Ultimi sospiri
Il
dio degli inganni sarebbe morto, sì. Annaspava senza
riuscire a liberarsi nel
lago sotterraneo tinto di rosso, imprigionato nell’acqua
bassa, ma ugualmente
letale. Il mostro gridava di soddisfazione e dolore. Il sangue nero
colava
dall’occhio ormai perso attraverso il muso, scivolava sul
naso e sulle fauci
spalancate, si raggrumava sul corpo troppo simile a quello di un
insetto. Theoric
era sul punto di rigettare tutto quello che aveva nello stomaco. I Nove
Regni
ospitavano un numero impressionante di creature mostruose, molte delle
quali
calpestavano da sempre il suolo fertile e verde di Vanheim, ma nella
capitale
tali bestie non si erano mai viste. In passato, era capitato che
qualche eroe
in cerca di gloria s’inerpicasse nelle zone più
isolate del territorio nel
tentativo di portare a Njord un trofeo, ma da quando Loki Odinson si
era
installato alla corte del vecchio re, questi omaggi erano apparsi ai
più come
il vano dono d’un bambino a un adulto. E come poteva essere
altrimenti, del
resto? Nelle sale di rappresentanza dei sovrani dei Vanir, spiccavano i
resti
imbalsamati di un drago marino dalle fattezze gigantesche. Loki lo
aveva ucciso
e offerto a Njord quando il tentativo di infiltrarsi nella sua famiglia
era ben
lungi dal realizzarsi – ancora non si sbatteva
Sigyn – e lui non era che uno zelante rifugiato in cerca di
un tetto.
Theoric
se lo ricordava ancora, il ghigno soddisfatto e sornione che aveva
attraversato
il viso affilato di quell’Ase furbo e astuto che si
comportava come un principe
anche nella terra degli altri. Il re era rimasto incantato
dall’eccezionale
omaggio, e i pochi nobili che erano soliti andare a caccia di
mostruosità per
offrirgliele, incapaci di competere con Loki, da quel giorno avevano
smesso di
praticare ogni attività venatoria che avesse per oggetto una
qualche creatura
d’incubo. Nessuno, a Vanheim, aveva mai ucciso un drago
marino. Sigyn era quasi
svenuta di fronte all’immagine del cadavere della bestia, lo
sapevano tutti.
Portava ancora le trecce e non era che una ragazzina, certo, ma a
nessuno era
sfuggito lo sguardo spaventato che aveva rivolto al dio degli inganni.
E
invece, adesso, arrancava in direzione del mostro impazzito che lui non
riusciva neanche a guardare. Le afferrò un lembo della gonna
per impedirle di
scappare anche se farlo avrebbe significato finire tra le fauci del
mostro, non
per salvarla, ma per lavare una volta per tutte l’onta di cui
lo aveva fatto
oggetto rifiutandolo due volte: la prima, quando l’aveva
chiesta in moglie e
lei aveva nettamente rifiutato, la seconda, quando si era fatta mettere
incinta
dal dio degli inganni. Doveva essere lui a farlo, lui. Estrasse dalla
cintura
la daga che gli aveva dato suo padre per l’occasione, ma lei,
scalciando,
riuscì a rimettersi in piedi e a correre verso il lago
sotterraneo e insidioso.
♥
Il
dio degli inganni stava annegando. Theoric la tirava per la gonna, la
terra
tremava, l’acqua era rossa. Sigyn iniziò a correre
verso lo stagno sotterraneo,
torbido e mortifero. Gridò il nome di suo marito attirando
su di sé
l’attenzione della creatura, che la guardò col suo
unico occhio furente.
Dalle
fauci uscì una voce metallica, aliena. “La
principessa incinta di un re
straniero,” cantilenò la bestia. “Ti
aspettavo da tanto, tanto tempo.”
La
donna scosse i capelli biondi, ora corti. Il terrore le ghiacciava le
vene, le
paralizzava i muscoli. Loki era sottacqua e si dibatteva senza riuscire
a
emergere, Theoric era alle sue spalle e, non fosse stato per il
ribrezzo e
l’orrore causato dall’immonda creatura con le sue
forme imprecise e sconclusionate,
l’avrebbe afferrata per ucciderla, ma intanto gridava
all’essere di prendersi
ciò che gli spettava, lei.
Quanti
pensieri possono affastellarsi nella mente in pochi, tragici, istanti?
Il
tempo si dilatò, per Sigyn. Assistette alla scena della
sconfitta dell’Ase
senza guardarla davvero. Loki sarebbe morto. Una delle zampe del mostro
l’aveva
infilzato e bloccato sott’acqua. Lui, il principe di Asgard
dal sorriso furbo e
affascinante che raccontava le sue imprese come fossero fiabe,
tessendosi
addosso l’immagine del condottiero invincibile, del mago
sagace, del guerriero
letale. Perché Loki era inafferrabile, sfuggente,
imprevedibile. Lo specchio
d’acqua divenne improvvisamente placido e calmo, segno che la
lotta furiosa di
Lingua d’Argento si era tragicamente compiuta. Sigyn cadde in
ginocchio, gridò
ancora. Pensò che voleva gettarsi in acqua, che Sonje non
avrebbe visto più suo
padre e doveva avere al suo fianco almeno lei. Col fiato corto, si
premette la
pancia, conscia della vita che le cresceva dentro.
Doveva
proteggere la piccola cosa inconsapevole di tutto insediatasi in lei
una notte
in cui Loki, rientrato stanco e ammaccato da una spedizione assieme
all’immancabile fratello, l’aveva cercata con
più urgenza del solito e Sigyn,
accarezzandogli i capelli umidi, cingendogli con le cosce i fianchi
asciutti,
gli aveva fatto una domanda terribile cui l’Ase non aveva
risposto. Che hai fatto, Loki? Cosa stai
cercando di
dimenticare?
Ghignante,
la creatura sollevò l’arto col chiaro intento di
mostrare il cadavere
dell’arrogante mago che l’aveva sfidata, ma
qualcosa non andò esattamente come
aveva previsto. Il corpo del dio degli inganni, che fino a poco prima
aveva
sentito dibattersi sotto il peso della sua zampa, non era infilzato:
c’era solo
lo spallaccio scheggiato e fracassato dal colpo. L’essere
roteò su stesso,
cercando la preda che credeva sconfitta, ma si paralizzò,
perché l’arto che
aveva immobilizzato l’Ase si era gonfiato e pulsava. Di
più, la struttura ossea
che lo ricopriva si sfaldava e così avvenne pure a un'altra
estremità, come se
le zampe ossee fossero venute a contatto con qualche terribile veleno.
“Non
è così facile uccidermi, temo.” La voce
ironica di Lingua d’Argento risuonò per
la grotta carica di una sottile nota di divertimento, ma
l’eco presente nella
caverna rendeva difficile individuare il punto esatto da dove era
giunta la
frase, o forse anche quello era un incanto del mago. Sigyn si
coprì la bocca con
le mani e si voltò di scatto, credendo che le parole del
marito provenissero da
dietro le sue spalle. Così, in effetti, era. Loki era
fradicio e ferito, ma
vivo. Accanto a lei.
Le
rivolse uno sguardo breve e attento e poi puntò lo sguardo
oltre la sua testa,
su Theoric, che si era faticosamente tirato su. Socchiuse le palpebre,
come se
volesse metterlo meglio a fuoco e quello, istintivamente,
indietreggiò, mentre
la giovane donna si alzava per assicurarsi che fosse vivo e accertarsi
che la
ferita alla spalla non fosse troppo grave.
“Tu!
Tu sei qui!” boccheggiò, sollevata e sconvolta
assieme.
Loki
non rispose, limitandosi a frapporsi tra lei e tutto il resto,
proteggendola,
allo stesso tempo, da Theoric e dal mostro.
“Ne
dubitavi, mia signora?”
I suoi
piani variavano di minuto in minuto. Doveva mettere di
nuovo e in via definitiva
Sigyn al sicuro, spaccare la faccia a quel gran figlio d’un
cane di Theoric – non
gli era affatto sfuggito il disordine dell’abito di sua
moglie e il corsetto
slabbrato – porre fine alla miserabile esistenza del
disgustoso mostro,
persino.
“Cosa
dice la tua bella profezia, mostro? Raccontacela, sono proprio
curioso,” domandò
a voce alta.
La
bestia, furibonda e sofferente, gridò e si diresse verso
l’Ase nel tentativo
d’ucciderlo, spingendosi con tutto il suo peso verso
l’angolo dove si stagliava
la figura pallida e furente del suo avversario, esasperata dal continuo
sparire
e riapparire di quel mago beffardo e arrogante dalla lingua decisamente
troppo
lunga. Il dio degli inganni sorrise soddisfatto di fronte a quella
scena spaventosa;
debilitare il suo nemico deconcentrandolo, esasperandolo e facendogli
smarrire
la ragione faceva parte del suo astuto progetto.
“Scappa,
Sigyn!” ordinò, lo sguardo fisso
sull’ammasso di carne e sangue e artigli della
creatura. “Tu no, fottuto bastardo: se ti muovi di un altro
passo, ti aprirò
dalla gola alle palle,” esordì, riferendosi a
Theoric e puntandogli addosso,
per un solo momento, i suoi occhi acuti e verdissimi.
“Che
mi hai fatto? Che mi hai fatto?”
Il
mostro si trascinò urlando verso la riva, sollevando acqua e
sangue,
assecondando inconsapevolmente la volontà del dio degli
inganni, ma gli altri
due presenti parevano non aver capito una parola di quanto il principe
di
Asgard aveva detto loro. Theoric si era avvicinato
all’apertura della grotta,
Sigyn non si era mossa di un passo ed era palese che non avrebbe
lasciato il
suo fianco.
Il
dio degli inganni era furibondo. Doveva agire in fretta e il dolore
alla spalla
trafitta gli toglieva lucidità e forza, minando la sua fibra
robusta. Non era
certo la prima volta che veniva ferito in battaglia,
tutt’altro, ma gli era
capitato di rado che i suoi ordini non venissero prontamente eseguiti.
Con un
movimento rapido della mano, si preoccupò di creare uno
scudo che bloccasse per
qualche istante gli artigli ancora efficaci del mostro, quindi si
rivolse al
Vanir in fuga.
“Ma
come, già ci lasci?”
Fece
cadere a terra Theoric e lo bloccò, congelandogli le
estremità per impedirgli
di muoversi.
“Tu
creperai qui,” gli spiegò crudele, ferendolo sulla
guancia con l’ennesima delle
sue lame nascoste, sottile e affilatissima. “Verrai sbranato
da quell’essere.”
L’uomo
gridò d’orrore e di dolore e lo
maledisse con sommo disinteresse del mago, che già aveva
preso a concentrarsi
sull’unica creatura che considerasse sua avversaria.
La
bestia immonda distava solo pochi passi, ma non era ancora abbastanza
vicina –
Sigyn, invece, lo era troppo.
“Tu!
Maledetto
Jotunn travestito da Ase! Che mi hai fatto, che?”
“Esistono
rune oscure che disfano il corpo: le ho usate su di te,”
spiegò Loki serafico,
sorridente, mentre nel palmo della sua bella mano di mago si andava
formando
qualcosa di tremendo, oscuro. L’acqua ormai rosata del lago
iniziò a bollire, la
terra sotto gli stivali del dio degli inganni vibrava sollevando
polvere e
piccoli detriti.
“Qual
è la profezia, mostro? Cosa ti hanno promesso le Norne,
dimmi. Perché ci
aspettavi?”
Pallida
in volto, Sigyn si accorse di quanto stava accadendo. Avrebbe dovuto
– voluto –
fuggire, ma l’idea di allontanarsi nuovamente da Loki la
paralizzava. Stava
cedendo a un panico irrazionale, che sopraggiungeva dopo giorni di
tensione, un
inseguimento, Theoric intrappolato che gridava insulti.
Avvenne
tutto troppo velocemente perché la principessa dei Vanir
potesse capire. Sentì
pronunciare le rune, le ascoltò e pensò che
fossero terribili, ma la loro
memoria svanì dalla sua testa nel giro di un battito di
ciglia. Il dio degli
inganni era un mago potentissimo: lei lo aveva saputo da sempre, da
quando, ancora
bambina, lui aveva mutato il suo aspetto solo per il gusto di
terrorizzarla[1].
Così era iniziata la loro conoscenza. Anche adesso la stava
spaventando. Il
sollievo si unì al terrore che le ispirava una simile
propagazione d’energia
che traeva le sue origini da qualcosa di antico come il mondo intero,
se non di
più.
Loki
aprì il palmo della mano e, al suo centro, iniziò
a formarsi qualcosa di così
luminoso che Sigyn dovette chiudere gli occhi per non rimanerne
abbagliata[2].
Quello che avvenne dopo, non lo seppe mai descrivere né
comprendere a fondo.
Sentì freddo: un gelo glaciale l’avvolse
strettamente, quasi mozzandole il
respiro.
Dopo,
ci fu il terremoto. Loki la strinse a sé cingendole con un
braccio la vita
sottile: così facendo, la sostenne – di nuovo, la protesse alla sua maniera silenziosa e
fiera, ma efficace, senza
concederle null’altro se non quella stretta virile e decisa,
eppure, allo
stesso tempo, concedendole tutto.
Seguirono
una serie di sussulti che parevano provenire dal centro della terra
stessa e
anticiparono di pochi istanti un boato tremendo. Allora vennero le urla
disarticolate
e sentì la presa di Loki farsi più forte, le
sembrò di udire la sua voce che
cercava di tranquillizzarla. Batté le palpebre e i suoi
occhi si abituarono con
difficoltà alla luce, ma l’immagine che le si
parò davanti, sconvolgente, per
poco non la fece rimettere lì, nei sotterranei del Tempio.
La
forza scaturita dalle belle dita di Loki non traeva la sua origine
dalle
viscere del sottosuolo, né dal cielo. Nasceva dal cuore
impetuoso di quell’Ase
bugiardo dal cuore fatto di ghiaccio, il cui battito, lento e regolare,
Sigyn
aveva imparato a riconoscere e ad amare. E quello che il dio degli
inganni era
capace di fare grazie alle sue oscure conoscenze era spaventoso. La
bestia
immonda gridava in preda a un dolore infinito, perché la sua
carne era stata
tagliata in più punti dall’affilato incantesimo
del mago. Il corpo, ferito e
martoriato, si corrodeva, si squagliava per effetto del primo attacco
di Loki e
del secondo.
Solo
che la maledizione lanciata era costata
molto anche all’astuto e infuriato principe di Asgard,
costretto a pagare un
prezzo che avrebbe
tenuto nascosto fin
quando le forze glielo avessero concesso.
“Morirai
così, dissanguata, soffrendo,” annunciò
tra i denti rivolgendosi alla creatura,
mentre la testa gli girava e un preoccupante ronzio alle orecchie gli
succhiava
via la lucidità. “Tuttavia, visto che sono un dio
misericordioso,” ironizzò,
“posso rendere la tua morte più rapida e
veloce,” promise – mentì.
“Dimmi della
profezia. Dimmi che ti aspettavi succedesse.”
La
bestia si avvicinò ancora, trascinandosi
nell’acqua sempre più bassa. Se non fosse
stata ferita da Loki, da quella distanza con una delle sue zampe
adunche
avrebbe potuto ghermire lui o Sigyn o persino Theoric.
Il
dio degli inganni era un guerriero spietato e fissava senza battere
ciglio la
scena orrifica, nonostante la bestia incespicasse rabbiosa nel
tentativo di
ucciderlo e vendicarsi di lui.
“Dimmelo,”
l’incalzò e mosse le belle mani eleganti, ancora,
per rendere ancora più atroce
il tormento del suo incantesimo.
“Se
usi tutto questo seiðr adesso,” boccheggiò
la creatura, “come farai a salvare
tua moglie e tuo figlio dopo?”
Raccogliendo
improvvisamente le ultime forze, l’essere alzò la
coda nel tentativo di
abbatterla sul mago e su Sigyn.
“Se
uso tutto questo seiðr è perché posso
permettermelo!”
Loki
sollevò il braccio e l’acqua del lago si
piegò al suo comando creando uno scudo
scintillante, magnifico, ricoperto di punte aguzze, che parò
il colpo
infliggendo nuove ferite al mostro e rompendone in alcuni punti il
carapace.
Migliaia di schegge di ghiaccio volarono nella sala.
Il
dio degli inganni piegò le labbra in una smorfia di
dispetto: avrebbe potuto
uccidere l’orrendo essere: ne aveva ancora
l’occasione e la forza, ma, se l’avesse
fatto in quel preciso istante, non
avrebbe mai saputo nulla dello strano presagio. La conoscenza in cambio
di una
salvezza certa. Se non ci fosse stata Sigyn, lì con lui,
forse il dio degli
inganni avrebbe tergiversato ancora, stuzzicando l’essere,
spingendolo a
confessarsi.
♥
“Thor,
dove sono Loki e Sigyn?”
Il re
degli Aesir si guardò attorno, cercando di individuare la
corta chioma bionda
della cognata nella confusione causata dalle guardie Vanir e dalle
povere donne
finalmente liberate. Da qualche minuto la terra aveva preso a vibrare
persino
lì, nello spiazzo erboso che circondava la struttura ormai
violata del Tempio.
“Lei
non c’è,” insistette Freya,
“non la vedo da nessuna parte.” Per mano teneva
Sonje, incuriosita e, allo stesso tempo, impaziente di rivedere i
genitori. Si
era aspettata di vederli uscire trionfanti dal portone del tetro
palazzo e
invece, con sua somma delusione, non era ancora accaduto nulla di tutto
ciò.
“Mio
fratello sta usando il seiðr,” riconobbe il dio del
tuono individuando l’origine
delle scosse telluriche, ma evitò di dire alla donna che
Sigyn avrebbe dovuto
essere lì, con loro, finalmente libera. “Tua
nipote sta bene. È con Loki,” la
rassicurò. Il crollo improvviso di una buona parte
dell’arco d’ingresso fece
impallidire Freya e preoccupò il tonante.
“Zio
Thor,” domandò la bambina tirando il guerriero per
il mantello, “dove sono
mamma e papà?”
Sono
a uccidere chissà che mostro e ci stanno mettendo troppo
tempo, pensò il
giovane re.
“Si
stanno divertendo senza di me,” sospirò. Diede una
carezza leggera ai ricci
neri della nipote e alla testa del gatto di pezza che la piccola
portava sempre
con sé e si diresse a passo svelto verso la tetra porta del
Tempio. Vedendolo, quell’idiota
di Loki si sarebbe senz’altro infuriato, ne era certo.
♥
“Consegnami
la principessa. Questo vostro figlio sarà la tua condanna,
dio degli inganni.”
La conoscenza
aveva un prezzo, sempre. Così si era pronunciato una volta
Odino, quando lui e
Thor non erano bambini. Forse, qualcosa di simile il vecchio sovrano
l’aveva
detto anche nelle giornate lugubri in cui la malattia gli corrodeva la
ragione,
ma a questo Loki non riuscì a pensare. Nei suoi ricordi, la
voce di Padre Tutto
era carica di una amarezza che sapeva di fiele e l’Ase si
accorse di avere
improvvisamente la gola e la bocca secche.
“Se
nascerà,
una catena indistruttibile ti condannerà a un supplizio
eterno,” insistette il
mostro.
Dopo che
la protezione fatta di ghiaccio si era infranta sotto le zampate della
creatura,
il dio degli inganni aveva deciso che la profezia non gli interessava
– non gli
doveva interessare – e,
così, aveva
inflitto all’abominio il colpo letale, quello che avrebbe
posto fine alla sua
orrenda esistenza e sfiancato lui: un compromesso che gli era parso
decisamente
adeguato. Il seiðr si era liberato fluendo via dal suo sangue,
dalla sua carne,
dalla sua anima, persino, scatenando un terremoto che, nel giro di
pochi minuti,
avrebbe fatto crollare l’intera volta della grotta
sotterranea e inghiottito
per sempre il Tempio.
Grazie
al sortilegio invocato dall’Ase, le ferite già
inferte all’essere immondo
avevano iniziato a peggiorare, la carne attorno a marcire sempre
più
rapidamente; il mostro, furibondo, era impazzito dal dolore e aveva
tentato di
avventarsi ancora una volta su di loro. Loki era riuscito a proteggere
Sigyn e
se stesso, a guadagnare l’imbocco del tunnel che conduceva
verso l’uscita, persino.
Qui, Theoric, ancora bloccato nel ghiaccio, lo aveva afferrato per una
manica.
“Non
puoi lasciarmi qui!”
“Non
posso?” Loki si era voltato e aveva sorriso, furibondo.
Approfittando del
momento, il mostro morente aveva tirato fuori la sua ultima
possibilità di
vincere svelando il segreto che custodiva da millenni. Ma la sua voce,
spaventosa e melliflua insieme, aveva tolto colore al viso di Sigyn e
impietrito
lui, Lingua d’Argento.
“Consegnami la principessa. Questo vostro figlio sarà la tua condanna, dio degli inganni. Ecco quello che volevi. Nel suo grembo c’è il lupo che divorerà tutti voi.”
La conoscenza
ha un prezzo, sempre.
Sigyn
si volse verso l’unico occhio del mostro, per poi spostare
lentamente lo sguardo
sul marito e osservarlo. Tremando, scrutò il suo profilo
affilato e si accorse che
l’ingannatore giudicava vera
la frase
del mostro agonizzante, per via di quel suo potere in grado di separare
la
realtà dalla menzogna. Lo vide serrare la mascella, battere
le palpebre e, infine,
scuotere appena la testa, per poi riprendersi e rispondere
immediatamente a
tono.
“E io
scatenerò il Ragnarok: così dice la
Voluspa.” La voce di Lingua d’Argento era asciutta,
incolore. “È solo una profezia,” decise
noncurante, ricordando Frigga che vedeva
il futuro e, quand’era bambino, la sera gli carezzava i
capelli scuri spiegandogli
che le predizioni spesso erano ambigue e nascondevano nelle loro frasi
oscure
più sensi, infiniti significati[3].
Continua…
L’angolo
di Shilyss
Cari
Lettori che siete arrivati fin qua,
Quando
ho iniziato a scrivere “Oltre
l’inganno”
desideravo che fosse una raccolta di shot che coprissero i missing moments esistenti tra Tutte
le tue bugie e Giochi Pericolosi,
nonché la comica Altro che il
Ragnarok.
Il risultato è stato questa storia ibrida che, tuttavia, ha
una sua coerenza
interna. Il prossimo capitolo sarà l’ultimo della
vicenda del Tempio e, credo,
della raccolta. Piccole precisazioni: non sono una fan sfegatata del
fantasy,
quindi il mio modo di intendere la magia potrebbe farvi storcere il
naso, ma a
me fanno storcere il naso gli incantesimi in generale,
quindi… boh XD.
Theoric,
è un personaggio negativo (voi
direte: c’è bisogno
della specifica?
Purtroppo, non sapete quanto). Rappresenta la
banalità del male, l’uomo della porta
accanto che di fronte ai nostri “no”
cerca vendette, che attribuisce l’infelicità del
suo destino al fatto che Sigyn
ha scelto Loki. Sigyn fu, in Tutte le tue bugie, sempre estremamente
chiara nei
confronti di Theoric, confessandogli immediatamente di amare
un’altra persona.
Più chiara di così.
Voglio
ringraziare tutti coloro
che hanno recensito, preferito, ricordato e seguito questa storia dal
primo
capitolo a… ora. Grazie
davvero, ogni riga è per voi.
Mi commuovo ♥. Parafrasando l’infinita Melania G.
Mazzucco, posso dire che “solo chi
crea conosce la gioia di sapere che
la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito
il cuore di qualcuno.”
Se
la storia vi ha colpito, utilizzate le liste: farete felice
un’Autrice ♥ (Fa
anche rima). La Fatina dell’Ispirazione necessita sempre
delle vostre cure per
poter spandere i suoi glitter! Per ulteriori info e un po’ di
divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/
Ricordo che Vanheim, con
questo ordinamento
sociale, politico e culturale è una mia
idea e il Tempio eccetera è una mia idea: vi pregherei di
non utilizzarla o, se
proprio vi sentite ispirati, di inserire un disclaimer apposito
in cui
dichiarate i credits ♥. Anche
il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla
voce “Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A prestissimo,
Shilyss
[1]
Come raccontato nel capitolo 2 di “Giochi
Pericolosi.”
[2]
Cari Lettori, io ve lo dico: non amo particolarmente le saghe fantasy e
non le
leggo abitualmente, quindi non conosco le “regole”
della stregoneria in tal
senso e ho proposto una mia visione della magia, che ha un costo in
termini di
utilizzo e che appare… così. Non ho idea se la
cosa vi stonerà o meno, ma spero
di non avervi delusi!
[3]
Come raccontato nel capitolo 2 di questa minilong.