Joaquin
Lockwood & Jackson Riot
-
Da quanto è che non lo vedi? –
Jackson
smise di sorseggiare la sua tazza di caffè e
fissò in
silenzio Winona per quelli che sembrarono istanti interminabili prima
di aprire
bocca.
-
Sei mesi. –
-
Non siete mai stati tanto tempo senza vedervi o anche solo
scrivervi -, considerò la ragazza con un tono a
metà tra il pensieroso e il
triste, - non senti la sua mancanza? –
Certo
che la sentiva, ogni giorno da quando si erano visti per
l’ultima volta.
-
Un po’. –
-
Non serve che tu faccia il tipo tutto d’un pezzo con me,
Jack. Ci conosciamo da quindici anni, no? Abbiamo imparato praticamente
a fare
qualsiasi cosa insieme perciò so bene quando ti rifuggi
dietro alle tue alte
mura e non permetti a nessuno di entrare. –
-
Alte mura? –
Ignorò
il suo vago accenno di divertimento e insistè: -
Esattamente, tiri su delle barriere per proteggerti
dall’esterno, ma nel farlo
lasci fuori anche le persone che ti vogliono bene. E Joaquin
è una di queste,
lo sai bene. –
-
Tu lo hai visto? –
-
Certo che l’ho visto. Siete voi due che vi siete
allontanati, tra me e lui è rimasto tutto come sempre.
–
-
Non è una cosa semplice, Winnie. –
-
Nulla è mai semplice nella vita, credi forse che avere un
ragazzo che fa avanti e indietro dalla Gran Bretagna e al contempo
gestire
tutta questa storia della sciamana sia facile per me? Non lo
è, ma affronto la
situazione e non scappo via. –
Jackson
le rivolse un’occhiata piccata.
-
Io non sono scappato via. –
-
E invece sì, è esattamente quello che hai fatto.
Sei
scappato perché hai avuto paura di affrontare quello che era
già evidente agli
occhi di tutti, cioè che Joaquin ti ama. –
-
Non sono scappato per via di quello che prova lui -, ammise
dopo l’ennesimo lungo momento di silenzio, - ma per quello
che provo io. –
L’espressione
di Winona si addolcì davanti a quell’ammissione.
-
E cosa provi? –
-
Non lo so. Sono sempre stato abituato a pensare alla mia
vita con voi due al mio fianco, ma non ho mai immaginato come sarebbe
potuto
evolversi il rapporto al di là della semplice amicizia. Non
sono nemmeno mai
stato attratto da un ragazzo prima … è strano.
–
-
Ma sei attratto da lui … perché devi etichettare
per forza
questa cosa? Lui ti piace e tu piaci a lui, vi volete bene e magari
durerà
davvero per sempre. Etero, bisessuale, pansessuale o altro …
sono solo
etichette. Non tutto deve avere per forza un nome. –
-
Sembra che da quando stai con Caos tu sia diventata molto
più profonda e romantica – scherzò.
-
Già -, gli sorrise di rimando intenerita, - decisamente
sì.
–
-
Andrò a parlare con Joaquin – decise poco dopo,
lasciando
una manciata di banconote sul tavolino del bar e abbracciando
l’amica.
-
Fammi sapere come va. –
-
Puoi contarci. –
Bussò
piano contro la porta dell’ufficio di Joaquin
all’interno della Gazzetta Magica di New York. Aveva ignorato
gli sguardi
curiosi di quell’ammasso di pettegoli fin dal momento in cui
aveva messo piede
lì dentro ma quando gli venne detto di entrare e si
ritrovò nel bel mezzo di
quella che aveva tutta l’aria di essere una riunione tra
Joaquin e il suo
direttore non potè fare a meno di sentirsi tremendamente in
imbarazzo.
Le
iridi color dell’acquamarina dell’amico si erano
sgranate e
sembrava aver perso completamente il filo di quello che stava dicendo,
d’altro
canto il direttore gli era venuto incontro con fare pomposo e gli aveva
stretto
la mano dicendo che era un piacere immenso conoscerlo di persona.
Incassò
il commento con un sorriso di circostanza, consapevole
che dallo scandalo di sei mesi prima e dall’arresto di suo
padre e di sua
sorella per corruzione e coercizione, tutti non facevano altro che
chiedersi se
e quanto lui, Baron e Desmond fossero coinvolti.
-
Joaquin, non mi avevi detto di aspettare visite, se l’avessi
saputo avrei finito il mio discorso molto prima. Prego, lord Riot, si
accomodi
pure. –
Si
allontanò con fare cerimonioso, chiudendosi la porta alle
spalle non prima di aver annunciato che non li avrebbe fatti disturbare
da
nessuno e aver lanciato un’occhiata al moro che era un palese
invito a
chiedergli un’esclusiva.
-
Cosa ci fai qui Jackson? –
-
Voglio parlarti. –
-
Questo era evidente o non saresti stato di certo qui. –
-
Posso sedermi? –
Fece
spallucce.
-
Come vuoi. –
Sedette
appoggiando la schiena contro il rigido schienale
della poltrona e osservò per qualche istante il volto del
suo amico d’infanzia
sentendo un sorriso dipingersi involontariamente sulle sue labbra.
Joaquin
gli rivolse uno sguardo corrucciato.
-
Cosa hai da ridere? –
-
Scusa, stavo solo pensando che … -, tacque non sapendo bene
come terminare la frase così ripiegò in altro
modo, - mi sei mancato
moltissimo. –
-
Se non ci vediamo da sei mesi non è certo colpa mia.
–
Duro,
glaciale, come mai era stato quando si era rivolto a lui
nel corso di quegli anni.
-
Non hai intenzione di rendermi le cose facili e lo capisco
-, sospirò, - ma ti chiedo di ascoltarmi. Poi se proprio ne
hai voglia potrai
cacciarmi a calci fuori dal tuo studio o magari anche picchiarmi, non
te lo
impedirò. –
-
Parla, ti ascolto. –
Prese
un respiro profondo e cominciò.
Gli
raccontò di quanto avesse sentito la sua mancanza in quei
mesi, di quanto si fosse odiato per non aver saputo gestire la
situazione, e
anche della chiacchierata che aveva avuto quella mattina con Winona.
-
Perciò sono giunto a una conclusione -, disse infine
alzandosi in piedi e avvicinandoglisi, - e spero di non averci messo
troppo
tempo a capirlo. –
Joaquin
non perse di vista il suo volto nemmeno per un secondo
mentre deglutiva con fare d’aspettativa.
-
E sarebbe? –
-
Credo di essere Joaquin sessuale – ironizzò,
avvicinandosi
alle sue labbra per catturarle in un lieve contatto.
Il
moro rise contro le sue labbra per poi commentare dandogli
affettuosamente dell’imbecille; gli afferrò il
labbro inferiore tra i denti e
mordicchiò gentilmente prima di ricambiare il bacio.
*
Jacques
Lockwood – Riot (nato nel 2033)
Janessa
Lockwood – Riot (nata nel 2036)
Erano
passati tre anni da quando avevano adottato Jacques e
ora che il piccolo era cresciuto abbastanza da non tenerli
più svegli tutta la
notte e da permettere loro di abituarsi ai ritmi che un figlio imponeva
un’idea
aveva preso lentamente forma nella testa di Joaquin.
Così
approfittò di un momento in cui Jacques dormiva nel suo
lettino e lui e Jackson erano rannicchiati sul divano a guardare un
film per
allungarsi ad afferrare il telecomando e mettere in pausa il dvd.
-
Ehy -, protestò il marito, - quella era la parte migliore.
–
-
La guardiamo dopo, prima voglio parlarti di una cosa. –
Jackson
si voltò verso di lui, incrociando le gambe e
fissandolo in attesa facendogli capire che aveva tutta la sua
attenzione.
-
Jacques ormai cresce a vista d’occhio e so che a lui
piacerebbe
avere un fratello o una sorella. Perciò ho contattato il
Sayre Hospital e mi
hanno detto che in effetti un paio di giorni fa una giovane donna ha
partorito
e non ha voluto riconoscere la figlia sostenendo di non potersi
permettere di
mantenerla. Perciò mi chiedevo … -
-
Sì. –
-
Come? –
-
Sì, per me va bene, domani andremo a vedere la piccola.
–
Joaquin
gli saltò letteralmente addosso, sommergendolo di baci
e stringendolo a sé come se non volesse più
lasciarlo andare.
-
Se reagisci così ogni volta potremmo anche non smettere mai
di adottare – scherzò Jackson, venendo tacitato da
un lungo e passionale bacio.
Jacques
tese le manine verso la piccola.
-
Posso prenderla in braccio anche io? –
-
Va bene, campione, ma prima siediti sul divano e stai molto
attento. La tua sorellina è molto fragile e noi non vogliamo
farle del male,
vero? –
Il
piccolo scosse il capo, poi obbedì ai comandi del padre e
attese pazientemente che gli mostrassero come fare per tenerla.
-
Come si chiama? –
La
coppia si scambiò un’occhiata eloquente, prima di
decretare
che se voleva poteva essere lui a scegliere il nome della sorellina.
-
Mi piace il nome della nonna – disse risoluto, riferendosi
alla madre di Joaquin che si chiamava Vanessa, - ma voglio che il suo
nome sia
anche simile al mio. –
-
Che ne dici di Janessa? –
Dopo
un attimo di ponderazione Jacques annuì con un sorrisone.
-
Sì, mi piace. –
*
-
Riesci a credere che vadano davvero d’accordo? –
Jackson
rise davanti al sincero stupore di Winona
nell’assistere alla piccola Janessa che giocava allegramente
con la figlia di
Esme.
-
Eireen è pur sempre anche la figlia di mio zio e io con lui
sono sempre andato molto d’accordo. –
-
Ah, quindi è il DNA di Desmond che ha prevalso, ora
sì che
si spiega tutto. –
Risero
all’unisono per poi tacitarsi quando le due bambine
corsero verso di loro. Janessa s’inerpicò sulle
gambe del padre e rivolse
un’occhiata incuriosita a entrambi.
-
Di che parlate? –
-
Cose da grandi. –
-
Io sono grande. –
Eireen
scosse il capo, contraddicendola. – Ma se hai solo sei
anni proprio come me. –
-
Sì, ma so già leggere e contare fino a cento
– asserì di
rimando.
-
E questo cosa c’entra? – chiese Winona,
sinceramente
divertita dal battibecco delle due bambine.
-
No no -, intervenne Eireen con l’aria di chi la sapeva
lunga, - è un argomento valido. –
-
Bambine perché non tornate a giocare di là?
–
-
No, Jack Jack, di là ci sono i maschi che fanno cose
stupide. –
Winona
mimò silenziosamente una frase che assomigliava molto a
un “eccolo qui il caratterino di sua madre”.
-
Allora potreste andare a cercare il gatto –
insistè Jackson.
La
proposta questa volta accolse il loro consenso, perché
entrambe sgambettarono fuori velocemente lasciando nuovamente da soli
gli
adulti.
-
Ti ha davvero chiamato Jack Jack come il topolino di
Cenerentola? –
-
Già. –
-
Farai diventare queste bambine dipendenti dai cartoni
animati della Disney. –
-
E non solo, anche da quelli della Dreamworks. –
-
Deandre, Jacques e Dorian sono andati in città e non voglio
nemmeno osare immaginare cosa stiano facendo in questo momento
– sospirò
Joaquin mentre rientrava in casa e sistemava la spesa in frigorifero
sotto lo
sguardo vagamente assente del marito che stava esaminando al contempo
degli
incartamenti.
-
Cosa vuoi che sia. –
-
Sono delle bombe ad orologeria, del tutto incontrollabili e
inarrestabili, ecco di cosa mi preoccupo. –
-
Se la caveranno. –
-
Hanno quindici anni, sono totalmente irresponsabili, so già
che finiranno con il cacciarsi in un mare di guai e che passeremo
l’ultimo
giorno di vacanze estive a correre dietro a loro. –
-
Se lo sapevi perché li hai lasciati in città da
soli? –
-
Perché mi hanno dato il tormento fino a quando non ho ceduto
… se ci fossi stato anche tu magari le cose sarebbero andate
diversamente,
signor sergente di ferro. –
Jackson
ridacchiò.
-
Sei troppo indulgente con loro ed ecco che se ne
approfittano. –
-
Di cosa ti preoccupi? Se c’è Dorian con loro il
massimo che
potranno fare è annoiarsi a morte – intervenne
Janessa, con un sorrisetto
ironico sulle labbra mentre suo cugino Devin annuiva con vigore.
-
Nessie ha ragione, sei troppo apprensivo. –
-
Paparino? –
Jackson
si voltò verso la dodicenne, che lo fissava con gli
occhioni sgranati e un’espressione supplichevole sul bel
faccino.
-
Sì, piccola? –
-
Io e Devin possiamo ordinare la pizza per questa sera? –
-
Ma se l’hai mangiata anche ieri sera – fece per
intervenire
Joaquin, ma il marito annuì all’indirizzo della
figlia.
-
Certo, che pizza volete? –
-
Una diavola gigante. –
-
Sarà fatto – asserì, per poi notare il
divertimento sul
volto di Joaquin, - Cosa c’è? –
-
Non ero io quello che li viziava? –
Scrollò
le spalle.
Del
resto cosa si avevano a fare i figli se non li si accontentava
quando facevano richieste innocue come quella?