Capitolo secondo
Once in my lifetime there's so much to give
So much to live in stolen moment
Asking now for another way not to feel pain
'Cause sorrow helps morning light guide the
night away…
(“Luna my darling” –
Amberian Dawn)
Nei giorni successivi Antonio fu tormentato da
una febbre altissima e una tosse che lo sconquassava tutto. Trascorreva la
maggior parte del tempo in una sorta di torpore e non sembrava aver alcuna
volontà di vincere la malattia, nonostante Lorenzo avesse mandato a chiamare i
migliori medici della città. Lui e Clarice avevano cercato fin da subito di
capire cosa fosse successo, approfittando dei momenti in cui Antonio era
cosciente per avere una spiegazione da lui.
“Messer Pazzi… pensa che sia colpa mia se ha
perso… ha detto… ha detto che non vuole più vedermi, che non devo più… mai più…
mettere piede nel suo palazzo” aveva risposto il ragazzo, in un mormorio
flebile.
“E sarebbe questa la gran disgrazia?” commentò
Giuliano quando udì la risposta dell’amico.
Lorenzo, però, lo zittì con un’occhiata: per
quanto detestasse Pazzi, non era quello il momento per fare dell’ironia!
“Antonio, adesso devi pensare solo a guarire, è
questa la cosa davvero importante” disse il giovane Medici al povero ragazzo,
cercando di consolarlo e incoraggiarlo. “Quando starai meglio, vedrai che
riusciremo a trovare una soluzione.”
“Lorenzo
ha ragione” intervenne Clarice. “Sono sicura che andrà tutto bene, ma tu devi
sforzarti di guarire il prima possibile. Il dottore ha detto che devi mangiare
qualcosa per riprendere le forze e consentire al tuo corpo di combattere la
febbre, anche se non ti va devi provarci.”
Ma
Antonio proprio non ne voleva sapere: continuava a rifiutare qualsiasi cibo e
rimaneva sepolto sotto le coperte a lasciarsi divorare dalla febbre e dalla
tosse.
Nel
suo delirio (che non era dovuto solo alla malattia…) pensava che, se Jacopo
Pazzi non voleva più vederlo, allora tanto valeva morire!
E
il nostro amico Jacopo, nel
frattempo, cosa combinava?
A
lui la rabbia nei confronti di Antonio era sbollita quasi subito. Ancora molto
deluso dalla sconfitta alle elezioni, si era reso conto di non voler perdere
anche il suo giovane protetto, per
usare un eufemismo. Il giorno seguente alla terribile sera in cui lo aveva
cacciato da palazzo si era aspettato di vederlo arrivare, prima o poi, e solo a
tarda ora era andato a coricarsi piuttosto pensieroso.
Il
secondo giorno era stato folgorato dall’illuminante idea che, forse, Antonio lo
aveva preso fin troppo sul serio e che non sarebbe tornato spontaneamente al
suo palazzo, timoroso di farsi cacciare di nuovo; ergo, doveva essere lui ad
andare a cercarlo e a spiegargli che non pensava davvero quelle cose, che aveva
parlato in preda alla collera e altre bestialità del genere.
Il
suo problema era che, per parlare con Antonio, avrebbe dovuto sorbirsi un’altra
spedizione a Palazzo Medici, che per
lui era più o meno come andare a cacciarsi a casa del diavolo… ma doveva farsi forza, tapparsi il naso e
sottoporsi a quell’immenso sacrificio se voleva veramente riconciliarsi con il
giovane Orsini.
Questa
volta, però, diversamente da ciò che era accaduto in occasione del ceffone di
un anno e mezzo prima, quando Lorenzo se lo trovò davanti impallidì di rabbia e
manifestò chiaramente la sua intenzione di non fargli mettere le sue luride
zampe nel palazzo!
“Cosa
volete ancora, Messer Jacopo? Ritengo che abbiate già fatto abbastanza male a
quel povero ragazzo e questa volta non vi permetterò di distruggerlo!”
Davanti
a questa aggressione verbale Jacopo apparve sorpreso. Chiaramente non aveva la
minima idea di quanto le sue parole avessero straziato Antonio.
“Che
dici? Cos’è successo al giovane Orsini?” domandò, brusco.
Lorenzo
era infuriato con Pazzi, ma comprese che la sua sorpresa era sincera e che era
anche veramente preoccupato per le condizioni di Antonio, perciò si decise a
spiegargli tutto. Aveva anche il vago sospetto che Antonio si stesse lasciando
morire proprio perché temeva di non poter più vedere Jacopo. Chissà, forse
farlo parlare con lui era l’unico modo per spingerlo a reagire. Tanto valeva
provare…
Così,
con grande stupore di Clarice e sincero schifo da parte di Giuliano, Lorenzo
condusse Jacopo nella stanza di Antonio.
Vedere
il suo giovane protetto semisepolto
dalle coperte, pallidissimo, con gli occhi chiusi sotto la frangetta scura, fu
uno degli shock più violenti in tutta la vita di Jacopo Pazzi. L’uomo si
avvicinò al letto e, con un’aria preoccupata che nessuno in tutta Firenze e
dintorni gli aveva mai visto, accarezzò il viso di Antonio e gli scostò i
capelli dalla fronte che scottava.
“Ma
cosa mi combini, ragazzino?” gli chiese.
Quella
sceneggiata non andò giù a Giuliano che, senza tanti complimenti, andò verso
Jacopo e lo strattonò per un braccio, quasi a volergli impedire di avvicinarsi
troppo ad Antonio.
“Come
vi permettete? Non dovreste nemmeno essere in questa stanza, in questo palazzo!”
esclamò con veemenza. “E’ soltanto colpa vostra se Antonio è ridotto così, se
non mangia, se sta morendo per la febbre. Tutto per la vostra malvagità, per le
cattiverie che gli avete detto cacciandolo dal vostro palazzo. E la cosa
peggiore la sapete qual è? Che il giorno prima della votazione Antonio era
venuto da me e da Lorenzo, in segreto, per chiederci, per supplicarci di votare
per voi, di lasciarvi diventare Gonfaloniere! Lui voleva aiutarvi a tutti i costi
e adesso voi gli avete fatto questo!”
Jacopo
sembrò ancora più sconvolto dalle parole del giovane Medici. Era possibile?
Antonio aveva veramente cercato di convincere la famiglia a votare per lui?
Allibito, cercò lo sguardo di Lorenzo per avere una conferma e il giovane
annuì.
“E’
vero, Antonio lo ha fatto. Noi, ovviamente, gli abbiamo risposto che non
potevamo, che sarebbe stato contro i nostri interessi, ma lui sembrava
sconvolto, disperato” rivelò Lorenzo. “Non era tanto la vostra carica che gli
interessava: Antonio temeva che voi, una volta sconfitto, avreste potuto
compiere qualcosa di sciocco, magari vendicarvi su qualcuno dei Priori che vi
aveva votato contro… ed era angosciato alla sola idea di ciò che vi sarebbe
potuto accadere. Lui vi ama con tutto il cuore, farebbe qualsiasi cosa per voi,
Dio solo sa perché… e il solo motivo per cui vi ho concesso di entrare in casa
mia è perché so che, se qualcuno può convincere Antonio a reagire alla malattia
e a salvarsi, quello siete voi.”
Probabilmente
nessuno aveva mai visto Jacopo tanto turbato. Il suo sguardo passò da Lorenzo a
Giuliano a Antonio, ancora privo di conoscenza nel suo letto.
Cosa ho mai fatto
a questo ragazzino perché lui mi ami così tanto? Nessuno ha mai provato tanto
affetto per me e io… io ho accusato Antonio di avermi tradito? E’ solo colpa
mia se adesso sta tanto male?
Ancora
una volta, lentamente, si avvicinò al ragazzo febbricitante, gli accarezzò i
capelli e gli prese una mano. Non si era mai pentito di niente in tutta la sua
vita, ma adesso cominciava a provare qualcosa che poteva assomigliare a un
lontano parente del pentimento…
E,
in effetti, Lorenzo aveva ragione. Antonio reagì alla vicinanza e al tocco di
Jacopo un po’ come la Bella Addormentata al bacio del vero amore. Aprì faticosamente gli occhi, mise a fuoco il volto
dell’uomo accanto a lui e parve illuminarsi riconoscendolo.
“Messer
Pazzi…?” mormorò incredulo, con un filo di voce che si sentiva appena.
Inaspettatamente,
Jacopo si sentì stringere il cuore e qualcosa di strano in gola gli impedì di
parlare… sì, insomma, quello che per una persona normale sarebbe stata commozione. Passò un braccio attorno
alle spalle del ragazzo, attirandolo a sé per stringerlo.
“Sono
qui, sono qui, ragazzo, va tutto bene” gli disse.
Clarice
e Lorenzo lo fissavano come se avessero davanti un alieno, in compenso Giuliano
si allontanò dalla stanza con la faccia di chi sta per rigettare…
“Messer
Pazzi… siete davvero voi? Ma… avevate detto…” sospirò ancora Antonio, forse
credendo di avere una visione dovuta alla febbre.
“Lascia
perdere quello che ti ho detto, non lo pensavo veramente” rispose l’uomo,
avvolgendo Antonio tra le braccia. “Ero infuriato e deluso per la sconfitta e
me la sono presa con te, l’unico che non aveva alcuna colpa. Non è vero che non
ti voglio più nel mio palazzo, anzi, sono venuto proprio per riportarti a casa.
Quello è il tuo posto e tu devi stare con me.”
E,
visto che Jacopo Pazzi non ci pensava mai due volte, alle parole stava per far
seguire l’azione, con la chiarissima intenzione di sollevare Antonio dal letto
e portarselo in braccio fino a Palazzo Pazzi.
“Questo
poi no!” intervenne Clarice, giustamente indignata. “Antonio brucia di febbre,
è debolissimo e voi vorreste farlo uscire di casa per portarvelo a palazzo?
Volete proprio ucciderlo, allora!”
“Certo
che no” ribatté Jacopo senza batter ciglio. “Voglio portarlo con me e occuparmi
personalmente di lui. Farò venire i migliori dottori per curarlo, anche da
Pavia se necessario.”
“Non
potete farlo uscire in queste condizioni, Messer Jacopo” insisté Lorenzo.
Jacopo
si strinse più forte il ragazzo al petto, in un inequivocabile segno di
possesso.
“Antonio
è mio e sarò io ad occuparmi di lui”
ribadì, deciso. “Lui vuole venire con me, è per questo che qui da voi non
guarisce.”
“Può
essere” concesse Lorenzo, che doveva sempre fare un passo indietro per non
scornarsi contro Pazzi… “ma se lo porterete fuori di qui con la febbre che ha
adesso, morirà. Se davvero tenete a lui dovete aspettare che migliori, Messere.”
Jacopo
rifletté qualche istante, lo sguardo fisso sul giovane che teneva tra le
braccia e che gli si era aggrappato con le poche forze che ancora aveva.
“Hai
ragione, Lorenzo” dovette ammettere, per quanto quelle parole gli bruciassero
in gola come un acido. “Antonio, non posso ancora portarti con me, stai troppo
male. Ma ti prometto che, non appena la febbre si sarà abbassata, ti riporterò
a Palazzo Pazzi, dove meriti di stare, e mi prenderò cura di te. Quindi devi
sforzarti di stare meglio e di rimetterti un po’ in forze al più presto, così
potrai tornare a casa con me. E io, nel frattempo, verrò a trovarti ogni giorno
e starò con te il più possibile.”
Giuliano,
che era rientrato in quel momento, sentì quelle ultime frasi e scolorò in
volto.
“Ci
mancava solo questa, doversi ritrovare Pazzi in giro per il palazzo tutti i
giorni, a suo comodo, come se fosse casa sua! Ma anche no…” protestò, ma Lorenzo
lo interruppe.
“Giuliano,
se è per il bene di Antonio, dovremo sopportarlo. Probabilmente è l’unico modo
per farlo guarire” gli disse, omettendo la frase che aveva pensato e che faceva
più o meno Non fa per niente piacere
nemmeno a me, che ti credi?
“Mi
sforzerò, Messer Pazzi” promise Antonio, cercando di sorridere all’uomo.
Jacopo
accarezzò ancora i capelli del ragazzo e poi si rivolse a Lorenzo, Giuliano e
Clarice che ancora lo guardavano, stupefatti.
“Beh,
cosa ci fate ancora tutti qui?” domandò, con la sua solita arroganza da padrone
di casa in casa d’altri. “Antonio non ha bisogno di voi, di lui mi occupo io.
Vedrete che, con me, riuscirà anche a mangiare qualcosa. Potete anche andarvene
e lasciarci da soli.”
Come volete,
signor padrone,
avrebbe voluto rispondere Lorenzo, e dovette mordersi la lingua per impedirsi
di farlo.
“In
effetti cominciamo ad essere in troppi in
questa stanza” disse invece. “Va bene, noi usciamo e, tra poco, manderò un
servitore con il pranzo per Antonio. Visto che voi assicurate che siete in grado
di farlo mangiare…”
Non
poté risparmiarsi quest’ultima frecciatina prima di lasciare la stanza con la
moglie e il fratello!
“Con
me mangerà sicuramente” dichiarò Pazzi, senza cogliere il sarcasmo e ostentando
la consueta supponenza.
Mentre
la porta si chiudeva, si poterono ancora udire le ultime proteste di Giuliano.
“Non
ce lo voglio quello tutti i giorni in casa mia, Lorenzo! Ma perché? Perché? Perché?”
I
lamenti di Giuliano non servirono e Jacopo Pazzi continuò a presentarsi
regolarmente a Palazzo Medici per i successivi cinque giorni. Con lui Antonio,
in effetti, iniziò a mangiare un po’ di più, a riprendere le forze e la febbre
e la tosse diminuirono, anche se il ragazzo rimaneva debole e stanco per la malattia
così debilitante. Però era talmente felice che Jacopo fosse venuto a cercarlo,
a stargli accanto, ad occuparsi di lui, che si sforzava di stare meglio il più
in fretta possibile, per poter ritornare a Palazzo Pazzi. Gli sembrava un
sogno, dopo aver temuto veramente che l’uomo fosse in collera con lui e che non
lo volesse vedere mai più.
Beh,
ognuno ha le sue motivazioni nella vita, no?
Quello
che Antonio non poteva sapere, però, era che Pazzi, nel tempo che non
trascorreva con lui, si era imbarcato in frequentazioni pericolose e stava per
infognarsi in un’impresa ancora più meschina e rischiosa.
Deluso
dalla sconfitta alle elezioni del Gonfaloniere, Jacopo si era lasciato
incantare dalle chiacchiere di Salviati che gli aveva fatto intravedere una possibilità
di arrivare al potere e distruggere i Medici una volta per tutte con la
benedizione di Papa Sisto: una congiura che avrebbe tolto di mezzo sia Lorenzo
che Giuliano, lasciando tutto il potere di Firenze in mano ai Pazzi.
Ovviamente
Salviati non gli aveva raccontato tutta la storia… che saprete da me a tempo
debito, e Jacopo non aveva poi così tanta voglia di ammazzare i due giovani
Medici, non tanto per la cosa in sé, quanto per l’effetto che tale azione
avrebbe avuto sui suoi rapporti con Antonio. Sperava di riuscire a commutare l’omicidio
in qualcosa di meno cruento, tipo mandarli in bancarotta, farli cacciare da
Firenze e altre amenità del genere. Comunque fosse, i primi semi di quella che
poi passerà alla storia (a torto, in realtà) come la Congiura dei Pazzi erano stati piantati e stavano crescendo con
allarmante velocità, mentre Antonio, ignaro, pensava solo a guarire per tornare
presto dal suo uomo.
L’intreccio
si infittiva, la situazione si complicava e chissà cosa avrebbe trovato Antonio
al suo rientro a Palazzo Pazzi?
Fine capitolo
secondo