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Autore: Ryo13    13/04/2019    2 recensioni
Verso la fine della Seconda Guerra mondiale una giovane donna fugge dal lager di Dachau. Viene soccorsa da un medico tedesco da sempre innamorato di lei che la nasconde in casa propria.
❈❈❈Seconda classificata e vincitrice del premio speciale "Sliding Doors" al contest "Coincidenze perdute, appuntamenti mancati, scelte difficili: Sliding Doors Contest" indetto da missredlights e Shilyss sul forum di EFP❈❈❈
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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7. Voci del cielo

17 Dicembre, 1944
 

Hannah strinse le braccia dentro al caldo cappotto. Fuori l’aria era gelida tanto da condensarle il fiato in nuvolette di nebbia. Attorno a lei la gente scivolava via a passo svelto, i volti nascosti da sciarpe e cappelli, ognuno preso dalla fretta di raggiungere il riparo della propria casa.

Erano trascorse delle ore dall’orario dell’appuntamento, ma lei aveva continuato ad aspettare. Si era chiesta perché lo facesse: avrebbe potuto prendere un treno e semplicemente andare. Eppure era paralizzata. Ricordava troppo vividamente i fallimenti di ogni tentativo di fuga: cosa avrebbe fatto se l'avessero ricatturata? Ma il dottore poteva proteggerla, affrontando per lei quella parte del mondo che l'aveva distrutta. Non si sentiva più esattamente viva ma si portava sempre e comunque dentro le proprie paure: in mezzo alla stazione, guardando le persone viaggiare verso mete prefissate, Hannah era un fantasma. Un essere spaccato nell’animo che sopravviveva a malapena a cavallo di due mondi distinti e contrapposti.

Sapeva che un’insostituibile parte di sé era morta per sempre a Dachau; forse qualcosa era sopravvissuto ma non era abbastanza per tornare a essere integra.

La gente camminava via sfiorandola, ma lei si sentiva separata da tutti: come se uno spesso velo di cristallo la isolasse dal mondo, al quale non apparteneva più.

Aveva baciato il dottor Kruger come dalla tomba. Di quell'uomo aveva conosciuto le tenebre, ne aveva ascoltato il suono della voce modulata, bevendolo fino a riempire il proprio vuoto; e ne aveva ascoltato i tremendi segreti. 

Forse era rimasta troppa poca cosa di lei, adesso, per sconvolgersi. Avrebbe dovuto odiarlo, averne paura o disprezzo… ma per cosa?

“Lui è come te”. Anche lui spezzato.

Non c’era vittima che non avesse mietuto la guerra, non orrore che non avesse scoperchiato, riversando sulla terra le orde immateriali dei demoni umani. E quando l’uomo aveva perso le redini, ecco precipitarsi tutto, ecco farsi il grande vuoto: che fosse questo tutto ciò che celava il cuore dell’umanità?

“Se non lo si riempie di bene, rimane solo la morte”, pensava Hannah.

Infine un suono familiare la riscosse.

Il rumore degli aerei ricoprì i cieli con un rombo che gettò l’allarme. Le persone cominciarono a correre, a gridare. Hannah rimase immobile, le mani dentro le tasche del cappotto, il viso sollevato verso le luci rosse che tracciavano rette luminose per aria.

Poi le bombe piovvero sul mondo, annullandolo.

Era riuscito a uscire di casa senza essere fermato. A Paul aveva affidato i bagagli: doveva occuparsi di caricarli sul treno che avrebbero preso. Anche Tom era andato via poco prima, col carro e il suo prezioso carico segreto.

Camminava a passo svelto, il cuore un poco agitato.

Aveva fatto un giro largo per precauzione e adesso si trovava in prossimità della Cattedrale. Superandola, non avrebbe impiegato più di dieci minuti per raggiungere la stazione: lei doveva già trovarsi là ad attenderlo.

Era leggermente in ritardo sull’orario concordato e sperava che la ragazza non si facesse sopraffare dall’ansia; dopotutto erano anni che non si muoveva da sola per la città.

Guardò l’orologio un'altra volta e accelerò il passo. Una mano lo trattenne afferrandolo per il cappotto.

«Dove credi di andare?!»

Identificò immediatamente l'aspra voce come quella di Sievers. 

«Non sono affari tuoi», rispose, strattonando via il braccio.

«Sì che lo sono! Credi di potermi fregare sotto al naso? I miei uomini mi hanno riferito dei tuoi movimenti: pensavi che non ci saremmo accorti che uno dei tuoi domestici trasportava alla stazione dei bagagli? Cerchi di scappare, dunque?»

Ezra, infastidito, socchiuse gli occhi. «Se anche fosse, sarei del tutto giustificato. Questa tua persecuzione si è già spinta troppo oltre. Non ho intenzione di rimanermene a guardare mentre ti diverti a giocare al signore del tuo piccolo regno. Intendo sottrarmi a questo stupido gioco.»

«Un gioco, lo chiami, eh?» German rise malignamente. «Certo che per te è un gioco, non hai mai dovuto faticare per ottenere niente: avevi sempre l’approvazione di tutti, sei sempre stato così perfetto! È ovvio che gli sforzi degli altri per te siano semplici giochetti!»

«Ma di che diavolo stai parlando?!», si spazientì. «Sei sempre stato tu a tormentarmi come un pazzo, quando io non ne vedevo nemmeno il motivo. Ma già, a te piace che le persone si pieghino ai tuoi comandi e non potevi sopportare di non averla vinta!»

«Averla vinta, averla vinta… è vero, forse non sono mai riuscito a piegarti, ma non c’è modo che possa arrendermi. Non tollero la tua sfrontatezza!»

German afferrò Ezra per il colletto, strattonandolo. Questi rispose con un pugno che lo centrò in pieno viso. Preso alla sprovvista, cadde, intontito.

«E adesso lasciami in pace», sbuffò Ezra, tentando di allontanarsi. Non fece in tempo ad andare via: German, temprato da anni di lotta nell’esercito, sapeva incassare bene i colpi. Si riprese in fretta e lo afferrò per le caviglie, mandandolo a terra.

Ci fu una breve colluttazione. Le persone cominciarono a mormorare, ma nessuno ebbe il coraggio di intervenire: uno dei due uomini, a giudicare dalle decorazioni della divisa, doveva essere qualcuno di importante.

Sebbene Ezra fosse un osso duro, non poteva competere con l’esperienza dell’altro: in breve si trovò a essere immobilizzato. Successivamente accorsero le altre guardie e venne preso in custodia. Lo trascinarono via su un'auto di pattuglia, diretta al Forte Oberer Kuhberg.

German guardava il viso tumefatto di Ezra, disprezzandolo. Anche se lo aveva tenuto sotto torchio per quasi due ore non era riuscito a farlo parlare. Non per sentirsi dire ciò che voleva, almeno.

Da alcuni minuti si fissavano torvi e stanchi. Ezra aveva le mani legate e il petto nudo, ricoperto di sangue e sudore.

Qualcuno dei soldati aveva cercato di protestare per quel trattamento irregolare, ma German lo aveva liquidato con un’occhiata che avrebbe fatto gelare l’inferno. Poi aveva fatto allontanare tutti.

«Se non confessi di avere nascosto la tua ebrea», gli disse a un certo punto, «ti fotterò piegato sul pavimento.»

Ezra ghignò, sputò per terra e si abbandonò a una risata rauca.

«Avanti, allora. Sappiamo tutti e due che è esattamente quello che hai sempre voluto fare. Non è forse per questo che mi sei stato sempre addosso? Che cerchi patetiche scuse? Tutto quello che vuoi è baciarmi il culo, è così, frocetto?»

German si sollevò con uno scatto, avventandosi su di lui per mollargli un pugno sullo stomaco.

La sedia si inclinò sotto il loro peso, schiantandosi per terra. Ezra ansimava con la bocca aperta, tentando di recuperare il fiato: l'aria non voleva saperne di fluire nei polmoni.

German lo afferrò per i capelli, sollevandogli il capo quel tanto che bastava per colpirlo di nuovo. Quando lo vide tossire sangue si fermò, respirando con affanno.

Pressoché privo di sensi, adesso l’arrogante bocca di Ezra non poteva più sputare sentenze. German si slacciò i pantaloni per liberare il proprio turgore.

Spingendo l’uomo sul ventre, si mosse con mani febbrili. Finalmente avrebbe dato una lezione a quell’essere odioso e si sarebbe preso la sua soddisfazione.

Lo penetrò liberando un gemito gutturale, godendo nell’udire il suo ansito di dolore.

Ezra, seppur piegato e contuso, si spinse sui gomiti, tentando nuovamente di liberarsi. Ma German lo tratteneva saldamente. 

Entrò nel vuoto consueto che aveva sempre sperimentato quando subiva le violenze di suo padre. Si obbligò all’immobilità, uscendo quasi dal corpo per rifugiarsi tutto nella propria mente dove attese, cominciando a contare.

Quando le spinte si fecero frenetiche e il piacere in German crebbe, Ezra attese il momento in cui uno spasmo gli avrebbe fatto allentare la presa. Allora si tirò su con tutta la forza, gettando indietro la testa e frantumandogli il naso. Si udì lo schianto delle ossa; sulla pelle della schiena sentì colare il sangue in una calda pioggia. 

Ezra sgusciò via rapido, approfittando dell'occasione per stringergli il collo dentro il cerchio delle braccia legate.

Mantenne la presa con forza, quando l’altro scalciò convulsamente.

Contò a ritroso tutti i numeri. Quando arrivò a zero, German aveva smesso da un pezzo di dibattersi.

Ezra spinse via il corpo esanime dell’avversario, col sesso ancora umido, pateticamente nudo e rattrappito. Lo fissò con lo stesso disprezzo con cui aveva guardato il cadavere di suo padre.

Quando Frank Schulz giunse di corsa con la notizia che gran parte della città era stata distrutta da un raid aereo, Ezra si era già liberato della corda e aveva scavalcato il giovane soldato, paralizzato alla vista del corpo del Tenente.

Erano tutti in preda alla confusione: ognuno di loro aveva famiglia e amici da salvare o piangere. Nessuno si accorse della fuga del prigioniero, né diede l’allarme.

Nonostante le ferite riportate, Ezra corse per i quattro chilometri che separavano il Forte dalla stazione. La paura e l’adrenalina ne sostenevano le energie.

Quando fu in prossimità del centro, con sempre maggiore angoscia osservò i palazzi distrutti, le case scomparse, le persone morte. La città era nel pieno del caos: agli angoli delle strade bambini a piedi scalzi piangevano pieni di angoscia, a volte vicino ai cadaveri dei loro genitori; c’erano vecchi dai visi straziati, piegati sulle macerie delle loro abitazioni; uomini e donne svestiti che stringevano convulsamente un lembo di stoffa del parente rimasto schiacciato sotto le macerie. Nelle zone di impatto ancora bruciavano incendi difficili da domare, e le strade erano investite da arti mozzi e parti anatomiche di chi era rimasto smembrato.

Le unità mobili di pronto intervento medico avevano già allestito i primi punti di soccorso, ma la gente era tanta ed era difficile coordinare le risorse. Le persone, impazzite, non si facevano nemmeno aiutare.

Ogni tanto si percepiva in alto il rombo di qualche aereo e dilagava nuovamente il panico.

Ezra continuò a camminare, senza fermarsi ad aiutare: nella mente il pensiero rivolto ad Hannah, a dove potesse essere, e se l’avrebbe trovata intatta.

Non poteva perderla. Non lei.

La sola idea di non averla con sé lo mandava fuori di testa: era in prossimità di un attacco di panico.

Giungendo alla stazione, la trovò distrutta. Gruppi di persone cercavano di sfollare, strisciando fuori dai detriti; altri avevano cominciato a scavare, alla ricerca di superstiti.

Ezra si guardò intorno. Le aveva dato appuntamento al binario tre e, anche se aveva perso un po’ l’orientamento, era convinto di trovarsi vicino a quello che doveva esserlo stato.

Trascorsero minuti e poi ore senza che smettesse mai di cercare.

 

Poi, finalmente, riuscì a trovarla.

   
 
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