire. Ricordi quel bacio che ci siamo dati per sbaglio di ritorno dal Wessex? Ecco, non era casuale, io volevo davvero baciarti. Volevo confessarti tutto, ma tu eri talmente bella che non ho avuto il coraggio perché temevo che i miei sentimenti ti avrebbero allontanata.”
“Non è il momento per piangersi addosso, Ivar. Non ti è concesso fermarti a riflettere ora che il pericolo incombe su di noi. La guerra sta arrivando, e la sua portata sarà devastante.”
Ivar sollevò le sopracciglia, era surreale che lui si stesse scusando e che lei fosse preoccupata per la guerra.
“Te lo hanno mai detto che rovini l’atmosfera?”
Hildr ridacchiò, da bambina Helga le rimproverava sempre di essere una guastafeste con la sua serietà e massima concentrazione.
“Perdona la mia eccessiva apprensione. E’ solo che le cose non saranno facili ancora per molto, presto tutto cambierà in maniera radicale.”
“Hai paura di perdere?” indagò Ivar, i suoi occhi azzurri spiccavano sul volto illuminato solo da poche candele.
“Tutti abbiamo paura di perdere, io, tu, anche Bjorn. Non c’è solo Kattegat in ballo, ci sono la gloria, l’amore, la famiglia. La posta è troppo alta per non avere paura.”
Dalla voce di Hildr traspariva una certa disperazione, un’insolita agitazione che di rado ammetteva di provare.
“Non c’è nulla di cui aver paura, Hildr. Abbiamo un esercito forte, il sistema difensivo è eccellente, e la città si prepara da mesi all’attacco.”
“A me non importa della città! E non mi importa nemmeno di battere Bjorn e Lagertha! A me importa di te, di Isobel e di suo figlio, e di Floki che si trova ancora là fuori! Io già perso la mia famiglia una volta, non voglio che succeda di nuovo. Al dolore c’è un limite.”
Ivar rimase interdetto, sapeva che Hildr aveva ragione ma non voleva ammetterlo per non sentirsi debole.
“Questo significa che non combatterai al mio fianco?”
“Questo significa che combatterò più ferocemente per le persone che amo.” Disse Hildr, risoluta e fiera come una valchiria.
“Non ci perderemo, Hildr. Faremo il possibile per restare insieme.”
“Giuramelo.” Disse lei, portandosi una mano sul cuore.
Ivar con la propria mano andò a coprire quella lei, i battiti del cuore di Hildr rimbombavano attraverso le ossa simili a spade che cozzano.
“Te lo giuro.”
L’istante dopo le labbra di Hildr furono sulle sue in un bacio impetuoso che sapeva di dolce e di amaro al tempo stesso. Non stavano suggellando il giuramento solo a parole, lo stavano facendo anche con i baci. Se c’era una cosa che non sarebbe mai cambiata al mondo, era il loro legame indissolubile. Le dita di Hildr scattarono per sbottonare la giacca di Ivar mentre lui le riempiva il collo di baci. Le loro mani erano avide di pelle, i baci sempre più famelici, e le fiammelle delle candele bruciavano proprio come loro. Quando Hildr gli sfilò anche la casacca, si prese qualche secondo per contemplare la bellezza del ragazzo. Le spalle, le braccia e il petto erano tonici e muscolosi, la pelle era segnata da numerosi tatuaggi, tra cui i due nodi che lei stessa aveva sul polso.
“Che c’è?” chiese Ivar con filo di voce, spaventato che lei si stesse tirando indietro all’improvviso.
“Ti stavo ammirando. Sei davvero bello.”
Hildr sorrise divertita per il rossore che affluì sulle guance di Ivar, che in quel momento non era più un re ma un semplice ragazzo di venti anni. Poi l’inquietudine si impossessò di lui e si sentì stranamente scoperto, senza difesa alcuna.
“Non posso.”
“Di che parli?”
“Di quello che stiamo per fare. Io non posso.”
Ivar cercò di alzarsi dal letto ma Hildr gli artigliò i polsi costringendolo a restare.
“Ivar, sono io. Sono Hildr. Non devi andare nel panico.”
“Tu non capisci. Noi non potremo mai fare nulla del genere.”
Hildr si accorse del suo disagio e provò una fitta di dolore nel costatare che l’autostima del ragazzo non era mai aumentata negli anni.
“Capisco che il problema siano le tue gambe. So che ti vergogni, ma ti ricordo che sono sempre stata io quella alleviava il dolore con i massaggi. Conosco il tuo corpo meglio del mio, perciò non ti devi preoccupare del mio giudizio.”
Ivar respirò a fondo ad occhi chiusi in cerca del coraggio per confessarle la verità. Benché amici da una vita, non conoscevano proprio tutto l’uno dell’altro.
“Il problema non sono le mie gambe perché so che i tuoi occhi non mi giudicheranno mai. Il problema è che io non sono fisicamente in grado di soddisfarti.”
Hildr fu colta alla sprovvista da quella dichiarazione e, seppur tentasse di non darlo a vedere, Ivar comprese subito la sua reazione.
“Ma tu e Freydis non avete mai consumato il matrimonio?”
“Non del tutto. Ero talmente abbagliato dalla convinzione di essere un dio da credere di poter generare un figlio anche senza consumare in modo vero e proprio, ma ovviamente mi sbagliavo.”
“Per tutti gli dèi, sono così felice che tu non sia realmente andato a letto con Freydis!”
Hildr si tappò immediatamente la bocca con le mani nella speranza di rimangiarsi ciò che aveva appena detto, ma la risata di Ivar era la conferma che non poteva tornare indietro.
“E perché sei così felice?”
“Perché voglio essere la prima a fare l’amore con te.”
Il sorriso di Ivar si spense, tramutandogli il viso in una maschera di freddezza.
“Non prenderti gioco di me. Ti ho appena detto che non posso.”
“Ci sono svariati modi di fare l’amore, noi dobbiamo solo trovare il nostro.”
Ivar era da sempre un freddo calcolatore, sicuro, spietato, ma bastavano spicciole parole dolci per farlo sciogliere.
“Tu sei già stata con qualche ragazzo?”
“No. Tu sei il primo.”
“Mi fido di te.” disse allora Ivar, sebbene l’incertezza macchiasse la sua voce. Hildr premette le labbra sulle sue in un bacio tenero, rassicurante, lo stava invitando a lasciarsi andare del tutto. Lentamente si sedette a cavalcioni, le ginocchia toccavano i fianchi del ragazzo, e le loro labbra non si staccavano. Ivar rallentò l’impeto del bacio e Hildr si scostò con preoccupazione.
“Ti ho fatto male?”
“Tu non mi fai male, Hildr.”
Erano le stesse parole che le aveva detto nei boschi del Wessex, quando Ragnar era vivo e lui aveva bisogno di lenire il dolore alle gambe. Hildr sorrise, dunque riprese a baciarlo. Ivar iniziò ad abbassarle le spalle del vestito con calma, godendosi il contatto con la pelle morbida e calda della ragazza. Intanto Hildr era scesa a baciargli il petto, i muscoli guizzavano ad ogni movimento, e lei si prodigava di passare in rassegna ogni singolo tatuaggio. Si liberò del vestito, che oramai era diventato di troppo, e Ivar trattenne il respiro. L’aveva sempre considerata come una non-donna, ma adesso si accorgeva finalmente dell’armonia del suo corpo, ogni curva era perfetta. La pelle era segnata da cicatrici e qualche ustione, eppure restava la cosa più bella che avesse mai visto. Trasalì quando le dita di Hildr gli sbottonarono la cintura costringendola a fermarsi.
“Posso?”
Ivar deglutì perché, un conto era continuare con i vestiti addosso, e un conto era farsi vedere nudo. Nonostante Hildr conoscesse il suo corpo, provò una certa soggezione.
“Sì.” Concesse poi, sfinito dalla propria vergogna. Quando anche i suoi calzoni caddero sul pavimento, Hildr non smise di sorridere. Si avventò sulla bocca di Ivar per smorzare l’imbarazzo, erano nudi per la prima volta e ora potevano conoscersi ancora meglio.
“Sentire il tuo corpo nudo sotto di me è una sensazione appagante.” Disse Hildr.
Gli occhi di Ivar strabuzzarono, nessuno si era mai professato in maniera tanto diretta con lui, ma Hildr lasciava trapelare ogni singolo pensiero. L’attirò a sé per baciarla, stringendosi le sue gambe intorno ai fianchi, voleva sentire ogni singolo centimetro di pelle. Il bacio si intensificò subito, i gemiti riempivano la stanza, le mani si rincorrevano desiderose di maggiore vicinanza. Ivar le tempestò di baci umidi il collo, le clavicole, le spalle. Gemette senza ritegno quando le labbra di Hildr lo intrappolarono in un bacio violento, fatto di lingua e di morsi, di sentimenti taciuti a lungo. Capovolse le posizioni in modo che la ragazza si trovasse sotto di lui, voleva guardarla e adorarla.
“Tu sei la mia dea.”
Hildr fece un sorriso malizioso, gli avvinghiò di più le gambe attorno ai fianchi per avvicinarlo.
“Ma tu non sei il mio re.”
Ivar rise, lei non si arrendeva mai a tenergli testa.
“Io non voglio essere il tuo re. Io voglio essere il tuo amante.”
Lei non replicò, anzi ingaggiò l’ennesimo bacio passionale, e Ivar si fece trasportare.
Mentre loro si amavano, la luna gettava ombre argentate sulla finestra come a proclamarsi testimone della loro unione.
Hildr riaprì gli occhi svogliatamente, era ancora assonnata e avrebbe preferito dormire, ma Ivar le stava accarezzando i capelli nella speranza di svegliarla.
“Te lo hanno mai detto che dormi tanto?”
“Te lo hanno mai detto che non si interrompe il sonno di una persona?”
Si voltò verso di lui e fu salutata da un sorriso raggiante, era raro vederlo così sereno e felice.
“Mi stavo annoiando da solo.”
“E non potevi dormire un altro po’?”
“Lo sai che dormo poco, soprattutto dopo ieri notte.” Disse lui, disteso su un fianco e con la guancia poggiata sulla mano.
“Appunto, dopo ieri notte dovresti essere esausto.”
L’entusiasmo di Ivar scemò di colpo, era tornato serio e nervoso.
“Stai dicendo che non ti è piaciuto?”
Hildr si mise seduta e si passò le mani tra i capelli, intontita dal risveglio.
“Non ho detto questo, Ivar. Dal momento che ieri notte siamo andati avanti per circa due ore, peno che dovremmo essere stanchi.”
“Quindi ti è piaciuto?”
“Sì, mi è piaciuto da impazzire. Smettila di essere così insicuro. E’ stata la nottata migliore della mia vita, tu sei stato strepitoso, e adesso sono felice.”
“Sono stato strepitoso anche se non abbiamo concluso completamente? Lo so che ti sembrerò ossessivo, ma il fat …”
“Sì, sei ossessivo, perciò sta zitto o ti prendo a bastonate con la legna del focolaio!”
Hildr si mise a ridere, sin da quando era bambina adorava zittirlo.
“Dovrei bandirti per come ti rivolgi al re!”
“Ah, sì? E poi come te la cavi senza di me?”
Ivar per ripicca l’afferrò per i fianchi e le fece il solletico, sorvolando sulle lamentele della ragazza che lo pregava di smettere.
“Sei davvero un’insolente, ragazzina.”
“Lasciami! Ivar, ti supplico! Basta!” strillò Hildr tra le risate, quasi a corto di fiato. Ivar rideva insieme a lei, sembrava di essere tornati a quando avevano dieci anni e si sbellicavano dalle risate prendendo in giro i cittadini.
“Chiedi scusa e ti lascio.”
Hildr, che detestava rassegnarsi, con uno scatto di agilità riuscì a mettersi sopra di lui e a bloccargli le mani.
“Io non chiedo mai scusa, mio caro!”
Ivar si svincolò dalla sua presa, impugnò il ciondolo a forma di freccia e la strattonò verso il basso per baciarla. Hildr sorrise sulle sue labbra prima di abbandonarsi ad un bacio lento, urgente, pieno di leggerezza.
“Vorrei che fosse sempre così. A volte vorrei soltanto andare via, rifarmi una vita lontano da Kattegat e da tutto il dramma che ne deriva. Vorrei essere semplicemente Ivar, un ragazzo normale.”
Hildr gli accarezzò il contorno delle lebbra col pollice per poi stampargli un bacio sulla guancia.
“Non puoi. Sei figlio di Ragnar, non ti è concesso essere normale. Non sarai un dio, ma sei un uomo straordinario. Sei un ottimo stratega, anticipi le mosse degli altri, sei intelligente, furbo, e sai come vincere uno scontro con pochi guerrieri. Tuo padre aveva ragione, la tua forza sta nella tua testa. Hai una mente eccelsa, puoi fare quello che vuoi. Non devi porti alcun limite. Tu sei Ivar Senz’Ossa, puoi conquistare il mondo intero!”
Ivar giocò con una ciocca di capelli di Hildr, tirandola e torcendola, mentre la guardava negli occhi. Lei era l’unica che credeva in lui, che non lo considerava un deforme, ma lo reputava un uomo valoroso.
“E tu sei Hildr la Valchiria, puoi annientare qualunque uomo si metta sulla tua strada.”
“Allora vedi di non metterti sulla mia strada!” ribatté lei con un sorriso divertito.
“Tu non lasci mai agli altri l’ultima parola.”
“Perché dovrei? Merito anche io di avere l’ultima parola.”
Ivar annuì, quella ragazza lo meraviglia ogni volta.
“Sei sicura di voler stare con me? Io non posso darti quello che potrebbero darti gli altri uomini.”
“Cosa posso darmi gli altri che tu non puoi?”
“Una relazione normale. Dei figli. Una vita serena, al sicuro dalla guerra. Una nottata di vero sesso.”
Hildr rotolò giù dal letto per raccattare la casacca di Ivar per vestirsi, poi si riempì un bicchiere d’acqua e lo bevve in un solo sorso. Ivar la osservava dal letto, la schiena contro il muro, le gambe coperte.
“Abusi della parola ‘normale’, sai. Hai il brutto vizio di inserirla dappertutto, come se fosse di vitale importanza. Chi ti dice che non sei normale? Le tue gambe? Le persone? No, sei tu stesso che non ti consideri normale. Non ti ho mai visto come uno storpio, per me sei sempre stato solo Ivar.”
“E se essere solo Ivar non ti bastasse più?”
Hildr alzò gli occhi al cielo, dialogare con uno testardo come lui era una causa persa.
“E se essere solo Hildr un giorno a te non bastasse più? Anche io non sono come le altre donne. A me non importa di avere una bella casa, dei vestiti e dei gioielli. Non sarò mai una mogliettina ubbidiente, una madre con i fiocchi. Io non sono così.”
“E’ diverso, Hildr. Tu hai un corpo perfetto e hai due gambe che funzionano.”
“Eppure vengo sempre sottovalutata perché sono una donna.”
Ivar sapeva che essere una donna era da sempre un fattore invalidante perché gli uomini avevano la mania di pretesta, e Hildr glielo ripeteva da quando erano ragazzini.
“Hai ragione, scusami.”
“Oh, lo so che ho ragione.”
L’attimo dopo entrambi si misero a ridere, discutevano nello stesso modo da quando si conoscevano e tutto terminava con una risata.
“Vieni, torna a letto.”
Hildr si andò a posizionare tra le sue gambe e appoggiò la schiena contro il suo petto, al che Ivar le avvolse la vita con le braccia.
“Non vuoi diventare madre?”
“No. Non credo che la gravidanza faccia per me. Non sopporterei di ingrassare e di stare nove mesi a letto senza muovermi. Specialmente non sarei mai in grado di sopportare il dolore del parto. Ti dispiace questa cosa?”
“No, anche perché io non posso darti figli. Siamo una bella accoppiata, devo dire.”
Hildr ghignò, affondò la guancia contro il suo petto e gli baciò il tatuaggio dei due nodi.
“Io non avevo dubbi.”
“Sposami, Hildr.” Le sussurrò Ivar con fare suadente, baciandole il collo. Hildr ghiacciò sul posto, allibita da quella proposta.
“Sei serio?”
“Sono serissimo. Ti voglio nella mia vita in tutto e per tutto. So che non sarai una moglie come le altre ed è proprio per questo che ti voglio al mio fianco. Voglio sposarti. Dimmi di sì.”
“Tu vinci la guerra e io ti sposo.”
“E’ una minaccia?”
“No, è la promessa che non ti perderò. Dovrai restare per forza in vita perché io ti sposi.”
Ivar sorrise sulla sua spalla, si aspettava una controfferta di quel genere, e ne era contento.
“Vincerò e ti sposerò.”
“Che gli dèi siano con noi.”
 
Salve a tutti!
Tra qualche incertezza e un po’ di audacia Hildr e Ivar ce l’hanno fatta, ma la guerra incombe su di loro come una nuvola scura e sarà doloroso il suo arrivo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
  
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