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Autore: Lamy_    16/04/2019    1 recensioni
Ernest Hemingway ha scritto che «il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide.»
Thomas Shelby era uno degli spezzati, ma non uno di quelli forti. La guerra aveva dilaniato la sua anima, l’aveva fatta a brandelli e l’aveva ingurgitata, e al suo ritorno niente era stato più come prima.
Divenuto il leader dei Peaky Blinders, domina su Birmingham e tenta in tutti i modi di proteggere la sua famiglia. Il destino, però, vuole che Thomas si imbatta nella donna che gli ha salvato la vita.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. GUERRA SENZA FINE
In the bleak midwinter
Frosty wind made moan,
Earth stood hard as iron,
Water like a stone;
Snow had fallen.”

 (Christina G. Rossetti, In the Bleak Midwinter)
 
 
Tre settimane dopo.
Amabel quella mattina si trascinò in bagno, si dedicò a un bagno caldo, e poi iniziò a spazzolarsi i denti. Era terribilmente stanca. Di mattina lavorava in ospedale e il pomeriggio si dedicava allo studio medico a Small Heath. Il problema non erano i doppi turni, ma erano le continue medicazioni che più volte al giorno doveva offrire ai Peaky Blinders. Era incredibile la quantità di ferite che riuscivano a collezionare gli uomini degli Shelby nel giro di due ore. Thomas Shelby aveva apportato un cambiamento al loro accordo: settimanalmente le consegnava una somma di denaro per comprare il materiale per curare i suoi sottoposti, oltre ai soldi che aveva già accreditato sul conto in banca di Amabel. Nelle tre settimane passate lo aveva incontrato raramente, si erano limitati ad un saluto di cortesia, e ognuno aveva ripreso la propria strada. In un attimo la porta del bagno si spalancò e Evelyn e Diana invasero la stanza.
“Ritira quello che hai detto, brutta strega!” sbraitò Evelyn, in camicia da notte, con i capelli scompigliati. Diana scoppiò a ridere e scosse la testa.
“Non ci penso proprio. Resto della mia posizione.”
“Io ti strozzo!”
Quando Evelyn tentò di afferrare la più piccola, Amabel si mise fra le due con ancora lo spazzolino in bocca.
“Che state facendo?”
“Diana dice che le bomboniere che ho scelto per il mio matrimonio sono orribili!”
“Perché è vero! Guarda, Bel, e dimmi se non è orribile.”
Diana le passò uno strano oggetto pesante e luminoso, e Amabel storse le labbra.
“Esattamente che cos’è?”
“E’ una farfalla di cristallo. E’ fine ed elegante, come dice la madre di Jacob.” Spiegò Evelyn portandosi le mani ai fianchi con fare altezzoso.
“Una farfalla di cristallo? Andiamo, Evelyn, lo sai che costano troppo. Non puoi scegliere qualcos’altro?”
“Io cosa? Scegliere qualcos’altro? Amabel, sei impazzita?!”
Amabel si risciacquò e si pulì la bocca dal dentifricio, quindi ospitò le sorelle nella sua camera.
“No, sto solo riflettendo sui costi. Dobbiamo già comprarti un vestito costoso, dobbiamo pagare i fiori e ora come ora le bomboniere di cristallo non rientrano nel budget. Lo sai che papà ha lasciato una dote a ciascuna di noi e non possiamo sforare.”
“Non farò la parte della miserabile per colpa tua! Cosa penserà di noi la famiglia di Jacob? Penserà che siamo delle poveracce e non vorrà più sposarmi.” Si lamentò Evelyn, i capelli biondi simili a quelli della madre erano lunghi fino alla schiena e le ondeggiavano intorno come un mantello.
“Sii ragionevole, Evelyn. Il matrimonio inizia a costare davvero troppo per le nostre tasche.”
“E’ tutta colpa tua, Amabel! Tutta colpa tua. Non saresti mai dovuta ritornare!” urlò la sorella per poi voltarsi e nascondersi in camera sua. Diana, che era rimasta in silenzio sino ad allora, sospirò gettandosi sul letto.
“Io sono dalla tua parte.”
Amabel fece un mezzo sorriso, almeno non era da sola. Baciò la fronte di Diana e l’abbracciò.
“Grazie. Adesso va a prepararti, ti accompagno a scuola.”
 
 
Michael scrisse velocemente un paio di note sul suo taccuino, le rilesse e poi consegnò i fogli a Amabel. Si era recata dagli Shelby per avere una consulenza del contabile circa le spese del matrimonio di Evelyn.
“Allora, qual è la situazione?”
“Questo matrimonio verrà a costare più di quanto costi attualmente la tua casa e lo studio insieme. Dall’abito alle bomboniere, dai fiori al menù, è tutto molto costoso.”
Amabel sospirò e si passò una mano sulla fronte nel totale sconforto.
“Non c’è modo di arginare le spese?”
“Dovreste risparmiare su tutto. Facendo scelte diverse, si abbassano le spese. Questo è l’unico consiglio che posso dare.” Disse Michael, richiudendo il taccuino.
“D’accordo. Beh, ti ringrazio molto. Adesso vado. Buona giornata, Michael.”
“Buona giornata a te.”
Amabel si alzò, gli strinse la mano con un sorriso educato e uscì in strada. Michael per ora era l’unico degli Shelby con cui aveva legato, era un ragazzo cortese con lei e l’aiutava con i conti. Quando imboccò il viale, andò a sbattere contro qualcuno.
“Dottoressa Hamilton.” Pronunciò la profonda voce di Thomas Shelby. Amabel si sistemò il soprabito e alzò lo sguardo su di lui.
“Salve, signor Shelby.”
“Che ci fate qui? Mi auguro che non abbiate nessun problema.”
“Oltre ai vostri uomini che affollano il mio studio tutti i giorni, non ho problemi con voi. Ero qui per discutere di economia con vostro cugino Michael.”
“Avete difficoltà economiche?”
“No.” Ripose secca Amabel, facendo ridacchiare Thomas.
“Suvvia, dottoressa, adesso siamo collaboratori e una chiacchierata non fa male a nessuno.”
Thomas tirò fuori dalla giacca il contenitore delle sigarette, ne accese una e se la portò alle labbra.
“Il matrimonio di mia sorella è molto costoso. Lei pretende il massimo perché sta sposando il fratello del sindaco ma io non ho tutta la disponibilità economica che lei esige. Mi sa che la deluderò.”
Iniziarono a camminare verso lo studio, ubicato in fondo alla strada, mentre il distretto di Small Heath si svegliava.
“Potreste usufruire del denaro che ho depositato sul vostro conto.”
“Non potrei mai, signor Shelby. Vedete, quel denaro è l’unica assicurazione che ho perché non vi prendiate il mio studio medico. Non sarò tanto sciocca da giocarmelo.”
Thomas piegò l’angolo della bocca verso l’alto, in un ghigno divertito dalla sincerità della donna. Quella mattina indossava un capello verde acqua sormontato da una piuma, esuberante come suo solito.
“Voi non vi fidate di me? Mi ritengo offeso.”
“Neanche voi vi fidate di me, il che è plausibile. Non ci conosciamo e non c’è garanzia che non ci tradiremo.”
Thomas si fermò, spense la sigaretta e le si parò davanti.
“Avete intenzione di tradirmi, dottoressa Hamilton?”
Amabel per qualche istante si perse ad ammirare i suoi grandi occhi azzurri, erano belli, ma tanto tormentati.
“E voi volete tradire me, signor Shelby?”
“Voi non lasciate mai agli altri l’ultima parola.” Rise Thomas, colpito dal coraggio con cui quella donna lo affrontava. Amabel fece spallucce.
“Non vedo per quale motivo voi dobbiate avere l’ultima parola. Sarete anche temuto e rispettato dalla vostra gente, Thomas Shelby, ma con me non funziona il vostro carattere intimidatorio. Ho vissuto la guerra e non ho paura di un uomo che teme di essere interdetto da me.”
Thomas aggrottò le sopracciglia mentre rifletteva sulle parole di Amabel.
“Avete vissuto la guerra?”
“Ho lavorato come medico in Francia, in due accampamenti. Era l’inferno.”
Amabel aveva notato che Thomas era passato da un atteggiamento sereno all’essere turbato, i suoi occhi si erano fatti più scuri come se qualcosa di negativo navigasse in essi.
“Già. Devo tornare a lavoro. Vi auguro una buona giornata.” Le disse, e un secondo dopo si stava già allontanando. Amabel sbuffò, non aveva tempo da perdere perché doveva iniziare il turno in ospedale.
 
 
Erano le cinque e mezzo del pomeriggio quando Diana raggiunse Small Heath. Il tanfo di fumo e di benzina era insopportabile per lei che abitava nella villetta di un altolocato quartiere lontano dalle fabbriche e dai treni. Aveva da poco finito le lezioni e si era ricordata di dover comunicare una notizia a Amabel. Aveva frequentato poche volte lo studio di suo padre e quando era una bambina, pertanto non sapeva bene dove fosse. Adocchiò due ragazzi ben vestiti per strada, nei pressi di un pub, e si avvicinò a loro con cautela.
“Scusate, spero di non disturbare.”
Il ragazzo più alto si girò e spalancò gli occhi, non capitava tutti i giorni che una ragazza per bene si trovasse da quelle parti. Aveva i capelli castani acconciati in due trecce, il viso non riportava tracce di trucco, e indossava una divisa scolastica.
“Ti serve qualcosa?”
“Sto cercando lo studio medico hamilton ma credo di essermi persa.”
“Finn, accompagnala tu. Io vado da Arthur.” Disse uno dei due, quello che sembrava essere il più grande, poi andò via.
“Seguimi, ti ci porto io. Io sono Finn Shelby.” Disse il ragazzo, alto e magro, con una spruzzata di lentiggini sul viso pallido. Era molto carino.
“Io mi chiamo Diana Hamilton.”
“Quindi lo studio è tuo?”
“Oh, no. Era di mio padre in passato e adesso è di mia sorella. Si chiama Amabel, forse la conosci.”
“La conosco. Mi ha curato un tremendo dolore alla spalla settimana scorsa. Mi piace, è molto simpatica.” Disse Finn con un alone di rossore sulle gote. Diana sorrise, lo trovava tenero.
“Sì, lei è davvero una bella persona.”
Proseguirono per qualche altro metro, finchè Finn non si arrestò davanti alla porta chiusa dello studio.
“Ecco qui, siamo arrivati.”
“Però mi toccherà aspettare.” Si lamentò Diana, indicando col dito il cartello sulla porta. Finn parve confuso.
“Di che parli? La dottoressa è dentro.”
Diana sollevò le sopracciglia con fare interrogativo.
“No, Finn. Il biglietto dice un’altra cosa.”
“Ah, sì. Il fatto è che io … beh … io non so leggere.” Ammise il ragazzo, abbassando lo sguardo sull’asfalto consunto. Diana aprì e chiuse la bocca, era scioccata. Non aveva mai conosciuto un analfabeta, ma era anche vero che aveva a che fare solo con gente ricca e colta da quando era nata. Ripensò ai ragazzi della sua scuola, a come si comportavano da bambini viziati sebbene avessero sedici anni, e la intenerì l’umiltà con cui Finn si era confidato.
“Te lo insegno io, se vuoi.” Propose allora con un sorriso imbarazzato. Gli occhi di Finn saettarono su di lei quasi fosse un fiocco di neve caduto in estate.
“Dici davvero?”
“Certo! Nello studio c’è uno stanzino per le scope, ma potremmo adattare un paio di sedie e ricavare un posticino tranquillo. Io il martedì esco da scuola alle quattro e potrei venire qui a insegnarti.”
“E io in cambio cosa dovrei darti?”
L’ingenuità di Finn colpì Diana, era un ragazzo molto timido e sensibile, era evidente.
“Non dovresti darmi nulla. Non lo farei per un mio tornaconto, vorrei solo aiutarti. Che ne dici?”
“Dico  che va bene. Qua la mano!” disse Finn con un sorriso, quindi sigillarono l’accordo con una stretta di mano.
“Diana! Finn! State bene?” esordì la voce di Amabel alle loro spalle, era affannata e aveva i capelli in disordine. La sorella annuì e l’abbracciò velocemente.
“Stiamo bene. Tu, piuttosto, sembri sconvolta.”
“Ho appena fatto nascere un bambino, sono sfinita. Sette ore di travaglio, un vero incubo!”
“Allora la tua giornata non migliorerà. Sono qui per ricordarti che stasera andiamo a cena con i suoceri e il cognato di Evelyn, alle venti al White Rose.” Disse Diana, grattandosi la nuca. Amabel si sedette sugli scalini dello studio e si mise la mani in faccia, quella giornata stava andando a rotoli.
“Perfetto. Una meraviglia. Che orrore!”
Finn rise e Diana con lui, era comico vedere Amabel borbottare.
“Dobbiamo andare a casa a prepararci, altrimenti Evelyn ci assillerà a vita. Andiamo, forza!”
Amabel si assicurò che la porta dello studio fosse chiusa, aggiustò gli strumenti medici nella borsa e si infilò la giacca.
“Andiamo.”
“Noi ci vediamo settimana prossima, Finn. Ciao!”
“Ci conto!” la salutò Finn con un sorriso, poi le diede la schiena e se ne tornò a casa. Amabel arricciò il naso.
“Perché vi vedrete settimana prossima?”
“Perché insegnerò a Finn a leggere e a scrivere. Abbiamo fatto un accordo.”
“Bene.”
Amabel pensò che con gli Shelby le cose si stessero soltanto ingarbugliando. Più cercava di tenerli distanti e più si accordava a loro. Era entrata in un circolo vizioso e aveva trascinato anche Diana.
 
Evelyn continuava imperterrita a ridere come una donna pettegola a qualsiasi cosa dicesse suo cognato Dominic. Erano ormai arrivati a fine cena, attendevano soltanto il dolce. Amabel era stanca, non ne poteva più di tutto quel futile chiacchiericcio e il vestito viola che era stata costretta a indossare le faceva venire il prurito. Barbara, la madre di Jacob, parlava con Diana di seta e pizzo, mentre il padre Phil fumava un sigaro.
“Evelyn mi ha detto che sei stata in guerra. Deve essere stato terribile.” Esordì Dominic in direzione di Amabel, che sbatté le palpebre più volte per risvegliarsi.
“Ehm, sì, è stato terribile. L’unica cosa che la guerra insegna è che non dobbiamo fare la guerra.”
“Sciocchezze! La guerra ci permette di imprimere la nostra egemonia sui deboli.” Disse con fermezza Phil, accarezzandosi i baffi. Evelyn colpì Amabel alla caviglia prima che reagisse in malo modo, al che la dottoressa si limitò a bere un po’ d’acqua per schiarirsi la voce.
“Allora, Jacob, so che ti occupi della fabbrica di famiglia. Quali sono le tue mansioni?”
Jacob era un bel giovanotto di ventitré anni, capelli ricci neri e sguardo verde smeraldo sempre inclinato in un ammiccamento. Sedeva accanto a Evelyn e le stringeva la mano sul tavolo. Sebbene apparisse come un bravo ragazzo innamorato, c’era qualcosa in lui che non piaceva a Amabel.
“Io dirigo la fabbrica. Do gli ordini, assumo, licenzio e firmo scartoffie. Nulla di che. La vera stella della famiglia è Dominic.” Disse il ragazzo con un sorriso rivolto al fratello.
Dominic, stessi occhi verdi del fratello ma con i capelli lisci e ben pettinati, era stato da poco eletto sindaco e aveva lasciato gli affari di famiglia per dedicarsi alla città. Ovviamente era lo scapolo d’oro a cui tutte le fanciulle di buona famiglia aspiravano, però sembrava che lui non volesse sposarsi né avere figli.
“Non sono una stella, sono semplicemente il sindaco.” Rispose Dominic sfoderando un sorriso raggiante, quello che conquistava le donne. Amabel avrebbe voluto vomitare l’anatra arrosto per tutta la superbia che serpeggiava nella famiglia Cavendish, e dello stesso parere era Diana, che annuiva senza prestare davvero ascolto. Eppure, da brave sorelle, rispettavano la felicità di Evelyn e tentavano di fare del loro meglio.
“E tu oltre a curare gli ammalati, cosa fai? Hai un amore?” le chiese Barbara, accollandosi meglio lo scialle sulle spalle. Amabel sorrise sorniona perché si aspettava quella domanda, ma aveva un risposta che non ammetteva repliche.
“Il mio unico amore sono il lavoro e le mie sorelle. Non ho tempo per altro.”
“Mi piace il tuo modo di ragionare.” Si complimentò Dominic e le riservò un’occhiata maliziosa.
 
Quando Thomas arrivò al White Rose, la gente si spostò di lato per farlo passare. Si accese una sigaretta e prese qualche tiro prima di fare il suo ingresso nella sala principale. Arthur e Michael erano rimasti a casa, ignari del suo piano. Prese posto al bancone e ordinò un whiskey irlandese. Perlustrò la stanza e individuò Noah Meyer in compagnia della sorella Lena. I Meyer avevano comperato altri due edifici e stavano guadagnando terreno a discapito degli Shelby. Thomas non capiva quale fosse il loro scopo e doveva scoprirlo prima che la sua famiglia venisse spodestata. Birmingham era una città diversa dopo la guerra, adesso inseguiva l’onda del successo e si inginocchiava ai piedi di chiunque le promettesse un briciolo di pietà. Noah e Lena si spacciavano per due semplici svizzeri in vacanza nella cittadina inglese, nessuno sospettava di loro e si muovevano nell’ombra. Vagando tra i volti, i suoi occhi riconobbero Amabel Hamilton. Era al tavolo con i Cavendish, ed era evidente che si stesse annoiando.
“Desiderate altro?” gli domandò il cameriere, chino sul bancone.
“Vedi la signorina vestita di viola con i Cavendish? Dille di recarsi in giardino perché un uomo ha avuto un malore.”
 
 
Quando Amabel sopraggiunse in giardino con il fiatone, si guardò intorno stranita. Nessuno si stava sentendo male. Il cameriere era rientrato e l’aveva lasciata da sola.
“Dottoressa.”
Riconobbe all’istante quella voce bassa e roca, logorata dal fumo e dall’alcol. Voltandosi lentamente, vide Thomas Shelby accomodato su una panchina di marmo bianco. Al chiaro di luna i suoi occhi sembravano brillare, oppure era l’effetto del whiskey che stava bevendo.
“Siete serio? Avete interrotto la mia cena con una scusa banale. Siete davvero incredibile, signor Shelby.” Disse lei con stizza, incrociando le braccia sotto il seno.
“Più che altro vi ho salvata dalla vostra cena, sembravate annoiata. Mi sbaglio?”
“Per caso mi state seguendo?”
Thomas rise, mandò giù l’ultimo goccio di alcol e si mise in bocca una sigaretta.
“Non vi seguo, dottoressa. Sono qui per affari che esulano dalla vostra persona. Mi dispiace aver interrotto la cena con la vostra futura famiglia.”
Amabel sospirò, si sedette affianco a lui e si lisciò le pieghe della gonna.
“Avete ragione, la cena mi annoiava. Anzi, mi stavo irritando. Il padre di Jacob ha asserito che la guerra è utile a imprimere la nostra egemonia sui deboli. Disgustoso!”
Thomas cacciò il fumo che si dissolse tra di loro in modo graduale, quasi volesse nasconderli l’uno dall’altra.
“Stamattina avete detto di aver servito come medico in Francia. Siete una donna e siete giovane, perché siete partita?”
“Mi  stavo laureando quando scoppiò la guerra. Tutti andarono nel panico e il mondo si preparò a combattere. L’università convocò tutti gli studenti di medicina prossimi alla laurea per chiedere chi volesse intraprendere la carriera da medico di guerra, ma nessuno ebbe il coraggio di farsi avanti. Mi proposi io dopo qualche minuto di silenzio, lo feci perché ero una donna e volevo dimostrare a tutti il mio valore. Mio padre non si oppose, sapeva che avevo ragione, e lasciai Birmingham l’indomani. Fui inviata in Francia e mi assegnarono come medico principale in entrambi gli accampamenti. Ero una bambina che gestiva la vita di centinaia di uomini. Sapete, signor Shelby, ne ho salvati molti e altrettanti sono morti, però le vittorie non compensano mai le perdite.”
“Non esiste vittoria in guerra, tutti perdono miseramente.” Replicò Thomas, accendendosi l’ennesima sigaretta. Amabel annuì piano, e sembrava quasi che nel silenzio del giardino riecheggiassero le urla dei soldati che non era riuscita a salvare.
“Nella vita in generale non esiste vittoria alcuna, signor Shelby. La vedete quella gente nel locale? Beve, mangia, ride e difende la guerra, eppure non hanno la minima idea di cosa sia davvero la vita. Non hanno idea di cosa sia la cruda sofferenza. Hanno perso proprio come abbiamo perso la guerra. C’è chi combatte sul campo e chi per le strade di una bella città, ma siamo tutti perennemente in conflitto.”
Thomas deglutì, Amabel aveva tremendamente ragione. Lui era in guerra con sé stesso ancora prima di andare in Francia e al ritorno le cose erano solo peggiorate, adesso era in guerra con il mondo intero.
“Non parlate in questo modo davanti al suocero di vostra sorella, oppure vi odierà.”
“Già mi odiano, lui e sua moglie.” Rise Amabel.
“Le personalità forti generano sempre disappunto, dottoressa.”
“State ammettendo che ho una personalità forte?”
Thomas sollevò un angolo della bocca e scosse la testa, quella donna lo incalzava sempre.
“Lo sto ammettendo.” Disse, poi si alzò e bevve in un solo sorso il resto del whiskey. Amabel lo vide abbottonarsi la giacca proprio come tutti i gentiluomini della città, ma nei suoi occhi azzurri riluceva una nota di ribellione che palesava le sue origini zingare.
“Fate attenzione a ciò che dite, signor Shelby, oppure crederò che proviate una certa simpatia nei miei confronti.”
“Io faccio sempre attenzione a ciò che dico, dottoressa Hamilton. Non vi preoccupate per me, oppure crederò che proviate una certa simpatia nei miei confronti.”
Thomas allora le prese delicatamente la mano e si chinò a baciarne il dorso. Amabel ritrasse il braccio con uno scatto e sorrise divertita.
“Quando e se mi preoccuperò mai per voi, pioveranno lingue di fuoco dal cielo.”
Thomas ridacchiò e si incamminò verso il locale, fermandosi solo per un breve instante a guardarla ancora una volta.
“Ad un prossimo incontro, dottoressa.”
 
Salve a tutti!
Pian piano si stanno formando amicizie e collaborazioni, chissà come finirà.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 
  
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