Fuga
Erano passate
cinque ore dalla fuga dall’hangar. Cinque ore dalla fine di tutto, cinque ore
dalla separazione da quel gruppo di disadattati che erano riusciti in quella
folle impresa, cinque ore dall’inizio della sua nuova vita da milionario.
Cinque ore che
non aveva notizie di Raquel.
Non sapeva se
effettivamente l’avessero arrestata e si sentiva mancare l’aria dalla voglia di
telefonarle, ma sapeva che sarebbe stato un suicidio. Il cellulare
dell’ispettore sarebbe rimasto sotto controllo per un bel po’, e molto
probabilmente anche quello di casa dato che ormai la loro relazione era di
dominio pubblico. La polizia avrebbe controllato qualsiasi cosa pur di trovare
un indizio su di lui. E tentare di contattare Raquel era esattamente ciò che si
aspettavano. Era ciò che si sarebbe aspettato chiunque. Troppo scontato.
L’unica che non
si aspettava niente era proprio lei. Era ben consapevole di averlo perso, ormai
lontano chissà dove con i suoi milioni e troppo intelligente per chiamarla e
farsi rintracciare.
Infatti Sergio
era lontano, stancamente seduto su un treno diretto in Germania da cui sarebbe
partito per le Filippine. Sentì gli occhi bruciare al pensiero di essere
rimasto completamente solo.
L’assenza di Andrés iniziava a pesargli sul petto ora che l’adrenalina
l’aveva abbandonato. Nairobi era riuscita a dargli la forza per compiere
l’ultimo passo del piano, ma si era esaurita presto.
Non aveva mai
sofferto la solitudine, mai stato dipendente dalle donne e dal desiderio di
averne una accanto, eppure in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa pur di
avere Raquel seduta di fronte a lui. Sentì freddo e istintivamente si strinse
nella giacca. Realizzò che mai nella vita si era sentito così vulnerabile e
solo, e con la mente tornò alla mattina di due giorni prima, quando si era
svegliato nel letto di Raquel. In quel momento aveva capito di essersi messo
nella merda da solo, perché non aveva avuto fretta di alzarsi e tornare alla
sua postazione. Aveva realizzato di essersi innamorato della persona più sbagliata
di quella circostanza, ma non gli importava. Il conflitto interiore lo aveva
mandato in tilt, perché sapeva benissimo che da quella situazione non ne
sarebbe uscito illeso. Che lei l’avesse scoperto o no, avrebbe dovuto dirle
addio in ogni caso, eppure trovò il coraggio di proporle di scappare con lui,
ai Caraibi. Perché una delle alternative al sud est asiatico, era il centro
America.
Abbassò lo
sguardo sul cavallo dei pantaloni, sporchi della terra del tunnel. La
consapevolezza di essere ricco non gli sollevava il morale neanche un po’. Come
li avrebbe spesi quei soldi ora che nessuno era con lui? Una volta arrivato a
destinazione avrebbe dovuto ricominciare da zero. La folle idea di
ricongiungere il gruppo gli solleticò il cervello, ma la scartò subito. Faceva
parte del piano non vedersi più.
Chiuse gli occhi.
Quale piano? Il
piano era andato a puttane ancora prima di entrare nella Zecca per colpa di Rio
e Tokyo.
Poi lo scampato
omicidio su ordine di Berlino, e infine lui, con la sua love story con una
della polizia. Infrangere una regola in più o una in meno che differenza
avrebbe fatto?
Sfinito
fisicamente e mentalmente si addormentò con le braccia conserte e la testa
contro il finestrino, mentre Raquel, ancora stordita dalla rapidità degli
eventi, faceva rientro a casa.
Approfittò del
fatto che la madre e la figlia dormissero per trascinarsi in camera sua, dove
si chiuse a chiave per non rischiare che qualcuno la vedesse in quello stato.
Si tolse le scarpe e salì sul letto, sdraiandosi e chiudendo gli occhi. Avrebbe
voluto Salvador accanto a lei, a guardarla con i suoi modi un po’ timidi. Ma
Sergio, nella realtà, era molto diverso dall’uomo della caffetteria, così
impacciato e premuroso. Sergio Marquina, in
quell’hangar umido e sporco, sguazzava come un pesce nell’acqua saltando da una
postazione di ultima generazione al tunnel collegato alla Zecca. Interagiva con
criminali slavi come se si rivolgesse a degli amici di infanzia e non aveva la
camminata vagamente goffa di Salvador. Paradossalmente si rese conto che con
lei era spesso teso e imbarazzato, a differenza di quegli energumeni tatuati
senza morale che non lo intimorivano affatto.
Eppure era sempre
lui e Raquel non aveva la forza di odiarlo.
Le tornò in mente
il suo “andiamo via” sussurrato, i suoi occhi che la imploravano di accettare.
Scoppiò a piangere, perché scioccamente lei ci aveva creduto. Quella mattina
era andata a lavoro con una forza nuova, datale dalla voglia di scappare da
Madrid e dai suoi problemi. Se su due piedi le era sembrata una follia, due ore
più tardi, seduta davanti al telefono nella tenda della polizia, l’idea di
partire con Salvador era l’unica boccata di ossigeno degli ultimi due anni.
Soffocò il pianto
contro il cuscino.
Quell’uomo era
riuscito a sgretolare in cinque giorni anni di sacrifici. Sacrifici per scalare
la gerarchia e diventare ispettore, e non solo non aveva avuto la forza di
arrestarlo, ma aveva sospirato di sollievo quando i colleghi avevano fatto
irruzione in ritardo nel magazzino.
Lo aveva aiutato
a scappare. Non si sentiva più degna di portare il distintivo. Di rappresentare
la giustizia di quel paese. Si diede mentalmente della stupida perché era la
seconda volta che per colpa di un uomo si era ridotta a piangere di nascosto.
Sergio non le
aveva mai alzato un dito, ma amandola le aveva fatto male come se l’avesse
picchiata. Perché alla fine Raquel gli aveva creduto. Aveva capito che stava
dicendo la verità sui suoi sentimenti, e questo rendeva tutto più difficile.
Forse l’avrebbe dimenticato più facilmente se si fosse convinta di essere stata
usata, ma così, con la consapevolezza di essersi persi perché appartenenti a
mondi rivali per natura, la mandava fuori di testa.
La frenata del
treno fece scivolare in avanti la testa di Sergio, che per poco non perse gli
occhiali quando la sua tempia passò bruscamente dalla plastica al vetro del
finestrino. Se li riaggiustò sul naso con il suo solito tic, poi guardò il
cartello sopra il binario. Erano quasi al confine con la Germania.
Probabilmente sarebbero arrivati in poco più di due ore.
Per un attimo
pensò a suo padre. Aveva realizzato il suo piano perfetto, ma a quale prezzo?
Aveva sempre saputo che qualcuno si sarebbe fatto male, ma questo non l’aveva
preparato alla perdita di Mosca, e soprattutto mai avrebbe immaginato che
avrebbe perso proprio suo fratello. Specialmente che Andrés
si sarebbe sacrificato per gli altri.
Sentì gli occhi
bruciare e si impose di non pensare. Non pensare a Berlino, non pensare a
Raquel. Doveva solo scappare e sopravvivere, nascondersi come era abituato a
fare, passare inosservato, quasi invisibile agli occhi delle persone e dare un
senso a tutto quel dolore che lo stava soffocando. Almeno quello. Doveva farlo
almeno per quello, altrimenti sarebbe stato tutto inutile.
Con la sua calma
atipica si risistemò sul sedile, appoggiandosi poi allo schienale imbottito.
Deglutì, provando a controllare il respiro come durante l’interrogatorio di
Raquel. Sorrise con cortesia al tizio che prese posto davanti a lui, poi tornò
a guardare fuori. Decise di non essere più Sergio Marquina
fino all’arrivo. Sarebbe stato solo Il Professore.
The End.