Anime & Manga > Captain Tsubasa
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Autore: Sanae77    28/03/2019    12 recensioni
Li abbiamo lasciati con un segreto da custorire e un patto da rispettare.
Saranno in grado di reggere tutto il castello di carte che hanno costruito?
Il tempo passa, i figli crescono e le voci di corridoio si fanno sempre più insistenti.
I ficcanaso sempre più agguerriti.
Tra divorzi, coming out e scoop vedremo come in questi otto anni la Golden Combi vivrà il loro amore nascosto.
Come potranno i nostri campioni arrivare ai mondiali del Quatar nel 2022 e nel Nord America del 2026 senza farsi scoprire?
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(questa storia non può essere letta se prima non è stata letta Russia 2018)
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Daichi Ozora, Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
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Bentornati!
Pronti per scoprire che cosa combineranno stavolta i nostri eroi?
E le mogli che fine avranno fatto o faranno?
I figli crescono e i problemi aumentano.
Vediamo come se la caveranno in questi otto lunghi anni.
Otto anni che li separano dal coming out ufficiale.

Come al solito un grazie speciale alle mie due betuzze Guiky e Mel.
Anche per sopportare e supportare i vari scleri in chat e non solo...
Vi adoro! 
Sanae77

PS= questa storia non può essere iniziata se prima non è stata letta Russia 2018 tra sogno e realtà






Maggio 2020


Era uscita di prima mattina per comprare il giornale.
Di comune accordo avevano informato i bambini che si sarebbero separati e che avrebbero abitato in case distinte, questo era successo due mesi prima della dichiarazione ufficiale.
Dopotutto era già un anno e mezzo che vivevano da separati in casa ed era corretto che almeno questo tassello trovasse la giusta collocazione. Non era pensabile continuare a ingannare così i bambini. I gemelli più volte avevano chiesto perché spesso non riuscivano a fare le cose tutti e quattro insieme. Quindi, subissati dalle domande, una sera avevano ceduto e, scambiandosi uno sguardo di approvazione, avevano imbastito il discorso concordato da tempo.
Daibu aveva smesso di mangiare, le posate gli erano cadute dalle mani e avevano prodotto uno strano suono sul piatto di porcellana.
Sanae aveva avuto la sensazione che si fosse lacerato qualcosa tra loro, genitori e figli. Il rumore fastidioso delle posate cadute al bambino aveva reso perfettamente l’idea, il senso di rottura era stato ovunque.
Lo sguardo smarrito di Hayate che aveva osservato il gemello alzarsi e correre via con lacrime silenziose che gli avevano rigato il volto, Sanae non l’avrebbe mai più scordato. Di riflesso Hayate si era alzato di scatto, facendo cadere la sedia, e aveva seguito il fratello in cameretta; dove il suono secco della porta che si chiudeva aveva rimbombato per tutta la casa, separandoli dal mondo esterno.
Tsubasa l’aveva guardata preoccupato, lei invece si era alzata e, asciugandosi le mani con un gesto nervoso al canovaccio sul lavello, aveva iniziato a riporre i piatti nella lavastoviglie.
Aveva osservato il capitano passarsi una mano tremante sulla nuca e lo aveva visto alzarsi per raggiungere i bambini. Sanae lo aveva stoppato subito dicendo: “lascia loro il tempo di digerire la notizia.”
“Non sarà peggio così?”

E quella frase l’aveva fatta incazzare.
Sì, incazzare.
Forse come non si era mai incazzata fino a quel momento.

“Non sarà peggio cosa, eh? Spiegami: cosa ti aspettavi? Che ti saltassero in braccio sprizzanti gioia? – Il canovaccio era stato lanciato con stizza dentro l’acquaio e l’indice inquisitore era andato su e giù di fronte al naso del fantasista – sottovaluti sempre ogni situazione, Tsubasa, certe volte non sembra neppure che tu ti renda conto delle conseguenze. Come quando sei partito per il Brasile o quando mi hai trascinata in un paese straniero lontano da tutti. Certo, non rimpiango nulla del passato, ti ho amato tanto, ma il tuo sottovalutare le situazioni spesso mi lascia senza parole. Hanno undici anni, cosa ti aspettavi? La solidarietà maschile e una pacca sulla spalla? Svegliati, Ozora!”

Era uscita dalla cucina per andare nella veranda. Aveva smaltito la rabbia e la frustrazione ninnandosi sulla sedia a dondolo dove per tanti mesi aveva allattato i suoi figli.
Involontariamente una lacrima era scesa sulla guancia sinistra ed era caduta sulla maglietta celeste, lasciando il segno. I passi dell’ex marito che si avvicinava l’avevano portata frettolosamente ad asciugarsi, con il dorso della mano, le altre lacrime che di lì a poco, era stata certa, sarebbero uscite.
Tsubasa le aveva posato la mano sulla spalla, stringendola in segno di scuse. Scuse che non erano tardate ad arrivare: “Perdonami per quello che ti sto facendo passare, davvero non era mia intenzione, Sanae… Scusami se spesso sottovaluto le cose. Scusami per averti rovinato la vita.”

Lei aveva sollevato la mano e l’aveva adagiata sopra quella dell’ex compagno, ricambiando la stretta. Voleva fargli capire che accettava le sue scuse e allo stesso tempo che era pronta ad andare avanti.
“Azumi si vede con un uomo…” aveva esordito improvvisamente dopo qualche istante di silenzio. Non aveva chiaro neppure lei il motivo di quella piccola confessione.

Rivalsa?
Speranza di una qualche recondita gelosia latente?
Sondare il terreno in vista del futuro?
Ma davvero, poi, lei era pronta per andare oltre?


Mentalmente aveva immaginato la sua testa che negava in segno di disapprovazione. Stimava Azumi per essere riuscita a voltare pagina e ritrovare un briciolo di felicità e qualcuno che l’amasse. Lei no. Lei per il momento non ci riusciva. La sua storia con il capitano era talmente preistorica che non riusciva a scindersi da lui. Non riusciva a trovare un fottuto momento, un ricordo dove lui non fosse presente. Le serviva ancora del tempo, non aveva idea di quanto ma quello passato evidentemente non era sufficiente. Forse, se avessero smesso di convivere, sarebbe stato più facile. E sull’ultimo pensiero il capitano aveva risposto: “lo so. Taro lo ha visto insieme ad Azumi alla scuola di Desirée.”
“E come l’ha presa? Insomma, essendo il procuratore di Misaki non credo che ne abbia gioito, no?” era stata troppo curiosa di capire come aveva reagito il numero undici. Azumi le aveva detto che non aveva battuto ciglio, anzi le aveva sorriso compiaciuto. Nonostante il nuovo lui fosse persona ben nota all’altra metà della Golden.
“Era contento. Contento per Azumi. Sarei contento anch’io, Sanae, se un domani tu trovassi qualcuno che ti renda felice.” La mano era tornata a stringere la spalla per poi allentare la pressione improvvisamente, sfuggire da sotto le sue dita e indietreggiare dalla sedia a dondolo. Il pavimento di legno aveva scricchiolato sotto il peso del capitano che si allontanava e chiudeva la porta di casa alle sue spalle.

L’aveva lasciata così senza aggiungere altro. Lei aveva continuato a ninnarsi sulla sedia per il resto del tempo non riuscendo a pensare a nulla. Era così che i figli l’avevano trovata un’ora dopo. Figli che l’avevano travolta, abbracciandola e piangendo ogni lacrima possibile.
E le sue braccia, come al solito, si erano aperte per accogliere l’infelicità dei bambini e farla sua.
Di una cosa era stata certa: Tsubasa in questo non si sarebbe mai tirato indietro. Per i bambini ci sarebbe sempre stato. Non sarebbe stato certo eletto marito dell’anno, ma padre sì.
 
 
 
Sanae fissò il giornale sul tavolo della cucina prima di decidersi ad afferrarlo e sfogliare la ruvida carta fino alla pagina indicata in copertina. Vedere il titolo fu una pugnalata diretta allo stomaco, per quanto fosse preparata e in accordo con il capitano. Messo nero su bianco faceva tutto un altro effetto. Senza pensare che in serata si sarebbero recati dal loro avvocato per sottoscrivere le prime carte della separazione consensuale. Di comune accordo avrebbero firmato di fronte al giudice. Fissò la mano tremare senza alcun controllo. Quindi la posò sul tavolo con il palmo aperto, un alone si formò tutto intorno da tanto che era fredda e sudata al tempo stesso.
Scosse la testa per non pensare ad altro e tentò di concentrarsi sull’articolo.
 

Terremoto in casa Ozora
 
Apprendiamo, con grande dispiacere, che anche il fantasista nipponico ha scelto di seguire le orme della sua metà in campo separandosi dalla moglie.

Oggi, in una conferenza ufficiale, il capitano della nazionale Giapponese ne dà l’annuncio.
Due anni fa era toccato al compagno in campo, Misaki Taro.

Continua…
 
Il telefono di casa prese a squillare con insistenza. Sanae osservò l’apparecchio sollevando un sopracciglio, lo usavano solo per via della wi-fi, quindi le sembrò strano che trillasse quello invece del cellulare. Oltretutto erano in pochissimi ad avere quel numero riservatissimo; altrimenti sarebbero stati investiti dalle telefonate dei fans di Tsubasa.
Alzandosi lo raggiunse e rispose: “Pronto?”
“Sanae, ciao sto cercando Tsubasa, ma al cellulare non risponde.”
“Ciao, Genzo. Ha portato i gemelli all’allenamento, molto probabilmente negli spogliatoi non c’è linea.”
“Sanae…”
“Dimmi.”
“Ho letto il giornale, che diavolo state combinando?”
Sanae si accomodò con il cordless sul divano, prendendo un lungo respiro.
“Ci stiamo separando, Genzo.”
“Questo l’avevo capito, mi chiedevo il perché.”
“Senti, forse è meglio che ne parli con Tsubasa. Ci sentiamo, Genzo, scusami.”
E aveva attaccato. Proprio non ce la faceva a spiegare quello che stava accadendo.
Genzo fissò sbalordito il cellulare che segnava la fine della comunicazione.
Doveva essere proprio una situazione difficile per Sanae se si era comportata così.
 
 
Fissò il palazzo pensieroso. Avevano lasciato i gemelli dalla madre di Pinto e con Sanae avevano raggiunto lo stabile dove il giudice li attendeva per la firma.
In silenzio assoluto avevano attraversato il grande atrio e preso il primo ascensore. Le décolleté eleganti e sobrie della sua, a breve, ex-moglie segnavano passi cadenzati e sicuri sul pavimento di marmo. Un rumore ritmico che lo accompagnò fino alle porte dell’ascensore per poi cessare una volta che vi furono di fronte. Sembrava quasi una rassicurante nenia, una ninnananna capace di scacciare ogni incubo. Perché quella firma, su quella carta, avrebbe davvero rappresentato la fine di tutto. E a lui comunque sembrava impossibile che la sua storia con Sanae potesse davvero finire.

L’aveva sempre amata, no?

Entrarono in ascensore dopo che Tsubasa con un gesto d’invito le aveva fatto strada. Una volta dentro e premuto il pulsante, l’ascensore iniziò a muoversi lentamente verso il trentesimo piano.
Sane era nervosa. Lo aveva capito quando era scesa da casa e, una volta salita in auto, era stata incapace di allacciarsi la cintura da tanto che le mani tremavano. Afferrandola saldamente l’aveva aiutata. Il viso tirato e triste si era sollevato leggermente e le labbra si erano mosse bisbigliando un ‘grazie’. Il capitano aveva accennato un mezzo sorriso e aveva messo in moto l’auto.
E lo era ancora, nervosa. Le dita non facevano altro che contorcere la borsa che teneva saldamente tra le mani incrociate sulle gambe.
Continuava a fissarla.
Sanae, sguardo a terra, aveva un’espressione indecifrabile; la frangetta e i capelli a lato del viso scendevano delicatamente quasi a nasconderla del tutto.
Tsubasa continuava a fissarla, nella speranza di un dubbio, uno qualsiasi, che avesse potuto interrompere quel processo oramai avviato.

L’aveva sempre amata, no?

La domanda tornò ancora a vagare nella mente senza risposta. Tentò di ripescare i sentimenti provati fin da giovane, ma quando alzò lo sguardo e lo specchio gli restituì la propria immagine un ricordo s’impossessò delle sue memorie: lui e Taro in ascensore la sera prima della finale.
Il cuore accelerò il ritmo quando gli occhi ciechi del presente tornarono a due anni fa. Lo portarono all’ascensore prima e alla porta della loro camera dopo. L’espressione di Taro che, con lo sguardo al cielo, tentava di giustificarsi per le vacanze estive e lui che con un bacio gli sigillava le labbra in un susseguirsi di eventi che li aveva visti protagonisti della loro prima volta. Tutto gli esplose nella testa come un fuoco d’artificio.
Il respiro si fece più veloce nel rivivere il ricordo.
“Non temere, tra poco sarà tutto finito.” La voce piatta di Sanae lo riportò a terra istantaneamente. Come se al razzo pronto al decollo avessero tolto il carburante per partire.
“Come scusa?” chiese, fissandola di nuovo.
E quando Sanae lo guardò, sorridendogli, si sentì una perfetta merda per non essere riuscito neppure per un secondo a pensare a loro e agli anni trascorsi insieme.

No, Sanae non si meritava questo!
Sì, quella era la strada giusta!

Firmare quelle carte era diventato suo dovere per liberarla da un fardello grande come un castello e da un marito ingrato nei suoi confronti.
Tsubasa allungò la mano e le sfiorò la guancia. Sanae restò immobile per quel tocco inaspettato. Il pollice del capitano le sfiorò lo zigomo con un gesto di affetto.
“Perdonami, non ti merito.”
Il suono dell’ascensore interruppe ogni contatto, spezzando l’incanto e facendoli piombare nella realtà.
E se lei, in un primo momento, aveva quasi creduto a un qualsiasi ripensamento quelle parole misero fine a ogni speranza nascosta anche nel più profondo.
 
Le carte sul tavolo erano già pronte da tempo. I coniugi Ozora arrivarono di fronte al giudice e, dopo essersi salutati, si accomodarono al tavolo. L’avvocato prese a leggere i documenti che oramai conoscevano a memoria.
Il tempo sembrava non scorrere mai, non vedeva l’ora di uscire da lì.
Passandosi nervosamente una mano sui capelli continuò a fissare Sanae.
Lo sguardo della donna era saldo oltre la vetrata del grande studio al trentesimo piano. Le ciglia si muovevano lente a intervalli regolari, adagiandosi per brevi attimi sugli zigomi. La lettura obbligatoria dell’avvocato non riuscì minimamente a distrarlo da quel momento.
Momento che stava vivendo a rallentatore. Un leggero luccichio attirò la sua attenzione quando brillò sulla guancia di Sanae. Una lacrima cadde, infrangendosi sul tavolo di cristallo del famoso studio legale.
Era tutto così strano, rallentato, i rumori lontani e ovattati. Vide la donna allungare le braccia, afferrare i fogli e portarli di fronte a sé. La mano impugnò la penna rigirandola svariate volte tra le dita. Prima di apporre la firma si voltò un’ultima volta verso suo marito.

Che stesse cercando un ultimo gesto di ripensamento?

Ma quando vide l’uomo, con il quale aveva condiviso la sua vita fino ad allora, abbassare lo sguardo, la mano smise di tremare e sicura appose la firma che avrebbe per sempre cambiato la loro vita.
Le pareva impossibile che tutto potesse ridursi a un pezzo di carta. Come se i sentimenti, i figli, le difficoltà, potessero cancellarsi in un solo istante.
 
Si riscosse quando vide l’avvocato allungare i documenti verso di lui. Tsubasa scorse che Sanae aveva già firmato e che ora toccava a lui mettere fine a quella condizione. Avevano sbagliato forse a trascinare così a lungo la situazione, forse avrebbero dovuto fare come i coniugi Misaki che avevano immediatamente tagliato tutti i ponti.
Infatti Azumi era riuscita a conoscere qualcuno e andare avanti, mentre Sanae era rimasta prigioniera nel limbo della finta convivenza pacifica, per via dei figli.

Sì, era durata anche troppo!

Firmò, con la stessa sicurezza di quando entrava in campo con la certezza di segnare il goal della vittoria.
Una volta finito, un improvviso sollievo lo investì dalla testa ai piedi. Si sentiva meno ‘sporco’ e più onesto nei confronti della sua ex moglie.
Scosse la testa pensando a quanto la mente spesse volte potesse essere tanto meravigliosa quanto sadica.
Trasformare moglie in ex moglie era stato un guizzo improvviso, una sinapsi che inaspettatamente si era risvegliata piazzando lì quel suffisso finora inutilizzato.
Ma che da lì in avanti avrebbe avuto un significato importante.
Il viaggio di ritorno, in rigoroso silenzio, era svuotato della vecchia tensione accumulata all’andata.
Non c’era più nervosismo nell’aria.
Quando Tsubasa si fermò per farla scendere, Sanae si voltò e sorridendo tristemente chiese: “Pensi di fermarti per cena?”
“Ti ringrazio, ma più tardi passo a prendere i bambini per portarli all’allenamento, ora devo sistemare altre faccende.”
“Credo… credo che qualche volta comunque dovremmo continuare a fare qualcosa tutti e quattro insieme, no?”
“Sanae… - lei sollevò la testa fissandolo – lo fai per i bambini o per te stessa?”
Lei sbuffò voltandosi dall’altro lato. Avrebbe dovuto porla anche a sé stessa quella domanda francamente. Mossa dalla solita onestà che l’aveva sempre contraddistinta ammise un: “Non lo so.”
L’uomo le sorrise comprensivo, ma comunque deciso a non concedere possibili illusioni.
“Facciamo così, se i bambini lo chiederanno noi li accontenteremo, ok?”
“Ok!”
 
Il telefono di Tsubasa prese a squillare, lo sollevò dal portaoggetti dell’auto e ne osservò il display.
Il nome di Genzo lampeggiava a intermittenza.
“È Wakabayashi!” esclamò sorpreso.
“Ah, già, aveva chiamato a casa. Scusa, ho scordato di dirtelo.”
“Figurati, non fa nulla. Ci sentiamo più tardi. Ciao.”
 
Quando fu sicuro che avesse chiuso la porta, premette la cornetta verde e la voce del portiere lo investì come una furia.
“Ozora, che cazzo state combinando tu e Anego?”
“Buongiorno anche a te, Genzo!”
“Che diavolo vi siete messi in testa, eh?”
“Senti… – tergiversò, non poteva certo spiegargli tutto per telefono – Quando hai i prossimi giorni liberi?”
“In che senso?”
“Nel senso che ci vediamo, ci scoliamo una birra e facciamo due chiacchiere, che ne dici?”
“Dico che sia proprio il caso. Perfetto, dopodomani sono da te.”
“Bene, portiere, ti aspetto!”
Tsubasa chiuse la chiamata smorzando un sorriso. A Genzo non potevano più nascondere il tutto, di questo era certo.
In serata avrebbe avvisato Misaki. Era proprio curioso di vedere la sua reazione. 

 
   
 
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