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Autore: Wastingthedawn    02/04/2019    3 recensioni
Un bambino si trasferisce nella nuova cittadina con il padre.
Una storia assolutamente normale, giusto? O forse, stanno ricominciando da zero dopo che il mondo, come lo conosciamo noi...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi piace vivere a Greenfield.

Una cittadina di circa novecento unità abitative, il luogo perfetto per ricominciare.

Così me l’ha presentata il mio babbo mentre ci scortavano verso il blocco 125, la nostra nuova casa.

Gli operai della “New Colonization Co.” sono stati gentilissimi con noi, mi hanno persino permesso di sedermi sulle ginocchia del conducente del furgoncino e di tenere il volante.

La nostra nuova casa è molto bella, il babbo dice che si ispira all’architettura cubica che era già presente in alcune cittadine del Nord Europa.

Mi sarebbe piaciuto visitare l’Europa, doveva essere un continente affascinante, da come me lo descrive Babbo.

Ho fatto subito amicizia con i bambini del quartiere, hanno tutti circa la mia età, un quoziente intellettivo pari o superiore al 100, salute nella norma e quello che il babbo chiama “profilo genetico ottimale”.

Mi piace vivere a Greenfield, perché ci sono un sacco di alberi e di campi verdi in cui giocare; c’è un piccolo torrente artificiale che scorre al confine della cittadina, due chiese dove andiamo tutte le domeniche, palestre e ludoteche dove ogni tanto andiamo con i nostri vicini.

Qui è spesso soleggiato, finalmente: dopo il grande “boom” aveva piovuto ininterrottamente per una settimana, con la pioggia che scioglie e brucia, quella che il babbo chiama acida.

Non sopporto di vedere i nuvoloni grigi nel cielo, mi ricordano di quel giorno.

Ora il babbo dice che non dobbiamo temere, che le case sono state ricoperte di vernice al piombo, e che nel caso di qualche altro boom, dobbiamo tutti correre giù nel rifugio.

E’ bello che ogni casa ne abbia uno; mi sento molto fortunato che noi l’avessimo anche nella vecchia casa.

Se non fosse stato così, forse anche io adesso sarei uno degli esclusi.

Li chiama così mio papà, quelli che sono stati contaminati.

La pioggia che brucia aveva bruciato loro i vestiti, i capelli…Alcuni continuavano a strisciare per terra, anche quando la pioggia era cessata.

Avevo chiesto perché non potevamo aiutarli, quelli che non erano morti.

Il babbo mi disse che ormai era troppo tardi, che presto sarebbero mutati e noi non avremmo potuto fare nulla per salvarli dal loro destino; tutti noi avevamo perso qualcosa, non c’erano i mezzi per poter soccorrere chi non avrebbe mai dato un contributo ad una nuova comunità, ma sarebbe stato solo un peso di cui doversi occupare.

Mi piace vivere a Greenfield, perché tutto è verde e brillante, non c’è più il grigiore della vecchia città e non dobbiamo più indossare le tute e le mascherine per uscire.

Fuori Greenfield, il babbo dice che ci sono altre cupole, come le nostre, ma è troppo pericoloso per ora uscire dai confini.

Spero che un giorno potremo tornare a viaggiare e vedere posti nuovi.

Prima, mi ha spiegato il babbo, bisogna che tutti gli esclusi  siano eliminati, e che l’aria fuori dai confini torni ad essere respirabile.

Non corrosiva.

 

Qualche giorno fa è suonata la sirena.

Tutti noi bambini sapevamo già cosa fare, ce l’hanno insegnato nella nuova scuola: si smette di fare quello che si sta facendo, si corre a casa propria, del proprio vicino o in chiesa (dipende da qual è il luogo più rapido da raggiungere) e si seguono le istruzioni degli adulti.

Io sono corso a casa mia, dato che mi trovavo in giardino a fare dei lanci con il babbo.

Siamo corsi giù fino al rifugio, e abbiamo sbarrato la porta; abbiamo subito acceso la radio, e abbiamo ascoltato le istruzioni del capo dei vigilanti della Cupola Greenfield: “Sono stati individuati cinque esclusi all’incrocio tra la strada D e F, quattro adulti e un bambino di circa dieci anni. Rimanere chiusi nelle proprie abitazioni per evitare ogni forma di attacco o contagio. Ripeto: rimanere nelle abitazioni fino al termine del suono della sirena”.

I cinque si trovavano proprio vicino al nostro blocco, volevo vederli.

Mi sono arrampicato fino alla finestrella di vetro infrangibile per guardare, nonostante il babbo avesse cercato di dissuadermi.

Volevo capire come erano fatti.

Dopo alcuni minuti, li vidi. Erano proprio come li descrivevano: indossavano dei vestiti logori, troppo larghi per le loro fattezze, e portavano legati in fronte degli stracci, per coprire la testa e parte del volto.

Sembravano innocui.

Vagavano per la strada, disorientati, piangenti, disperati. Mi si strinse il cuore.

Il babbo imprecò, disse che dovevano essere passati attraverso le fogne sotterranee, per poi uscire da qualche tombino.

Sapevo che fine avrebbero fatto, e provai compassione.

Non avevano alcuna colpa, se non quella di non aver fatto in tempo a trovare un riparo dalla tempesta tossica.

Se non quella di non essere morti assieme agli altri.

Notai che il bambino aveva un volto familiare, finchè non realizzai: Bobby, il mio compagno di banco.

Lo riconobbi immediatamente, perché il suo volto non era deturpato come quello degli altri quattro, anche se era solcato da profonde rughe.

Fu il primo a ricevere il proiettile dei vigilanti.

La donna accanto a lui lanciò un grido assordante, per poi inginocchiarsi e congiungere le mani in segno di supplica.

Doveva essere sua madre, la signora Davis, nonostante il volto scheletrico e privo del naso l’avesse resa irriconoscibile.

Mi venne in mente la mamma.

Lei era corsa velocissima, ma non era riuscita a raggiungere casa in tempo; era rimasta imbottigliata nel traffico e, tentando di uscire dall’auto, si era presa in pieno buona parte della pioggia acida e delle nubi tossiche.

Tutti gli esclusi vennero mitragliati, finchè non ne rimase nemmeno uno in piedi.

Riuscii a scorgere un braccio ricoperto di pustole, delle escrescenze che cominciavano a crescere sulla gamba di un altro, e la pelle del corpo completamente ustionata di quello che un tempo era stato un mio amico.

A parte quell’episodio, nessun escluso si è più presentato.

Mi piace vivere a Greenfield, perché la cupola mi impedisce di vedere ciò che resta del mondo di fuori.

   
 
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