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Autore: L o t t i e    12/04/2019    2 recensioni
𝟷.┊Guardò l'orologio da polso, segnava le sette e mezzo di sera.
𝟸.┊Il silenzio che seguì era assordante, peggiore di qualsiasi grido o frastuono.
𝟹.┊L'atmosfera era tesa.
𝟺.┊Quasi le dieci di sera. […] Per il momento avrebbero aspettato.

[tw: self-harm (ch 2)]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Depression




Lovin' what I'm tastin'
Venom on my tongue
Dependant at times
Poisonous vibration
Help my body run

Twenty One Pilots, Chlrorine





Il silenzio che seguì il litigio era assordante, peggiore di qualsiasi grido o frastuono. Lucifero era rimasto fermo, come congelato nel tempo, ad osservare quella porta. La osservò per dei minuti, troppi, cercando di dare un senso a quello che era appena successo prima di scoppiare in lacrime, prima che la consapevolezza di essere rimasto solo lo schiaffeggiasse in viso, prima di recarsi in bagno e... e a quel punto non piangeva più, le lacrime gli si erano già asciugate in viso. Aprì l'armadietto. Quel processo era automatico, calcolato, valutò in silenzio se usare il rasoio che utilizzava per radersi, poi scartò quell'idea e prese una nuova lametta, quindi se la rigirò tra le dita un paio di volte, pregustando il momento.
Un momento effimero, davvero, sottile proprio come quel frammento di metallo eppure così assuefacente. Una scarica di adrenalina, poi vuoto.
Si rilassò poggiato al muro, per poi scivolare pian piano sul pavimento, nel torpore, rimanendoci per chissà quanto. Il tempo era una incognita a quel punto. Quando poi si destò da quello stato di catalessi il sangue era già asciutto, sfiorò con le dita i tagli e si rese conto di ciò che aveva fatto, di quanto si odiava per aver ceduto... Ironicamente quel senso di colpa era il carburante più pregiato per alimentare quella macchina autodistruttiva che era lui stesso, lo istigava a continuare; quel circolo vizioso era così maledettamente facile da innescare, Lucifero ne era consapevole: ci era passato infinite volte. Già è fatta, gli sussurrò una vocina, cosa ti costa continuare? Andare un po' più a fondo?
Si tirò su, le mani tra i capelli ricci, irrequieto - non voleva stare da solo, non con quei pensieri per la testa.

Lucifero inspirò deglutendo quel veleno: il fumo gli inondò la gola, i polmoni si espansero, bruciando. Quando Eva tornò aveva il kit di primo pronto soccorso tra le mani, gli riservò un'occhiata pregna di preoccupazione - forse per gli occhi arrossati e gonfi di altre lacrime che, oh Dio, pregavano di essere versate o forse per la moltitudine di sottili tagli che gli decoravano l'avambraccio. Decisamente.
A dire la verità Lucifero non sapeva come era riuscito a guidare fino alla casa della donna senza andare a schiantarsi contro qualche muro, inghiottendo così tante lacrime e superando i limiti di velocità un paio di volte. Eva era l'unica persona che gli era venuta in mente, l'unica oltre Michelangelo che era a conoscenza del suo autolesionismo, che non lo aveva mai trattato come un folle. Lui la faceva sempre incazzare quando succedeva, ma non c'era giudizio nelle sue parole.
Espirò, non fumava da molto e l'aria grigia davanti al viso non era piacevole come un tempo. O forse le sue emozioni erano già state completamente lavate via dall'adrenalina seguita dai tagli. Eva aveva lavato via il sangue con un panno soffice e acqua tiepida e adesso bruciavano, pulsavano.
Almeno è piacevole, fu il primo pensiero.
No, non lo è.
Stremato, drenato da qualsiasi forza, abbandonò la testa pesante sullo schienale imbottito del divano.
«Saresti dovuto venire subito da me, invece di tagliarti. O andare da tua madre», lo rimproverò la trentenne. «Non risolvi nulla così, lo sai.»
«Mh», si limitò a commentare l'altro.
«Non voglio rivederti nella merda di cinque anni fa», continuò, «sempre a causa di quel biondino del cazzo, poi.»
Il moro la fulminò con lo sguardo, facendosi un altro tiro. Lungo.
Eva non si scusò, non sarebbe stato da lei. Dopotutto aveva ragione, anche se Lucifero non lo avrebbe mai ammesso: Eva lo aveva aiutato e sostenuto quando l'amore non ricambiato per Michelangelo lo stava divorando, mentre il matrimonio dei suoi genitori era definitivamente caduto in rovina, e anche lui avrebbe voluto farlo, disintegrarsi. Qualcuno lo avrebbe considerato strano, Eva era la sua ex, eppure anche dopo la rottura del legame romantico che li aveva uniti lei continuò a tenerlo ancorato a terra, ascoltarlo, consolarlo.
«Disinfettiamo questi tagli, dài», sospirò lei, interrompendo i pensieri di Lucifero, riportandolo alla realtà. Lui le porse il braccio, disinteressato, continuando ad osservare il soffitto, il fumo che aleggiava a mezz'aria, una piccola nuvola.
Quel soffitto... non era difficile confonderlo con quello della loro camera da letto, sua e di Michelangelo. I suoi baci soffici e dolci...
«Cazzo», sibilò colpito da una fitta al petto. In un movimento involontario aggrottò le sopracciglia, le labbra contratte in una smorfia indefinita e le lacrime pericolosamente vicine dal cadere.
Eva se ne accorse, lo osservò con la coda dell'occhio senza parlare, picchiettando con un batuffolo sulle ferite. Quando finì, mise da parte il kit di primo pronto soccorso e gli si sedette vicino.
«Sono sicura che non è finita» disse cauta poco dopo, carezzandogli il dorso della mano.
Il ragazzo scosse il capo, il respiro leggermente tremante. È colpa mia, pensò, ho sbagliato.
Era tutto ingarbugliato, là dentro, nel suo petto. Ed il mezzo pensiero di usare quella sigaretta per bruciarsi era l'unica cosa chiara; inspirò, ancora.




  
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