Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Azaliv87    07/04/2019    2 recensioni
E se Jon avesse la possibilità di riportare in vita una persona importante? E scoprisse di non essere ciò che era? E se anche Dany avesse questa possibilità? Questa è la domanda che mi sono posta, e da quest'idea mi è venuta in mente la storia che vi narrerò. Parto a raccontare le vicende dalla fine della sesta serie televisiva, grosso modo, quindi (avviso chi non ha visto questa stagione) potete trovare degli spoiler. Per il resto è tutta una mia invenzione. Dopo essermi immersa nel mondo di Martin ed essermi affezionata ai suoi personaggi con Tales of Wolf and Dragon, ho deciso di cimentarmi in questo What if e vedere fino a che punto può spingersi la mia fantasia.
Per chi avesse già letto l'altra mia ff, ritroverà conseguenze, personaggi e riferimenti alla prima storia.
Buona lettura e non vi preoccupate se ogni tanto rallento la pubblicazione, non sono mai bloccata, ma ho periodi in cui devo riordinare le idee e correggere ciò che ho già scritto prima di aggiornare!!
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le tenebre fredde e angosciose di quella stanza gli erano penetrate fin nelle ossa. Il temporale era rimasto fuori, ma l’umidità si era invece fatta strada tra le venature della pietra. Il grande camino acceso scoppiettava, mantenendo l’ambiente interno temperato e piacevole, ma i roboanti tuoni facevano rabbrividire anche il più coraggioso dei suoi comandanti e tutte le guardie si erano trattenute in un silenzio tombale al suo passaggio quando si era diretto nelle stanze per riposare. Non aveva potuto che dar loro ragione, dato che anche per lui quella circostanza non era per assolutamente gradevole. Era come se da un momento all’altro l’imponente montagna potesse spezzarsi e una grossa valanga potesse finire proprio sopra di loro, o peggio che si formasse un enorme crepaccio nelle profondità marine e potesse inghiottire l’intera isola nella notte, senza che nessuno di loro potesse nemmeno accorgersene.
Aveva camminato avanzando lentamente su quel lungo corridoio, senza osservare nessuno in volto. Non era stata una giornata particolarmente impegnativa, ma noiosa e monotona esattamente come tutte le altre. Era stanco, stanco di questa pressante impotenza a cui era obbligato, ma cosciente di non poter mutare in alcuna maniera questa condizione, se non voleva istigarsi l’ira dalla regina su di lui: cosa che era altamente sconsigliabile già quando era felice, figuriamoci ora che si trovava in delle terre al di fuori della sua giurisdizione da così tanto tempo. Se ancora non tornano, significa che il re del nord non si è ancora inchinato a lei. Aveva pensato quella sera durante la cena, che aveva appena assaggiato, per poi chiamare la cameriera per togliere via tutto… compresi i suoi abiti.
Era stata una piacevole compagnia, ma non abbastanza appagante, era convenuto con sé stesso che doveva trovare al più presto una soluzione.
Entrato nelle sue stanze, si era tolto il soprabito appoggiandolo allo schienale di una sedia e aveva avanzato nella penombra di quel vasto ambiente, come alla ricerca di qualcosa, qualcosa che sapeva non avrebbe trovato.
Ombre spettrali avevano preso forme dapprima innocue per poi divenire sempre più pressanti e confondersi con le tenebre della notte. Lui gli aveva raccontato di una notte dove l’oscurità sarebbe giunta per imperversare su un’intera generazione, portando con sé paura, fame e morte; nulla di così difficile da immaginare in quel momento, rifletté portandosi un calice di vino alle labbra. Un grande eroe sarebbe risorto per affrontare dei mostri demoniaci che le tenebre avrebbero accompagnato. Questa figura leggendaria avrebbe sollevato gli animi degli uomini, guidando la guerra contro questi demoni e impugnando una fiammeggiante spada magica avrebbe sconfitto le tenebre. Molte volte aveva considerato che quella potesse essere solo una fiaba che le madri raccontavano nel continente per spaventare i bambini più curiosi; lui di sciocchezze del genere non ne aveva mai sentite, ma d’altronde era cresciuto lontano, oltre il Mare Stretto, per cui non poteva averne davvero la certezza. Ma una parte di lui sapeva che non poteva essere tutta una fantasticheria di quell’uomo. Lui non era persona che raccontava bugie, o capace di celargli segreti. Era sincero, onesto e sofferente. Gli aveva trasmesso fiducia al primo sguardo ed era carico di carisma. Sapeva inoltre come farsi amare, anche se non mirava affatto a questo. Era stato comprensivo con lui, aveva sempre intuito i suoi momenti di difficoltà e gli era stato vicino. Si considerò fortunato ad averlo incontrato nel suo cammino. Era ciò che di più vicino aveva ad un amico o ad un padre… non sapeva nemmeno lui come considerarlo, ma comprendeva che ormai gli ci era ormai già troppo affezionato. “Resta qui, bada al mio castello.” Lo figurò nella mente, tra quelle nere pareti di roccia vulcanica, e riavvolse indietro la matassa dei suoi pensieri per trovare una qualche ragione che lo avesse spinto a fargli prendere questa decisione. Valutò delusioni, rincrescimenti, perdite e sconforti. Ogni evento negativo che potesse essere ricondotto ad un suo cattivo operato. L’aveva forse amareggiato compiendo un suo ordine? Doveva esserci una motivazione se lo aveva lasciato indietro. Temeva solo la verità: “mi ritiene inutile.” Abbassò lo sguardo sulla chioma scura della compagnia che aveva scelto per quella sera, mentre percepiva le sue morbidezze scendere su di lui e prendere nella sua bocca ciò che ultimamente esigeva sempre più attenzione nel suo corpo. Si lasciò andare tra le lenzuola di quel letto, profondando nei cuscini di seta e beandosi del piacevole conforto di quelle pellicce ramate, mentre socchiudeva gli occhi e inspirò a pieni polmoni quell’aria intrisa di umidità, dal pungente odore di zolfo confuso però dal sapore di donna che aveva ancora nelle labbra. Prima che la stanchezza prendesse il sopravvento, pensò ancora una volta a lei.
 
Non si rese nemmeno conto di essersi addormentato ad atto compiuto, poiché quando riaprì gli occhi era ancora buio. Una sensazione sgradevole di gelo lo colse fin dentro le viscere. Si stropicciò gli occhi stanchi e gonfi. La bocca impiastricciata e secca. Allungò una mano per raggiungere il tavolino e afferrare il calice della sera precedente. Forse conteneva ancora un sorso di quel buon vino che lo aveva tanto deliziato. Quando serrò tra le dita il bicchiere, avvertì uno sgradevole senso di freddo. Quel bicchiere pareva provenire da un'altra dimensione, dove il sole mai allungava i suoi raggi. Anche la stanza aveva una strana nebbiolina che aleggiata tutt’attorno, ora che controllava meglio. Si alzò a sedere meglio sul letto e tirò le coperte, scoprendo di essere solo in quel grande materasso matrimoniale. Un’amara sensazione di solitudine lo invase, ma la ricacciò indietro, prima che lo cogliesse alla sprovvista. Pensò che la serva probabilmente si era assentata per andare a darsi una sistemata in bagno, oppure era scesa per preparargli la colazione, o chiamare un’altra delle sue amiche a soddisfarlo, visto che non era stata poi in grado di offrirgli ciò di cui aveva bisogno. Ma forse questo lo sapeva solo lui…
Si portò il calice alla bocca e cercò di bere, ma il liquido si era condensato in un’unica forma rigida, che aveva occupato tutta la sezione inferiore della coppa.
-Ma cos…? – domandò a sé stesso, senza comprendere bene come potesse essere possibile una simile condizione. Cercò un acciaino per accendere lo stoppino di una candela e illuminare la stanza. Era talmente impacciato dal sonno arretrato di quegli ultimi giorni, che dovette provare e riprovare più volte. Le mani parevano rallentate da uno strano torpore che non riusciva a comprendere. Rialzò gli occhi, sbattendo le palpebre ripetutamente per concentrarsi meglio e comprese che quella patina che aveva prima scambiato per semplice stanchezza degli occhi altro non era che ghiaccio; ghiaccio ovunque.
Il suo respiro tiepido si condensava in nuvolette di vapore. Fece per scendere dal letto, ma i suoi piedi si fermarono nell’istante in cui avvertì qualcosa pungergli le piante. Un’intera lastra di ghiaccio ricopriva il pavimento e sopra di essa, ai piedi del letto vi erano dei cristalli bianchi che brillava alla fioca luce dell’unica candela accesa. Decise di camminarvi ugualmente sopra, per capire meglio da dove potesse essere entrato tutto ciò. Il marmo d’onice nera era congelato e completamente nascosto dalla neve, i suoi piedi arrancavano sempre più con difficoltà.
Abbassò gli occhi su quella una coltre bianca soffice in superficie e dura sul fondo. Vi penetrava a piedi nudi, sentendo degli spilli fastidiosi e aguzzi graffiarlo con prepotenza. Era la cosa peggiore che avesse mai affrontato, pensò, in un primo momento, ma quando arrivò alla terrazza, realizzò che quello era niente a confronto del tremendo spettacolo che infuriava al di fuori. L’enorme montagna sputava fiamme dalla sua estremità superiore, riversando sui pendii un liquido magmatico e fiammeggiante che lentamente stava distruggendo ogni cosa al suo passaggio. Arbusti e piante venivano divorati, le rocce si scioglievano, l’aria sembrava venisse inghiottita da quel demone che trasformava l’atmosfera nel suo inferno personale. Il ragazzo rimase immobile, sbalordito e inerme di fronte a tutto ciò. Non aveva alcuna speranza; non vi era nessuna via di fuga, se non salire ancora più in alto. Ma una volta lì che cosa avrebbe fatto? Si accorse che le mura esterne erano state sormontate e alcune delle torri stavano crollando. Mentre le pareti si sgretolavano, mostrando le sale prima celate. Le stoffe degli arazzi, delle tende e dei tappeti prendevano fuoco ancora prima che il magma li toccasse, quasi preferissero l’autocombustione al suo mortale bacio. “Il suo castello… Mi ucciderà, me lo sento. Centinaia di anni che sta in piedi… Me lo ha affidato e nel giro di neanche una luna viene distrutto.”
Udì un frastuono alle sue spalle. La porta era avvolta nelle fiamme e le pietre dell’uscio si erano sciolte riversando all’interno della sua stanza lava e calore che stava fondendo ogni oggetto, inglobandolo nella sua avanzata, lenta ma inesorabile. Era la fine.
Fu immediata la sua reazione. L’istinto lo portò ad arrampicarsi inevitabilmente verso l’alto. Le maniche della camicia si impigliavano sugli speroni delle cupole e le viverne lo osservavano astiose. Il ragazzo non ci fece caso, ignorò le statue, preso com’era a mettere in salvo la propria vita. Raggiunse la vetta della torretta con un balzo e si tenne allo spuntone della coda di un gargoyle. La scena da quell’altezza era anche peggiore. Tutto il castello era completamente circondato dal magma. Il suo colore rosso vivo spiccava come sangue brillante tra le nere rocce lisce in cui era stata intagliata tutta la struttura. Scendeva poi per il pendio, formando una cascata brillante e letale. Quando le lingue infuocate si riversavano sul mare emettevano un fumo denso e maleodorante che si alzava verso l’alto. L’aria era intrisa di esso e di calore. Troppo. Non sarebbe resistito a lungo. La pietra a cui era aggrappato si stava scaldando, fra non molto avrebbe dovuto lasciare la presa. Non seppe dire se era meglio una mano ustionata o finire tra quelle fiamme liquide. Una terrificante disperazione lo colse… “Ho vissuto fino ad oggi per morire in questo modo? Davvero è questo il mio destino?”
Quando sentì che non ce l’avrebbe più fatta, udì un tuono sopra la propria testa. Alzò lo sguardo spaventato e lo vide. Era venuto a salvarlo sulla sua creatura maestosa di bronzo e giada. L’armatura nera riluceva, assorbendo il colore delle fiamme attorno. Il lungo mantello rosso sventolava come una bandiera di salvezza, l’elmo con le ali di drago ai lati e le lunghe strisce di tessuto i caldi colori che scendevano dal retro. Si avvicinò a lui e gli porse il braccio. Il giovane non ci pensò due volte. Afferrò quell’unica speranza e si issò sulla bestia sedendosi a cavalcioni alle spalle del suo salvatore.
-Non so come sia successo… Non ho potuto far nulla. – provò a dire demoralizzato, con gli occhi bassi, ma l’uomo non gli rispose e si concentrò a dare comandi alla sua cavalcatura per uscire indenni da quelle nubi tossiche che riflettevano le fiamme scarlatte colorandosi di un grigio aranciato.
Il giovane le vide scorrere tutt’attorno, mentre le attraversavano. Gli sembrò quasi di immergersi in un bicchiere di succo d’arancia, solo che invece di quella dolce sensazione di piacere e freschezza, che disseta nelle calde giornate di sole, quando il sudore imperla la fronte, quelle coltri erano secche e irrespirabili. Il suo salvatore si posizionò un fazzoletto fino al naso, sollevandolo dal coletto e si coprì bocca e naso, ma rimase celato ancora da quell’elmo nero come l’ossidiana. Sulle spalle notò una folta pelliccia bianca appena tendente all’argento, solitamente usava coprirsi con colori scuri, ma pensò che al nord probabilmente aveva scelto tonalità differenti.
Deciso ad imitarlo, ma sprovvisto di una stoffa da poter usare sul viso, mise una mano a coppa sul volto e nascose così la bocca, mentre con l’indice e il pollice si tappò il naso, nel tentativo di evitare di respirare quella nube. Per lo sbalzo che la creatura alata fece, sbattendo le ali, fu costretto a tenersi con l’altra mano al mantello scarlatto del suo soccorritore, quasi come un bambino afferra le sottane della madre dopo che ha combinato una marachella… una sensazione che non ricordava di aver mai provato. Serrò le labbra con forte irritazione e cacciò indietro quella triste consapevolezza. Verità che avrebbe tanto desiderato quasi non sapere. Chiuse gli occhi maledicendosi per non essere all’altezza del suo ruolo… un ruolo che ancora non riusciva a comprendere.
In tutti quegli anni era cresciuto, costretto a mutare il suo nome, fidandosi di menzogne, beandosi del suo lignaggio… che troppo tardi aveva scoperto d’essere soltanto che nebbia inafferrabile. La benevolenza di pochi era stata l’unico scoglio su cui aggrapparsi… poi una luce era apparsa. Una luce di luna… silenziosa e delicata che non acceca né irrompe con la forza come fa invece quella solare, ma che è altrettanto piacevole e confortevole per chi ama ascoltare i lunghi racconti prima di addormentarsi.
Era giunto una sera da lui e gli aveva socchiuso le porte per farlo entrare nella sua vita… Non sapendo dove altro andare, il giovane aveva accettato quell’offerta ben gradita, certo, ma con educata riservatezza, anche se aveva posto quelle assurde domande imbarazzanti. Ma invece di riceve rimproveri, si era ritrovato ad aver di fronte il più bel sorriso che potesse aver mai visto in un uomo.
 
Si erano fermati. Lo percepì, prima di averne la certezza, riaprendo gli occhi. Non se n’era nemmeno reso conto di averli chiusi per tutto il viaggio, impaurito senza volerlo nemmeno ammettere con sé stesso, di aver spiccato il volo per la prima volta a dorso di un drago. Ed io che credevo di essere un domatore di draghi un tempo! Sono convinto che se anche il drago chiaro mi avesse permesso di avvicinarmi a lui, sarebbe poi stato il mio stomaco ad avvertirmi che non ero di sangue Targaryen.
Constatò quell’arresto improvviso suo malgrado, quando sentì potente il contraccolpo dell’atterraggio rimbalzare sulla sua colonna vertebrale ed i muscoli del dorso della bestia tra le sue cosce distendersi dopo tanta tensione. L’uomo di fronte a lui si spostò di lato, scavalcò la sella e scese a terra. Il ragazzo fece altrettanto, impacciato, confuso e ancora giù di morale. Quando mise i piedi sul nuovo suolo provò una fastidiosa percezione soffice, fredda e avvolgente.
-Dove mi hai portato? – gli chiese, ma quando si voltò a fissarlo vide l’immensa muraglia di ghiaccio. Quella doveva essere la Barriera di cui aveva sentito parlare. Si prese del tempo per ammirarla in tutta la sua infinta grandezza. Il ghiaccio trasudava una patina di umidità che respiravi del gelido respiro dell’inverno. Alcuni barlumi notturni provavano a riflettersi, ma l’immensa struttura pareva uno specchio tetro di onice pronta ad inghiottirlo. Angosciato, deglutì infastidito e riluttante: era dura accettarlo, ma quello che provava era una tremenda paura.
Venne però distratto da una forte pressione sulla spalla. Si abbassò a fissare ciò che lo stava serrando: una mano gliela stringeva. Provò quell’inevitabile acre sensazione di fastidio; non amava che gli altri lo toccassero, ma dopotutto a lui era concesso. Si voltò a guardare il suo salvatore, convinto di ricevere indietro la solita visione di guardarsi allo specchio, ma invece…
L’uomo si era tolto l’elmo che lo ricopriva e aveva aperto maggiormente la pelliccia sul mento per poter avere maggior movimento col collo. Aveva addirittura sciolto il nodo del fazzoletto che aveva usato prima per coprire naso e bocca. Era ovvio che non avesse addosso quella consueta maschera per celare la sua identità, dopotutto non poteva indossarla sotto ad un elmo, quindi non si era stranito nel vedere pian piano il suo volto emergere, eppure… quello che emergeva non gli ricordava nulla di famigliare. Non era l’uomo che si aspettava, non era quello dell’uomo che conosceva.
Si mise subito sulla difensiva, aggrottando le sopracciglia e fissandolo con diffidenza. Lo studiò in ogni suo dettaglio. Aveva i capelli scuri di un colore che non riusciva nemmeno ben ad identificare tanta era soffusa la luce in quel punto. La sua altezza era però la medesima del principe, pure la corporatura era abbastanza simile, ma con l’armatura ancora addosso, anche un bambino poteva sembrare un uomo. Notò però che il collo era tonico, la mascella era tagliata in maniera armoniosa ma virile. E dalla barba scura sul suo mento e sulle sue guance dedusse che era un giovane che doveva avere probabilmente la sua stessa età…
Percepì una stretta sul suo braccio destro. Le dita olivastre del ragazzo gli serravano l’avambraccio con forza e decisione. Provò una fastidiosa sensazione in risposta, e si accorse che le tenebre attorno a loro parevano essersene andate, come se una torcia fosse stata accesa sopra le loro teste.
-E tu chi cazzo sei? – gli domandò, spostando il braccio e cercando di usare un tono fermo e avverso. Dietro di lui il drago verde ottenne l’attenzione del suo cavaliere, portando poi il verde muso verso il basso e attendendo una carezza sotto al mento. Il giovane bruno gliela donò ed il drago emise un gorgoglio interno simile alle fusa di un gatto. Come poteva quella bestia essere così mansueta con un estraneo? Che fine aveva fatto il principe? Lo scrutò con i suoi occhi in modo sempre meno convinto.
-Come chi sono? – il giovane rise e aprì le braccia, disinvolto e facendo un’espressione incredula – L’ultima volta mi hai detto che siamo come fratelli… – staccò però la presa da lui e il buio ripiombò su di loro.
-Mi prendi per il culo? – gli domandò acido. Non si era mai esposto così con nessuno, nemmeno con Ser Rolly Duckfield, di cui aveva una grande considerazione e per lungo tempo aveva considerato al pari di un fratello, pur sapendo che lui era stato ingaggiato per la sua protezione.
-Perché mai dovrei farlo? – gli domandò confuso. Nei suoi occhi prevalse una tristezza infinita che lo fece pure sentire in difetto. Si prese del tempo per guardarlo attentamente, ricercando nella sua memoria l’istante che in quel momento gli sfuggiva, eppure non ricordava di essersi mai comportato in maniera così mansueta con nessuno che avesse quell’aspetto. Nemmeno col principe a dire la verità… Chi è costui quindi?
I lineamenti erano simili a quelli dell’uomo che ricordava, eppure più marcati. Non vi era tutta l’eleganza dei tratti antichi della sua stirpe; ebbe il sospetto che quella carenza non fosse riconducibile unicamente dalle fattezze del volto, ma dipendesse piuttosto anche dai toni che lo caratterizzavano… tonalità che in qualche modo nascondevano quello che invece con altri colori appariva più armonioso. Dove dovevano esserci sottili capelli chiari come l’argento, si presentava una chioma bruna, ma di eguale consistenza, come fili di sottile seta color cioccolata. Il vento li soffiava in aria come fossero accarezzati dalle mani di un’amante, in una vorticosa danza per ogni movenza. La pelle non era chiara come l’avorio, ma olivastra e segnata da numerose cicatrici sul volto e sulle mani. E quegli occhi… erano scuri, vero, ma non della sfumatura giusta. Un profondo grigio che da lontano avrebbe potuto benissimo confondere con nero, ma la gradazione al loro interno mutava in un colore indefinita che per un istante gli ricordò quella fusione di blu e viola, eppure troppo difficile da notare se non eri a pochi centimetri dal suo naso. E di certo non aveva mai avuto motivo di avvicinarsi così ad un uomo.
La persona di fronte a lui non parlò, e lui rimase ancora più sbigottito, fissandolo, senza esprimere nessuno dei suoi dubbi a parole. Pur tuttavia era certo che i suoi occhi trasmettevano tutto quel suo turbamento. Anche il ragazzo lo guardava, ma con un’espressione del tutto pacifica, quasi di ammirazione, e appariva completamente a suo agio; esattamente come aveva detto, pareva aver di fronte uno di famiglia.
Lo sentì trarre un profondo sospiro prima di riprendere a parlare.
-Credevi che io avessi più onore, vero? – cominciò a dirgli con un timbro di voce roco e dispiaciuto. Dal modo in cui si rivolgeva a lui, sembrava stesse parlando di qualcosa che lui doveva sapere, ma continuava a non afferrare i suoi discorsi. Non solo l’aspetto di quel giovane gli era del tutto sconosciuto, ma anche ciò che gli stava dicendo non aveva alcun senso – E’ evidente che ti ho deluso. – ammise affranto abbassando il capo, malinconico e rassegnato
“Deluso? Perché dovrebbe mai pensare una cosa del genere.” Non riusciva a capacitarsi di quello che le sue orecchie continuavano a udire. Dal modo in cui gli stava parlando però era chiaro che per lui esisteva un senso ed era molto profondo.
-Dovresti combattere per questo. Dovresti tentare almeno! – si sentì pronunciare quelle parole in modo molto persuasivo e iroso. Eppure non capiva per quale ragione dovesse avercela con lui. O dovesse importargli così tanto.
-Prendila tu. Non sono l’uomo adatto ad averla. – terminò la frase porgendogli una spada, che aveva sempre tenuto in un fodero avvolto in una pelliccia di alce. Confuso, abbassò gli occhi e automaticamente allungò le braccia per prenderla, quasi si sentisse obbligato a farlo da un richiamo che non riconosceva. Non rammentò di aver mai visto prima d’ora un’arma tanto bella, ma il tempo per mirarla fu interrotto dalla frase che si sentì pronunciare e involontariamente i suoi occhi tornarono a fissare quelli grigi del giovane.
-Non spetta a me. Non è… - “mia.” Stava per dirgli, ma il ragazzo non gli diede tempo di terminare.
-Sei tu che lei vuole. – rimarcò autoritario. Nello sguardo fiamme che non ammettevano repliche. Lei? Si domandò nella mente. Una donna?
Lo vide allungare di nuovo una mano verso di lui, ma questa volta il suo obbiettivo era più in basso. Avvolse le dita sull’elsa della spada che gli pendeva dal fianco. Ma non posso indossare una cintura, ero… Era convinto di essere ancora con gli abiti della notte e invece si scoprì vestito di tutto punto; una casacca bianca dai bordi vermigli e un paio di brache scarlatte sormontate dal ginocchio in giù da degli stivali con una pelliccia lucida di visone chiaro. Come se quello non fosse nemmeno lui e la sua coscienza si fosse distaccata dal corpo, osservò quella scena al rallentatore da un’angolazione che i suoi occhi non potevano vedere. Si vide in posizione eretta, di fronte a quello che sconosciuto che estraeva la spada con una lentezza calcolata. Continuò a fissare i suoi movimenti, inerme; gli pareva di essere privo di ogni cognizione temporale e percezione, come se si trovasse di fronte ad un teatrino dei guitti. Il cavaliere di drago portò la punta di quell’arma verso l’alto e l’ammirò compiaciuto. Tornò dentro al suo corpo, più che altro gli sembrò di precipitare nel vuoto e venir spinto improvvisamente di lato. Sconvolto e frastornato annaspò in cerca d’aria e concentrò ogni suo senso su quanto gli stava davanti agli occhi. Il ragazzo di fronte a lui era completamente assorto in un profondo pensiero, tanto che aveva messo la lama di fronte alla sua fronte e chiuso gli occhi. Non poté esimersi dal notare che anche quella lama non gli diceva nulla. Era una spada bastarda, più lunga di una spada tradizionale. Come potevo essere in possesso di un’arma simile? Controllò il fodero ormai vuoto al proprio fianco. Non c’era nulla che gli tornava. Possibile che i suoi ricordi fossero così confusi? Forse era caduto e aveva battuto la testa…
Ne ammirò la fattura, mentre il ragazzo se la rigirava tra le mani, con fare disinvolto, come se ne conoscesse già il peso e il bilanciamento. Pareva fatta su misura per lui infatti. Era in acciaio di Valyria, sul pomo era scolpita la testa di un lupo in pietra bianca, i cui occhi erano composti da granati rossi. Sembrava una spada che verosimilmente si poteva impugnare sia con una che con due mani. Dal modo in cui la padroneggiava sembrava vi fosse appartenenza. Lo vide tornare a sorridere alzandola verso il cielo. Lo osservò con meraviglia, rendendosi conto forse per la prima volta di quanta regalità traspariva da quel giovane. Infine i suoi occhi grigi si spostarono su di lui e lo invitarono a prendere coscienza dell’arma che aveva ancora tra le mani. Questa volta fu lui ad abbassare gli occhi e girare il polso della mano, lasciandola scivolare per poi serrare l’impugnatura tra le dita con una manualità che non si aspettava. Il cuoio sembrò avere già la forma della sua presa; il peso, che si aspettava ben più maggiore, risultò invece molto bilanciato e lieve. Comprese che anche quella pareva una spada da due mani, ma non escludeva che poteva facilmente essere impugnata anche solo da una. Scrutò la lama, sembrava vetro temprato con la luce delle stelle talmente era chiaro e brillante. Il pomo era in acciaio satinato e sopra la sua mano, sulla guardia incrociata, una stella sorgeva sulla linea dell’orizzonte.
Rialzò gli occhi convinto di incontrare ancora quel grigiore d’ossidiana argentata nel volto del ragazzo, invece vide due perle nere circondare da folte ciglia di donna. Questa nuova figura vestiva con un abito dorniano arancio, una fascia di tessuto di seta le passava diametralmente dalla spalla sinistra verso il fianco destro. D’oro erano i gioielli che le impreziosivano braccia e mani. Sul capo un velo color sabbia, con diaspri che brillavano alla luce del sole. Alzò le braccia per spostare la stoffa che le copriva il volto, erano esili e i numerosi bracciali tintinnarono al movimento. Il tessuto scese sulla sua nuca, mostrando al centro della sua fronte una grossa gemma di corniola rossa a forma di sole. I capelli sembravano ebano scuro e li teneva intrecciati in un’elaborata acconciatura. Aveva già visto donne usare quel tipo di abbigliamento, era tradizione di Sunspear, la stessa principessa Arianne si era presentata con vestiti simili nelle occasioni formali.
Quella donna gliela ricordava in parte, ma aveva un’aria più emaciata e la carnagione molto più pallida. Aveva inoltre dei fermagli laterali con lunghe fettuccine di nastri e catenelle di varie dimensioni ad impreziosire la chioma. I suoi occhi neri lo fissavano con solenne affettuosità; la pelle spenta del suo viso, sembrò illuminarsi; le sue labbra piene in quella bocca piccola si curvarono in un sorriso spontaneo. Protese verso di lui una delle sue mani smunte e gli accarezzò una guancia.
Si ritrovò a restare fermo, quasi terrorizzato di spaventare quella donna, nella speranza che non sparisse. La sua mano era profumata e vellutata, fu una carezza debole, ma intrisa di tanta amorevole attenzione. Durò solo una frazione di secondo, prima che da quella donna cominciasse a stillare una luce immensa che in breve lo accecò come la luce del sole nei caldi mezzogiorni del deserto. Alzò in fretta una mano per non distogliere il contato visivo da lei, temeva di chiudere gli occhi e di riaprirli e scoprire che se n’era andata. Ma la luce era troppa e gli fu impossibile distinguere le forme di ciò che aveva di fronte agli occhi.
La spada che aveva tra le mani cominciò a pulsare e pian piano assorbì quella luminosità, come se da essa nascesse la sua sostanza vitale.
In pochi attimi tutto finì. La donna non c’era più ed era comparso un uomo vestito interamente di un’armatura bianca. Dietro a lui altre figure maschili, ma che non indossavano lo stesso suo vestiario, ma parevano comunque tutti vestire abiti dorniani.
-Dov’è? Dov’è andata lei? – domandò, la voce gli tremava, le guance erano umide e gli occhi gli pizzicavano – Dov’è? – ripetè ancora sconvolto.
-È tornata a casa. Nel luogo che tanto amava. – l’uomo che aveva di fronte parlò con voce roca e autoritaria. Il giovane non seppe dire se quella verità gli avesse fatto più bene o più male, ma gli lasciò ugualmente una sgradevole sensazione di vuoto e solitudine.
Poi anche quelle figure cominciano a brillare, come stelle nel firmamento, mentre la spada continuava ad assorbire quella luce dovunque essa provenisse. Le immagini vorticarono di fronte ai suoi occhi in maniera sempre più confusa, la voce di quelle persone si persero nei ricordi e nelle ere, lasciando un buco nella sua anima che non riusciva a comprendere. Si trovò a chiudere gli occhi cercando di tenere in mano quell’arma che aveva preso a vibrare sempre di più. Le braccia sussultarono per lo sforzo, i muscoli erano vittime di spasmi continui, perfino dietro le palpebre vedere il chiarore che gli saettava di fronte agli occhi come una battaglia di folgori e stelle.
Urlò nel tentativo di far smettere tutto questo e sentì nelle labbra l’umidità di lacrime salate.
 
Aprì gli occhi e si tirò su di soprassalto. Le tenebre erano ancora attorno a lui.
Questa volta però era tornato nelle stanze dove ricordava essersi coricato la sera precedente. La tenue luce soffusa prima dell’alba stava cominciando a smorzare l’oscurità fuori dalla finestra. Si portò una mano sulla fronte, numerose perle d’acqua la ricoprivano. Si mise a sedere, portando le mani sulle lenzuola dietro di lui per sostenere la schiena; il tessuto sotto i suoi palmi era in un lago di sudore. Sentiva quella pessima sensazione di appiccicaticcio addosso e i capelli erano cordelle umide sulla fronte e sul collo. Era solo. Probabilmente la ragazza che era stata con lui se ne doveva già essere andata… o lui le aveva ordinato di andarsene; non lo ricordava e nemmeno gliene importava. Ne avrebbe trovata un’altra per la notte successiva. Da solo non voleva stare nelle ore più buie.
Si portò una mano al petto e le sue dita cercarono e trovarono il pendaglio al suo collo. Tra i polpastrelli sentì le cinque punte della stella e la piccola protuberanza tra due di esse che ricordava essere il meccanismo di chiusura per il suo contenuto interno. Non l’aprì questa volta, si limitò a portarla alle labbra e dargli un bacio.
Istintivamente spostò l’altra mano alla ricerca della stola azzurra che lei aveva lasciato nei suoi alloggi a King’s Landing, quando era corsa via da lui e da sua quella stupida affermazione che le aveva sbadatamente rivelato. In quell’unica notte in cui si era preso la briga di aspettarla, riservandole un momento unicamente per lei, stanco di doverla sempre condividere con altri.
Accarezzò la liscia sensazione fresca e delicata che gli ricordava tanto la sua pelle. Avvicinandosela al volto ne inspirò ancora l’odore di fiordalisi e ciliegia. Ripensò alla donna del suo sogno, un po’ gliela ricordava nei colori… Qualche lacrima gli scese a tradimento e con quei due soli tesori stretti al cuore, si rannicchiò nuovamente tra le lenzuola, vittima di nuovo quella solitudine che provava dentro e che, da quando era entrato in quel castello tetro e spettrale, era diventata sua compagna inseparabile.
 
 
 
 
 
Si era svegliato agitato da quel sogno. Un senso di esaustivo appagamento lo aveva accompagnato, destandolo dalla stanchezza di quella dura giornata. Era strano, ma sognare quel cavaliere gli aveva trasmesso speranza ed un senso di tranquillità e fiducia che non si spiegava. Voleva saperne di più sul suo conto, voleva scoprire se quel senso di rispettosa devozione era sorta in lui solamente nel sogno o se davvero era il suo aspetto a incutere quel medesimo sentimento nell’animo di chi gli stava vicino… ma a chi poteva porre quelle domande? Sua madre? Forse era meglio non aumentarle le sofferenze rammentandole il passato. Probabilmente Ser Barristan era l’uomo che faceva al caso suo, ma ora era a Winterfell, avrebbe dovuto attendere il solo ritorno per soddisfare quella sua curiosità.
Aveva aperto gli occhi e si era accorto di essere ancora disteso lateralmente, proprio come ricordava di essersi addormentato. Una particolarità più unica che rara, dato che di notte si muoveva molto. Aveva cercato con le braccia il corpo di sua madre, che ricordava aver stretto per addormentarsi, ma lei ora non c’era. Doveva aver lasciato il loro giaciglio già da ore, dato che il suo posto era freddo ormai. Lo constatò coi polpastrelli e si sentì uno sciocco per non essersene accorto.
Sapeva che le sue notti erano molto scosse da continui incubi, ma aveva sperato che dormendo con lui un po’ di quei suoi turbamenti si placassero; convenne che quelle erano state vane speranze a cui nemmeno lui ci aveva davvero creduto.
I suoi occhi si abituarono alle tenebre del salone e riconobbero il chiarore dei capelli di Daenerys. Mosse il capo da un lato all’altro, per impedire a sé stesso di soffermarsi troppo su di lei. Si alzò a sedere stropicciandosi gli occhi. Sansa era ancora appisolata avvolta nel suo mantello, seduta nell’angolo e con la testa appoggiata al muro. Arya era rannicchiata assieme a Bran. Stavano ancora tutti dormendo. Tormund russava come un orso in letargo. Tyrion dormiva in una posizione scomodissima, tenendo il collo all’indietro; sarebbe bastato far passare una lama sulla sua carotide e sarebbe morto sgozzato come una capra in un sacrificio, soffocando nel proprio sangue.
Lontano da tutto questo una figura nera svettava nell’angolo della sala più estremo. Suo zio Benjen era in piedi di fronte alla finestra e osservava il biancore esterno in riguardoso silenzio, proprio come una sentinella dei guardiani della notte sopra la Barriera, in attesa di scorgere dal profilo della foresta qualche invasore.
Prima di decidere cosa fare, si concesse un altro sguardo verso la regina dei draghi e, da quella nuova angolazione, comprese che pure lei era sola nel suo giaciglio. A quanto pareva neanche il principe Viserys non riusciva a dormire quella notte e, come sua madre, era sparito. Non volle continuare a pensarci ulteriormente, sua madre probabilmente era andata alle stalle, spesso l’aveva vista accarezzare la criniera chiara di Whitefog e rilassare ogni tensione, curandosi della pulizia del suo manto. Per un breve momento provò a considerare la nuova ubicazione del principe, ma subito ricacciò indietro quel pensiero; che fosse o meno andato a trastullarsi con qualche donna a discapito di sua sorella, non doveva essere di suo giudizio. Che facesse pure quello che più preferiva, Jon non poteva entrare in meriti che non gli riguardavano.
Si alzò in piedi e per un solo istante valutò l’idea di andare a fare compagnia a Dany: di scaldarla, come lei gli aveva chiesto quella sera quando si erano trovati soli. Poi però ripensò a ciò che lo aveva convinto a rinunciare a tutte le dolcezze della vita in sua compagnia. Non era fatto per quel genere di cose… il suo destino era combattere contro gli estranei, trovare un modo per salvare tutte quelle vite. Si doveva concentrare nella battaglia finale e proteggere i suoi sudditi, i suoi cugini, sua madre. Provò a cercarla ancora con lo sguardo, per accertarsi di non averla scorta altrove, distratto com’era da altre persone. Doveva rivolgere tutti i suoi pensieri su di lei, se voleva scacciare dalla testa ogni desiderio che lo portava inesorabilmente a sognare di lunghi boccoli argentati e di splendenti occhi viola. Ripensò alla sofferenza che provava sua madre… Anche per te è lo stesso, mamma? Neanche tu riesci a dimenticare la diafana bellezza di un angelo strappato dalle mani degli dei?
Col cuore gonfio di sconforto, costrinse i suoi piedi nella direzione di suo zio Benjen, qualcosa gli diceva che era una valida opportunità per sapere dirgli la locazione in cui sua madre aveva deciso di nascondere le sue lacrime per questa volta, ma una parte di lui richiedeva anche il conforto paterno di una persona che per quanto era stato il più vicino all’uomo che lo aveva cresciuto.
Lo raggiunse, esimendosi di un vero saluto e mise le braccia sulla dura pietra del poggiolo interno. Benjen Stark lo aveva sentito arrivare, ma non aveva distolto l’attenzione da quel manto bianco che copriva ogni cosa, gli bastava percepire il mutamento del suo respiro per sapere che era felice di averlo al fianco. Rimasero in silenzio per un lungo momento: entrambi non avevano nulla da dirsi, oppure non sapevano che parole usare, ma dopotutto non sempre si doveva dialogare per stare bene con un'altra persona. Si guardarono. Benjen gli dedicò un sorriso affettuoso.
-Mio re. – gli disse ironico, accennando un leggero inchino.
-Falla finita. – gli rispose lui, sorridendo e abbassando il capo, vergognandosi di quel titolo; non accettava che lui lo usasse – Mi sento re, tanto quanto mi sento un vero Stark. –
-Tu però sei sempre stato anche uno Stark. Io lo sapevo dall’inizio. – fu la sua risposta, la calma fatta persona – Che ti sapessero il bastardo di mio fratello o che tu fossi in realtà il figlio di Lya, resta comunque il fatto che hai sempre avuto sangue di lupo nelle vene. – i suoi occhi trasmettevano la sicurezza e la fierezza di quelle parole.
-Se lo hai sempre saputo… perché non me ne hai mai parlato? – gli chiese osservandolo incuriosito.
Benjen si riservò qualche minuto per riflettere prima di dargli una spiegazione.
-A differenza di tuo zio Ned, che lo scoprì troppo tardi, io venni a conoscenza della relazione tra tua madre ed il principe drago già dai tempi di Harrenhal. Lo scoprii pochi giorni dopo la fine del torneo. – gli stava raccontando. A Jon però venne in mente una domanda e non fece nemmeno in tempo a formularla nella testa che si ritrovò a dar già fiato alle sue parole.
-Perché non lo hai messo al corrente, dato che lo sapevi da così tanto tempo. –
-Ho mantenuto il segreto, perché lei me lo ha fatto promettere. Tua madre non è una a cui riesci dire di no… Se cerchi qualche sopravvissuto che viveva ai nostri tempi, vedrai che te lo direbbero anche loro. – storse le labbra in un sorriso – Le giurai che non avrei spifferato nulla a nessuno, per nessuna ragione. – si fece serio – E io non sono uno che tradisce un fratello. Ho tenuto la bocca cucita con i nostri fratelli maggiori e con nostro padre, ma se avessi saputo l’evolversi degli eventi… beh, non so se avrei mantenuto la parola. Ma questo non significa che l’avrei aiutata; infrangendo quella promessa, rivelando quindi la verità, con ogni probabilità invece di risolvere un problema, avrei peggiorato solo le cose… e le avrei donato solo tenebre… Dopotutto chi ero io per condannarla alla vita che non voleva, costretta a stare con l’uomo con non amava per il resto dei suoi giorni? – continuò nel suo monologo. Per quanto Jon non fosse del tutto d’accordo, soppesò l’eventualità di trovarsi nella sua stessa situazione con Arya. Era capitata qualche volta una situazione simile, ma si trattava di marachelle che tutto sommato non avevano esodi così drastici e spesso e volentieri era riuscito a farla ragionare e a scoraggiare le sue iniziative; come quella volta che voleva mettere nel cassetto della biancheria di Sansa un rospo trovato nel canale di scolo delle fogne. Puzzava terribilmente e Jon l’aveva intercettata poco prima che lei aprisse la porta delle stanze di sua sorella, prendendola per il coppino e sollevandola come si fa con i gatti. L’aveva tenuta in quella posizione per tutto il tempo scendendo pure le scale, tanto era piccola ed il suo peso era effimero, portandola fuori in cortile e buttandola nella tinozza in cui alcune serve stavano lavando i panni. I nuvoli di vapore gli avevano indicato in anticipo che quell’acqua era calda, quindi non si sarebbe certo presa un malanno, ma non era stato lo stesso pensiero di lady Catelyn che lo aveva fatto mettere in punizione per un mese, per aver compiuto uno scempio simile. Fortunatamente Ned Stark aveva trovato un modo per placare le ire di sua moglie, anche se l’astio che provava nei suoi confronti non era certamente migliorato.
-Non è sempre facile capire qual è la migliore decisione da prendere. – provò a dire, infondendo a sé stesso il coraggio per continuare ad ascoltare. Voleva scoprire anche il resto della storia, conoscere ogni dettaglio, dopotutto gli era sempre stato negato conoscere la verità, ma ora che ogni barriera era stata sormontata, c’era una parte di lui che desiderava tanto tornare indietro a quando ancora non c’era una madre nella sua esistenza e non vedeva il suo volto ad ogni ora del giorno rigato dalla malinconia, soffrendone a sua volta.
-Soprattutto se si ha solo quindici anni e si ha messo il naso fuori dal proprio castello solo un paio di volte. – alzò le sopracciglia e trasse un lungo sospiro di esasperazione, quasi a giustificarsi, ma in realtà Jon sapeva che si stava autocondannando. I suoi occhi azzurro acciaio trovarono i suoi a metà strada – Ma tu vuoi sapere per quale ragione non ti ho mai svelato che mia sorella era in realtà tua madre… – lo vide tornare serio ed i suoi occhi si fecero severi ora, riguardando il panorama oltre il vetro di quella finestra, anche se la memoria era rivolta al passato – Quando Ned la trovò in quella torre del sud, lei gli chiese di proteggerti e di prendersi cura di te. Perciò spettava a lui dirti delle tue vere origini. – sbuffò affranto e indignato – Ma secondo lui la tua protezione non era solo esterna, ma anche interiore ed è stato solo per quella sua dannata cocciutaggine che non ti ha mai detto nulla nemmeno lui. –
-Potevi farlo tu, prima di andare in missione a nord della Barriera. – gli suggerì con tono piatto.
-Potevo, ma non ero obbligato a farlo… - Jon aggrottò la fronte per obbiettare, ma suo zio continuò a parlare – Ned mi aveva implorato di attendere che tu fossi certo di prendere la tua decisione definitiva. Se il tuo desiderio era davvero diventare un guardiano della notte, nessuno ti avrebbe fermato. Mio fratello pensava che forse era il destino che ti voleva proteggere lui stesso e collocarti in un campo neutrale, così che Robert non ti potesse mai toccare. – Jon non seppe che dire a quell’affermazione. Ripensava a quel imponente uomo dai grandi appetiti che era giunto a Winterfell qualche anno addietro. Gli pareva fosse passata un’eternità da quei giorni spensierati… Ma un gravoso timore gli saettò nella mente al pensiero che quello ora avrebbe dovuto essere stato al fianco di sua madre. Spostò il capo di lato, raccapricciandosi di quell’immagine.
Suo zio si accorse della sua disattenzione e parve voler riattirarlo a sé.
-Mi ha consigliato di farti restare alla Barriera, di certo non ti voleva lasciarti con Lady Catelyn. Ha insistito lui sul fatto di darti la possibilità di parlare con Maestro Aemon. Era un Targaryen pure lui, lo hai saputo? –
-Sì. Me lo ha rivelato. – Benjen annuì col capo.
-Speravo che ti parlasse di tuo padre. Aveva molto a cuore suo nipote, lo scoprii per caso un giorno quando entrai nel suo studio e trovai nel suo scrittoio una lettera con un sigillo nero e le sue iniziali, dapprima non compresi, ma poi vidi la sua firma vergata a fine della pagina. –
-Mi disse solo di lui e che quando la sua famiglia perì, era troppo tardi per lui per poter fare qualcosa. –
-Già… - convenne – Fu l’unico a darmi conforto, trovando le giuste parole, quando giunsi al Castello Nero. Capiva quello che stavo passando perché erano le stesse angosce che stava vivendo lui. –
-Quindi avresti preferito che fosse un altro a dirmi chi ero? –
-Non avrebbe avuto importanza. –
-Per te, forse. – si stava alterando, non capiva perché suo zio non stesse capendo la gravità di quelle affermazioni.
-Se anche ti avessi rivelato tutto, cosa ti avrebbe spinto a non considerarmi un pazzo? Che prove avevo io, per portarti a credere alle mie parole? Non avevo alcuna intenzione di disonorare il ricordo di mia sorella. Non volevo che tutti la pensassero la sgualdrina del principe ereditario. – sospirò affranto serrando un pugno di fronte al proprio costato – Le ultime volontà di Lyanna erano che fossi tenuto nascosto a Robert, la sua insana inclinazione omicida verso tutta la progenie del drago era ormai diventata leggenda. Se anche solo un sussurro sulla sopravvivenza di un erede di Rhaegar si fosse diffusa, certamente avrebbe mandato qualcuno ad ucciderti. Come penso hai saputo, non si è limitato ad aspettare il ritorno di Daenerys, le ha mandato sicari sperando che avessero successo. – lo sentì digrignare i denti, non solo per il disonore di quel gesto, ma anche perché se avesse potuto, avrebbe chiaramente impugnato un’arma contro di lui. Nei suoi occhi pareva esistere una sorta di vendetta o debito personale che suo zio avrebbe voluto tanto saldare. Lo capì, dopotutto gli era parso di capire quanto fosse legato a sua madre, per cui non gli era difficile capire anche l’astio che doveva provare verso l’uomo che avrebbe dovuto possederla un giorno. Un uomo di cui non aveva grande stima.
-Prova a pensare anche a Ned, in quanto lord protettore del nord e amico del re, la sua posizione sarebbe stata messa a rischio se Robert avesse scoperto che gli aveva mentito per tutti questi anni. Penso che la mia scelta di entrare nei Guardiani della Notte sia stata un quasi una soluzione per entrambi. Non sarei rimasto a interferire con le sue decisioni sulla tua vita, e nel caso la verità fosse un giorno venuta a galla, e Robert lo avesse scoperto, avrebbe di certo chiesto la morte del suo amico… non era uno che guardava in faccia nessuno quando si trattata di ripicca. Ma almeno io mi sarei salvato, perché il mio voto mi avrebbe tenuto a nord del Dono… – fece un altro profondo respiro, prima di curvare le labbra cerulee in un sorriso nostalgico – lo stesso voto che ti avrebbe salvato, proprio come aveva salvato Maestro Aemon prima di te. – Jon rifletté attentamente su quelle parole, era bello pensare che Ned Stark avesse pensato a tutto, certo, ma qualcosa gli diceva che nei suoi silenzi più che calcoli ci fossero invece dubbi e domande: “Sto facendo la cosa giusta? Sarà la soluzione migliore?” le stesse domande che spesso lo avevano accompagnato anche lui nella presa di coscienza delle decisioni più impervie.
-Credi che Maestro Aemon avesse qualche sospetto su chi fossi davvero? – era una titubanza che gli era sorta solo in quel momento.
-Non saprei dirti, Jon. Il tuo aspetto non lascia sorta di dubbio, hai sangue del nord e nessun particolare segno che possa ricondurre agli antichi canoni valyriani. Ma resta il fatto che conoscesse molto bene il tuo vero padre, purtroppo però solo per corrispondenza. Non mi risulta che Rhaegar abbia mai viaggiato fino alla Barriera e se lo avesse fatto, noi Stark di sicuro lo avremmo saputo e ospitato. Se la sua cecità non lo avesse privato della vista però, sono certo che avrebbe comunque trovato qualcosa che gli facesse sospettare una qualche parentela… un particolare che gli ricordava suo nipote. –
-Io non sono affatto come mio padre. – affermò tetro, non celando un certo rammarico nella voce.
-Perché dici così? – suo zio lo guardò in modo bizzarro – Mi era parso di capire che cominciavi ad apprezzare la compagnia dei draghi. – Jon soppesò le sue parole per diversi istanti, sentendo nascere dentro di sé sdegno.
-La regina ed il principe sono miei alleati, tutto qui. Non li considero niente di più… -
-Non mi trattare come un sempliciotto, Jon – lo rimproverò rude – E soprattutto non dirmi stronzate! – si adombrò – Non mi è sfuggita la forte intesa che hai con la regina. – lo fissò intensamente negli occhi e Jon dovette sforzarsi per non cedere di fronte a quell’analisi – Inoltre mi sembra che ultimamente tu e il principe Viserys siate sulla buona strada per instaurare un bel rapporto di fiducia, rispetto e lealtà. Sono entrambi dei Targaryen, il passato non deve per forza ritorcersi sul presente. – affermò saccente – Quindi spiegami: perché ti ostini a provare rancore verso il tuo vero padre? Dopotutto nelle loro vene scorre lo stesso suo sangue. Lo stesso tuo. – si interruppe come in attesa di una sua tacita risposta. Il silenzio però li avvolse. Un silenzio interrotto dal russare di alcuni uomini nella sala e dal respiro grosso di Tormund che dormiva poco distante dalla porta, con la sua ascia in mano. Nello stesso frangente anche un altro suono comparve inaspettato: un rumore di passi che scendevano le scale dell’ala est. Jon puntò lo sguardo in quella direzione allarmato, credendo potesse essere una guardia di vedetta che li avvertiva di un pericolo, dimentico ormai del vero motivo per cui si era avvicinato a suo zio. Sua madre, era lei a fare quel rumore. Ed eccola lì infatti, apparire, mentre scendeva frettolosamente l’ultima rampa di scale. Era lontano, eppure poteva vedere che teneva una mano sul volto, a nascondere gli occhi. Era chiaro che non volesse mostrare le lacrime che stava versando. Qualcosa l’aveva scossa. Qualcosa di cui non era ancora certo, ma poteva intuire dove andasse a colpire.
-Ecco il motivo… - ammise tetro, indicando la donna col mento e incupendosi ulteriormente. Suo zio voltò il capo per guardare nella sua stessa direzione. La videro sgattaiolare in una delle stanze vuote, quella adibita alla dispensa dei viveri e sparire nelle tenebre, chiudendosi la porta alle spalle. Il colpo dei cardini della porta si protrasse nella sala, ma fortunatamente non svegliò nessuno.
Jon ebbe l’amara sensazione che il suo cuore avesse emesso il medesimo acuto rumore prima di portarsi una mano sul petto, riaccendendo involontariamente dolori che appartenevano al passato.
 
 
 
 
 
Venir dissuasi a pensare che la tua vita non era come pensavi, è estremamente difficile da accettare. Non è un boccone amaro che difficilmente si riesce ad inghiottire. Benjen Stark non poteva dire di riuscire a comprendere quello che suo nipote provava, ma ci stava provando. Provava a capire per quale ragione gli fosse così facile pensare che Lyanna era sua madre, ma cercava anche di scoprire la ragione per cui non riusciva a staccarsi dall’idea che Ned non fosse suo padre e ora stava cominciando ad abbracciare l’idea che non fosse davvero quello il vero problema. O meglio, lo era, ma solo in parte. Ned Stark sarebbe sempre stato per lui la figura paterna che lo aveva cresciuto e gli aveva dato sicurezze per quindici anni. I ricordi che aveva di lui sarebbero rimasti e lo avrebbero confortato ancora per molte notti. Il posto di Ned ricopriva gran parte dello spazio che Jon aveva nel cuore, posto che per lunghissimo tempo era stato unicamente ricoperto da lui e non da altre persone. Non aveva un esempio pratico di madre, nessuna donna aveva ricoperto quel ruolo, lady Catelyn non ci aveva nemmeno mai provato, per cui era rimasto un posto vuoto, che il ragazzo non aveva mai colmato. Suo fratello gli aveva detto che era sempre stato un bambino molto dolce e buono e che spesso aveva dovuto allontanare le serve, cameriere e domestiche da lui, quando queste si affezionavano troppo a lui. Ben non era stato d’accordo, un bambino ha bisogno anche di una donna che lo coccoli, ma per esperienza personale nessuno di loro aveva avuto questa fortuna. La lady loro madre era morta quando erano ancora troppo piccoli e lord Rickard aveva pensato bene di crescerli nella completa lontananza da altre figure materne. L’unica che aveva il compito di occuparsi di loro era la vecchia Nan, che per quanto fosse sempre presente, sapeva però restare al suo posto quando si trattava di esternare i propri sentimenti. E così sia Ned che Benjen non avevano mai avuto un abbraccio materno, e suo fratello aveva scelto lo stesso insegnamento per Jon, convinto di fare il suo bene. Non gli aveva mai fatto mancare nulla a livello materiale, ma a livello affettivo Jon aveva grosse lacune e la più importante era proprio verso la figura di sua madre, che ora essendo riapparsa nella sua vita, dopo aver persino pensato che potesse essere morta o che lo avesse abbandonato, il ragazzo non aveva dovuto faticare a dipingere i tratti di quella donna, con le fattezze di Lyanna. Il posto nel suo cuore era vuoto e facile da colmare, e Lyanna era riuscita senza troppo complimenti a posizionarvisi e completare quella mancanza di cui il giovane ora non risentiva più.
Diversamente era con la figura paterna. Il posto di Ned Stark era imponente, pieno e difficile da sostituire, soprattutto se la persona con cui doveva farlo era il principe Rhaegar, altra figura egualmente smisurata e scomoda. Le opinioni su di lui differenziavano seppur gli anni fossero stati ottimi medicamenti per risanare le vecchie ferite. La gente del sud che era salita con l’esercito dei draghi aveva idee che ancora non confluivano in un'unica direzione; c’erano i vecchi lealisti dei Targaryen che ovviamente parlavano del principe drago come l’ottimo rimedio alla meschinità e alla pazzia del padre, e che vedevano in Daenerys la degna succeditrice. Poi c’erano quelli che avevano combattuto per i ribelli che si dividevano in due schieramenti: quelli che lo stimavano per sentito dire, e quelli che lo avversavano convinti che i suoi ultimi comportamenti stessero portando verso la stessa follia del padre. Infine c’erano gli uomini del nord che avevano una bassa considerazione di ogni drago, ritenendoli un nemico da quando lord Stark e suo figlio erano stati assassinati a quel modo alla capitale. Quei pochi che stavano nel mezzo senza una vera opinione non facevano testo, ma Benjen avrebbe tanto voluto che Jon facesse parte di quest’ultima schiera, invece si ostinava a maledire quel suo legame con ogni sua forza, impossibilitato ad accettarla solamente perché questo significava dargli il posto che già era occupato di Ned, senza capire che poteva pian piano creare uno spazio anche per il nuovo arrivato.
Dopo un lungo momento di calma apparente, suo nipote riprese a parlare: la sua voce era mutata e piena di frustrazione.
-Non posso vederla soffrire a quel modo. – aveva mostrato una smorfia di isterismo – Piange, è disperata, è tormentata… gli incubi la perseguitano e io non ho alcun potere per aiutarla. Non posso far altro che restare a guardare, mentre sento riflesso dentro di me ciò che sta vivendo. Mi sento impotente. – abbassò lo sguardo mortificato e distrutti – Quando sono in compagnia dei due fratelli Targaryen è come se tutto questo dolore sparisse; mi sento a mio agio, mi sento a casa. – perché lo sei, figliolo. Si ritrovò a pensare Benjen, ma preferì non dirglielo e lasciarlo parlare, senza interromperlo.
-Quell’angoscia che provo costantemente, quel senso di incompletezza e di inettitudine mi abbandonano. Ma quando torno da lei, ho come l’impressione di averla tradita. –
-Jon, non puoi davvero crederlo. Se passi con loro parte del tuo tempo è naturale, perché fanno parte della tua famigli: sono pur sempre i tuoi zii, esattamente come lo sono io. – sorrise con lieve ironia, per infondergli coraggio, poi però tornò serio – E non sono d’accordo su quando dici della tua incapacità: non è vero che non la puoi aiutare, perché non è assolutamente vero. Sei suo figlio, e come tale la riesci a capire e sai come starle vicino. A lei bastano cose semplici, dimostrazioni d’affetto, anche le più banali. Un abbraccio, un fiore in regalo, una sfida con la spada o una corsa equestre. In ogni piccola cosa puoi dimostrarle quanto le vuoi bene. – lo osservò con uno sguardo tenero – Questo l’aiuta molto… lo vedrebbe anche un cieco. –
-Ma non la posso aiutare per quanto riguarda il suo cuore spezzato. – protestò il ragazzo – Io so come si sente. – la sua voce divenne tremula, ma la tenne abbastanza bassa perché lo potesse sentire solamente lui. Congiunse le mani e incrociò le dita tra loro, poggiò tutto il suo peso sugli avambracci e si chinò in avanti – Ho amato e ho perso la persona che amavo. – Benjen ebbe il sentore che quello a cui lui si stava riferendo non fosse realmente riconducibile alla donna di cui aveva sentito, quella bruta dai capelli color del fuoco, ma non gli chiese altro al riguardo, decise di restare più sul vago.
-E credi di essere l’unico? – lo guardò in tralice – Se chiedi a qualsiasi dei presenti, ti può dire la stessa identica cosa! Tutti noi abbiamo amato e perduto qualcuno: chi un figlio, chi un fratello, chi un padre, chi una madre… o la donna che si amava un tempo… Credi che io non abbia dovuto fare qualche sacrificio per entrare nella confraternita in nero? – il ragazzo rimase interdetto. Per la prima volta notò che lo guardava con occhi diversi. Lui, come tutti i figli di Ned, lo aveva sempre considerato un guerriero onesto, giusto e temerario. L’idea che facesse parte dei Guardiani della Notte era un vanto per l’intera casata degli Stark di Winterfell, che avesse raggiunto il rango di ranger, non faceva altro che aumentare la sua stima. Ma esattamente come ogni suo nipote, Jon non si era mai davvero spiegato la ragione che lo avesse spinto a scegliere quella vita, né gli avevano posto la domanda propizia. Ed era certo che nemmeno Ned ne avesse mai parlato.
-Amavi una donna? – gli chiese Jon, sul volto lo stupore di un bambino che per la prima volta vede i bucaneve nascere tra la distesa innevata e capisce che la primavera è vicina. L’uomo inspirò dal naso e tornò a scrutare le distese innevate fuori dalla finestra.
-Era la ragazza più bella che avessi mai visto. La più intelligente, acuta, scaltra e cocciuta, ma anche la più coraggiosa… Ovviamente dopo tua madre. – gli strizzò l’occhio. Jon ebbe un sussulto, era palese che non si aspettasse una rivelazione così franca. Si fece più serio, al pensiero di quanto sforzo gli fosse costato lasciare indietro un simile peso per così tanto tempo.
-Non ne avevo idea… – disse istintivamente. Cercò le parole giuste per continuare a formulare altre domande inerenti – Di lei che ne è stato? –
-So che si è sposata, ma che non ha avuto figli… - cominciò a dire – Ma se vuoi qualche dettaglio in più, credo che tu faccia meglio a chiederglielo direttamente a lei, quando torniamo al castello. – non lo guardò, lasciandolo crogiolare nel dubbio da solo. Era già difficile da esternare tutto quel dolore lasciato per anni nel suo dimenticatoio privato. Jon aprì leggermente la bocca incredulo.
-Vive a Winterfell? –
-È tornata negli ultimi tempi. – lo guardò di sbieco vedendolo brancolare nel buio – E sì, la conosci, se la prossima domanda che vuoi farmi è questa. – gli rivelò, annuendo col capo.
Il giovane mostrò un’espressione imperscrutabile, mentre faceva mente locale sulle donne presenti a Winterfell; era facile intuire i suoi pensieri. Era come se una miriade di volti gli si parasse di fronte, li esaminava e cercava di trovare un collegamento con lui, ma non aveva idea di quale scegliere perché non lo aveva mai visto avvinare nessuna donna in pubblico. Non poteva sapere quale fosse il canone di bellezza che preferiva, perché non aveva basi di paragone.
-È stato bello rivederla ancora una volta tra le mura di casa dopo tutto il tempo che è trascorso, non mi sarei mai aspettato che le nostre strade si potessero rincrociare. – gli sorrise e allo sguardo perplesso del giovane continuò – Ha riottenuto lo stesso ruolo di un tempo e sembra fiera e soddisfatta… eppure io avrei potuto renderla una lady, ma si è dovuta accontentare di restare invece la sua serva personale. Beh, sono vie che non si possono più prendere. Tanto vale non rimuginarci troppo sopra, non farebbe del bene a nessuno. – gli occhi grigio scuro di suo nipote erano sbarrati, qualcosa nel suo discorso gli stava fornendo indizi per rintracciare questa donna.
-Elanon…? – domandò cauto Jon, quasi temendo di potergli arrecare dolore nel pronunciare quel nome. Benjen stropicciò il naso e represse un sorriso quando finalmente giunse all’ovvia conclusione. Non potè reprimere i ricordi e si trovò ancora a sognare ad occhi chiusi di appoggiare le sue labbra sul quelle rosee di lei… Quegli occhi vispi di un colore grigio dei cieli del nord mescolato alla verde foresta, ai suoi lunghi capelli scuri che profumavano di muschio e more e della pelle morbida delle sue mani.
-Quando mia madre la vide per la prima volta mi disse che sembrava di conoscerla. Difatti poi me la presentò come una sua vecchia amica d’infanzia. – enunciò il giovane tornando indietro nei suoi ricordi.
-La conobbi io prima di lei, proprio a Harrenhal… tua madre era leggermente distratta in quei giorni. Elanon serviva lady Hornwood, prima che questa si unisse in matrimonio con Leobald Tallhart. Quando tornammo a Winterfell e Marlene, la precedente serva di Lyanna dovette allontanarsi dalle sue mansioni, insistetti affinchè Lyanna avesse lei. –
-Ecco scoperto come si sono conosciute. – enfatizzò Jon con un sorriso.
-Sapevo che sarebbero andate d’accordo. Hanno un carattere simile e rispetto alle altre ragazze era l’unica che avrebbe potuto stare al passo col suo spirito di ribellione sempre più crescente. – il ragazzo sorrise compiaciuto delle incredibili qualità di sua madre. Benjen si chiese se non fosse il caso di cercare anche qualcuno che potesse fare altrettanto per raccontargli invece del principe Rhaegar, così che avesse una equa conoscenza di entrambi.
 -Ricordo fu una tra le prima a proporsi per partecipare agli allenamenti delle Rose dell’Inverno. Lei e mia madre hanno passato intere ore chiuse in camera, il primo giorno che si sono riviste. Penso a rivangare i vecchi tempi e, quando sono uscite, lei è diventata la sua ombra. Sapeva quando mia madre aveva bisogno di stare sola o quando necessitava di compagnia. Le faceva preparare gli abiti adatti, in base alla giornata che si annunciava, intuendo prima ancora che mamma si alzasse dal letto, quali sarebbero state le sue attività quotidiane. Non è mai stata invadente, ma efficiente e presente, quando la situazione lo richiedeva… mi sono domandato spesso cosa sia successo negli ultimi tempi. – si fece meditativo – Mamma l’ha congedata da ogni mansione, l’ha allontana in maniera definitiva. Non si parlano più e Elanon la si vede girare per il castello di rado ormai… ma so che è andata ad offrire i suoi servigi al principe Viserys. – il broncio che mostrò era un chiaro segnale che il suo intervento fosse necessario. Anche a lui non era ancora chiara questa nuova situazione: non aveva chiesto delucidazioni a sua sorella, ma non gli era difficile da capire che dietro ci potesse essere qualcosa di veramente grave. Voleva però fidarsi del principe Targaryen, a differenza di altri, sapeva che non aveva mai avuto una cattiva reputazione in fatto di donne.
-Evidentemente ha avuto le sue buone ragioni per essergli fedele. – provò a giustificarla – Con ogni probabilità l’ha protetta durante la missione, o le ha salvato la vita ed ora, lei è in debito con lui. – ipotizzò per farlo distogliere da certe supposizioni.
-Credi realmente a questo ipotesi? – gli chiese scettico, ma pareva davvero in cerca della sua certezza, come se ne potesse tranne beneficio. Benjen annuì pacato.
-Comunque si siano svolti gli eventi che l’hanno portata in quella direzione, so per certo che rimarrà fedele anche a Lyanna e a te. – concluse fiducioso.
-Ah, sì? E perché non riesco a crederti? – Jon aveva detto quelle parole, studiando attentamente una seconda figura che scendeva dalle stesse scale che aveva prima usato sua sorella. Gli abiti scuri, il mantello scarlatto, i lunghi capelli argentati… “Ti pareva mai?” Rise mentalmente. “Tempismo perfetto per entrare in scena dopo tutta la fatica che sto facendo per dirottare oltre l’astio di tuo figlio contro di te.” Farfugliò, ma un altro pensiero gli fece nascere un sorriso sulle labbra. “Chissà cos’hanno fatto quei due, appartati di sopra, soli soletti!” Con quella malizia girò gli occhi verso Jon che però non sembrò propenso a cogliere alcuna ironia. Era chiaramente contrariato e innervosito. I nervi del collo sembravano tendersi come corde di un’arpa… “Uhuhu” fu solleticato da quella strana associazione che gli era balenata in testa “Potrei domandargli se ha mai avuto inclinazioni musicali… Ned si sarebbe strappato tutti i peli della barba se così fosse stato. Avrebbe cercato di reprimere ogni suo avvicinamento all’arte, prima ancora che provasse a pensarlo… Oppure, se ha preso da Lya, è facile pensare che mai gli sia nemmeno balenato nel cervello suonare uno strumento!” Rifletté sorridendo.
Notò che suo nipote stava stringendo le dita sul poggiolo di pietra con forza, tanto che le nocche delle mani erano diventate bianche. Gli mise una delle sue sopra per placare quel nervosismo.
-È una questione che non ti riguarda in prima persona, Jon. – la sua voce era piatta e adulta – Restane fuori. – gli consigliò.
-Mi riguarda eccome, visto che lui continua a starle addosso quando lei cerca invece di evitarlo. – Benjen aggrottò le sopracciglia confuso.
-E questo quindi cosa ti fa pensare? – sperava che il giovane riuscisse a interpretare quel comportamento in ciò che davvero palesava, ma non ebbe fortuna.
-Lui è l’amante della regina, lo sanno tutti. Hanno un rapporto che va ben oltre alla semplice affettuosità da fratelli, non penso che sia ormai difficile da vedere… – era convinto di quello che diceva, aveva dovuto considerare quella bugia la verità, probabilmente per evitare a sé stesso di patire altre sofferenze – Hanno cercato di nasconderlo, da quando sono giunti qui al nord, ma so che era consuetudine per la loro famiglia avere simili atteggiamenti tra fratelli. – “E la cosa perché ti dovrebbe infastidire così tanto? Forse perché tu sei suo nipote e pensi di avere meno privilegi di un fratello?” ragionò se l’ipotesi potesse essere valida. Non era certo dei sentimenti di Jon, perché nemmeno lui ne era davvero consapevole, ma qualcosa gli diceva che tra il ragazzo e la regina c’era stato qualcosa.
-Non sarebbe poi così strano che un Targaryen volga lo sguardo verso altri orizzonti. E a quanto pare Viserys non è poi tanto diverso da suo fratello: non si fa problemi a rubare le donne altrui, per infilarsele nel proprio letto! Lo ha fatto con Elanon perché tu non eri lì pronto a riprendertela, e ora pensa di poterlo fare anche con mia madre. – era sbottato, ma teneva un tono abbastanza basso e riservato, per non essere sentito anche da altri. Sicuramente non era per screditare la reputazione del principe, quanto invece considerava di estrema importanza quella di sua madre, già macchiata dagli eventi del passato.
-Primo: Elanon non è la mia donna. In passato io ho fatto le mie scelte e lei di conseguenza ha preso la sua strada. – aveva alzato l’indice della mano sinistra prima di parlare e ora stava sollevando anche il medio afferrandoselo con le dita dell’altra mano – Secondo: non mi risulta che il principe abbia tutta questa grande nomea da donnaiolo come gli ho sentito attribuire. –
-Vuoi dire che…? – stava per domandargli il ragazzo, ma il ranger lo bloccò con uno sguardo truce.
-Sì, le ho sentite quelle opinioni. E lo ammetto, in un primo momento le ho anche considerate vere, solamente perché non le avevo ancora considerate secondo un altro punto di vista. Ma quei mormorii che lo vogliono intimo con sua sorella li ritengo solo delle pessime bugie. La regina non mi sembra una che si lascia mettere da parte così facilmente o che permette ad un suo inferiore di mancarle di rispetto.  – affermò restando vago. Jon soppesò le sue parole, come se stesse convincendosene, però il fulcro del suo discorso non era concentrato solamente su Daenerys.
-Vuoi quindi dirmi che non ti sei accorto di come guarda mamma? Non vedi come la perseguita? Gli è sempre appresso, la rende inquieta e la fa piangere. – disse furibondo – O mi vuoi far credere che anche con lei abbia un debito da saldare? –
-Stai parlando seriamente o ti stai prendendo gioco di me, ragazzo? – Benjen non credeva alle sue orecchie e alla sua ottusità.
-I Targaryen erano poligami o mi sbaglio? – era incontenibile ormai la sua ostinazione, ma conservò comunque un tono basso, sebbene molto teso – L’uomo che dovrei considerare mio padre, mi sembra abbia fatto la stessa cosa: aveva già una moglie, ma non si è fatto scrupoli a sedurre anche mia madre. Per cui non venirmi più a dire che non deve riguardarmi. Se lei soffre, non è solo per il passato, ma anche per il presente. E temo di essere a conoscenza dei motivi che la portano ad avere ora questi nuovi tormenti! – si allontanò da lui per raggiungere la stanza dove Lyanna si era nascosta.
-Provo quasi pena per te, giovane figlio dell’estate. – affermò Benjen deluso. Guardò le sue spalle con severità. Jon si voltò bruscamente, nell’immediato dopo, al suono di quelle parole che non dovevano essergli piaciute dall’espressione corrucciata che aveva nel volto. Fu palese che qualcosa fosse esploso definitivamente dentro di lui e, tornando sui suoi passi, gli afferrò il collo tra le dita.
-Non mi considerare un lattante! – lo aggredì brusco – Non lo sono più da tanto tempo ormai! – i suoi occhi grigio scuro erano puntati in quelli azzurro acciaio di suo zio – Sei stato assente durante tutti questi anni, sebbene io ti abbia sempre considerato un buon esempio da seguire. Ma in tutto questo tempo sono diventato uomo e non per merito tuo certamente! –
Benjen rimase ammutolito a quello sfogo, non se lo aspettava proprio. Vide quattro dita eburnee spuntare improvvisamente tra i peli vaporosi del manto sulle spalle di Jon e la pressione degli artigli del ragazzo di affievolì notevolmente. Lo vide voltarsi stupito e mettere a fuoco l’uomo che era giunto, mentre Ben riprendeva fiato.
-Se deconcentri la nostra sentinella, come possiamo sperare che ci avvisi dei pericoli nella notte? – Jon abbassò quindi la mano e fissò la maschera del principe Viserys con un’espressione che mostrava tutta la frustrazione e la rabbia che ancora aveva in corpo. Aveva il fiato corto e le spalle sussultavano per la tensione. Lo vide mordersi un labbro, prima di tornare a fissarlo direttamente negli occhi.
-Non mi mancare mai più di rispetto, zio. – lo minacciò scuro in volto.
-Sicuro. – gli rispose lui, massaggiandosi la parte frontale del collo. Il ragazzo ruotò interamente il suo corpo e cacciò la mano del principe con un gesto scontroso del braccio.
-E voi, tenetevi lontano da me. E da mia madre. – non ebbe riguardo neanche per lui – Se la vedrò piangere ancora per causa vostra, non mi limiterò ad un semplice ammonimento la prossima volta. – detto questo se ne andò per davvero.
 
 
 
 
 
Lo sentì chiaramente sbuffare infastidito, ma scelse di non contestare il suo convincimento. Scosse solamente il capo, si spostò di lato e lo lasciò passare. Non rimproverò il ragazzo in alcun modo, non era necessario e non pensava nemmeno di averne la facoltà. Non con quella maschera addosso almeno. Imparare a stare al suo posto era stato difficile, ma si era allenato; e doveva solo biasimare sé stesso per non aver ancora avuto il coraggio di mostrarsi per chi era davvero. Quindi se suo figlio aveva una bassa considerazione dell’uomo che si presentava di fronte a lui lo doveva unicamente dal suo continuo esserci per poi sparire. Jon era uno che necessitava di avere accanto persone di cui poteva fidarsi sempre, non gente che incoerente.
Benjen nel frattempo continuava a toccarsi il collo dove prima aveva ricevuto quella stretta micidiale. Quell’atteggiamento non gli era piaciuto in alcun modo, comprendeva cosa significava sedare per anni i propri istinti per paura che gli altri potessero pensare male di te, ma sapeva anche quanto questo faceva male al suo inconscio e alla sua persona.
-Mai mettersi contro un drago, dicevano un tempo. – la sua voce del ranger era roca, per la troppa pressione che il ragazzo aveva esercitato, Viserys voltò lo sguardo su di lui, le labbra serrate, aveva poco nulla da dirgli – Mi spiegate perché non avete reagito alla sua provocazione? – gli chiese stupito di non aver visto alcuna reazione.
-Perché in fin dei conti è una sua difesa personale per reagire ai cambiamenti. – fu il primo pensiero che gli venne da esprimere – E sta cercando unicamente a proteggere sua madre da ogni eventuale vicenda che possa rappresentare un pericolo per lei, o per entrambi – chiarì pacato – Posso mai rimproverarlo per questo? –
-Quindi è meglio restare passivo, lasciare che creda di avervi intimorito e tenere le orecchie basse e la coda fra le gambe? – lo guardò di sottecchi.
-Non è questo ciò che ho detto. – affermò selettivo.
-Ma gli avete comunque permesso di mettervi dei limiti con mia sorella. – ghignò – Se avessi osato dirvi una cosa simile ad Harrenhal mi sguinzagliavate addosso la Spada dell’Alba all’istante, che avrebbe fatto di me polpette da dare ai cani. – questa immagine, seppur considerevolmente invera, gli strappò un sorriso divertito, ma l’amaro che sgorgò dal suo cuore in breve lo fece tronare posato e riflessivo.
-Ho bisogno che tu mi faccia un favore, Benjen Stark. Non te lo chiederei se non fosse necessario. – aggiunse poi, spostando la sua attenzione verso la distesa di neve fuori.
-Immagino che mi diciate di tenerlo sotto controllo. – chiese tranquillamente – E vi rispondo che lo sto già facendo, senza che lo consideriate un favore personale. – rispose allegro – Sono suo zio e al momento attuale non mi ha ancora messo al comando di alcun contingente, per cui mi resta del tempo da colmare con qualche intrattenimento. – sorrise.
-La mia richiesta però non è solamente questa. – il Targaryen non si scompose – Voglio che ti accerti di altre eventuali sue reazioni sconsiderate. – gli ordinò, quasi ignorando la sua affermazione – Se dovessi vedere anche solo un piccolo accenno, dovesse trattarsi anche di un banale zolfanello acceso, fammelo sapere nell’immediato. – non era discorso che ammettesse repliche e il ranger considerò che fosse quindi il caso di fare il serio – Lo farei di persona, ma temo che la mia presenza, sia un’avvisaglia di questo suo nervosismo. –
-Temete che diventi come… - ma il principe non lo lasciò terminare, come se pronunciarlo ad alta voce potesse avverarlo.
-So cosa comporta risvegliare un drago in tarda età e quanto possa essere difficile domare la bestia che cova al proprio interno. – precisò senza mezzi termini – Se dovesse avere altri sfoghi simili, devo saperlo. Nel peggiore dei casi se dovesse diventare pericoloso per Lyanna, devo provvedere di conseguenza. –
-Non credo possa mai arrivare a farle del male. – cercò di esprimersi il ranger nel modo più delicato possibile.
-Chi ha idea di cosa passi per la mente di un folle? Quello che per altri è scempio, per lui è giustizia. – disse saggiamente – Al momento non mi è possibile sfogliare ogni composita eventualità, ma ti posso assicurare che situazioni analoghe hanno dato il via a conseguenze ben peggiori, Benjen Stark. Purtroppo sono il solo a comprendere la pericolosità del mio sangue. Un tempo ho commesso un grave errore di valutazione… - disse stringendo un pugno a mezz’aria – La vostra famiglia ne ha pagato il prezzo più alto purtroppo, non ho agito quando potevo per arrestare l’inevitabile. –
-Sono certo che abbiate fatto ciò che vi era possibile. Dopotutto avete tenuto al sicuro mia sorella, e per me è quanto basta. – il ranger fece un sorriso calcolato e Rhaegar sentì il suo animo scoppiare.
-Non abbastanza… Anch’io ho subito le mie perdite, fin dalla tenera età e credo che siano state queste a farmi tentennare fino alla fine. – i suoi occhi si assottigliarono – Convinto mio malgrado che potesse esserci ancora una possibilità di riavere quello che un tempo c’era. – chiuse gli occhi solo un breve istante prima di riaprirli verso un nuovo e importante obbiettivo – Ma questa volta ho l’obbligo di impedire che la storia si ripeta. –
 
 
 
 
 
-Jon, ti prego, lasciami sola altri due minuti. Ora mi passa. – gli assicurò lei. Era evidente che stesse sforzando di usare la voce più convincente che riusciva fare.
-Madre… - cercò di dire il ragazzo – Se ti ha detto qualcosa di sgarbato, o ti ha toccata, pretendo di saperlo. – i suoi occhi erano spietatamente fissi su quelli di lei.
-Affatto. – mentì, abbassando appena il capo a terra. Avrebbe voluto dirle che oramai aveva compreso che quel segno era un chiaro segnale della menzogna che stava per dire, ma non ebbe il coraggio di rivelarglielo, era talmente abbattuta e stanca e che le avrebbe dato il colpo di grazia, e con lei sarebbe crollato anche lui, lo sentiva.
-Lui non ha nulla a che fare con questo… - continuò sua madre sbattendo lentamente le palpebre e respirando con affanno – Sono solo i tormenti del passato che mi assillano… come sempre. – Madre, non donarmi solo menzogne. Già troppe persone lo hanno fatto, non commettere anche tu lo stesso errore.
Un suono musicale angelico lo fuorviò da quei tristi pensieri. Mance Rayder aveva preso tra le mani la sua arpa e aveva cominciato a pizzicare le corde, dando il buongiorno a tutta la sala, nel chiaro tentativo di svegliarli e offrire loro un motivo per alzarsi. Era consuetudine per la gente del nord essere già in piedi per le prime luci del mattino, per avere più ore di luce in cui compiere le mansioni. I bruti vivendo ancora più a nord, dovevano aver conseguito la stessa metodologia, dopotutto non li si poteva considerare disorganizzati. Di questo se n’era già reso conto al Craster di Craster, dove le sue mogli e figlie avevano precisi compiti ad ogni ora del giorno e della notte, in seguito con Ygrette aveva appreso anche altre loro usanze e abitudini. Ma preferiva non ricordare troppo quel periodo per evitare la sofferenza che portava con sé e che vedeva chiaramente nel volto di sua madre in quel momento.
Considerò quindi quali sarebbero stati i vari impegni per la giornata. Se fosse iniziata presto, avrebbero inoltre avuto modo di tornare a Winterfell prima, magari già in quello stesso pomeriggio. Così facendo avrebbe però dovuto mettere in primo piano i doveri di un re, rispetto a quelli di un figlio, e una parte di lui, forse quella più egoistica, quasi sperava che questi istanti con sua madre non terminassero mai… ma erano pensieri futili e inopportuni. Era indispensabile che si concentrasse nei suoi allenamenti coi draghi, questa era la vera ragione per cui erano lì ora.
-Ti prego, ora vai a prepararti per l’allenamento. – gli consigliò sua madre, come se gli avesse letto nella mente – Non voglio che pensi più a questa sciocca madre che continua solo a piangere sul latte versato. – si asciugò una lacrima con il bordo del palmo e gli sorrise coraggiosamente. Jon si avvicinò a lei e l’abbracciò stretta, proprio come gli aveva consigliato suo zio poco prima. “Dovrò chiedergli scusa per il mio comportamento.” Si ritrovò a pensare combattuto.
Non sapeva cosa gli fosse preso; lui non era mai stato scontroso o propenso alla lotta, il suo animo era sempre stato calmo, ponderato e riflessivo, eppure in quel momento qualcosa in lui era scattato e aveva perso il controllo della sua coscienza. Si ripromise di non permettere più a sé stesso una simile condotta, né con suo zio, né con nessun altro. Non se lo meritavano… Lui doveva essere migliore, migliore di tanti altri che si erano fatti chiamare re in passato.
Ripensò a Robb e a come si sarebbe comportato lui. Al suo carisma, al suo intrepido desiderio di fama e di rivincita che aveva anche quando duellavano nel cortile interno di Winterfell. Si domandò se aveva mai perso le staffe quando era stato incoronato re del nord; se era sbottato contro i suoi consiglieri, contro i suoi sottoposti. O contro sua madre…
Poi senza preavviso gli apparve l’immagine dell’uomo che gli aveva fatto visita in sogno. L’aria rilassata, solenne e solare; vivida nella sua mente la luce che emanava il suo volto. Il senso di fiducia e di protezione che gli aveva trasmesso quando lo aveva toccato; il coraggio che gli aveva trasmesso, quanto gli aveva fatto impugnare quella spada leggendaria. Il sorriso lusinghiero e accattivante, con quel ghigno inconfondibile. Si trovò a chiedersi se davvero Ser Arthur Dayne fosse come l’uomo che aveva sognato. Rare erano state le volte in cui aveva sentito parlare di lui. A Winterfell il nome dei Dayne era stato bandito per qualche ragione che non conosceva, anche se inizialmente aveva pensato che fosse perché quel nome poteva essere ricondotto al suo passato, aveva poi capito che non doveva essere così, dal momento in cui mai uno di loro era salito per rivendicarlo e Ned Stark gli aveva fatto capire che non aveva nessun legame di sangue con loro. C’erano state però delle rare occasioni in cui il lord di Winterfell aveva raccontato loro del duello che aveva ingaggiato contro la Spada dell’Alba, ma Jon non lo aveva mai sentito accennare ad altro se non alla spietata e letale bravura come spadaccino e da quel punto di vista la sua immaginazione non lo aveva tratto in inganno. “Ma il resto?” Continuò a domandare quella vocina dentro di lui. Sua madre non gli aveva mai accennato alla sua persona, eppure, da quello che aveva capito, era rimasta con lui alla torre fino alla fine… Questo voleva significa che per quanto non lo ammettesse doveva aver trascorso con lui le loro ultime giornate, consci o meno degli eventi che stavano imperversando alla capitale e sul tridente. Doveva averlo conosciuto almeno un pochino. “Perché, madre, non ti sei innamorata di un uomo come lui?” Considerò quell’ipotesi come fosse una fanciulla amante delle ballate romantiche. Figurò nella sua mente la figura imponente di quel cavaliere e di fianco sua madre, minuta ma combattiva. Tutto sommato apparivano bene l’uno accanto all’altra. “Due caratteri forti e ben delineati. Due cuori impavidi e determinati. Due anime che avrebbero potuto amarsi, ma non stare assieme…” si rabbuiò nel pensare che fossero anche andate così le cose, sua madre non avrebbe potuto essere felice nemmeno con lui, visto che una guardia reale mette la sua vita a disposizione del re e della sua famiglia, fino a che la morte non sopraggiunge, esattamente come fa un guardiano della notte.
Ma inevitabilmente quel pensiero sconsiderato e inappropriato cominciò a creare nel suo animo una lieve speranza: “sarei stato felice di sapere che mio padre era un valoroso e invincibile spadaccino.” Sarebbe mai riuscito a esporre quella domanda a sua madre? A chiederle di lui? A chiederle come mai non aveva visto in lui ciò che aveva invece scorto nel principe Targaryen? Ancora non gli era chiaro ciò che poteva aver spinto una donna come Lyanna Stark a perdere la testa per un… Come lo avrebbe potuto definire? Non lo sapeva nemmeno lui. Se pensava a Daenerys e considerava la sua eloquenza e la sua bellezza, poteva anche intuire quali erano state le possibili attenuanti, ma sua madre non era una che si sarebbe soffermata all’aspetto esteriore, ciò nonostante non credeva per niente al mondo che il principe drago potesse avere caratteristiche che lei poteva apprezzare. “Non come Arthur Dayne; com’è che con lui non mi è difficile invece pensare a quante cose potessero avere in comune? La spada ad esempio… chissà se lei lo ha mai sfidato a duello!” sorrise a quell’idea del tutto realistica.
In un frangente gli tornò alla mente che suo zio Ned era riuscito realmente a batterlo… Jon aveva visto Ned duellare poche volte a Winterfell, non amava usare la spada, ma c’erano state rare occasioni in cui aveva impugnato un’arma e aveva potuto constatare la sua tecnica. Era bravo, ma se da giovane davvero era stato ai livelli della famosa Spada dell’Alba, significava che nel tempo aveva dimenticato molto della sua abilità.
Jon però si rendeva conto che non poteva valutare davvero Arthur Dayne per il modo in cui lo aveva visto combattere in sogno, eppure era stata un’immagine così concreta che quasi pensava potesse davvero essere successa. Lo aveva visto affrontare quegli estranei con coraggio, sfoggiando una tecnica singolare e invidiabile. Maestria e armonia fuse assieme, quasi fosse una danza. Ser Dayne non era ai livelli di nessuna delle persone che aveva conosciuto fino ad ora. Ipotizzò un duello con altre famose spade del re. I suoi esempi però potevano contare solo di due persone davvero valide: Jamie Lannister  e Barristan Selmi.
Il primo avrebbe potuto sconfiggerlo, certo, ma quando la Spada dell’Alba faceva parte della guarda reale, il leone di Lannister doveva essere molto più giovane di quando non fosse lui ora. Forse quindici o sedici anni, e per quanto un ragazzo non poteva certo avere la stessa conoscenza e bravura di un uomo maturo, ma non era solo per la maestria con la spada che stava considerando quel confronto, doveva valutare anche la prestanza fisica, e per quanto Jaime lo ricordasse con un torace grande non poteva minimamente essere paragonato a quello di Dayne.
Lo stesso valeva a dire con Barristan Selmi, eppure l’essere chiamato con l’appellativo di “Il Valoroso” gli attribuiva un particolare tassello in più.
Di una cosa però era certo: per quanto potessero essere i più validi cavalieri che avesse mai avuto il piacere di conoscere e avessero partecipato a numerose guerre in passato, non potevano avere il suo stesso sangue freddo. Jon sapeva che di fronte ad un non morto o ad un estraneo le cose erano molto diverse. Eppure se anche questo gli poteva infondere coraggio, sapeva che nemmeno lui poteva ritenere neanche lontanamente vicino alla disinvoltura che aveva la Spada dell’Alba quando aveva un’arma in mano.
E fu proprio con quella riflessione che nei suoi pensieri entrò di prepotenza l’immutabile espressione della maschera circondata da una matassa di fini capelli argentati: Viserys Targaryen. Era innegabile, anche lui poteva benissimo avvicinarsi ad una simile destrezza, aveva una tecnica invidiabile, non lo poteva discreditare in alcun modo e riflettendoci attentamente aveva anche molte similitudini con l’abilità che aveva la Spada dell’Alba nel suo sogno, solo appena più lente e più prevedibili.
Emise un lungo sospiro, stanco di tutti quei pensieri. Considerare Viserys più di quello che finora era stato, gli provocava una confusione incredibile e un senso di nausea gli si rivoltava nello stomaco. Non ne capiva il motivo, ma tutto ciò che fino adesso aveva considerato con cautela un iniziale rapporto basato sulla fiducia e sul rispetto poteva davvero essere cancellata via solo per un banale sospetto? Gli sembrava un completo paradosso; eppure doveva mettere sua madre prima di ogni altra cosa, altrimenti sentiva il terrore di poterla perdere di nuovo.
Quella paura lo faceva agire come l’uomo che non era mai stato, capace di diffidare di tutti, di considerare i suoi alleati dei possibili rivali o traditori… No quello non era lui.
Qualcosa si stava sfaldando nelle sue certezze, qualcosa che malauguratamente aveva cominciato a colorare la sua anima di nero ogni volta che quei pensieri lo attraversavano. E ogni volta che pensava al tempo che sua madre aveva trascorso lontano da Winterfell in compagnia proprio del principe Viserys. Jon aveva intuito che c’era qualcosa sotto che lei non gli aveva detto; non ne aveva le prove, ma prima o dopo avrebbe scoperto ciò che nascondevano quei due. Durante quella missione è accaduto qualcosa, me lo sento. E qualcosa mi dice che Elanon sa più di quanto voglia mostrare. Decise che una volta tornato a Winterfell le sue ricerche sarebbero partite con lei.
   
 
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