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Autore: AlsoSprachVelociraptor    04/04/2019    1 recensioni
Lloyd Richmond, giovane film-maker dal fisico fragile, la mente contorta, il cappello della Planet Hollywood calato sui suoi cinici occhi azzurro ghiaccio e il fidato coltellaccio appeso alla cinta, è pronto a tutto per diventare il regista che ha sempre sognato di essere.
Anche essere mandato dalla BBC a Ronansay, un'isola sperduta a nord delle fredde coste della Scozia e bagnata del tremendo mare del Nord a indagare su un misterioso hotel che si dice essere infestato dai fantasmi.
All'albergo, tuttavia, Lloyd troverà segreti ben peggiori di uno spirito; scheletri nell'armadio, doppiogiochisti pericolosi, destini segnati nel sangue, porte chiuse a chiave, il mare del Nord affamato che chiederà sempre più sacrifici umani.
E sì, anche un fantasma.
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[Storia liberamente tratta alla serie tv "Two Thousand Acres of Sky" della BBC, anche se NON c'è bisogno di conoscere la serie per leggere la storia, dato che ne è solo ispirata. Anzi, se non la conoscete è molto meglio]
Genere: Comico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I vivi non potevano vederlo. O meglio, non vedevano una persona. Vedevano un’eterea figura, una nebbia dalle vaghe fattezze umane, uno spirito come quelli dei film, insomma. Questo vedeva allo specchio da ormai diciassette anni.

Solo Lloyd, fino a quel momento, l’aveva visto come quello che era: un uomo.

E Jo.

Constatò che, come poteva toccare Lloyd, poteva anche essere non fatto d’aria per Johanne, quando la alzò di peso e la spinse nell’enorme, vecchissimo armadio della residenza e si fiondò assieme a lei, richiudendosi tutto alle spalle per nascondersi da Abby, che sarebbe arrivata a momenti.

Kenneth conosceva fin troppo bene la furia cieca di Abigail, e l’aveva provata sulla propria pelle quando era vivo. Una volta lei gli lanciò un vaso, quasi colpendolo in pieno. Se Kenny era un uomo mite e paziente, Abby era piena di forze, di speranze e di frustrazione.

Avrebbe voluto aiutarla, farla stare meglio, ma… Ormai era troppo tardi.

Strinse la figlia con tutta la forza che aveva in corpo, e sentì anche lei, timidamente, aggrapparsi a lui.

I passi pesanti di Abby risuonarono nell’armadio.

Silenzio.

-Johanne Wallace, sei qui?-

-”Wallace”?- sussurrò Kenny in disdegno. Wallace? Il cognome di lei? -In realtà sarebbe “Marsh”! Il mio cognome è…!-

Jo gli tirò un pugno sul petto e si premette un dito sulle labbra, cercando di zittirlo. Kenny alzò le spalle, non lasciandola andare. -Non mi sente. Nessuno mi sente. Tu invece…-

Aveva provato a parlare con la sua ormai ex moglie, in quegli anni. La morte li aveva separati, la morte di lui che a lei non andava così male, evidentemente.

Aveva provato a spiegarle quanto l’aveva amata, quanto l’avrebbe sempre amata, ma forse era un bene che lei non avesse sentito.

Con gli anni, giorno dopo giorno, l’amore che credeva immenso sembrava essere scemato nel nulla. Abby era cambiata. Era diventata una donna fredda, cinica e meschina, sofferente e del tutto disinteressata al benessere degli altri, dei suoi stessi figli.

Aveva fatto male, ed era stato come perdere un altro po’ di quella poca umanità che si sentiva rimasta.

Un amore che sentì crescere era, invece, quello per i figli che non erano mai stati suoi e per la nuova arrivata in famiglia, che invece era davvero sua. Aveva smesso di manifestarsi ai bambini quando lei era piccola, minuscola, e si era segregato nella notte, nei corridoi freddi e scuri.

Non poteva farsi vedere da Charlotte e Alfred, non dopo quello che lui aveva fatto loro. Credeva che riportare Robb dai ragazzi, il loro padre biologico,  avrebbe fatto bene per tutti, per il bene dei ragazzi e di Abby, e invece Robb presto divenne un alcolizzato frustrato. Kenny l’aveva portato loro, Kenny era la causa del loro dolore.

Solo una volta tentò di scusarsi con loro, ma non era andata bene.

Charley l’aveva fissato con terrore, aveva sussurrato qualcosa ed era scappata via.

Non voleva spaventare i bambini, non voleva spaventare la sua unica figlia. L’unica testimonianza della sua esistenza in quel mondo disgustoso. L’unica cosa bella che avesse mai fatto nella sua vita, e ora era lì tra le sue braccia…

La strinse ancora di più al suo corpo, anche se non era il momento per smancerie. -Ti voglio bene.- sussurrò contro i suoi capelli. -Te ne ho sempre voluto.-

No, non era momento di smancerie. Se la ragazzetta era rimasta ferma fino a quel momento, iniziò ad agitarsi e forse a spaventarsi, cercando di districarsi nella giungla di vestiti in cui erano prigionieri.

Facendo rumore.

Abby si stava avvicinando, continuando a gridare.

-Johanne! Io so che sei qui. Hai frugato dove non devi! Se ti trovo è finita per te!-

Kenny non l’aveva mai sentita così furibonda. Doveva parlare delle scartoffie che teneva tra le braccia. Stringendosi al corpo del padre, cercò di nascondere quei libri sotto la larga felpa che portava.

Si sentì rumore di legno che si spostava. Altri passi. Legno. Altri passi. Stava aprendo i cassetti.

-Cos’hai rubato, stavolta?-

I passi si avvicinavano.

Avrebbe aperto l’armadio, ne erano sicuri entrambi.

Kenny premette una mano sul fondo dell’armadio, e premette forte e ancora più forte, finchè non passò attraverso.

Odiava passare attraverso le cose. Era davvero una sensazione sgradevole.

-Tieniti a me. Più forte che puoi. Non lasciarmi per nessuna ragione, va bene?-

Non ebbe risposta da Jo, perchè appena vide le pesanti ante dell’armadio muoversi, Kenneth si lanciò indietro, stringendosi Jo al corpo e sparendo nel legno.

Abby aprì l’anta e trovò solo vestiti appesi e il fondo scuro dell’armadio. -Johanne!- gridò esasperata, sbattendo con violenza l’anta cigolante.

 
   
 
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