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Autore: Stella cadente    18/04/2019    2 recensioni
Hogwarts, 2048: dopo la Seconda Guerra Magica e una lunga ricostruzione, la Scuola di Magia e Stregoneria è di nuovo un luogo sicuro, dove gli studenti sono alle prese con incantesimi, duelli con compagni particolarmente odiosi, le loro amicizie e i loro amori – come qualunque giovane mago o strega.
Ma Hogwarts cova ancora dei segreti tra le sue mura; qualcosa di nascosto incombe di nuovo sul mondo magico e sulla scuola, per far tornare un conto in sospeso rimasto sepolto da anni...
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«Che cosa gli è successo?»
Il Preside sospirò.
«Anni fa, Black era Preside, ma... ben presto fu chiaro a tutti quale fosse la sua reale intenzione. Non voleva fortificare Hogwarts, bensì renderla più intollerante. Tutti noi insegnanti abbiamo temuto, finora, che tornasse. Io l’ho sconfitto ed esiliato, ed io l’ho privato di quello che era il suo posto. Un posto ambito, e soprattutto influente.»
[...]
«Ascoltami, Elsa» riprese, con tono cupo. «Fa’ attenzione, soprattutto al tuo potere. C’è bellezza in esso, ma anche un grande pericolo.»
Pausa.
«Ricorda», aggiunse, «la paura sarà tua nemica.»
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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34.

 
 
L’aula di Difesa contro le Arti Oscure, quella mattina, sembrava più inquietante del solito. Le pergamene raffiguranti le più orribili creature del mondo magico parevano opprimenti, come se potessero in qualche modo prender vita e aggredire gli studenti; la giornata era buia e cupa, e un gelo terrificante strisciava tra gli alunni.
«Salve» la voce dolce e delicata di Faith Azure solcò il silenzio; l’insegnante iniziò poi a passare in mezzo agli studenti, in modo da guardarli tutti uno per uno. Aurora si mordicchiò una pellicina: era ansiosa per quella lezione.
«In questa aula – o meglio: durante queste sessioni – vi insegnerò incantesimi di difesa molto avanzati; perciò, vi raccomando di concentrarvi al massimo, e soprattutto di non buttarvi giù nel caso non ce la faceste al primo tentativo. Nessun mago o strega della vostra età si è avventurato così in là: quello che sto per insegnarvi è dovuto unicamente alla situazione che, purtroppo, ci ritroviamo ad affrontare.»
Non si sentiva volare una mosca; la ragazza si sentiva come se fosse in apnea, e immaginò che per gli altri fosse lo stesso. Si voltò leggermente indietro, guardando nella direzione di Philip; il Grifondoro le restituì un’occhiata preoccupata, poi pose di nuovo gli occhi sulla professoressa.
«È essenziale» proseguì la signorina Azure, «che impariate anzitutto degli incantesimi di protezione. Ad esempio l’Incanto Patronus, che forse alcuni di voi conosceranno già. Chi ha già imparato ad evocare il proprio patronus?»
Qualche mano si alzò, e Aurora notò che quelle mani appartenevano a Melicent Somber, Elsa Arendelle, Hans Westergård e Claude Frollo.
Quattro studenti su – a occhio e croce – una quarantina. La Tassorosso venne scossa da un brivido.
Quella sessione aveva previsto la riunione di tutti gli studenti del settimo anno, e l’attrito tra le Case era già palpabile nell’aria; soprattutto i Serpeverde sembravano straniti, come se non sapessero come comportarsi. La cosa le sembrò in qualche modo allarmante; era come se gli studenti di quella Casa avessero qualcosa da nascondere, anche se non avrebbe saputo dire bene il perché.
Aurora non era mai stata tipo da pregiudizi, e i Serpeverde non le avevano mai suscitato una sorta di repulsione – come accadeva a molti studenti che non fossero di quella Casa. Eppure, nell’ultimo periodo, non aveva potuto fare a meno di notare quanto la maggior parte di loro sembrassero lugubri. Compresa Elsa.
Soprattutto Elsa.
«Bene» la voce dell’insegnante, pur sforzandosi di mantenere un tono neutrale, si affievolì, quando notò che tra gli studenti più dotati c’era anche la Serpeverde, «vedo che qualcuno ha già imparato ad evocare il suo patronus. Ottimo, ragazzi: voi mi farete da assistenti» decretò, invitandoli poi ad affiancarla.
«La difficoltà di questo incantesimo risiede proprio nella soggettività che lo caratterizza» spiegò Azure. «Il passaggio più importante per realizzarlo, infatti» proseguì, «è la concentrazione sul ricordo più felice che avete. Lavorerete molto a livello mentale, dal momento che – prima di pronunciare la formula – dovreste focalizzarvi su quel ricordo. Tenete presente che quasi mai si ha successo, al primo tentativo: è una magia molto potente, molto avanzata. Sarà faticoso evocare un patronus corporeo.»
Fece una pausa, per permettere a tutti di metabolizzare al massimo le informazioni appena fornite.
«La formula da pronunciare, comunque, è expecto patronum» concluse poi. «Ci sono domande?»
Silenzio.
«Bene. Allora cominciate ad esercitarvi.»
Aurora diede qualche colpo di bacchetta concentrandosi su ricordi sempre diversi, ma dopo cinque tentativi ancora tutto quello che usciva dalla sua bacchetta era qualche scintilla azzurra.
«Vuoi una mano?»
Quando si sentì risuonare quella voce alle spalle, trasalì involontariamente.
Elsa Arendelle la stava guardando in modo gentile – sforzandosi di essere gentile, Aurora lo vedeva. Vedeva che tutto ciò che voleva fare quella ragazza, era scappare. I suoi occhi azzurri, freddi, neutri, la destabilizzarono.
«Oh» riuscì solo a dire. «Ehm... sì, grazie. Non riesco a capire perché ancora non sia successo niente.»
«Forse il ricordo su cui ti concentri non è intenso abbastanza.»
Alla Tassorosso venne un’irrefrenabile voglia di chiederle che cosa riguardasse il suo. Elsa Arendelle aveva mai avuto ricordi felici?
Restò interdetta, guardando l’altra come a volerla studiare. «Sì. Immagino di sì.»
Pensò a tutto ciò che la faceva stare bene. Pensò a Philip, ai suoi amici, ai loro occhi, ai loro sorrisi. Non era un vero e proprio ricordo... ma pensare a quelle cose la faceva sentire leggera e felice.
«Expecto patronum
Un usignolo di luce si librò dalla bacchetta della ragazza, che restò a guardarlo meravigliata mentre volteggiava cantando, per poi tornare da lei.
«Ce l’hai fatta» le disse Elsa, accennando un sorriso.
«Grazie per avermi aiutata» rispose. Allungò un braccio esitante, ma desiderosa di stabilire un contatto; Elsa però si scostò, irrigidendosi.
«Ehi» disse la Tassorosso, dolcemente. «Rilassati. Sei al sicuro; nessuno vuole farti del male, qui.»
Ma l’altra adesso aveva un’espressione granitica; sembrava che stesse per incenerirla con lo sguardo. Per un attimo Aurora ebbe paura, ma si sforzò di ricacciarla indietro. Eppure il sapore amaro dell’ansia le strofinava il palato, come a volerle dire che in realtà qualcosa che non andava c’era.
Ed era nella ragazza che le stava davanti.
«Non sarò mai al sicuro» la gelò solo Elsa, impassibile. «Così come nessuno di voi» aggiunse, con una voce che le fece correre un brivido freddo lungo la schiena.
L’istante che seguì sembrò ad ogni singola persona in quell’aula, insegnante compresa, come se fosse dilatato, rallentato nel tempo e nello spazio, tanto era surreale e terribile quello che stava accadendo.
Centinaia di frammenti di ghiaccio comparvero dal nulla alle spalle della Serpeverde, vorticando su loro stessi formando poi come un gelido bozzolo, che prese la forma di un grosso serpente. La creatura spalancò le fauci, sibilando furiosamente alle spalle della ragazza.
L’aula si riempì di urla. Ma Elsa era immobile, e teneva lo sguardo fisso su Aurora.
La Tassorosso sentì d’un tratto una fitta di freddo in tutto il corpo, come se fosse caduta dentro un lago ghiacciato e stesse sprofondando nelle sue viscere più oscure. Riuscì a percepire il suo corpo cadere a terra, poi sprofondò nel buio.
Un buio freddo.
In fondo all’aula, Anna Arendelle osservava la scena, pietrificata.
 
 
Anna corse via mentre tutti si chinavano su Aurora, con il cuore che palpitava insopportabilmente; le sembrava di sentirselo in gola, come quando, tempo prima, aveva tentato di seguire sua sorella nella foresta proibita. Sentiva le voci impaurite dei compagni e quella ansiosa di Azure – che diceva di portare la ragazza in infermeria – come suoni ovattati. Nella sua mente c’era solo sua sorella; solo questo importava.
Elsa era cambiata molto, da quando tutta quella storia aveva avuto inizio. L’aveva vista riavvicinarsi a lei, anche se con cautela; l’aveva vista aprirsi ed essere dolce con lei, come non ricordava che fosse mai stata; l’aveva vista tornare di nuovo, in qualche modo, ad essere una persona. Ad essere viva.
A non essere più quella pallida ombra che le era sembrata per quasi tre lunghi anni.
Ma adesso era cambiata di nuovo. Era più vicina, più legata a lei, ma era anche qualcosa di temibile e incomprensibile. Tutti parlavano di lei a scuola sussurrando, e Anna si sentiva morire ogni volta, perché le tornavano in mente le conversazioni avute con Meg.
 
«Eris aveva del ghiaccio nel cuore» sputò, atona. «Ho pensato che tu dovessi saperlo.»
Si sentì affondare a quella frase. «Cosa?» fece, con un filo di voce.
Meg restò in silenzio per un momento, poi disse: «Anna, dobbiamo saperne di più. Probabilmente Elsa è entrata in contatto con quel libro.»
«Elsa non farebbe mai una cosa del genere» disse, prendendo le difese di sua sorella.
«Non di sua spontanea volontà» la fece riflettere l’amica, guardandola dritta negli occhi.
 
Era stato prima che morisse. Prima che le venisse portata via da qualcosa.
Elsa aveva fatto anche questo? Le aveva portato via la sua amica?
La sua mente lavorava alla velocità della luce, scandendo la sua corsa a perdifiato e i suoi ansiti per lo sforzo. La Serpeverde era sparita, dileguandosi in fretta senza essere notata da nessuno, ma lei aveva subito deciso che non avrebbe permesso che fuggisse. Non di nuovo.
«Elsa.»
Quando sentì la voce di Hans Westergård pronunciare il nome della sua gemella, Anna ebbe un sobbalzo e si arrestò improvvisamente. Era finita nei sotterranei, correndo completamente a casaccio, pensando a quale sarebbe stato il posto più logico in cui andare se si fosse trovata nei panni di Elsa; aveva subito pensato alla Sala Comune di Serpeverde, ed infatti non aveva sbagliato.
Si appiattì dietro al muro, cercando di regolarizzare il respiro.
«Che cosa vuoi?» replicò la voce di sua sorella. Anna non poté fare a meno di permettere che un’espressione sofferente prendesse forma sul suo volto; c’era così tanto dolore, in quella domanda...
«Ascoltami» sibilò il suo ragazzo, in un modo che lei non gli aveva mai sentito fare. «Devi ascoltarmi, o siamo finiti.»
Silenzio.
«Siamo legati, anche se non so come. Te ne sei accorta, vero? Hai avvertito qualcosa che ci ha uniti, quando ci siamo incrociati, dopo il cambiamento del Cappello Parlante. Qualcosa che ci ha vincolati
Silenzio.
«Rispondi!»
Si sentì un tonfo; la Grifondoro immaginò che Hans avesse strattonato Elsa, fino a farla sbattere contro il muro. «Sì, l’ho sentito anche io» la voce della Serpeverde solcò il silenzio, flebile eppure decisa. «E con ciò? Cosa vuoi dire? Che sta succedendo?»
«Non capisci? Qualcuno ha pianificato questo legame per noi. Pitch Black si sta impadronendo di tutta la scuola. E noi gli serviamo a qualcosa.»
Anna sentì un crepitio, poi sentì la sua gemella soffocare un respiro e indietreggiare. «Hai i miei stessi poteri» disse poi, sgomenta.
La Grifondoro si portò una mano alla bocca.
Un fragore delicato e assordante al tempo stesso si infranse sul pavimento, e si riversò nelle orecchie di Anna; Hans doveva aver scagliato dei frammenti di ghiaccio a terra.
«Esatto, Elsa» la sua voce sembrava accarezzare il suo nome, come se stesse toccando qualcosa di delicato, di fragile.
«Che cosa intendi fare con Anna?» chiese la ragazza.
«Oh» il Serpeverde sembrò essersi ricordato una cosa poco importante, che aveva rimosso dalla sua mente. «Anna non dovrà sapere niente di tutto questo. Non sono affari suoi, dopotutto.»
«Lei tiene molto a te. Come puoi comportarti così?»
«Cosa posso dire, Elsa?, non mi affeziono alle persone» fu la sua semplice risposta. La pronunciò con una voce così insopportabilmente piatta – con una tale indifferenza – che alla Grifondoro sfuggì una lacrima, che rotolò amara lungo la sua guancia. «E poi, in realtà miravo a te sin dall’inizio. Siamo stati scelti.»
Siamo stati scelti.
Non riusciva a capire più nulla. Cosa voleva dire? Cosa stava covando Hans?
Quella storia doveva andare avanti da parecchio tempo ormai. E lui non le aveva mai detto niente.
Si diede della stupida per non aver mai sospettato di nulla, troppo accecata dall'amore e dal fatto di avere una relazione con il ragazzo più popolare di tutta la scuola. Hans le era sempre sembrato così... carismatico. Affascinante. Sicuro di sé.
Tutto quello che lei, alla fine, non era.
Forse era per quel motivo che era rimasta attratta da lui: perché le trasmetteva la sicurezza che lei, in realtà, non aveva e non avrebbe mai avuto.
E adesso? E adesso sembrava essere uguale ad Elsa – se non più oscuro. Anche sua sorella le era sembrata diversa dal solito, quando l'aveva sentita parlare. E le aveva fatto paura.
La rabbia e quella connessione con Black stava divorando tutto quello che Elsa era – o meglio, tutto quello che Anna si ricordava che fosse. Perché non le aveva detto niente di quel vincolo che aveva sentito? Forse lei non era abbastanza? O la voleva proteggere come sempre?
Che differenza fa?, si chiese. Tanto comunque non glielo aveva detto, aveva preferito escluderla di nuovo.
Si sentiva come un guscio vuoto, adesso, un essere vivente privato di ogni emozione. Sentiva tutto quello che amava lontano; ormai c'erano solo lei e il fantasma di Elsa, che non avrebbe mai smesso di tormentarla.
La ragazza inspirò quando sentì un nodo stringersi alla sua gola, come per scacciare le lacrime che minacciavano di uscire; doveva parlare con Elsa. Doveva aiutarla, perché qualcosa le diceva che farle stare separate di nuovo era esattamente quello che Pitch Black voleva.
E lei non avrebbe permesso più a nessuno di portarle via la sua gemella.
«Io non so se voglio farlo.» La voce di Elsa risuonò fragile, spezzata, poco più che un pigolio, che fece venire ad Anna un groppo in gola.
«Non dipende dalla nostra volontà» sibilò Hans con rabbia. «Prima lo capisci e meglio è.»
La Grifondoro sentì che si allontanava, e le sembrò di vederlo, nella sua camminata elegante; la postura dritta, i passi né troppo leggeri né troppo pesanti, la testa alta...
Non doveva pensare più a lui in quel modo.
Quando uscì allo scoperto, Elsa era rimasta sola, e si trovava in posizione raccolta, seduta a terra, con le ginocchia al petto. Guardava il vuoto con quei suoi occhi aridi, le labbra serrate in quel gesto abituale che ormai la Grifondoro aveva imparato a riconoscere.
«Elsa.»
La ragazza sobbalzò nell'udire la voce della gemella, poi sul suo volto d'alabastro si dipinse un'espressione a metà tra lo stupore e lo sgomento. «Allontanati» disse solo febbrilmente, la voce che tremava.
Anna non le diede ascolto – come del resto aveva sempre fatto. Si sedette accanto a lei, avvicinandosi con cautela, come si fa con un animale ferito. «Perché non me lo hai detto?» le chiese poi, con il tono più delicato che riuscisse a fare.
Il volto della gemella si indurì di colpo. «Detto cosa?» disse solo freddamente.
La Grifondoro sospirò. «Ho sentito tutto» rivelò.
«Tutta la scuola ha paura di me» disse la Serpeverde con voce piatta, circondandosi il corpo sottile con le braccia pallide; e lo sguardo lontano, perso nella paura che le stava mangiando il cervello. «Ma tu no. Perché?»
Anna sorrise. «Sei mia sorella. Non mi faresti mai del male.»
«Non ne sarei così sicura, fossi in te» sembrava frustrata; Anna constatò, con una sensazione sgradevole, che la sua testa non era ormai che un groviglio di pensieri negativi, che la stavano pian piano consumando. Le era insopportabile che la sua gemella stesse così.
C'era solo una cosa da fare.
Doveva far capire ad Elsa che non era sola come credeva, che l'avrebbe sostenuta, che sarebbero tornate come prima – come quando erano più piccole, allegre e spensierate.
Più o meno.
Doveva farle capire che aveva un punto di riferimento.
Così annullò le distanze che c'erano tra loro, e l'abbracciò. Capì di aver fatto la cosa giusta quando la Serpeverde la strinse ancora di più, e si sciolse in lacrime.






 
 
Il grosso serpente di ghiaccio sibilava sotto lo sguardo terrorizzato di tutti, mentre Elsa Arendelle restava immobile come una statua. Era come se il tempo non esistesse neanche più; l'oscurità era calata sull'aula, e Merida notò che un bagliore bluastro danzava sul volto pallido della Serpeverde. La ragazza era al centro esatto della stanza, gli occhi vacui, i capelli chiari che fluttuavano leggermente. Guardando con più attenzione, notò che una lieve scia di cristalli di ghiaccio si sollevava dalle ciocche bionde, andando a rifluire nel rettile alle sue spalle.
La Grifondoro sguainò la bacchetta istintivamente, poi cercò Jehan con lo sguardo, sperando di trovarlo; voleva verificare che fosse abbastanza lontano dal serpente, per evitarlo nel caso attaccasse.
Quello che vide, quando lo adocchiò, le fece accapponare la pelle.
Jehan Frollo era in fondo all'aula, e sorrideva.
 
«Jehan, mi devi delle spiegazioni.»
Merida aveva preso da parte il suo ragazzo fuori dall'aula, dopo quello che era successo; sentiva la paura formicolarle sulla pelle, ma non voleva darlo a vedere. Avvertiva, in qualche modo, che quello che le avrebbe detto – qualunque cosa fosse – sarebbe stato utile alla causa di Merman.
In un lampo si accorse che c'era stato un profondo cambiamento dentro di sé: ormai non era più la ragazza vivace e competitiva di tre mesi prima. Adesso si era abituata a vedere che, anche coloro che considerava amici, avrebbero potuto essere potenziali avversari. La scuola si stava inevitabilmente dividendo in due: quelli che volevano salvarla, e quelli che volevano distruggerla.
Magia bianca e magia nera.
«Quali spiegazioni?» il tono del suo ragazzo era fin troppo indifferente.
 
 
«Alchimia. Non ti sembra strano? L’alchimia non viene più insegnata qui da un sacco di tempo. Black deve esistere da molto» disse la Grifondoro, mentre andava a lezione di Pozioni camminando accanto al suo ragazzo.
«Non saprei; in realtà, c’è ancora qualche nostalgico appassionato. Come Claude, ad esempio.»
«Allora avrà qualcosa da nascondere» proseguì Merida, imperterrita. «Non glielo hai mai chiesto?»
«Sarebbe inutile» disse Jehan. «Non riuscirei a scoprire niente.»
Silenzio.
«Senti, tu per caso hai capito la formula che hanno spiegato l’altra volta? Io stavo praticamente dormendo...» cambiò poi argomento, tirando fuori il manuale dalla borsa in pelle.
In quel momento, Merida non badò al modo in cui il suo ragazzo aveva prontamente liquidato la questione.
Come aveva sempre fatto, da un po’ di tempo a quella parte.
 
 
All'improvviso le sembrò che la noncuranza e la scarsa considerazione – la stessa che le aveva mostrato dall'inizio dell'anno – non fosse più casuale. Le gambe le tremarono quando quel pensiero la sfiorò: era stata cieca per troppo tempo.
Che stupida!
Ma non poteva permettersi di essere debole. Non lei, non in un momento come quello.
«Ti ho visto, prima. Stavi sorridendo. Stai aiutando Pitch Black?» adesso non c'era più nessun legame tra lei e il ragazzo che le stava davanti. Tutte le risate, gli scherzi, i baci, gli abbracci, i momenti condivisi, semplicemente erano svaniti nel nulla; le interessava solo sapere se Jehan stava dalla sua parte o no.
Merida Dunbroch aveva capito che c'erano cose ben più importanti di una persona.
«Wow, quanto sei diretta» scherzò Jehan, sempre con lo stesso tono.
«Voglio una risposta» ingiunse lei, puntandogli istintivamente la bacchetta alla gola. Adesso tremava di rabbia; un calore furioso le tinse le guance di rosso, mentre il cuore le palpitava nel petto, dandole l'impressione che il sangue le ribollisse nelle vene per la collera.
«Aiutare è una parola grossa. Diciamo che mi ha promesso delle cose... e io ho accettato. Non sono l'unico, comunque.» La leggerezza con cui lo disse fu per la Grifondoro come un pugno nello stomaco. Era stata tradita, pugnalata alle spalle. Jehan era una persona di cui si fidava... e adesso stava dalla parte del nemico.
Ecco perché quel distacco... si stava avvicinando sempre di più a lui.
Il bello era che Jehan aveva l’aria di non sentirsi minimamente in colpa – quell’atteggiamento le fece venire il voltastomaco.
«Chi sono gli altri?» cercava disperatamente di trattenere le lacrime, ripetendosi che, se Jehan aveva tradito così la sua fiducia, allora non era mai stato così importante.
Non è importante.
Non è importante.
Il Grifondoro fece un sorriso sghembo, cinico e freddo. «Ci sono altri studenti che hanno preso parte a questa causa» disse, ostinandosi a non rispondere. «Elsa Arendelle è molto ambita da Black. È la seconda volta che trova una pedina che corrisponde alle sue esigenze come lei, e non ha intenzione di farla scappare. Tu non hai idea di che cosa potrebbe succedere, se lui ce la facesse.»
Merida si accorse che aveva le labbra socchiuse dallo stupore e che le era caduta la bacchetta di mano solo quando fu passata una manciata di secondi. I pensieri e le parole di Jehan si ripetevano e ingarbugliavano ossessivamente nella sua testa, al punto da sembrare insopportabili.
Poi lui le diede il colpo di grazia.
«Ci sta riuscendo, Merida. È troppo tardi» disse, facendo comparire sul suo volto – un tempo dall'aria sbarazzina, ora d'un tratto inquietante – un sorriso feroce. «Stanotte morirà chi è stato colpito dall’uroboro. E penso che tu abbia capito chi sia.»
La ragazza si sentì sprofondare.

 
 
 
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Ed eccoci qua!
Naturalmente non ho ancora Internet (OVVIAMENTE), così ne approfitto adesso, visto che ho acchiappato una connessione alla mitica Unifi. Comunque: spero che il capitolo vi sia piaciuto. Elsa sembra sprigionare sempre più oscurità, la sua vera natura sta venendo allo scoperto, ma Anna non vuole allontanarsi da lei…
In un certo senso, riesco a percepire il dramma di queste due sorelle: so che Anna viene presentata come un personaggio spensierato, ma io credo fermamente che non lo sia – che sia molto più triste e persa di quello che sembra. Si aggrappa alla sorella, ma soprattutto in questo capitolo, credo sappia benissimo anche lei che cosa le stia succedendo. Intanto, Merida inizia a sospettare giustamente di Jehan; sta maturando molto, si butta a capofitto nel compito che Merman le ha assegnato, riuscendo così a scoprire delle agghiaccianti verità sul suo fidanzato.
Hogwarts è cambiata, ormai gli schieramenti si sono fatti sempre più netti, e un altro omicidio si avvicina. Chi sarà il prossimo, secondo voi?
Spero vi sia piaciuto, a presto!
Stella cadente



 
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In un lampo si accorse che c'era stato un profondo cambiamento dentro di sé: ormai non era più la ragazza vivace e competitiva di tre mesi prima. Adesso si era abituata a vedere che, anche coloro che considerava amici, avrebbero potuto essere potenziali avversari.
  
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