Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Lady1990    14/04/2019    2 recensioni
Ashwood Port, situata sulla costa del Massachusetts, vanta circa ventimila abitanti. Tre anni dopo la sua fondazione, risalente al 1691, fu teatro di un grande processo per stregoneria, mentre alla fine dell'Ottocento, durante la Guerra Civile, ospitò una sanguinosa battaglia. Al giorno d'oggi deve la sua popolarità a un florido commercio di pesce.
Le persone conducono una vita normale, spesso noiosa, perché nulla di sensazionale accade mai ad Ashwood Port.
Regan, sedici anni, erede dell'agenzia di pompe funebri McLaughlin, ha iniziato il liceo con un chiaro obiettivo in mente: stare lontano dai guai. Ma quando Teresa Meyers scompare senza lasciare traccia all'inizio dell'anno scolastico, Regan capirà di non avere altra scelta che lasciarsi coinvolgere nella follia che infesta Ashwood Port.
Infatti, quella di Teresa sarà solo la prima di una serie di impossibili sparizioni che, assieme ad altri eventi sinistri, si abbatteranno sulla tranquilla cittadina.
Tra fantasmi, streghe, licantropi, cacciatori, incubi e inganni, Regan si impegnerà per svelare il mistero. Ma a quale prezzo?
Anche se si è nati nell'oscurità, perdersi in essa è più facile di quanto si pensi.
[IN REVISIONE]
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A








 
Il 27 dicembre Regan si svegliò di buon mattino per ripulire la cucina e portarsi avanti con i compiti, in attesa dell’arrivo di Roman. Non aveva avuto modo di studiare nei giorni precedenti, men che meno rimettere in ordine. Durante le feste natalizie toccavano a lui le faccende di casa.

Aveva festeggiato la Vigilia con Deirdre e Hillary, che, adesso che l’FBI si occupava dei casi di persone scomparse, aveva un po’ più di tempo libero. Il giorno di Natale lo aveva trascorso da solo con Deirdre, eccetto per un paio d’ore nel pomeriggio, in cui Derek era passato per fare gli auguri e rinnovare a Regan la promessa che nessun cacciatore lo avrebbe più preso di mira. Il 26 aveva celebrato il compleanno della nonna a pranzo, insieme ad Hillary, e poi era andato al bowling con le ragazze.

Aveva procrastinato finché aveva potuto, e così ora si ritrovava con una pila di stoviglie sporche nell’acquaio e un post-it appiccicato sulla credenza in cui Deirdre gli ricordava di tirare tutto a lucido. Dopo aver pulito, si sedette alla scrivania a studiare fino alle tre.

L’orologio segnava le tre e venti quando Regan udì il motore della macchina di Roman spegnersi di fronte al vialetto. Controllò che camera sua fosse in relativo ordine, indossò una felpa sopra il pigiama e scese di sotto. Sua nonna era andata a far visita alla signora Greenwood e non sarebbe rincasata prima di sera.

Prima che Roman suonasse il campanello, aprì la porta e lo invitò a entrare senza proferire verbo. Era di pessimo umore, dato che quella notte aveva avuto l’ennesimo incubo.

“Ciao.” lo salutò gioviale Roman, guardandosi intorno.

Sapeva che erano soli, essendo il battito di Regan l’unico nella casa, ma controllò comunque. Di Poe non c’era traccia, il che gli dispiacque. Soffermando l’attenzione sull’amico, notò che il suo aspetto era trascurato. Oltre a indossare il pigiama, che emanava una scia di sudore mista a paurarabbiamarmellatadimore, il pallore spettrale del suo viso avrebbe ghiacciato il sangue a chiunque. Roman lo trovò comunque bellissimo. Sorrise soddisfatto quando scorse il braccialetto ornare ancora il polso del moro.

Regan gli fece cenno di seguirlo in camera. Si sedette sulla sedia della scrivania, mentre Roman si accomodò sul letto, come la prima volta che era stato lì.

Osservando la stanza, si compiacque nel notare che non era cambiato niente. Gli oggetti erano disposti allo stesso modo, la luce filtrava dalla finestra dalla medesima angolazione. Soltanto una cosa era diversa: l’odore che appestava la stanza. Lì la scia di paura, rabbia, frustrazione, sudore e sangue fresco che impregnava i vestiti di Regan era più forte. Si allarmò all’istante.

“Regan, che succede?”

Regan incrociò le braccia sul torace e abbassò il capo. I riccioli ricaddero sul suo viso, oscurandolo alla vista. Conficcò i denti nel labbro inferiore, in un tic nervoso che Roman aveva imparato a riconoscere.

“Sono stressato. Dormo male e la mia sete è aumentata.”

“Intendi che…”

“No, è sotto controllo. Ho solo dovuto incrementare le dosi. Sono un adolescente, ho bisogno di energie da bruciare. Ma stare in mezzo alla gente non aiuta.”

“È per questo che mi eviti? Temi di saltarmi addosso alla prima occasione e strapparmi la giugulare?” scherzò.

“Più o meno.”

Roman piegò la testa di lato, ascoltando il ritmo del suo battito. Lo sentì distintamente accelerare. Si rabbuiò, perdendo subito il sorriso e l’aria rilassata.

“Regan. Non. Mentirmi.” scandì, serrando le mani a pugno sulle ginocchia, “Primo: non me lo merito. Secondo: è inutile. Sono un licantropo, conosco l’odore e il suono delle bugie. Terzo: alla festa della scuola, mentre eri fermo davanti all’aula in cui è stato visto entrare Joshua Pryce, prima che pure lui sparisse nel nulla, i tuoi occhi hanno cominciato a brillare! Avevi un aspetto… raccapricciante. Non ho mai visto nulla di simile. Quindi risparmiami le tue patetiche scuse e sputa il rospo.”

“I miei occhi hanno brillato? Sul serio? Di che colore erano?”

Roman aprì e chiuse la bocca un paio di volte, preso in contropiede: “Non sapevi di esserne capace?”

“No.”

“Oh. Beh, erano…” gesticolò enfaticamente, cercando di comunicare colore, forma e tutta la gamma delle sensazioni che aveva provato con le mani.

“Roman, usa le parole, da bravo.”

“Come due piccoli tizzoni ardenti. Immagina il legno che viene appoggiato sul fuoco quel tanto che basta ad accendere la prima scintilla. Intorno all’iride, la sclera era completamente nera. Le tue occhiaie erano parecchio marcate, violacee, e si estendevano fino agli zigomi. La tua pelle era pallida, ma più… come posso dire… della stessa sfumatura della cenere. Eri terrificante.”

Regan assimilò l’informazione in silenzio. I suoi occhi non avevano mai brillato prima d’ora, altrimenti sua nonna glielo avrebbe detto. Da un lato pensava che fosse una cosa figa, dall’altro si sentiva turbato. Che cosa significava? Era forse un’altra delle abilità degli ibridi? Di certo, i vampiri non ne erano capaci, o Regan ne avrebbe letto qualcosa sui libri che Vincent gli aveva prestato. Per quanto sintetici, erano parecchio dettagliati.

“Okay, ora torniamo al motivo principale per cui sono qui. In che razza di guaio ti sei cacciato, Regan?”

“Non so di cosa parli.”

“Senti, ho rispettato il tuo silenzio e il tuo bisogno di spazio, ma ora è giunto il momento di dirmi cosa c’è che non va. Qualunque cosa sia, sono sicuro che la risolveremo, se ti confidi con me.”

Regan sbuffò e lo guardò scettico.

“Almeno fa’ un tentativo.” lo pregò il lupo.

Regan sospirò e scosse il capo, le spalle afflosciate e le mani intrecciate in grembo.

“Mi è difficile aprirmi con qualcuno che non sia mia nonna. Non sono abituato a… insomma, hai capito.” 

“Siamo amici e gli amici si aiutano a vicenda. O te ne sei dimenticato?”

Regan continuò a esitare.

“Se devo essere sincero.
 proseguì Roman, prendendo atto con tristezza della sua riluttanza, “Non sei il solo a comportarsi in modo strano, di recente. Anch’io ho vari pensieri per la testa che mi provocano stress.”

Il moro sciolse la posa chiusa e lo scrutò con interesse. Per un attimo, il ricordo di come essi avevano brillato riemerse nella memoria di Roman e la sua pelle si accapponò.

“Mio padre.” si schiarì la gola a disagio, “Due giorni fa ero in biblioteca, a casa. Siccome la usa come studio, la scrivania è tappezzata di documenti e post-it. Normalmente, non mi sarei soffermato a sbirciare. Non ci capisco un accidente di roba legale, e poi ho imparato sin da piccolo a non ficcare il naso dove non mi compete. Però una cosa ha attirato la mia attenzione: un volantino. Se non lo avessi visto spuntare da sotto un plico di fogli, ci sarei passato accanto senza guardare.”

“Che volantino?”

“Ce n’era più di uno, in realtà. Erano quelli relativi alle persone scomparse. Sta indagando.”

“Oh. E perché ti preoccupa?”

Roman lo trafisse con un’occhiata gelida: “Se mio padre ha sentito la necessità di indagare, significa che c’è di mezzo il soprannaturale.”

Regan si impietrì e strinse un pugno sulla coscia. Dal suo linguaggio del corpo, dall’odore irradiato dalla sua pelle e dal ritmo frenetico del suo battito, Roman arguì che la notizia non aveva colto l’amico impreparato. Sgranò gli occhi, raddrizzò la schiena e boccheggiò.

“Tu lo sapevi. Tu… tu lo sapevi!” lo aggredì, saltando in piedi, “Perché non hai detto niente?! Da quanto lo sai?”

“Qualche mese.”

“Qualche mese?! Spero che tu abbia una giustificazione valida per non avermelo detto.”

“Tuo padre cos’ha scoperto?”

“Non lo so, glielo domanderò appena torno a casa. Ora voglio sapere cosa sai tu. E non mentire, sono stanco delle bugie.” ringhiò, stringendo i pugni fino a conficcare gli artigli nella carne dei palmi.

Regan si morse l’interno di una guancia per impedirsi di scoppiare a ridere. Si concentrò per emanare nervosismo e boccheggiò come uno che non ha idea da che parte cominciare. Tutto stava andando come aveva pianificato ed era esilarante.

“So che è un demone, ma non che tipo di demone.” rivelò succinto.

Roman ammutolì, scioccato. Cadde di nuovo a sedere sul letto, pallido come un fantasma.

“Un demone.” esalò flebilmente, per poi scoppiare in risolini isterici, “Ma dai!”

“È vero.”

“Ne sei sicuro? Al cento percento?”

“Temo di sì.”

Roman si focalizzò sul suo battito. Quando lo scoprì regolare, tornò serio. Giunse le mani tremanti sotto il mento e poggiò i gomiti sulle ginocchia in una posa riflessiva.

Un demone. Era una gran brutta storia. Sapeva che esistevano, ma era più un sentito dire. Non ne aveva mai visto uno, né conosceva altri che avevano avuto un incontro ravvicinato. Erano creature misteriose, sulle quali non si trovavano molte informazioni. Tra tutte le creature soprannaturali, erano quelle più insidiose e letali. Ce n’erano di diversi tipi, tanti quante erano le culture e i paesi nel mondo. Suo padre, in passato, oltre ai vampiri lo aveva messo in guardia sui demoni. “Se mai dovessi imbatterti in un demone”, gli aveva detto, “scappa senza voltarti indietro”. E adesso scopriva di averne uno proprio sotto il suo naso. Come aveva potuto passare inosservato per mesi? Come aveva fatto suo padre, il potente alfa, a non accorgersene?

“Come sei giunto a questa conclusione?”

“L’ho visto un paio di volte. Tre, per l’esattezza.”

Il licantropo si passò le mani tra i capelli. Si alzò e cominciò a misurare la stanza ad ampie falcate, andando avanti e indietro dalla porta alla libreria.

“Lo dirai a tuo padre?”

“Ovvio che lo dirò a mio padre! C’è un demone a zonzo per la città! Deve essere ucciso o, perlomeno, scacciato.”

“Hai ragione.”

“Il primo contatto. Quando è avvenuto?”

“Era la notte di Halloween. Mi trovavo qui, in camera, seduto alla scrivania. La corrente è saltata. Il demone mi è apparso nello schermo del computer. Un braccio è uscito dallo schermo come se fosse stato un portale dimensionale e una mano si è stretta intorno alla mia gola. Mi sono sentito attirare verso di lui. In qualche modo, sono riuscito a liberarmi. Non chiedermi come, perché non lo so. Subito dopo, è scomparso. Il secondo episodio è avvenuto sempre qui. Ero solo, mia nonna era a cena dalla vicina. Il demone è apparso in giardino. Però, quando sono uscito, non c’era più. Il terzo è stato alla festa a casa di Lorie. Quando mi hai trovato, era davanti a me. La tua presenza deve averlo fatto scappare, perché quando mi sono girato era sparito. Non so perché mi sia apparso proprio in quei momenti, visto che non era lì per rapire qualcuno. A parte ad Halloween.”

“Che aspetto aveva?”

“Era altissimo e scheletrico. La sua pelle era nera e grinzosa. Le braccia erano lunghe sino ai polpacci, le mani adunche, munite di artigli. La testa era calva. E non aveva faccia: né occhi, né naso, né bocca. Il collo era molto sottile e le spalle ossute.” deglutì e si toccò la gola, “Durante il primo contatto mi ha lasciato un livido sul collo, dove mi aveva afferrato. Per questo mia nonna mi ha dato l’amuleto che hai visto il giorno in cui ti sei trasformato davanti a me e questa collana. Avrebbero dovuto proteggermi, respingere il male.”

“Ha funzionato?”

“No, purtroppo.”

Roman rifletté in silenzio per qualche istante, poi chiese: “La sera della festa di Natale… lo hai percepito, vero?”

“Sì. Non so come, ma sento quando è vicino.”

“Che sensazione provi?”

“Rabbia.”

Roman mugugnò. Strofinò le mani sui jeans, ponderando il da farsi. I pensieri tornarono sul volto stampato sul volantino che aveva trovato sulla scrivania del padre.

“Secondo te, come marchia i suoi bersagli, come li sceglie?”

“Non è casuale?”

“Più ci penso, più mi convinco che li scelga con un preciso criterio.”

“Non capisco.”

“Teresa Meyers, diciassette anni, liceale. Timothy Bruce, otto anni, studente delle elementari. Rupert Gullon, ultrasettantenne, contadino, vedovo. Evelyn Richardson, settantaquattro anni, sposata. Joshua Pryce, quindici anni, liceale.” elencò, “Se contiamo pure te, anche se sei sopravvissuto, la lista di domande rimane comunque invariata. Non mi stupisce che la polizia stia brancolando nel buio. È un fottuto rompicapo. Ma deve esserci un filo conduttore.”

“Tu hai mai letto libri sui demoni? Ne avete nella biblioteca di casa?”

“Non ho mai avuto ragione di leggerli, ma di sicuro ci sono. Vedrò cosa trovo.”

Regan nascose un ghigno soddisfatto facendo finta di grattarsi una guancia.

“Ti farai aiutare da tuo padre?”

“Non abbiamo altre opzioni, Regan. Non è una battaglia che possiamo combattere da soli. E non sappiamo chi sarà la prossima vittima. Cavolo, potrei essere io!” scherzò, ma i suoi occhi tradirono paura.

Regan si irrigidì di botto. Le voci riemersero dai remoti recessi della memoria, bombardandolo da ogni direzione.

 
"Aiutami!"

“Che ti prende?” domandò preoccupato il licantropo.

Scrollò la testa e le voci svanirono di nuovo nell’oblio: “Niente. Solo… niente.”

“Non è il momento di mantenere segreti, Regan. Parla. Cosa c’è?”

Il moro aprì la bocca, ma nessun suono ne uscì. Riprovò altre quattro volte, invano.

“Regan…”

“Io… no. Non è niente. Davvero. Solo la cara, vecchia paranoia. Lo stress e la carenza di sonno mi stanno uccidendo.”

Roman non parve convinto, ma lasciò cadere l’argomento.

“Riferirò ciò che mi hai detto a mio padre, appena torno a casa. Ti aggiorno in serata, okay?”

“Okay.”

Qualche minuto dopo, Regan accompagnò l’amico alla porta e, quando furono sulla soglia, si sporse per abbracciarlo. Roman si paralizzò al sentire le mani di Regan stringersi sul suo giubbotto per attirarlo di più a sé. Restarono immobili per interminabili secondi, finché il clacson di una macchina in lontananza non li ridestò. Si staccarono e si sorrisero impacciati.

“Ti chiamo stasera.” ribadì Roman.

“Sì.”

“Okay.” si morse un labbro, incapace di distogliere lo sguardo da quello di Regan, “Okay.”

“Ciao, Roman.”

“Sì. Ciao.”

Solo quando Regan richiuse la porta riuscì a scollarsi dal portico. Corse verso la propria auto, aprì la portiera e si sedette al posto di guida. Attese un paio di attimi prima di sbattere la fronte sul voltante, dandosi dell’idiota.

 
*

Roman bussò e si affacciò alla porta della biblioteca per sbirciare all’interno. Nell’aria fiutò l’odore di legna bruciata, misto a quello della cellulosa emanato dai libri ordinati sugli scaffali, che percorrevano tutto il perimetro della stanza.

Suo padre era seduto alla scrivania, davanti al computer. Le sue dita correvano veloci sui tasti, mentre i suoi occhi saettavano dallo schermo a due fascicoli aperti lì accanto.

“Papà, ce l’hai un minuto?”

“Sono impegnato, come puoi vedere.”

“Fidati, qualunque cosa tu stia facendo, questo è parecchio più importante.”

Vincent sollevò lo sguardo e lo scrutò a lungo, senza tradire alcuna emozione. Poi sospirò, spense il computer e lo invitò con un cenno a sedersi sulla poltrona di fronte al caminetto acceso.

Roman chiuse la porta alle sue spalle, onde evitare che gli altri origliassero la conversazione. Il padre lo notò e inarcò un sopracciglio, ma non commentò.

Il fuoco scoppiettava allegro su una pila di ciocchi di legno, spargendo una luce calda e soffusa sulle pareti. La danza delle fiamme ricordò a Roman la visione di cui era stato succube mentre guardava negli occhi brillanti di Regan. Si era sentito risucchiare in un vortice, avvolgere da zampilli di lava e bruciare nell’anima. Nelle orecchie, aveva percepito il rombo di un vulcano in eruzione.

Non appena l’alfa si accomodò sulla seconda poltrona, Roman si irrigidì. Quando lo vide accavallare le gambe e intrecciare le mani in grembo, si umettò nervoso le labbra.

“Ti ascolto.”

“Okay. Ehm… so che stai indagando sulle sparizioni in città. E credo di avere alcune risposte.” esordì cauto, serrando a pugno le mani sudate.

L’espressione di Vincent divenne granitica: “Come sai che sto indagando?”

“Ho visto un volantino sulla tua scrivania. È capitato, non l’ho fatto apposta. Lo avevi lasciato lì.”

“E cosa credi di sapere a riguardo?”

“Si tratta di un demone.” confessò senza tante cerimonie, preferendo andare dritto al punto.

Vincent sbarrò le palpebre in un moto di sorpresa e panico, una piccola crepa nella sua maschera. Roman, però, non ebbe modo di godersela appieno, perché il padre riacquisì il contegno nell’arco di due secondi netti, in un grande sfoggio di autocontrollo. Le sue labbra si piegarono in un sorrisetto divertito, dando al figlio l’impressione di essere l’ignara vittima di uno scherzo. Roman si corrucciò, confuso.

“Elabora.”

“È stato Regan a scoprirlo. Sta indagando da molto più tempo di te.”

Vincent assottigliò le palpebre e le labbra, irrigidendo la postura: “Molto più tempo? Quanto, di preciso?”

“Da settembre.”

L’alfa sbuffò e storse la bocca in un ghigno beffardo. Regan era di sicuro un ragazzino sveglio, ma non era ferrato nel soprannaturale. A malapena conosceva la specie da cui aveva ereditato la sete di sangue.

“Cosa pensa di sapere, quell’ibrido? Ha mai incontrato un demone, prima d’ora?”

“Regan lo ha visto di persona tre volte, la prima delle quali il demone lo ha attaccato. In camera sua, mentre sua nonna era in casa.”

Vincent ammutolì e lo fissò senza battere ciglio per incalcolabili istanti. Il crepitio del fuoco era l’unico suono che spezzava il silenzio, altrimenti così pesante da risultare palpabile.

“Mi ha descritto il suo aspetto.” continuò Roman, “Potrei disegnarlo, se vuoi.”

“Mh. Che altro?” domandò Vincent.

“Pare che ce l’abbia con Regan per qualche motivo. Forse perché è il solo che gli è sfuggito, forse perché gli sta dando la caccia… non lo so. Inoltre, le vittime appaiono casuali, ma siamo convinti che… cioè, io sono convinto che siano accomunate da qualcosa, anche se non so cosa.”

“Regan ha scoperto che si tratta di un demone quando esso lo ha attaccato nella sua camera? E da allora lo ha visto altre due volte?” ripeté serio, scandendo bene le parole.

“Ehm, sì…? Il punto è che, se ci aiutassimo a vicenda, penso che potremmo riuscire a scacciarlo o intrappolarlo.”

“No, non lo coinvolgeremo. Se ciò che mi hai detto è vero, cioè che questo demone ce l’ha con lui, è chiaro come il sole che Regan è compromesso.”

“Scherzi, vero? Regan non… lui non… oh, andiamo! Se fosse un burattino del demone, credi sul serio che mi avrebbe spiattellato tutto?”

“L’ha fatto? Ti ha detto proprio tutto?”

Vincent inarcò un sopracciglio, in attesa di una risposta. Si compiacque nel vedere il dubbio piantare le radici nella coscienza del figlio, come dimostrava il suo improvviso silenzio.

La storiella di Regan non quadrava. Dietro alla scomparsa di quelle persone c’era una Gorgone, non un demone. Le prove parlavano chiaro. Vincent non capiva cosa avesse spinto Regan a rifilare a Roman tutte quelle sciocchezze, oltre a stupirsi del fatto che suo figlio ci fosse cascato. Vincent lo aveva cresciuto meglio di così, Roman non era un credulone. Gli aveva insegnato a fare affidamento sui suoi sensi, a prendersi il suo tempo per esaminare parole, linguaggio e temperatura corporea, odore, battito cardiaco. Possibile che non avesse colto la menzogna in Regan, che fosse talmente accecato dall’amicizia da non riuscire a scorgere la verità? Oppure, più probabilmente Regan aveva usato qualche trucchetto per manipolare Roman. C’era da aspettarselo da un vampiro. O mezzo vampiro. Ma, anche se lo avesse fatto, a che pro?

“Ricorda che i demoni sono fatti per metà di inganni e per metà di tenebra. Non puoi fidarti, Roman. D’ora in poi ti proibisco di avere contatti con lui. Non possiamo rischiare che il demone, ammesso che esista, ti prenda di mira solo perché gli stai vicino.”

Vincent osservò Roman scattare sull’attenti, i lineamenti del viso e i muscoli contratti in una posa agguerrita, pronto a correre in difesa di colui che chiamava “amico”. Era disgustoso. Certo, Regan sembrava un ragazzino garbato e onesto, e Vincent, nonostante i borbottii stizziti e la repulsione che provava al pensiero di vivere nella stessa città, non lo considerava un nemico. Ma era pur sempre un ibrido di vampiro. Roman avrebbe dovuto avvertire l’istinto di attaccarlo, o quantomeno stargli lontano. Invece, suo figlio andava e ci faceva amicizia!

L’alfa era consapevole che, se si fosse seduto a ragionare con Roman per convincerlo a rompere il legame con Regan, non sarebbe stato ascoltato. Roman aveva bisogno di prove concrete, di gustare il sapore del tradimento sulla sua stessa lingua per venire finalmente a patti con la realtà delle cose. Proibirgli di vedere Regan avrebbe avuto l’effetto contrario, lo sapeva, ed era proprio ciò su cui contava. Quando, non se, Roman avesse visto con i suoi occhi la vera natura di Regan, Vincent era sicuro che sarebbe rinsavito.

“Non posso smettere di parlargli di punto in bianco. Lui si è fidato di me!” protestò Roman.

“La tua lealtà è verso questo branco, non verso un mezzo vampiro manovrato da un demone assetato di morte. Resterai lontano da lui, mi hai capito? Se verrò a sapere che hai disobbedito, ti rinchiuderò in camera tua finché la minaccia non sarà stata debellata. Ora va’, ho del lavoro da fare.”

Roman emise un ringhio basso, frustrato. Si alzò bruscamente e sfrecciò verso la porta, richiudendosela alle spalle con più forza del necessario. L’eco del tonfo rimbalzò sui muri e richiamò l’attenzione della madre, che si affacciò dalla cucina con un piatto e uno strofinaccio tra le mani.

“Tutto bene?”

“No. Niente va bene.” grugnì tra le zanne.

“Devo parlarci io?”

“Non servirebbe. È così… testardo.”

“Testardo è un eufemismo.” commentò tra sé e sé Tamara, per poi sparire di nuovo in cucina.

Roman si rifugiò in camera. Si sedette sulla sponda del letto e agguantò il cuscino. Il primo pugno si abbatté sulla stoffa morbida provocando un suono a stento udibile, seguito da un altro e un altro ancora. Gli sarebbe occorso tutto un altro metodo per riacquistare la calma, ma qualcosa gli suggeriva che un’estemporanea corsetta nel bosco a quell’ora non sarebbe stata accolta senza domande moleste.

La cosa che lo impensieriva e devastava di più era che avrebbe dovuto avvisare Regan degli ultimi sviluppi: avrebbe dovuto dirgli della decisione del padre e non sapeva come l’amico avrebbe reagito. Roman era terrorizzato all’idea di perdere la sua fiducia e la sua amicizia, perché questo sarebbe accaduto. Chiunque si sarebbe sentito tradito, se fosse stato nei panni di Regan.

Avrebbe tradito il suo alfa, il suo Compagno.

Piuttosto la morte, pensò deciso.

Adesso cominciava a comprendere da dove avessero origine l’astio e l’insofferenza di Declan, e perché il fratello desiderasse rimanere lontano mille miglia da loro padre. Nemmeno lui avrebbe più chinato il capo ed esposto la gola. Regan aveva bisogno di aiuto, e in un branco ci si proteggeva a vicenda.

In un vero branco, nessuno veniva abbandonato.

 
*

Derek era sopra di lui, ansimante e a torso nudo, gli avambracci a incorniciare la testa di Regan e il corpo spalmato sul suo come una coperta. Il bacino ondeggiava sensualmente tra le sue cosce, mentre l’erezione intrappolata nei jeans strusciava di tanto in tanto sul suo stomaco. Regan mugolò nel bacio e arpionò una gamba sui suoi fianchi.

Era il pomeriggio del 28 dicembre. Dal cielo plumbeo cadevano grossi fiocchi di neve, che imbiancavano tetti, strade, giardini e macchine. Anche se non tirava vento, le barche ormeggiate al porto avevano il divieto di salpare per quel giorno. Dalla finestra della camera filtrava la luce giallognola dei lampioni, essendo il sole tramontato da circa un’ora.

Derek spinse il bacino contro quello di Regan con più vigore. Il suo respiro accelerò, così come il battito del suo cuore e il calore emanato dalla sua pelle, imperlata di sudore e arrossata là dove il moro aveva conficcato le unghie.

Regan grugnì sotto l’ennesimo assalto delle sue labbra e portò una mano su una natica del biondo. Fece scivolare le dita sulla stoffa dei jeans, lentamente, solo per stuzzicarlo un po’. Dopodiché, senza preavviso, premette il medio sulla cucitura centrale, centrando con precisione il bersaglio. Il corpo di Derek si contorse in un leggero spasmo, i suoi fianchi si mossero con più impeto e dalla sua bocca emerse un gemito roco. Si afflosciò su Regan annaspando e lo abbracciò stretto.

Regan non si stupiva più del bisogno di coccole che coglieva Derek dopo un orgasmo. Non era piacevole sentirsi schiacciare dal suo peso, ma si sforzava di sopportare. Anche perché il cacciatore era più disponibile e rilassato se riceveva la sua dose di casto affetto e rassicurazioni.

Una volta recuperato il fiato, Derek si scostò quanto bastava per condurre una mano verso il cavallo dei pantaloni di Regan. Questi lo fermò prima che raggiungesse la cintura, imprigionandogli il polso in una morsa ferrea. Schioccò la lingua per comunicare il proprio dissenso e lasciò che il biondo rotolasse su un fianco.

“Perché non mi permetti di-”

“Sto bene. Non preoccuparti.”

“Non mi piace essere sempre l’unico che-”

“Non sei l’unico. Sono soltanto meno vocale di te.” lo prese in giro Regan.

“Non sono vocale! Ho emesso a malapena un suono.”

“Io mi ricordo grugniti e gemiti a volontà.”

Derek contrasse la mascella e lo fissò con aria di sfida: “Uno di questi giorni ti farò urlare.”

“O-ho! Quanta arroganza, signor cacciatore.” lo provocò con un ghigno.

“Se solo mi lasciassi-”

“Credi di esserne degno?” lo interruppe di nuovo Regan, “Non mi hai nemmeno comprato un regalo di Natale.”

“Neanche tu, se è per questo.”

“Io sono povero.” si giustificò con una scrollata di spalle.

“Dai, sul serio. Non vuoi che usi la mia bocca, per esempio? Non lo immagini mai?” bisbigliò, accarezzandogli in punta di dita il torace nudo, “Io sì. Vorrei farti tante di quelle cose che a volte è difficile trattenermi.”

“Sono contento che tu lo faccia. Non sono pronto, Derek. Per quanto farlo con un ragazzo mi metta più a mio agio, dato che abbiamo le stesse parti intime, sento che è meglio aspettare. Quello che facciamo è piacevole e per ora mi basta. Quando vorrò passare al livello successivo, te lo farò sapere, okay?”

“Sì, scusami. Non voglio metterti pressione. È solo che ti voglio così tanto…” si issò su un gomito per guardarlo dall’alto e gli sfiorò una guancia con reverenza, in punta di dita, mentre i suoi occhi si addolcivano e un tenue sorriso gli sbocciava sulle labbra, “Non avrei mai creduto che fosse possibile tutto questo: io e te, nonostante le nostre differenze e i nostri trascorsi. Baciarti è come una droga. Il tuo odore è una droga. Quando ti sono vicino, non ne ho mai abbastanza. Quando ti sto lontano, non faccio che pensarti e desiderare di averti con me. Ma sai qual è la cosa che adoro di più?”

“Il mio spiccato senso dell’umorismo? Il mio invidiabile gusto musicale? Il mio charme vampiresco?”

“Tutte queste cose e... poterti dire ‘ti amo’ quando voglio. Poterlo sussurrare nel tuo orecchio, sulle tue labbra, sulla tua pelle.” si piegò per scoccargli teneri baci sulla fronte, sul naso, sulla guancia e sul collo, “Non mi stancherò mai di ripeterlo. Non mi importa se ti verrà a noia sentirlo di continuo, io lo ripeterò ancora e ancora. Ti amo, Regan.”

Regan accolse la sua lingua nella propria bocca, circondò le sue spalle con le braccia e si lasciò avviluppare in quelle dell’altro. Resistette all’impulso di mordergli la giugulare e strappargli il cuore dal petto a mani nude soltanto grazie a un grande sfoggio di forza di volontà. Si meritava un premio. Quantomeno una medaglia.

Un tonfo al piano di sotto li costrinse a staccarsi bruscamente. Udirono i passi di Deirdre in cucina, un fruscio di plastica e poi altri passi su per le scale. Si rivestirono e presero posizione ai lati opposti della camera, Regan sul letto e Derek sulla sedia della scrivania.

“Regan, sei qui?” domandò Deirdre, affacciandosi sulla porta, “Oh, ciao, Derek.”

“Salve, signora McLaughlin. Come sta?”

“Bene, grazie. Regan, potresti mettere a posto la spesa, per favore? Vorrei farmi una doccia.”

“Certo.”

“Derek resta a cena?”

“No, se ne sta andando.”

“Sì, devo tornare a casa.” confermò Derek.

“Okay.”

Derek attese che la donna se ne andasse prima di placcare Regan per stampargli un altro bacio sulla bocca. Quando il moro socchiuse le labbra per la sorpresa, Derek ne approfittò per infilare la lingua ed esplorare ancora una volta ogni anfratto di quell’antro caldo e umido, mai sazio del suo sapore.

Cinque minuti dopo, si salutarono e Regan chiuse la porta con un calcio, per poi strofinarsi con foga la bocca con una manica della maglia. Al solo sentire l’eco del chili che Derek aveva mangiato a pranzo, fece una smorfia disgustata. Almeno si era rivelato utile durante lo scambio di informazioni.

A quanto pareva, lo zio di Gregory era amico di John Bennett, uno degli agenti dell’FBI venuti ad indagare, pure lui cacciatore. Ergo, lo zio aveva accesso ai fascicoli del caso tramite Bennett. A Regan aveva fatto piacere apprendere che anche loro erano a un punto morto. E finalmente, d’ora in avanti, avrebbe potuto acquisire nuovi dettagli sull’indagine grazie alle manie ficcanaso di Derek, visto che Hillary si ostinava a mantenere il silenzio. Rispettosa della legge fino in fondo.

Seconda di poi, lo zio di Gregory aveva detto a Bennett che non si trattava di scomparse normali, ma dell’opera di un demone. Siccome aveva le mani legate, essendo la sua squadra all’oscuro del soprannaturale, Bennett non avrebbe potuto partecipare alla caccia vera e propria. Questo, però, non voleva dire che non avrebbe scavato per conto suo e contattato altri cacciatori per scoprire quale fosse il demone in questione. Se avesse avuto successo, avrebbe condiviso le informazioni ottenute con i cacciatori di Ashwood Port. Quindi Regan sarebbe venuto a saperle tramite Derek.

Terzo, Derek gli aveva riferito che Bennett, messo al corrente della presenza di un ibrido di vampiro in città, aveva espresso il forte desiderio di interrogare Regan. Era convinto che fosse lui il colpevole, perché, stando alla sua esperienza, “i mostri sono tutti uguali”. Lo zio di Gregory aveva scagionato Regan portando all’altro le prove della sua innocenza. Ciononostante, Bennett non aveva cambiato idea e, di sicuro, avrebbe fatto visita a Regan. Buono a sapersi, così non si sarebbe fatto cogliere impreparato.

Poe gli sfrecciò tra le gambe con un miagolio bellicoso, rischiando di farlo inciampare e cadere di faccia sul pavimento. Regan ebbe giusto il tempo di masticare un’imprecazione, perché un istante più tardi scorse un altro gatto, dal pelo candido e morbido, correre a razzo dal salotto al piano di sopra.

Assunse un’aria perplessa. Salì pure lui e, entrato in camera, vide solo Poe acciambellato sul cuscino a occhi chiusi. Si chinò sulle ginocchia per guardare sotto al letto e nell’armadio, ma del gatto bianco non c’era traccia. Perlustrò pure la stanza di sua nonna, ma niente. Il ripostiglio era chiuso a chiave, non c’era verso che fosse entrato lì.

Deirdre uscì in quel momento dal bagno, agghindata con una vestaglia rosa antico e i capelli legati nella solita crocchia. Gli scoccò un’occhiata interrogativa e aspettò che Regan spiegasse come mai lo aveva visto uscire a passi felpati dalla sua camera.

“Ehm… hai per caso adottato un altro gatto? Bianco, dal pelo lungo…”

“No. Perché?”

“Mi era sembrato di vederlo correre al piano di sopra. Devo essermi sbagliato.”

Deirdre indurì lo sguardo: “Oppure è come con il corvo.”

Regan sbarrò le palpebre, poi si passò una mano sul viso e grugnì rassegnato.

 
*

La famiglia Hammond si stava dirigendo alla fiera natalizia che era stata allestita sul promontorio che aggettava sul porto. L’indomani sarebbe stato Capodanno e gli Hammond avevano deciso di visitarla adesso per timore di trovare la ressa il giorno successivo. Non era lontana, solo dieci minuti a piedi. Sarebbe durata sino al 2 gennaio e avrebbe ospitato attrazioni per persone di tutte le età, compresi spettacoli di equilibristi e giocolieri.

Albert e Molly Hammond avevano promesso ai bambini che li avrebbero portati, augurandosi che la distrazione sortisse il suo effetto e li distogliesse dal lutto che li aveva colpiti la settimana addietro. Soprattutto la piccola Lucy. L’avevano pure accompagnata alla mostra della Fondazione Sthenos quella mattina, ma alla vista di una statuetta stilizzata di un gatto era scoppiata in lacrime e avevano dovuto portarla via. Dylan, più grande di due anni, aveva resistito fino a casa, poi anche lui era crollato. La dolce Flake mancava a tutti.

Le strade erano gremite di coppie, gruppi di ragazzi e famiglie dirette a o di ritorno dalla fiera. I bambini che gli Hammond incrociarono erano sorridenti, eccitati. Alcuni stringevano tra le mani lo zucchero filato, altri mele caramellate, altri ancora dolciumi dall’odore invitante più grossi dei loro visi. Sulle teste sfoggiavano cappelli buffi e la faccia era pitturata per assomigliare a qualche animale.

“Mamma, sbrigati!” esclamò Dylan, saltellando dieci passi più avanti.

“Non correre!”

Piccoli fiocchi di neve cadevano pigri dal cielo e si scioglievano sull’asfalto, rendendolo scivoloso. L’aria del tardo pomeriggio era fredda e umida, si infilava sotto i vestiti e penetrava sin nelle ossa.

Lucy, seppur imbacuccata nel piumino più pesante che aveva, non riuscì a reprimere un brivido.

“Lucy, dove hai messo la sciarpa?” le chiese suo padre.

La bambina si fermò e lo fissò con aria persa, prima di ricordarsi di averla dimenticata sul letto in camera sua.

“Ops.”

Albert Hammond sospirò sconfitto, nascondendo sotto un velo di seccatura la tenerezza che il sorriso birichino della figlia gli suscitava ogni volta.

“Va bene, torniamo indietro a prenderla. Molly, tu e Dylan andate avanti. Vi raggiungeremo alla fiera.” disse alla moglie e al figlio.

“Sicuro?” gli chiese Molly.

“Sì, faremo presto. Andiamo, Lucy.”

Padre e figlia si rincamminarono verso casa. Un quarto d’ora dopo, Albert aprì la porta e si arrestò nell’ingresso, mentre Lucy correva di sopra a recuperare la sciarpa.

“Fa’ presto, o non ce la faremo a vedere gli equilibristi!” disse Albert.

Lucy squittì e lo pregò di aspettarla.

Albert non si curò di reprimere un sorriso dolce. Vedere la figlia sprizzante di gioia era un toccasana per la sua anima. Forse si era preoccupato troppo e aveva sottovalutato l’incredibile pragmatismo della sua bambina.

La settimana precedente, quando l’aveva aiutata a seppellire in giardino Flake, la loro gatta, aveva temuto che Lucy non avrebbe più smesso di piangere. Flake era stata una specie di madre-amica-sorella per Lucy. In particolare, l’aveva aiutata molto nel lungo periodo in cui era rimasta confinata in casa per via dei brutti episodi di asma, che le impedivano di mettere il naso fuori. La gatta si era presa cura di lei, accudendola come se fosse sua. Albert e Molly, scherzando, avevano detto di non aver bisogno di una tata fintanto che c’era Flake. La sua morte aveva devastato Lucy, ma sembrava che la stesse superando.

Lucy spalancò la porta di camera. Individuò subito la sciarpa sul letto e la afferrò di slancio, finalmente pronta per andare alla fiera. Fece dietrofront e avanzò di un paio di passi verso il corridoio. Tuttavia, la porta le si chiuse in faccia con violenza prima che potesse oltrepassare la soglia, sigillandola all’interno. Strinse il pomello e lo strattonò, ma la porta non si smosse di un millimetro.

“Papà!” chiamò spaventata, bussando con foga sulla superficie di legno.

Il suo respiro era affannato, come se avesse corso una maratona. L’attacco d’asma incombeva su di lei. Purtroppo, non aveva con sé l’inalatore: lo aveva consegnato a suo padre per paura di perderlo, sbadata com’era.

Un rumore la fece voltare bruscamente. Lì per lì non vide nulla, complice il buio che ammantava la camera.

Lo sguardo le scivolò sul tappeto. Il fiato le si mozzò in gola e copiose lacrime di puro terrore le rigarono le guance.

Pensò di sfuggita che se Flake fosse stata ancora viva, l’avrebbe protetta con le zanne e con gli artigli. Ma lei non c’era più e Lucy era sola.

Una mano emerse piano da sotto il letto. Era nera, scheletrica, attaccata a un braccio così sottile da sembrare uno stecco, troppo lungo per essere umano.

Lucy avrebbe voluto urlare, ma i polmoni bruciavano e le labbra stavano diventando blu. Si sentiva soffocare. Le ginocchia cedettero e cadde prona sul pavimento.

Quando alzò di nuovo lo sguardo dinanzi a sé, si scontrò con una creatura che pareva uscita da una di quelle fiabe che suo padre le raccontava prima di addormentarsi. Però in quelle storie c’era sempre un eroe che, con il suo coraggio e una spada magica, sconfiggeva il mostro. Dov’era il suo eroe, ora?

Ebbe giusto il tempo di esalare un singhiozzo. Poi la mano della creatura le cinse il collo e la sollevò.

Mentre penzolava sospesa a mezz’aria, un’ultima lacrima eluse la barriera delle ciglia.

Infine, l’oscurità la reclamò.

 
*

Regan si svegliò di soprassalto. Non si era reso conto di essersi appisolato. Un grido gli risuonava nelle orecchie, una voce infantile che strillava “Papà!” a ripetizione, in un’eco che pian piano si affievoliva.

Sbatté le palpebre e mise a fuoco l’ambiente. Era seduto alla scrivania, davanti al computer. Si era addormentato mentre guardava Sweeney Todd. Poe sonnecchiava in fondo al suo letto, raggomitolato in una palla.

L’orologio sullo schermo indicava le cinque e venti del mattino. Aprì il sito del giornale locale e scandagliò le notizie. Non c’era ancora niente sulla nuova scomparsa, ma era sicuro che l’attesa non si sarebbe protratta a lungo.

Un’ora dopo, la notizia apparve sul sito. Il titolo dell’articolo riportava a lettere cubitali “L’Ombra di Ashwood Port reclama la sua quinta vittima”. L’Ombra, questo era il soprannome che i giornalisti avevano dato al “misterioso rapitore”. Guarda caso, era anche l’epiteto che aveva usato la donna di colore nella sua filastrocca per riferirsi al demone.

“Ieri pomeriggio, intorno alle sei, Lucy Hammond, 9 anni, è scomparsa mentre il padre, Albert Hammond, era in casa con lei.

Secondo la dichiarazione rilasciata dalla polizia, la famiglia stava andando alla fiera, quando la piccola Lucy si è accorta di aver dimenticato la sciarpa. Lei e il padre sono tornati a casa per recuperarla. Il signor Hammond afferma di aver atteso cinque minuti prima di raggiungere la figlia in camera. La porta era chiusa, ma non a chiave. Quando l’ha aperta, di Lucy non c’era traccia e la sciarpa era abbandonata sul tappeto.

Come negli altri casi, le finestre erano sigillate dall’interno e la perizia non ha riscontrato alcun segno di effrazione o impronte digitali sconosciute.

Con Lucy Hammond, il conteggio delle sparizioni sale a cinque. L’FBI sta valutando di dichiarare un coprifuoco.


Se qualcuno dovesse avere notizie di Lucy, è pregato di contattare il numero qui in basso.”

Regan esalò un sospiro stanco. Chiuse gli occhi e si passò le mani fra i capelli con crescente frustrazione. Si sentiva impotente, solo, senza nessuno su cui poter contare davvero.

Quando aveva letto il messaggio di Roman, qualche giorno prima, aveva provato rabbia. Non si era illuso di ricevere la piena collaborazione di Vincent, ma un po’ ci aveva sperato. Invece, l’alfa lo aveva tagliato fuori, ordinando a Roman di troncare qualsiasi contatto con lui. Roman gli aveva assicurato che non avrebbe obbedito al volere del padre, ma a Regan non era questo che interessava.

Regan voleva i libri. Voleva le informazioni. Non se ne faceva un bel niente di Roman se non poteva fornirgli queste due cose. Doveva trovare il modo di ottenerle da solo.

Il giorno seguente, per Capodanno, tutti si sarebbero radunati alla fiera. Nessuno se la sarebbe persa, specialmente con la promessa di uno spettacolo pirotecnico. Regan non aveva dubbi che i Sinclair si sarebbero uniti alle celebrazioni, cogliendo l’opportunità per mostrarsi per la prima volta a un evento pubblico come una famiglia. La gente già speculava su di loro, li consideravano una specie di setta hippie. Se desideravano costruirsi una solida reputazione e smentire le voci, dovevano venire alla fiera.

Un messaggio da Roman glielo confermò. Vincent Sinclair non gli sarebbe sfuggito.

 
*

“Sei pronto, leprotto?”

“Quasi.”

Regan finì di vestirsi, afferrò chiavi, portafoglio e cellulare e la raggiunse. Lei lo studiò con cipiglio critico, poi abbozzò un sorriso soddisfatto.

“Quel maglione grigio ti dona. Si abbina ai tuoi occhi.”

“Nessuno lo noterà, dato che terrò il cappotto per tutto il tempo.” sbuffò annoiato.

Deirdre ghignò saputa: “Non mi inganni, nipote. Lo vedo che sei impaziente. Oserei dire emozionato.”

“Pff! Ma fammi il favore.”

“Suppongo che Roman sarà alla festa.” disse in tono casuale, specchiandosi con finta aria indifferente nello specchio portatile che teneva in borsa per aggiustarsi l’impeccabile acconciatura.

“È probabile.” rispose neutro.

“Va tutto bene fra voi? Ti ho visto cupo negli ultimi giorni.”

“A meraviglia. Andiamo?”

“Non sei divertente.”

“È uno dei miei innumerevoli talenti.”

Deirdre roteò gli occhi, per poi fare una carezza sulla testa di Poe, che la osservava adorante appollaiato sul tavolo di cucina.

“Tu fa’ la guardia alla casa mentre non ci siamo.”

Il gatto miagolò e si strusciò sul suo braccio, avvolgendole la coda attorno al polso mentre faceva le fusa.

“Oh, ma quanto sei tenero! Piccolo e dolce amore della mamma. Chi è il più tenero felino del mondo? Sì, sei tu!”

“Nonna!” la richiamò spazientito Regan, fermo sull’uscio di casa.

“Arrivo, arrivo.” richiuse la borsetta, si abbottonò il cappotto e indossò guanti e sciarpa, “Ecco fatto. Su, in marcia.”

Giunsero alla fiera alle dieci. Le strade pullulavano di persone, famiglie con bambini, coppie, gruppi di amici. Tutti sorridevano. Alcuni passeggiavano tra le bancarelle di dolciumi, altri erano in fila per vedere le varie attrazioni. Due volanti della polizia e un’ambulanza stazionavano appena fuori dal cerchio di tendoni, nell’eventualità che qualcuno ne avesse bisogno.

Poco dopo, in mezzo al viale che separava le due file di bancarelle, Regan scorse i Sinclair. Ruby e Sean tenevano Trevor e Nina sulle spalle per dar loro la possibilità di ammirare il panorama dall’alto. Vincent e Tamara camminavano a braccetto, fermandosi di tanto in tanto a parlare con i venditori o assaggiare le leccornie esposte. Di Roman, però, non c’era traccia.

Ad un tratto, Regan vide Sean irrigidirsi. Seguì l’istinto e si nascose dietro un nutrito gruppo di marinai, che puzzavano di alcool da quattro soldi e pesce. Sean levò il naso per aria, ma poi scosse il capo e tornò ad ascoltare quello che diceva la figlia.

Regan esalò un sospiro di sollievo, prima di rimproverarsi e darsi del vigliacco. Perché diavolo si era nascosto? Lui voleva parlare con i Sinclair, non evitarli come la peste.

“Regan, che stai facendo?” gli chiese la nonna.

“Nulla. Tu che fai?”

“Penso che andrò a tenere compagnia alle altre vecchie comari. Tu hai già localizzato i tuoi amici?”

“Sì.” mentì.

“Ottimo. Non metterti nei guai. Ci vediamo dopo.”

“A dopo.”

Rimasto solo, decise di gironzolare per la fiera. Con un po’ di fortuna, avrebbe captato la scia di Roman prima che la festa raggiungesse l’apice. O che Lorie, Mike e le loro rispettive corti lo localizzassero tra la folla. Non aveva proprio nessuna voglia di farsi sballottare in qua e là e assordare dal cicaleccio.

Individuò Roman un’ora più tardi, di fronte al tendone colorato che ospitava gli equilibristi, non lontano dalla giostra. Era in compagnia dell’intera combriccola, meno qualche giocatore di basket.

Erano tutti laggiù, i popolari, un capannello di liceali impegnati a ridere e scherzare come se niente fosse e ingozzarsi di zucchero filato.

Strizzato tra due bancarelle, Regan osservò la scena con indifferenza. Era uno di loro anche lui, adesso. Avrebbe potuto raggiungerli, reclamare il suo posto, pretendere la loro attenzione e nascondersi lì in mezzo, ma respinse l’idea non appena si affacciò alla mente. Non era dell’umore adatto per fare il carino e fingere interesse.

Tornò ad osservare Roman. Lo vide immerso in una fitta discussione con Zack, mentre Jennifer gli stava attaccata al braccio come un parassita. Sbuffò, un pochino incredulo e parecchio deluso. Come poteva divertirsi, quello stupido di un licantropo, quando c’era un demone a piede libero?

Esalò un sospiro, infilò le mani nelle tasche del cappotto e voltò loro le spalle. Si addentrò nella bolgia a testa bassa, confondendosi tra la marea di gente assiepata sulla strada, incurante della direzione che aveva imboccato. Voleva solo allontanarsi. Non si accorse di come Roman dilatò le narici e fece saettare lo sguardo nel punto in cui si trovava pochi secondi prima, solo per scontrarsi con vuote ombre.

Il suo fiato si condensava in piccole nuvolette di vapore, che si disperdevano nell’aria dopo pochi secondi. Gli schiamazzi dei bambini e le voci concitate degli adulti facevano da sottofondo alla sua fuga attraverso bancarelle, giostre e tendoni.

Regan alzò lo sguardo verso il cielo, ma non c’erano stelle da ammirare. Spesse nubi si erano ammassate sulla città, oscurando gli astri. Almeno la neve aveva smesso di cadere.

Aveva appena superato la ruota panoramica quando inciampò su un bambino. Barcollò di lato e borbottò delle scuse, che gli morirono in gola nel momento in cui le sue orecchie registrarono l’ormai familiare sibilo. L’ansia gli annodò lo stomaco.

Si girò di scatto e cominciò a pedinare il bambino. Zigzagò per le bancarelle senza mai perderlo di vista. Sembrava che il bambino avesse una meta precisa in mente. Lo condusse lontano dalla fiera, in vicoli secondari deserti.

Presto, il rumore della folla venne inghiottito dal silenzio e Regan poté udire soltanto il ticchettio ritmico dei propri passi. Stranamente, quelli del bambino non producevano alcun suono.

Svoltò un’ultima volta a destra, nell’ennesimo vicolo a ridosso del porto. Si arrestò di colpo quando si rese conto che pure il bambino era immobile, di schiena. Con grande sconcerto, notò che indossava un pigiama azzurro con delle astronavi rosse. Non proprio l’abbigliamento più adatto per la stagione.

Regan smise di respirare nell’esatto istante in cui il bambino si girò.

Era Timothy Bruce, impossibile sbagliarsi. Aveva memorizzato il suo viso dopo averlo visto su decine di volantini. Eppure, appariva più emaciato, pallido e magro. I corti capelli biondi erano tagliati a scodella e la frangia incorniciava due occhi vitrei, privi di vita, e una bocca cucita con del filo nero.

Mentre Regan guardava, gli occhi bianchi di Timothy si infossarono, cedendo il posto a due orbite nere.

Teresa apparve alla destra di Timothy. Anche lei aveva le labbra cucite e gli occhi completamente bianchi, che si infossarono dopo qualche secondo.

Successivamente, dall’oscurità emersero Rupert, Evelyn, Joshua e la piccola Lucy.

I lampioni intorno a loro sfarfallarono e si spensero, precipitandoli nel buio.

Regan ci mise qualche istante per abituarsi al cambiamento. Non appena la sua vista si adeguò all’assenza di luce, si pietrificò e avvertì il sangue gelarsi nelle vene.

Il demone si stagliava innanzi a lui, alle spalle delle sue vittime. Il sibilo crebbe d’intensità, cancellando persino il suono del respiro e del battito di Regan.

I suoi sensi andarono in tilt. Le zanne scesero dalle gengive, le unghie si trasformarono in artigli affilati e le sue iridi rifulsero di un bagliore infernale.

“Chi sei?” proferì con voce cavernosa.

Il sibilo si trasformò in un coro cacofonico di urla, che pian piano presero forma. Più Regan ascoltava, più riusciva a distinguere lettere e sillabe. Infine, la sua mente elaborò ciò che quelle voci stavano ripetendo a oltranza.

“Io nasconderò loro il Mio volto e vedrò la loro la fine; sguinzaglierò demoni su di loro e i denti delle bestie velenose che strisciano nella polvere.”

Anche se non aveva mai sentito qualcuno parlare la lingua che stava ascoltando, il suo cervello tradusse subito senza alcuna fatica.

Quando le grida divennero assordanti, costringendolo a tapparsi le orecchie con le mani, il demone e le sue vittime scomparvero. I lampioni si riaccesero e i rumori della fiera riempirono di nuovo l’aria. Il vicolo era deserto.

Ancora scosso, si sforzò di regolarizzare il respiro. La cosa più saggia da fare sarebbe stato avvertire sua nonna. Tuttavia, decise di aspettare. Deirdre meritava di godersi la notte di Capodanno in pace. L’avrebbe informata l’indomani.

Il trillo del telefono lo fece sobbalzare. Borbottò imprecazioni colorite. Sfilandolo dalla tasca con mani tremanti, vide che aveva ventidue di messaggi non letti e una decina di chiamate perse da parte di Roman, Derek, Lorie, Mike e Deirdre. Da lontano, sentì un coro di gente che intonava il conto alla rovescia.

“…tre… due… uno…”

Fuochi d’artificio esplosero nel cielo, sopra il porto, e urla di giubilo si innalzarono per tutta la città.

 
*

La mattina seguente, Regan portò in cucina uno dei libri che gli aveva prestato Vincent, i suoi appunti personali sul demone, i volumi di demonologia che aveva preso in prestito giorni prima dalla biblioteca comunale e il computer. Deirdre, invece, piazzò sulle sedie la cappelliera con le erbe e le scatole dei cristalli. Lo scrigno dei tarocchi venne posato sul tavolo, nel caso in cui le venisse voglia di leggerglieli di nuovo.

“Allora, di cosa volevi parlare?” esordì la donna, occhieggiando curiosa il materiale che Regan stava ancora organizzando sul tavolo.

“Ieri, alla fiera, mi è successa una cosa. Ci arriverò per gradi. Per cominciare, lo vedi questo libro? Me lo ha prestato il signor Sinclair.” Regan brandì un tomo rilegato in pelle marrone, “Parla solo di vampiri, non di ibridi, ma durante la lettura mi sono imbattuto in un passaggio che ho trovato comunque utile per capire l’origine dei miei poteri. In un capitolo c’è scritto che alcuni vampiri possiedono capacità psichiche simili alle mie. Per esempio, sono in grado di mettersi in contatto con l’aldilà o vedere i fantasmi. È un potere raro, vantato solo dai più anziani. Detto ciò, la mia teoria è: o i vampiri che hanno ucciso mia madre erano anziani e mi hanno inavvertitamente trasmesso tali capacità, o io sono potente quanto un anziano. Entrambe sono alquanto improbabili, ma non impossibili.” sfogliò il libro e lo aprì al capitolo che menzionava l’argomento, “Il punto che ho trovato più interessante è qui, dove spiega l’origine delle capacità psichiche. Esse sono riscontrabili in una modesta gamma di creature, ma mai nei vampiri. Quelli che le possiedono, oltre a essere anziani e molto potenti, erano streghe o stregoni che sono stati vampirizzati.”

Alzò lo sguardo sulla nonna per studiare la sua reazione. La scoprì impassibile. Continuando a fissarla in silenzio, notò un leggero irrigidimento degli arti.

“So che io e te non siamo imparentati, perciò ti chiedo: devi dirmi qualcosa?”

“No.” rispose Deirdre, troppo sbrigativamente per risultare convincente.

“Nonna.”

“Va’ avanti.”

Regan si morse la lingua per impedirsi di insistere. Se sua nonna non voleva parlare, niente l’avrebbe smossa. Non significava che Regan avrebbe accantonato la questione, doveva solo aspettare il momento giusto per ritirarla fuori. Per ora schiacciò la curiosità in fondo alla coscienza e si impose di restare concentrato.

“Secondo questo libro, i poteri psichici sono un’arma a doppio taglio: permettono di vedere ciò che è celato e, al contempo, espongono la persona agli influssi del mondo spirituale. Della serie, se guardi dentro l’abisso, l’abisso guarderà dentro di te. Se questo è vero, esiste la concreta possibilità che il demone non solo sappia chi sono, ma che mi stia anche usando per aggiungere un po’ di pepe al suo gioco.”

“Stai dicendo che ti conosce?”

“Non so se mi conosce, ma non è da escludere. Non sappiamo di cosa sia capace, cosa abbia visto, o da quanto tempo sia in circolazione.” disse, lasciando che Deirdre unisse i puntini da sola, “Credo che mi abbia provocato sin dall’inizio, a partire dal primo incubo.”

“Non capisco, Regan.”

“Le voci? La musica orientale? Le visioni? Le apparizioni? Specchi per le allodole, provocazioni belle e buone, e tutte egualmente inutili. Non mi hanno condotto mai a niente. E poi i fantasmi non parlano, nonna. Perché hanno cominciato proprio pochi giorni prima della scomparsa di Teresa?”

“Vogliono avvisarti del pericolo.”

“Infatti ho salvato tutte le vittime, grazie a loro.” sbuffò sarcastico, “Per favore, rifletti. Riporta alla mente tutte le occasioni in cui un fantasma mi ha parlato, il momento e le loro parole.”

Deirdre tacque per un paio di minuti, il viso contratto in un’espressione assorta. Poi, pian piano, essa mutò in una maschera di sgomento.

“Eri sempre solo. A parte nel caso di Elizabeth, che si è mostrata a te mentre eri con Derek. Ma Derek non vede i fantasmi, quindi non c’era pericolo che interferisse. Quando sono sopraggiunta io, Elizabeth è scomparsa. Pensi che… quelli non fossero fantasmi?”

“Esatto. Sappiamo che gli spiriti dei defunti vengono portati via dai Mietitori subito dopo il funerale. Quelli che riescono a non farsi prendere diventano spettri e si dilettano a tormentare i vivi. Quelli che ho visto io non erano spettri, ma nemmeno fantasmi. Tutti mi sono apparsi giorni dopo essere stati sepolti.”

“Allora, cosa…?” balbettò confusa Deirdre.

Regan mise da parte il libro, aprì il quaderno degli appunti e sfogliò le pagine finché non trovò ciò che voleva.

“Ho pensato a due possibilità: o quelli erano fantasmi e il demone riesce a manipolarli, nonché a tenerli nascosti ai Mietitori, o sa come crearne un’illusione realistica, tanto da distorcere le mie percezioni. Gli indovinelli, le filastrocche, le frasi senza senso: non dovevano aiutarmi, ma farmi credere che volessero aiutarmi. Focalizzandomi su questo, intrigato sia dall’insolito avvenimento che dalle loro parole ingarbugliate e sconclusionate, convinto che avessero un significato, la mia confusione non ha fatto che aumentare. Mi ha mandato fuori strada o mi ha costretto a girare in tondo, mentre lui continuava a banchettare indisturbato.”

Deirdre scosse il capo: “La filastrocca parlava di Timothy. Perché fornirti un indizio se vuole solo confonderti?”

“Quand’è che ho capito che si trattava di Timothy?” 

“Quando era già troppo tardi.” sospirò consapevole la donna.

“Quand’è che ho capito che Matthew parlava di Teresa, o che Elizabeth parlava di Rupert, o che il corvo aveva un ruolo nella scomparsa di Evelyn e il gatto in quella di Lucy? Stessa risposta. Erano inganni camuffati da indizi. Sapeva che non avrei mai capito in tempo chi sarebbe stata la prossima vittima. È un gioco. Il suo gioco. E io sono una semplice pedina. Anzi, un giullare.” sibilò tra i denti, “Come osa? Venire a caccia nel mio territorio e prendermi per i fondelli così? Come osa?”

“Ma se è stato tutto in inganno… insomma, che senso ha? A cosa mira?”

“Divertirsi a mie spese mentre si riempie la pancia, magari.”

“Perché proprio te?”

“Questa è la vera domanda. Ma andiamo avanti.” indicò la pila di libri della biblioteca, “Sui libri di demonologia che ho consultato, ho trovato parecchi riferimenti a demoni che si manifestano come serpenti, ma mi sono reso conto che non è quello che cerco.”

“Perché no?”

“Innanzitutto, il demone non si è mai manifestato a me o ad altri in forma di serpente. Sì, c’è stato quel tizio di cui ha parlato Hillary, che ha detto che i serpenti gli avevano ordinato di suicidarsi, ma li ha visti davvero? O ha udito soltanto dei sibili, come è successo a me? Inoltre, la filastrocca diceva che un’ombra ha catturato un serpente e gli ha strappato la voce. Ergo, si serve di un serpente, ma non lo è.”

“Se così fosse, il campo si allargherebbe.”

“Non esattamente.” le rivolse un piccolo sorriso e girò verso di lei lo schermo del computer, “Ieri notte, le vittime del demone mi sono apparse. Tutte quante e nello stesso momento. Con il demone al seguito, ovvio. Quando gli ho chiesto chi fosse, nell’aria ho sentito un coro di voci urlanti, che presto si sono messe a recitare un breve passo del Deuteronomio, uno dei libri del Tanakh, la bibbia ebraica.”

Deirdre si mise a leggere il pezzo di testo evidenziato. Via via che proseguiva nella lettura, le sopracciglia si aggrottarono in palese confusione.

“La frase che ti hanno detto viene proferita da Dio. Il demone non è Dio.”

“Grazie, lo so. Ma guarda a che proposito la dice.”

“Gli ebrei avevano adorato divinità straniere…?”

“La parola ebraica è Shedim. Indica entità demoniache.” Regan prese uno dei libri di demonologia, lo aprì al segno che aveva lasciato e si mise a leggere, “Esistono tre tipi di Shedim: i Ruchot, che sono una specie di spiritelli, i Masiqim, responsabili delle epidemie, e i Chabalim. Il significato del nome di questi ultimi è ‘distruttori’, e solo loro nuocciono agli uomini. Sono legati ai serpenti, parlano con la loro lingua.”

“I sibili.”

“A-ha.”

“D’accordo, mettiamo che sia un Chabalim.” Deirdre intrecciò le mani sul tavolo e assunse un’aria pensierosa, “Perché avrebbe dovuto dirtelo? Insomma, non credi sia sospetto che ti abbia fornito la risposta con tanta facilità? Prima hai detto che ti ha ingannato con i fantasmi.”

A quelle parole, Regan si bloccò: “Oh. In effetti…”

“Abbiamo appurato che hai una connessione psichica con il demone. E lui lo sa, Regan. Deve saperlo, altrimenti qual è il motivo di tutti quegli inganni? Forse è stato il demone stesso a instaurarla volontariamente. Non credi che la userebbe a suo vantaggio? Se io fossi al suo posto, vorrei continuare a cacciare indisturbato. Per farlo, dovrei togliere di mezzo chiunque ostacoli il mio cammino. Dato che sono un demone, la mia arma principale è l’inganno, perciò lo sfrutterei per confondere le acque e indirizzare su una falsa pista coloro che mi minacciano.”

“Quindi?”

“C’è la possibilità che non sia un Chabalim, ma vuole che tu lo creda per farti cadere in trappola. I demoni sono subdoli per natura.”

“Oppure è sul serio un Chabalim e sapeva che, dicendomelo, non ci avrei creduto e mi sarei messo a girare in tondo in cerca di un’altra verità.” replicò.

“Sembra il paradosso dei cretesi.” mormorò Deirdre tra sé e sé.

“Cos’è?”

“Un giorno, un cretese disse ‘Tutti i cretesi sono bugiardi’. È la verità, nonostante lui sia cretese e, quindi, un bugiardo, oppure è una menzogna, dal momento che è cretese e bugiardo? Nel primo caso, il cretese è un bugiardo che, per una volta, dice la verità; nel secondo, è un uomo onesto che, per una volta, mente. Come si fa a capire quale è delle due?”

“Mi si sta intrippando il cervello.”

“Abbiamo a che fare con un paradosso. Il demone, attraverso le voci delle sue vittime – perché, secondo me, non sono state loro a decidere spontaneamente di parlare – ti ha fornito una risposta. Data la sua natura, è assai probabile che ti abbia mentito. Oppure, potrebbe averti detto la verità per una volta, tanto per vedere cosa avresti fatto. Però, rifletti. Quando rivelo al mio nemico le mie debolezze, è perché sono sicura di batterlo comunque. Lo faccio solo per soddisfare una curiosità, per scoprire come trarrà vantaggio dalla conoscenza e divertirmi un po’, sebbene io sappia già che i suoi sforzi, alla fine, saranno vani. Il demone forse sta facendo lo stesso con te. In caso contrario, ti ha semplicemente rifilato una menzogna per lasciarti, come hai detto tu, a girare in tondo su te stesso in cerca di indizi che non esistono. Devi stare attento, Regan. Non hai a che fare con un umano, ma con una creatura forte e molto intelligente.”

Al ricordo delle parole di Vincent che gli aveva riferito Roman, Regan raddrizzò la schiena e fissò Deirdre scioccato.

“Sono compromesso.” realizzò con un fil di voce, “Non posso più fidarmi di ciò che vedo, sento, sogno… merda. Nonna, che faccio?”

“Calmati. Cedere al panico non ti aiuterà. Cosa ti ho detto a proposito delle emozioni?”

“Che saranno la mia rovina se non le controllo. Hai ragione, scusa.”

Prese ampi respiri e si concentrò sul battito del proprio cuore, incoraggiandolo gentilmente a tornare regolare. Imbrigliò l’ansia, la paura e la rabbia in una rete e le trascinò giù, nei recessi della coscienza. Infine, spazzò via i dubbi e le incertezze e immaginò di trovarsi in mezzo a un deserto arido, freddo, dove nulla poteva toccarlo. Quando riaprì gli occhi, era di nuovo padrone di se stesso.

Il campanello suonò. Deirdre gli scoccò un’occhiata eloquente. Raccolse erbe, cristalli e libri e andò a nasconderli velocemente dentro gli sportelli della cucina. Regan spense il computer e andò ad aprire a Roman.

“Ciao. Scusa se ti ho chiamato così presto, ma è urgente.”

Roman borbottò parole insensate e si trascinò dentro casa come uno zombie. Deirdre salutò calorosamente il licantropo, poi salì le scale per andare in camera a vestirsi, dato che era ancora in vestaglia.

“Spero che sia importante. Ho dovuto rifilare una scusa a mio padre e non credo che se la sia bevuta. Se scopre che sono qui, saranno dolori.” disse Roman mentre si lasciava cadere a peso morto su una delle sedie in cucina.

“Ciò che ho scoperto gli sarà utile.”

Roman grugnì. Quando Regan lo aveva chiamato, strappandolo brutalmente a un bellissimo sogno, era saltato giù dal letto per correre da lui. Dalla voce gli era parso agitato, ma a vederlo ora era il ritratto della calma. Annusandolo, Roman captò una vaga scia di ansia, coperta da strati e strati di completo e terribilmente inquietante nulla. Aggrottò le sopracciglia, confuso.

“Ma tu sei venuto ieri alla fiera? Non ti ho visto.”

“Ero con mia nonna.” rispose Regan, “Ora sta’ zitto e ascoltami. Ieri notte, il demone mi ha contattato una quarta volta. Ha usato Timothy Bruce per attirarmi in un vicolo, lontano dalla fiera. Lì le sue vittime mi hanno rivelato la sua natura. È uno Shedim, come ti ho accennato al telefono. Un demone della mitologia ebraica.”

Tenne per sé i nuovi dubbi che Deirdre aveva fatto sorgere in lui poco prima. Infatti, se Roman avesse adottato la pista dello Shedim, Regan sarebbe stato più libero di vagliare altre ipotesi senza distrarsi.

 “Ti ha contattato ieri notte?” esclamò, improvvisamente sveglio.

Regan gli lanciò un’occhiata carica di sussiego: “Buongiorno, Roman. Gradisci una tazza di tè per svegliarti?”

“Non è colpa mia se sono rallentato, hai interrotto il mio sonno. Sono andato a letto alle quattro del mattino e adesso sono appena le…” guardò l’ora sul cellulare, “Ma che cazzo, Regan. Sono le nove!”

Il moro roteò gli occhi e gli diede un paio di schiaffetti leggeri sulla guancia.

“Sorgi e splendi, principino. Comunque, dicevo, si tratta di uno Shedim. In particolare, ritengo sia un Chabalim. Non ne ho le prove, ma vale la pena tentare questa strada. Riferiscilo a tuo padre, così-”

“Dov’è Poe?” lo interruppe Roman.

“Chi se ne frega del gatto!” sbottò il moro.

Il licantropo sussultò per lo spavento: “Wow. Non ti ho mai visto ridotto in questo stato.”

Regan si massaggiò l’attaccatura del setto nasale con due dita e inspirò lentamente.

“Sei insopportabile.”

“Da che pulpito! Okay, sono sveglio. Ti ascolto. Non fissarmi con quella faccia da serial killer! Dico davvero, ci sono. Puoi riassumermi i punti principali della tua scoperta?”

“Che cosa ti ricordi?”

“Demoni ebraici… championship…”

“Chabalim.”

“Ci sono andato vicino.”

Regan rilasciò un sospiro esasperato. Quindi ricapitolò le sue scoperte, narrando di nuovo gli eventi della notte di Capodanno.

“Timothy Bruce è vivo?”

“No, è morto.”

“Ma se era davanti a te, in piedi… ha pure camminato! Oh! Era uno zombie?”

“Penso che fosse un’illusione, o un retaggio visibile della sua anima. Il demone li divora, Roman. Quello era… un rigurgito. Un’esca. Per me.”

Roman fece una smorfia disgustata quando immaginò il demone che vomitava un pezzo di anima.

“Okay. Shedim. Chabalim. Ricevuto.”

“C’è anche un’altra cosa, Roman.”

“Mh?”

“Forse tuo padre ha ragione. È probabile che il demone abbia qualcosa in serbo per me, dato che sono l’unico a cui si è manifestato più di una volta. Sono compromesso.”

“Regan, non-”

“Dirai a tuo padre di cercare tutte le informazioni che esistono sui Chabalim. E tu, caro lupacchiotto,” puntò lo sguardo deciso su Roman, “d’ora in poi dovrai starmi lontano. Se il demone ha in mente qualcosa per me, non si farà scrupoli a coinvolgere le persone che mi ronzano intorno. Contattami pure per telefono, ma non avvicinarti. Non puoi prevedere che cosa potrei fare sotto l’influsso di una creatura tanto maligna. Promettimelo.”

“Regan, ho giurato che avremmo affrontato questa sfida insieme. Non ti volterò le spalle per salvarmi la pelliccia.” ribatté, alzandosi in piedi, “Non puoi sconfiggerlo da solo. E se davvero sei una sua marionetta, avrai bisogno di qualcuno che tagli i fili.”

Regan lo afferrò per il giubbotto e lo sospinse con decisione verso la porta: “Ti chiamerò. Abbi cura di te. Se ci saranno novità, ci aggiorneremo a vicenda.”

Roman puntò i piedi sul portico e fece resistenza, ma, prima che potesse aprire bocca per protestare ancora, Regan gli sbatté la porta in faccia.

Rimasto solo, Regan strinse i pugni e si morse a sangue la lingua. Si ripeté che aveva fatto la cosa giusta. Allontanandolo, avrebbe tenuto Roman al sicuro. Non aveva idea di come o quando fosse successo, ma si era affezionato a quel cucciolo rognoso. Non voleva che gli accadesse qualcosa.

La giornata passò lenta, all’insegna di ricerche sulla demonologia e mitologia ebraica. Nel pomeriggio, Deirdre riemerse dal seminterrato e andò a farsi una doccia. Quando si fu rivestita, invitò Regan a raggiungerla in cucina. Nell’attesa, si mise a preparare il tè.

Seduto a tavola con una tazza di tè bollente fra le mani, Regan notò la sua espressione e si preoccupò.

“Di che si tratta?” chiese esitante.

Deirdre prese posto sulla sedia accanto a lui e tergiversò. Questo, più della postura rigida e dello sguardo sfuggente, allertò Regan.

“C’è una cosa che ti ho tenuto nascosta da quando sei nato.” mormorò nervosa, “Prima hai detto che le abilità psichiche si riscontrano nei vampiri che, una volta, erano streghe o stregoni.”

“Sì. E…?”

“Tua madre, Shannon, era una strega.” dichiarò senza mezzi termini, scoccandogli un’occhiata intensa, “Ciò fa di te uno stregone. La magia è ereditaria, come sai. Sono rarissimi i casi come il mio, in cui il figlio di una strega e uno stregone nasce privo di poteri. Tu sei uno stregone vampirizzato. In un modo anticonvenzionale, ma sei stato vampirizzato. Sangue di stregone più sangue vampiro, uguale: poteri psichici.”

Regan sbatté le palpebre varie volte, faticando a digerire la notizia.

“Una strega.” ripeté scettico dopo un minuto di totale silenzio.

“Il suo nome non era Shannon Tally, ma Shannon Morgan. La congrega Morgan discende dall’antica dinastia dei Morrigan, che ha radici in Irlanda e in Galles. I Morgan sono ancora molto riveriti in tutti i circoli di streghe del mondo. Sono una leggenda. Anche in passato erano considerati come una specie di famiglia reale. Si dice che la prima strega Morgan, o Morrigan, come dir si voglia, sia vissuta all’epoca dei vichinghi e che la più potente abbia dato il nome alla congrega: colei che è passata alla storia come Fata Morgana. Secondo la tradizione, il loro potere ha origine da niente meno che Arawn, il dio gallese dell’oltretomba. Dopo aver seguito i primi coloni in America, scelsero di chiamarsi Morgan, che era più diffuso e meno altisonante, sia per mimetizzarsi tra la gente comune, sia per non attirare le attenzioni dei cacciatori e di altre creature che si erano inimicati.”

Regan la scrutò per lunghi istanti, aspettandosi di vederla scoppiare a ridere da un momento all’altro. Ma Deirdre mantenne l’aria solenne, segno che era mortalmente seria.

“Mia madre era una strega.” articolò, scandendo bene le parole.

“Sì. Una strega Morgan, per l’esattezza.” ripeté paziente, “Quando arrivò ad Ashwood Port, cambiò il suo cognome in Tally. Mi disse di essere stata disconosciuta per la sua tresca con tuo padre e per tale motivo non poteva più fregiarsi del nome dei Morgan.”

“Perché me lo stai dicendo solo adesso?” le domandò in tono pacato, anche se dentro ribolliva di rabbia e delusione.

“Avevo paura che reagissi male alla scoperta. Te lo avrei rivelato, credimi, ma più avanti, quando avessi compiuto diciotto anni. Se non fosse per questo dannato demone…” scrollò il capo e gli rivolse un sorriso amaro, “Per sconfiggerlo ti serviranno armi che ancora non possiedi, che io non posso darti. Io so dove risiedono oggi i Morgan, ti manderò d loro. Condividi con loro il sangue, appartieni alla congrega per diritto di nascita. Va’, impara l’arte occulta e scopri come bandire un demone.”

Regan si rabbuiò e prese a mordicchiarsi l’unghia del pollice: “Nonna.”

“Mh?”

“Quei due vampiri l’hanno uccisa perché era una strega?”

“Non lo so.”

“E se era una strega, perché non ha usato la magia per proteggersi?”

“Ti stava partorendo. Il suo corpo era già sotto sforzo. Non ne ha avuto la possibilità.”

“Dici che hanno aspettato che fosse vulnerabile per attaccarla?”

“Io non lo so.” reiterò in un sussurro Deirdre, “Ma, forse, i Morgan potranno rispondere alle tue domande.”

“Non credo. Hai detto che Shannon è stata disconosciuta. Io sono suo figlio, non ho alcun diritto di reclamare il mio posto tra loro. Non penso che mi accoglieranno a braccia aperte.”

“Non si dovrebbe ritenere i figli responsabili degli errori dei propri genitori.”

“No, ma spesso è così.”

“Fa’ un tentativo.”

“Pensi che potrebbero davvero aiutarmi con il Chabalim, o quello che è?”

“La magia è come un albero che affonda le radici in tutte le religioni del mondo. Una cosa richiama a un’altra, e un’altra ancora. È tutto collegato. Bisogna solo capire quale rituale usare e quali ingredienti. Ma, in particolare, occorre il potere. Se tu lo nutrirai, sono certa che diventerai abbastanza forte da contrastare il demone. E ti aiuterebbe anche a controllare la sete.”

“Perché?”

“Sei un ibrido. Il segreto sta nel trovare il giusto equilibrio nella tua duplice natura. Finora, la parte vampira ha regnato indiscussa sull’altra, poiché non sapevi di avere sangue magico nelle vene. Credo che, se svilupperai la parte che hai ereditato da Shannon, sarai in grado di bilanciare il vampiro. Allora, non avrai più problemi di gestione della rabbia o degli impulsi animali che governano il vampiro.”

“Sembra allettante. Dove abitano i Morgan?”

“Athens, Ohio.”

Mentre Regan riaccendeva il pc per prenotare i biglietti dell’autobus, mormorò: “Non posso ancora perdonarti per aver taciuto. Ci vorrà un po’, suppongo.”

“Certo, lo capisco. Mi dispiace.”

Regan mugugnò distrattamente. Il sito che stava consultando diceva che la partenza più vicina sarebbe stata il 5 gennaio, ossia lunedì. Il pullman sarebbe partito da Salem nel tardo pomeriggio.

“Cosa farai fino a lunedì?” chiese Deirdre.

“Devo finire i compiti delle vacanze.”

“Non sei divertente quando sei così responsabile.”

“È uno dei miei pochi difetti.”

Deirdre mascherò il sorriso dietro uno sbuffo scocciato e accolse Poe sulle ginocchia.

La sera, dopo cena, Regan scrisse un messaggio a Roman, dove lo informava che si era messo in contatto con un rabbino di una sinagoga in Ohio, nella speranza di ricevere ulteriore aiuto e delucidazioni sulla minaccia che stavano fronteggiando. Si sarebbe recato lì per un consulto a partire da lunedì e sarebbe stato via al massimo una settimana. L’amico ci rimase male, perché Regan si sarebbe perso il suo diciottesimo compleanno, ma alla fine capì. Sconfiggere il demone era più importante.

Rifilò la storiella anche a Derek, quando il cacciatore venne a trovarlo domenica. Gli raccontò quanto era accaduto a Capodanno e si scusò per non aver fatto rapporto subito, ma voleva essere sicuro della sua teoria. Se la fortuna lo avesse assistito, avrebbe trovato le conferme che cercava in Ohio. Cosa che pianificava di fare, tra le altre cose, quindi non era una bugia. Derek non parve contento, avrebbe voluto accompagnarlo, ma Regan rifiutò.

Lunedì pomeriggio, in piedi in mezzo all’ingresso con un borsone sulla spalla, Regan salutò Deirdre con un freddo cenno del capo. Lei lo abbracciò stretto e gli raccomandò di stare attento. Regan non le rispose. Ce l’aveva ancora con lei per avergli nascosto un dettaglio tanto importante sulle sue origini. Non capitava spesso di scoprire di essere figlio di una strega. Tutto quel tempo sprecato, quando avrebbe potuto iniziare a studiare la magia sin da bambino!

Porca vacca, sono mezzo stregone! È una figata pazzesca! Mi daranno una bacchetta magica?

Fischiettando C’est Si Bon di Louis Armstrong, uscì e raggiunse a piedi la stazione degli autobus, per prendere quello diretto a Salem. Da lì, sarebbe salito sul pullman per l’Ohio.

Destinazione: Athens.









 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Lady1990