Serie TV > Supergirl
Segui la storia  |       
Autore: Ghen    19/04/2019    3 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
~
Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
45. Futuro


Gli agenti di polizia e quelli dell'FBI si erano rimessi in moto in tutta National City, guidati da un Dru Zod nell'ombra e aiutati dal D.A.O. che, dopo ciò che era successo all'emittente televisiva e al municipio, avevano formato delle squadre d'azione per salvare gli ostaggi e arrestare i terroristi. Mentre Maggie Sawyer, Charlie Kweskill e omega dell'organizzazione liberavano pubblici uffici, Alex Danvers e la sua squadra avevano messo in sicurezza i dipendenti della Lord Technologies e risposto al fuoco delle persone armate. Due di loro erano poliziotti infiltrati tra le fila di Rhea sotto ordine di Zod e li aiutarono a fermarli.
Maxwell Lord rimase affascinato dalla forza e l'eleganza dimostrata da Alex anche in quella situazione difficile, come fosse riuscita a mantenere il sangue freddo fino all'ultimo, anche quando le spararono contro. Dopo aver ripreso il cellulare, le scattò una foto ricordo, sorridendo entusiasta. Nel frattempo, non era stato difficile per Selina Kyle girare indisturbata in quel luogo, sapendo che tutti erano stati radunati dai terroristi. Era stata attenta a non farsi beccare dalle telecamere ancora attive, raggirandole, e si era affidata a una mappa disegnata per le visite guidate che aveva trovato in pila su una scrivania di un ufficio. In quel modo avrebbe saputo cosa avrebbe trovato e dove.
Si era diretta alle scale esterne e scesa come da programma, trovando un magazzino. Quel dannato posto era un labirinto anche con la mappa. Aveva attraversato un corridoio esterno a vetri per passare da un fabbricato all'altro e si era affacciata alle porte della sala mensa, negli oblò, adocchiando tutte quelle persone spaventate che cercavano di farsi forza a vicenda e si consolavano, mentre gli uomini e le donne in passamontagna nero li gridavano per farli restare fermi e in silenzio. «Non sai cosa ti stai perdendo, Supergirl», aveva sussurrato e, scuotendo la testa, si era allontanata.
Aveva salito due scalini e preso un corridoio, poi un altro, confrontandosi con la mappa e notando che quei posti non erano segnati: forse allora si stava dirigendo nel luogo giusto. Si era incantata nell'osservare i laboratori divisi da gigantesche vetrate. «Tu dovevi divertirti un mondo, da bambino, col Piccolo Chimico». I laboratori proseguivano lungo tutto il corridoio e non c'era nient'altro se non un ascensore con le porte aperte. Aveva preso uno specchietto dallo zainetto in spalla e lo aveva usato per riflettere l'interno: non c'erano telecamere, bene. Sperava solo che non fosse uno di quegli ascensori rumorosi. Davanti al tastierino con i numeri ci aveva alitato sopra e scoperto quali erano i più cliccati: aveva diverse combinazioni da provare e le aveva segnate su un bloc notes, provandone una dopo l'altra, indossando i guanti; fortunatamente erano solo tre numeri, cominciava ad annoiarsi. Dopo non sapeva quanto, finalmente si scendeva di sotto: le porte si erano chiuse subito e, silenzioso, l'ascensore aveva iniziato a muoversi. Selina aveva spalancato gli occhi quando le porte si erano riaperte: quel corridoio era più freddo, stretto, illuminato da plafoniere che rendevano l'atmosfera un po' tetra. Non si sentiva un solo lamento dai piani sopra, era insonorizzato. Doveva aver trovato ciò che cercava e aveva sorriso con soddisfazione. Aveva acceso lo schermo del cellulare e iniziato a riprendere tutto in video, controllando che non ci fossero telecamere: una in effetti c'era e salvaguardava esclusivamente una robusta porta in acciaio. Doveva esserci qualcosa di estremo valore dall'altra parte se era tanto sorvegliata. Aveva messo pausa al video e notato che, affiancato alla porta, era stato incastonato nel muro uno schermo, probabilmente per la chiave d'accesso. Se era ad impronte, avrebbe potuto imbrogliarla rubandone una dal tastierino dell'ascensore con un pezzo di scotch, ma la telecamera restava un problema.
Così aveva optato per una delle porte a fianco che non avevano bisogno di chiavi, riaccendendo la torcia. C'erano due scrivanie e tanti, tanti documenti impilati su più scaffali. Tanti da riempire due pareti. Aveva ripreso a girare il video, illuminando con la torcia. «Non avrò tempo per tutto questo», aveva sbuffato, accostandosi alla scrivania più vicina, trovando fogli con formule e dati che non sarebbe riuscita a capire neppure se fosse stata attenta a scuola. «Kryptonite rossa? Davvero?», si era trattenuta dal ridere, «Quanta fantasia, Lord, i miei complimenti. Qualcuno qui è un tuo fan, super raga-», si era interrotta e sbarrato gli occhi di nuovo, avvicinando altri fogli alla luce. C'erano altre formule, costi. Altri fogli. Nuove formule, alcune barrate, schizzi di fiorellini fatti di cerchietti sul bordo. «Abbiamo l'anima di una scolaretta», aveva riso, avvicinandone altri su cui erano stati presi degli appunti intorno allo schema di un uomo a vista anteriore e posteriore.
Uscì dalla Lord Technologies appena in tempo, coperta dagli spari del D.A.O. che aveva appena fatto irruzione. Una volta fermati tutti i terroristi, gli agenti li scortarono fuori ammanettati e a volto scoperto, assicurandosi che non ci fosse nessun ferito tra il personale. Alex stessa si occupava con un altro ragazzo delle medicazioni più urgenti, che per fortuna andavano tra le sbucciature e le contusioni lievi.
«Pensi che potrò essere medicato anch'io?», Maxwell le mostrò un'escoriazione sul dorso della mano destra, probabilmente causata nella corsa per mettersi al riparo.
«Vuoi un cerottino sulla bua?», Alex rise, mostrandogli davvero un cerotto.
«Solo se accompagnato da un bacino».
«Oh, che tenero», aggrottò la fronte, «Chiamo un collega che se ne occupi se-».
«No, no, Alex», lui ridacchiò e scosse la testa, «Sto già molto meglio».
«Molto astuto», battibeccò, facendolo ridere di nuovo. Si fermarono davanti a uno dei computer e Max accettò il cerotto, così presero fiato e Alex ne approfittò per riposare. «Ho sentito dire che ti sei comportato da leone, prima che arrivassimo. Smascherando la loro insicurezza».
Lui sorrise. «Credo di avere talento nel far arrabbiare le persone».
La ragazza annuì. «Sì, beh, non fatico a crederci! Ma è stato molto rischioso», lo guardò, «Avrebbero potuto spararti veramente».
«È una sorta di preoccupazione verso il sottoscritto, quella che avverto nelle parole e nel tono?».
Alex si voltò verso di lui che la fissava sognante, appoggiandosi al banco di spalle. «Parlo seriamente».
«Anche io. Sorrido di natura, ma prendo le cose molto seriamente, Alex Danvers. E grazie, per quel che vale».
Lei sospirò, scuotendo la testa. «Sei coraggioso. Incosciente, ma coraggioso», lo indicò, per poi guardarsi intorno. «Chissà che tu non abbia salvato la vita ai tuoi dipendenti, prendendo tempo. La tua famiglia sarà molto orgogliosa di te. Avrai qualcosa di cui vantarti, giusto per gonfiare il tuo già spropositato ego».
Lui abbassò gli occhi e serrato le labbra, spostandosi dal banco del pc. «Ah, no, non ho nessuno con cui vantarmi, temo di doverti deludere: la mia famiglia è morta da tempo».
Alex restò a bocca spalancata e, per un attimo, si vergognò come una ladra. «Oh, scusami. Non lo sapevo».
«E perché dovresti scusarti? Non è tua la colpa», chiuse il discorso e si allontanò. Un uomo della sicurezza con un grosso bernoccolo in fronte e un occhio tamponato dal sangue lo fermò per mostrargli un video di sicurezza e Maxwell annuì freddamente, congedandolo nel dire che ci avrebbe pensato dopo.
Alex lo vide trafficare col cellulare e lo lasciò andare, pentendosi di averlo detto, quasi mordendosi la lingua. Di certo non era da Maxwell Lord andarsene nel bel mezzo di un discorso con lei: aveva toccato un punto debole. Parlare di famiglia era così scontato e naturale, per lei. Doveva stare più attenta, accidenti.
Una volta tratta in salvo Leslie Willis, anche il furgoncino con quegli omega dell'organizzazione e il poliziotto che usciva con lei si erano messi in contatto con il Generale Zod per avere nuove disposizioni. Se ne andarono in giro per le strade a scovare gli uomini di Rhea Gand che si erano dati alla fuga da alcune delle zone appena liberate. Ne fermarono uno che cercava di arrampicarsi su un albero di un parco quando capì di essere stato individuato, un altro che era tornato comodamente a casa sua convinto che non lo avrebbero trovato perché era mascherato, una donna che aveva gettato il passamontagna in un cassonetto ed entrata in un market per fare la spesa. Ma alcuni di loro erano omega e conoscevano le loro generalità; per trovare gli altri, invece, oltre le tracce era bastato interrogare quelli già presi.
«La pulizia è quasi completa», disse la donna alla guida, alzando una bottiglia di birra per festeggiare, e tutti applaudirono. A parte Leslie che se ne stava in un angolo cercando di ignorare gli sguardi dei terroristi. «Almeno di quelli che sono fuggiti fino ad ora», specificò poi.
Un omega si dichiarò subito pentito e cantò come un canarino, cercando di instillare pena negli ex compagni, ma non sembrò funzionare perché quando si fermarono su una strada sterrata a lato di un edificio, li caricarono tutti su un altro furgone, ignorando la sua disperazione e infilandogli uno straccio in bocca. Una donna batté due volte sulla portiera a lato e furono portati via.
«Il Generale è stato chiaro», esclamò uno di loro, dando una pacca su una spalla del compagno dispiaciuto.
«Oh, quindi ce lo hai un cuore», rimbrottò Leslie, a braccia incrociate. «Un cuore di panna. Sai che farò? Lo segnerò in agenda. Quella nera».
Lui scrollò le spalle, avvicinandosi a lei. A breve sarebbero ripartiti. «Ho giocato a carte con loro, abbiamo parlato spesso delle nostre ambizioni, della nostra famiglia, del nostro futuro… Ci hanno tradito, lo so che non dovrei prendermela, ma-», scosse la testa e ansimò. «Dai, mia diletta. Sali, dobbiamo andare».
Leslie ingigantì gli occhi, sbuffando. «La puoi anche smettere di chiamarmi così, non devi impressionarmi, te l'ho già data». Cercò di aiutarla a salire ma lei, alla mano aperta, avvicinò la sua solo per mostrargli il dito medio, facendo da sola. «Non sei un principe azzurro, bello mio, scendi dal cavallo delle tue aspettative».
Chiusero il furgone e il ragazzo vide i due compagni dietro con loro ridere e smettere solo a incrociare il suo sguardo. Sbuffò senza espressione e si appoggiò al suo fianco, quando il furgone iniziò a spostarsi, incurante di ciò che avrebbero raccontato di lui agli altri compagni. In ogni caso, avevano già visto i suoi boxer ed era tardi per salvare la reputazione. La chiamò col cuore in mano. «Lo so che adesso reagisci male e sei scontrosa, ma io sono lo stesso uomo di prima. E-E non so che tipo di ragazzi tu abbia frequentato prima di me, ma-».
«Scusa?».
«È che magari loro guardavano solo l'aspetto e-».
«Stai dicendo che per te sono brutta?».
Lui sbiancò. «Oh, no, no! Sei la donna più bella che io abbia mai visto», strinse i denti e incurvò gli occhi.
«Allora qual è il tuo problema, ragazzone? Temi il confronto?», strabuzzò gli occhi e abbozzò un sorriso, «Non hai di che temere, per quello».
Cadde uno strano silenzio all'interno del furgone e lui arrossì. «Beh, ne sono felice, insomma», rise e cadde un altro silenzio. «Ma quello che cercavo di dirti è che magari, magari, per reagire in questo modo, loro ti hanno abituata a essere considerata solo per l'aspetto esteriore che è meraviglioso e bacerei in ogni istante della mia vita», disse velocemente e Leslie assottigliò gli occhi.
«Continua».
«Invece che per la tua affascinante, sarcastica e bellissima personalità. È che tu mi piaci per come sei, Leslie. Non ho mai conosciuto qualcuno come te e non volevo solo portarti a letto», la guardò con occhi dolci e lei trattenne il fiato. «O magari sei arrabbiata perché non ti ho mai fatto menzione di fare parte di un'organizzazione che tu ritieni criminale, tenendoti all'oscuro del fatto che oggi delle persone armate ti avrebbero cercato per farti fuori?»
Lei sorrise con fare ironico, indicandolo. «Cento punti a Grifondoro, Harry». Si voltò da un'altra parte roteando gli occhi, ma i compagni lo applaudirono.
«Lo sai che mi chiamo Larry».

Intanto, alla Luthor Corp, Lena e James erano ancora all'interno di quel laboratorio, pensando al da farsi.
«Lena, alcuni di loro… alcuni di loro sono spariti, li ho persi di vista». Il ragazzo strinse gli occhi, davanti al monitor del pc mentre scandagliava le immagini delle telecamere.
Lena era in piedi, dietro, riflettendo. Aveva provato a richiamare Kara ma era ancora occupata e a quel punto pensò, con paura, che potesse esserle accaduto qualcosa di male. Rhea doveva aver attaccato diversi luoghi: non cercavano qualcosa, era solo un pretesto per farle uccidere, per farle uccidere tutte. Provò a chiamare Alex, e Maggie, ma non rispondevano. Forse non potevano guardare il cellulare o peggio. Perfino Leslie Willis era irrintracciabile. Le stavano colpendo tutte e tutte insieme. Provò a telefonare a Eliza e dopo sua madre, ma anche loro non rispondevano. Avevano una cena a cui avrebbe partecipato proprio Rhea, accidenti. Si voltò verso il ragazzo e deglutì, facendosi coraggio. «Ti indicherò la strada e fingerai di esserti perso, ti porteranno giù e-».
«Cosa stai dicendo?», lui sgranò gli occhi e si alzò in piedi, avvicinandosi.
«Non vogliono te, vogliono me. Non ti faranno alcun male, ma se resterai con me-». La vibrazione del cellulare la fece sussultare, ma era l'ennesimo messaggio da parte di Indigo.
«Stai scherzando? Non ti lascio sola. Sei disarmata e… È da pazzi».
«Credevo non ti piacessero i Luthor», alzò il mento con fierezza e lui sfoggiò un tenero sorriso.
«Tu non sei un cognome, giusto?». Si avvicinò ancora e Lena inarcò un sopracciglio, tornando indietro.
«Perché sei qui, James Olsen? Pensavo avessi una cotta per Kara e, se avessi avuto da dirci qualcosa, mi sarei aspettata di trovarti da lei».
Lui ridacchiò e imbarazzato si grattò la testa, alzando gli occhi al soffitto. «Beh, veramente… Credo che tu mi abbia colpito. Pensavo, ecco, che avresti potuto farmi conoscere una Luthor diversa».
«Mi stai chiedendo di uscire?», spalancò gli occhi e James arrossì.
«Sì. Perché no? Tu e Kara non state più insieme e lei è fantastica… non sembra interessata a me, anche se questo, certo, non ha a che fare col motivo per cui lo chiedo a te», sorrise impacciato e Lena restò a bocca aperta, non sapendo come e cosa dirgli. «Credo che tu… mi piaccia», continuò lui abbozzando un sorriso, «Mi sento un po' sciocco, in questo momento». Vederla immobile senza dire una parola lo stava facendo sentire molto più che sciocco, pensò.
«Emh. Wow, è…». Cambiò espressione quando la sua attenzione fu presa da un allarme silenzioso sopra la porta del laboratorio: lampeggiava di rosso, qualcuno era entrato senza immettere il codice, non avevano più tempo. Almeno l'avrebbero salvata da quella imbarazzante situazione: «Sono gay», sentenziò di scatto incurvando le labbra, camminandogli avanti e spostandolo.
«S-Sei- cosa? Sei gay?». Oh, questa non se l'aspettava. «Sei davvero gay o lo stai dicendo solo per… per rifiutarmi con gentilezza? So che non è il momento migliore, ma-», fece una smorfia con le labbra.
«Davvero gay», precisò, spostando un telo da uno dei frigo. Non che le avesse fatto bella impressione come persona, in effetti, ma non era necessario che lo sapesse.
«E cosa stai facendo?».
Lei inserì una serie di numeri su un tastierino, aprendolo. Frugò al suo interno e ne prese una fiala, richiudendo il frigo e aprendo un cassetto per cercare una siringa. «In questo modo non sarò disarmata. Sono entrati», annuì. «Dobbiamo muoverci».
«Che roba è?».
Lena deglutì e diede una veloce occhiata alla siringa. «Un… Un virus», asserì, scorgendo la sua aria contrariata. Sapeva che non avrebbe approvato e forse quello non lo aiutava a pensare bene dei Luthor, ma era l'unica arma che aveva. Uscirono dal laboratorio e scrisse a Indigo di aiutarla a rintracciare Kara. Le diede i dati d'accesso come voleva, per non sentirglielo ripetere, e lei accettò, rispondendo che era felice di risentirla poiché era preoccupata. «So quello che stai pensando, ma se non li abbiamo con noi, come pensi che possiamo analizzarli per trovare una cura?».
James fece una smorfia. «È questo che vuoi fare, ora? Iniettarli a caso è la tua idea di trovare una cura?».
«No, è la mia idea di difesa».
Si nascosero dietro una porta quando sentirono avvicinarsi voci che la chiamavano. Erano in tre, le disse Indigo. Era un'area riservata e non c'erano telecamere: Lena scosse la testa perché doveva per forza averli visti prima che entrassero in quel corridoio, quando ancora non le aveva inviato i dati che voleva tanto disperatamente. Ma non le interessava conoscere il suo gioco, in quel momento, voleva solo che rintracciasse Kara per sapere se stesse bene. Il resto passava in secondo piano. Erano due uomini e una donna, a giudicare dalle voci: in due entravano in ogni porta e uno restava fuori per non lasciarla fuggire. Lena guidò James all'interno di quel laboratorio e, spostando una tenda, passarono a quello successivo. Lei conosceva la Luthor Corp meglio di quelle persone. Forse potevano…
«Trovata», la donna del gruppo accese la luce e loro si ghiacciarono. Sentirono i passi degli altri due dietro, erano in trappola: James afferrò un carrello e lo sbatté contro la donna, urlando a Lena di scappare. Lei passò avanti quando alla terrorista cadde la pistola ma pensava che il ragazzo fosse dietro di lei e, quando capì che non era così, in corridoio, tornò indietro: i due lo tenevano bloccato e aspettavano il suo ritorno con una pistola puntata addosso a lui e una verso la porta. Lena prese fiato, aveva paura ma, anche se lui le diceva di andarsene, non poteva farlo: si abbassò verso la donna che si teneva un fianco indolenzito e tirò fuori la siringa, mettendola bene in vista. Deglutì, guardando i due con estrema serietà.
«Lasciatelo andare o glielo inietto».
James stesso le gridò di non farlo: non sapeva di che virus si trattasse, ma era una follia. Forse era proprio la preoccupazione del ragazzo a far cambiare le loro espressioni, dapprima divertite. «Non lo farai. Cos'è, acqua?», la donna rise, ma il volto impallidito la tradiva.
«Prima ti sentirai strana, avrai le vertigini, vorrai accasciarti a terra. Poi sentirai lo stimolo del vomito ma non riuscirai a fare niente, avvertirai un attacco di panico, le vene si ingrosseranno e il sangue scorrerà più velocemente. Avrai la tachicardia e non riuscirai ad alzare gli occhi dal pavimento», disse Lena mentre tutti ascoltavano con attenzione. «Allora inizierai a vomitare davvero. Ma tranquilla, quella è una fase che non dura a lungo: ti verrà di svenire. I tuoi organi cederanno a breve e nel giro di poche ore sarai morta. Non esiste cura», la sentì deglutire e Lena le avvicinò l'ago al collo. «A onor del vero, mi basterebbe iniettarti anche solo dell'aria per ucciderti».
Lasciarono andare James. Ebbero paura perché lei e il ragazzo avevano paura. Era stata una cosa automatica. Potevano fregarsene della compagna e lasciarla al suo destino, ma era rischioso per loro stessi. Senza contare che le preghiere della donna li avrebbero tormentati per l'esistenza. Lui e Lena si allontanarono, lasciandoli indietro a soccorrerla.
«Che razza di virus è quello? Cosa fate in quel laboratorio?».
«Questo? Questa è acqua appena aromatizzata all'arancia», sibilò e lo vide sgranare gli occhi, stupefatto. «Non mi hai visto prendere un virus, ho dovuto ingannarti. Non avrei sprecato le nostre risorse. Dobbiamo sbrigarci».
Winn aveva davvero bisogno di aiuto. Pensava che, siccome stava davanti a un pc con connessione a internet, sarebbe stato facile inviare una veloce segnalazione alla polizia, ma la donna che gli stava col fiato sul collo non sembrava della stessa opinione, senza contare il compagno: se ne stava posizionato davanti alla porta dell'ufficio e ogni tanto li guardava: poteva captare la sua esasperazione anche attraverso il passamontagna.
«Allora? Ce la facciamo o no?», lei gli puntò addosso la pistola e Winn deglutì, riparandosi la testa.
«È lento! N-Non sono io che lo faccio, okay? La chiavetta scarica da sola i dati, non la mando avanti io», disse quasi in lamento, osservando lo scaricamento che indicava ancora ventisette minuti. «È tanta roba».
«Cosa hai detto?».
Lui si riparò di nuovo la testa, appiattendosi contro la scrivania. «Po-Potrebbe dipendere dalla quantità dei dati, o dal loro peso! Se potessi fare qualcosa per velocizzare il processo, lo-lo farei, ma non posso», tremò, «Non amo che mi si puntino addosso le armi, quindi… lo farei, se potessi, sì. Qu-Questo computer non viene acceso da più di un anno», ridacchiò in preda all'ansia, «Non vorrei doverlo riavviare… O forse sì», sibilò a denti stretti, per sé. La donna alzò gli occhi al cielo e scambiò col compagno un'occhiata.
«Non ci aveva detto che ci sarebbe voluto tutto questo tempo», starnazzò lui, sbuffando.
«Il Generale Zod», gridò lei, «Naturalmente era lui che doveva dircelo! Ci annoiamo e basta».
«E se non riusciremo a scappare, dopo?», l'uomo abbandonò la sua posizione rigida e Winn scorse con la coda dell'occhio lei che spalancava le braccia in modo arrendevole.
Non stavano guardando, era il momento: allungò la mano sinistra e tenne mantenuto un pulsante luminoso, riavviando il computer. Se lo avessero scoperto, accidenti. Spalancò la bocca per esternare il suo disappunto e la donna si voltò subito, seguita dall'altro, che entrò nell'ufficio. In men che non non si dica entrambi gli puntarono contro le loro pistole e lui si riparò la testa e gridò terrorizzato, dicendo che non era colpa sua.
«Questo topo di fogna ci sta prendendo in giro», urlò lui.
Almeno finché non udirono un rumore fuori ed entrambi andarono a dare uno sguardo, continuando a puntare le armi verso di lui sulla scrivania. Poteva essere qualcuno dei loro salito a quel piano, ma non c'era nessuno.
Winn pregò che il computer si sbrigasse adesso, adesso che erano distratti. Appena riapparve il desktop, una foto di Lionel con Lena bambina, non perse tempo per avvertire la polizia, guardando loro verso la porta di tanto in tanto. Luthor Corp – Uomini armatiostaggi. Inviò e attese con le mani che gli tremavano.
«Tu! Ha riavviato? Cosa stai facendo?», lei gli corse incontro e Winn cercò di chiudere la schermata, ma era tardi. «Cos…?». Strinse la pistola e lo colpì in faccia, facendolo cadere dalla sedia. «Il nerd ha avvertito la polizia».
«Va bene, ma sarà impegnata».
«E se le cose non fossero andate secondo i piani?».
Si guardarono, fermi, per poi decidere alla svelta che era meglio pensare per sé. La donna riprese la chiavetta ed entrambi corsero fuori in corridoio. Non si aspettavano che James Olsen uscisse da un angolo per saltargli addosso. I due persero le pistole e la chiavetta nello scontro. Cercarono di divincolarsi e James riuscì a strappare il passamontagna dell'uomo, mentre Lena allontanava le pistole ed entrava nell'ufficio per soccorrere Winn a terra. Ci fu un breve scontro: la donna gli diede un pugno e l'uomo lo allontanò da sé con un calcio. Non che James fosse abituato a fare a botte e, anche se ora era grande e grosso, era sempre stato Clark a difenderlo, ma riuscì a colpire di rimando, buttarli a terra, almeno fino a quando lei non riuscì a tentoni ad allontanarsi il tanto per recuperare la pistola e a puntargliela addosso. L'uomo si riprese il passamontagna e James deglutì. Aveva visto in faccia uno dei due: era finita?
Lena uscì dall'ufficio con una pistola e la puntò verso i terroristi, trattenendo il fiato. Era di suo padre. Sapeva che ne teneva una in un cassetto e conosceva la chiave per aprirlo; il suo ufficio era rimasto una sorta di museo da quando era venuto a mancare. Non aveva mai stretto una pistola prima di quel momento. Li fissò e loro fissarono lei: era il loro obiettivo ed era davanti. Non sarebbe riuscita a sparare a entrambi ma volevano rischiare? No. Lena li vide abbassare le armi e allontanarsi piano, fino a girare il corridoio e così andarsene.
James deglutì. «Puoi metterla giù, adesso».
Gli occhi della ragazza erano vacui e lentamente riabbassò le braccia, allentando la presa. Forse era anche scarica, non lo sapeva, non aveva pensato a controllare. Prese un bel respiro e Winn li raggiunse, tenendosi un braccio che aveva sbattuto contro la scrivania cadendo dalla sedia.
«Ne arriveranno altri?», domandò, accorgendosi di avere la bocca impastata: perdeva sangue dai denti.
James e Lena non risposero. Ancora a terra, il ragazzo adocchiò la chiavetta e la nascose in tasca. Lei invece controllò il cellulare, potendo finalmente tirare un sospiro di sollievo.
Da Anonimo a Me
Kara Danvers è al campus e sta bene, l'ho vista dalle telecamere esterne in compagnia di un ragazzo.

Era vero. Dopo aver legato e imbavagliato l'uomo che avevano catturato e lasciato con Mike, Kara e Barry erano usciti di nuovo per cercare almeno il complice certo che mancava all'appello. Si chiesero perché i due si fossero separati se non per coprire più posti, così erano entrati nel dormitorio di Mike. Kara era certa di trovarlo lì. Forse l'uomo di Rhea pensava di cercare il ragazzo e farsi bello ai suoi occhi, avrebbe avuto un senso. Anche lì era in corso una festa, tutti erano ubriachi e allegri e non avevano la minima idea di ciò che stava succedendo intorno a loro. Salirono le scale, non c'era nessuno, così si affacciarono al corridoio che portava alla camera del ragazzo.
«Hai risentito Siobhan?», chiese Barry a un certo punto, fermandosi. «Da quanto non la cerchi?».
«Ehi, abbiamo avuto da fare, ma sento che sta parlando, quindi sta bene. Anche se non capisco con chi. Probabilmente non mi sente», sbuffò annoiata. Perché tenere aperta una chiamata se poi non parlavano tra loro? «Non mi sembra in pericolo, adesso».
«Adesso no, ma la CatCo sarà ancora piena di persone armate», le fece notare. «Si può sapere che ti prende?». Si fermò e la vide accigliarsi, guardandolo torva. «È da un po' che volevo chiedertelo! Sei strana e non l'ho notato solo io».
«Ti riferisci a Lena? Oppure alle mie compagne di squadra che si lamentano per aver vinto senza sforzi?».
«Senza giocare, Kara», la corresse, alzando le braccia e prendendo fiato, lasciando un mezzo sorriso incerto. «Hai fatto quasi tutto da sola».
«Quasi, no?», si portò le braccia a conserte e lui restò senza fiato.
«Oookay… Non è da te reagire così».
«Così come?».
«Così… così», la indicò. «Sei un'altra e noi siamo solo preoccupati per te».
«E allora fate una cosa: preoccupatevene in silenzio», sbottò, per poi reggersi la testa e stringere i denti. Dovevano continuare, non poteva venirle mal di testa adesso, non poteva. Avevano ripreso a camminare e mancava poco alla porta della camera di Mike. Intravide Barry avvicinarsi per aiutarla e mise a fuoco dietro di lui: in un attimo, tutti i suoi sensi tornarono operativi. La porta si aprì e un grosso omone con un passamontagna a coprirgli il volto uscì. Forse doveva averli sentiti arrivare poiché non si sorprese affatto di vederli, e semplicemente alzò le braccia che imbracavano un fucile, puntandolo verso di loro. Spalancò gli occhi e afferrò il ragazzo per la felpa rossa. Si gettò addosso alla porta di una camera che aveva a sinistra e lo tirò con sé. La aprirono e si lanciarono a terra, sentendo sparare. Chiusero in fretta, mentre lui la guardava a occhi spalancati, incredulo e col fiatone.
«Cosa? Come?».
«Era lì, starà arrivando».
Si alzarono velocemente dal pavimento ma sgranarono gli occhi entrambi quando capirono che la camera era occupata: un ragazzo sopra e una ragazza sotto si coprivano alla bell’e meglio con i propri vestiti, tirandosi indietro sul lettino. «Su… Supergirl?».
«Dovete andare… in bagno!», esclamò Barry, indicando la porta. «In bagno, presto». La coppietta non se lo fece ripetere due volte e, mano nella mano, corsero a chiudersi dentro, terrorizzati. Poi si voltò a Kara che, intanto, si era messa a guardarsi intorno in cerca di qualcosa. «Non proverà a sparare di nuovo, anche se la musica di sotto è alta, hanno usato un silenziatore per uccidere l'agente del D.A.O. e di certo non vorrà che scoppi il caos qui al campus! Cosa… cosa stai facendo?». La vide staccare la testa della scopa e stringere il bastone come un'arma, poi voltarsi verso di lui con sicurezza.
«Vado a prenderlo».
«Ha… Ha-Ha un fucile», per poco non trovò le parole, «Abbiamo bisogno di un piano».
«Sono io il piano».
Per fortuna Barry la tirò verso di sé per fermarla: l'uomo sparò vari colpi contro la porta e i due si abbassarono dietro il muro, reggendosi le orecchie. Nonostante questo, riuscivano ancora a sentire le grida della coppia dal bagno. Un altro colpo e, dopo un pesante tonfo, il silenzio più assordante. Se non fosse stato che a tutti e due fischiavano le orecchie.
«Avrà finito i colpi?», domandò Barry, cercando di fermare Kara che si rialzava stringendo il bastone.
La porta cigolava. Il ragazzo afferrò il primo soprammobile trovato e, no, troppo leggero, prese il secondo soprammobile trovato e insieme a lei si avvicinò, spalancando la porta, pronti a colpire. Ma era già steso e il suo corpo giaceva su un lago di sangue che imbrattava la moquette.
«Tutto bene, signorina Kara?».
Si voltarono pronti a colpire ancora ma i due uomini che andavano loro incontro non sembravano minacciosi: maglioni e jeans, in mano ognuno una pistola.
«Chi dovreste rappresentare?», chiese lei, continuando a stringere il bastone della scopa.
«La teniamo d'occhio per conto della signora Luthor-Danvers; lavoriamo per i Luthor da anni».
«Lillian vi ha mandato a seguirmi?», sbottò subito. «Ma certo, non bastavano gli agenti del D.A.O.».
«Siamo stati molto discreti», commentò uno dei due, scrollando le spalle.
«E ci hanno appena salvato la vita», Barry fece spallucce.
Uno dei due riprese subito parola: «Gli agenti del D.A.O. sono feriti, signorina Kara. Uno di loro è morto».
«Oh, lo sappiamo», rispose con arroganza, «Arrivate tardi. E comunque ne abbiamo catturato uno, mentre voi vi giravate i pollici».
Proposero parlando tra loro di portare via quegli uomini e di chiamare qualcuno a pulire la scena del crimine che Barry li rimproverò stizzito, ben sapendo che in quel modo avrebbero compromesso le prove.
«Rischiate di andare a processo anche voi», li avvertì, ma non sembravano dargli grande ascolto.
Intanto, Kara cercò di ascoltare Siobhan ma non sentiva se non un brusio. Provò a chiamarla di continuo ma non rispose e così guardò il ragazzo, entrambi seri.
«Nulla? Forse non può parlare», le passò una mano su una spalla, «Non pensare subito al peggio».
Lei annuì. «Mai mi sarei aspettata che un giorno mi sarei preoccupata per Siobhan Smythe». Staccò la chiamata e provò a farle una nuova telefonata, magari sentendo la suoneria o la vibrazione… ma niente. Non accettava la chiamata. «Accidenti».
Barry scosse la testa. «Siobhan, tu», sospirò, «Qualcosa ci sfugge, Kara. È strano che abbia mandato qualcuno a uccidere entrambe nello stesso momento, come se ci fosse uno schema».
«Oddio», soffiò, spalancando gli occhi. Barry la dovette afferrare poiché per un attimo ebbe un giramento di testa tanto forte che si lasciò cadere all'indietro. «Mollami, io sto bene», gli scansò una mano. «È Lena! Alex. E Leslie. Siamo tutte bersagli», iniziò a correre e gli uomini le stettero dietro, guardando lei e il cadavere sulla moquette. «Come ho fatto a non pensarci, come ho fatto?! Devo andare da Lena! Devo andarci adesso! Oddio, Alex…».
«Kara, Alex ha una pistola», le ricordò Barry, «Ma Siobhan?».
La pillola stava perdendo il suo effetto. Sentì le emozioni invaderle il corpo e la mente come un treno in piena corsa. Doveva prenderne un'altra. E presto. Non poteva lasciarsi avvolgere da ciò che provava proprio ora; dalla sensazione del vuoto per non avere Lena accanto, dalla rabbia, dalla delusione e dalla sconfitta. Le faceva male il petto e faticava a respirare. Il suo corpo era come una statua di creta, lo sentiva, sensibile e fragile al tocco. Spaccato. Quelle pillole duravano sempre meno, non erano abbastanza efficaci, doveva tornare da Lord appena possibile. Rientrarono al suo dormitorio di corsa. I due uomini che lavoravano per Lillian si stupirono di trovare Mike, ma in quel momento a Kara non importava. Presero sotto custodia l'uomo imbavagliato e il ragazzo, che fino a quel momento aveva fatto da guardia, andando con loro perché lo portassero al sicuro. La ragazza restò indietro, aprì l'armadio e tirò fuori il barattolino di vetro. Doveva prenderne un'altra subito perché doveva pensare a Lena senza lasciarsi travolgere da ciò che sentiva e la faceva distrarre, non c'era tempo. Barry si fermò per raccogliere il passamontagna dell'uomo e lei, confusa da ciò che provava e presa dalle emozioni, non lo vide vicino alla porta: la scorse mettersi quella pillola in bocca e deglutire con un po' d'acqua.
Non le disse niente e, pensieroso, raggiunsero entrambi gli uomini che caricavano l'assassino su un furgoncino nero. Poi tornarono indietro per il cadavere, anche se Barry era contrariato. Molti ragazzi del campus li videro passare e iniziarono a bisbigliare e chiedere cosa fosse successo mentre festeggiavano. Guardarono con occhi sgranati che Mike Gand era lì ed era vivo, e che un uomo steso da una parte del veicolo non lo era. Barry lo coprì con un telo, sussurrando buone parole per lui.
«Devo andare, non posso stare qui».
Mike corrucciò lo sguardo ma Barry rispose per lui, scendendo dal furgone. «Non adesso, non puoi», le consigliò, guardandola a sottecchi. «Kara, loro ti starebbero dietro».
«Sto solo perdendo tempo», ringhiò.
«Ragiona: se vai ora, non te li toglierai dalle costole. So come seminarli».
Tornarono trasportando l'uomo che avevano ucciso in corridoio, facendo gridare di paura qualche altro studente, seminando il panico. Dovevano portare i feriti in ospedale e salirono tutti sul furgone, lasciando gli studenti e il personale del campus appena arrivato a chiamare la polizia. Solo pochi metri, non potevano correre di fronte all'università, e lei e Barry aprirono le porte, saltando giù. Sbigottito come gli agenti feriti vicini, Mike li guardò mentre a poco si allontanavano, incerto se scendere anche lui. Guardò gli agenti e di nuovo la strada; si buttò quando era quasi troppo tardi. Uno dei feriti meno gravi chiuse le porte, sussurrando loro buona fortuna, fondendosi col buio.
«Devo andare da Lena», decise Kara, mettendosi a camminare velocemente.
«Non sai neanche dove si trova», sbottò Mike, standole dietro.
«Alla Luthor Corp, me lo ha detto Winn quando mi ha chiesto della partita».
Lui strinse i pugni, lanciando solo un'occhiata a Barry, che non sembrava volerle replicare. «Mi hai fatto scendere dal furgone per questo? Li hai visti quelli, no? Alla Luthor Corp ce ne saranno altri, perché ti preoccupi? È ben protetta, siamo noi quelli scoperti».
Successe in un attimo: Kara si fermò e lo spinse, facendogli mettere male un piede sul marciapiede e cadere. Lo guardò dall'alto al basso, dura. «Prima di tutto, io non ti ho chiesto proprio niente! Non è un tuo impellente bisogno elementare quello di seguirmi in qualsiasi cosa faccio. E secondo, se mi sei venuto dietro solo per assillarmi, allora vai verso l'ospedale e raggiungili. Non ho bisogno di te».
«Kara, fermati», Barry le strinse un braccio e la fece retrocedere.
Mike rimase immobile e senza parole poiché la ragazza mai aveva reagito in quel modo prima di allora. Sì, avevano litigato a ora di pranzo, ma niente aveva a che vedere con quello. Si rialzò lentamente e, sconcertato, si girò, togliendo la polvere dai pantaloni. «Allora me ne vado».
«Finalmente», sussurrò lei, «Lo hai capito». Si voltò e riprese a camminare, seguita da un Barry molto confuso. Mike restò indietro, ma infine li seguì. «Devi trovare Alex», disse lei all'amico, ignorando il ragazzo a due passi da loro. «Se sta bene… Certo che sta bene», si corresse, «Devi dirle di Siobhan. Dovete andare da Siobhan. Non posso andare da lei io, non farei in tempo».
«Non devi, siamo in due», annuì. «Vado direttamente alla CatCo e intanto cerco tua sorella».
Kara gli salvò il numero sul telefono e tentò di nuovo di chiamare Siobhan, ma non rispondeva. «Ci proverò fino alla Luthor Corp, una volta lì dovrò lasciarla».
«Quando sarai arrivata, io sarò già alla CatCo». Indossò il passamontagna e sorrise.
Si scambiarono un gesto d'intesa e Kara si voltò di nuovo indietro, guardando Mike, che aveva assunto un'espressione arrabbiata. «Vuoi dare una mano senza fare il bambino viziato?». Non aspettò di sentirlo rispondere: «Trova Leslie Willis».
«Facile. Sarà alla CatCo-».
«È stata sospesa con me, dovrai cercare il suo indirizzo».
Lui strinse le labbra e mosse la testa, ma infine annuì. «Sarà fatto! Ti dimostrerò che ti puoi fidare, che posso essere come te».
«Non devi essere come me, coso. Ti sfugge proprio il principio», disse Kara. Lei e Barry si scambiarono un'occhiata d'intesa prima di dividersi, mettendosi a correre. La ragazza trovò un taxi, ma alcune strade erano state bloccate per una sparatoria avvenuta in centro e dovette rimettersi a correre. Cosa stava succedendo a National City? Provò a chiamare Eliza ma non rispondeva, accidenti. Non anche lei. Fortunatamente, Barry era veloce e si sentiva ancora carico perché, al contrario, lui non aveva trovato nemmeno un taxi e dovette farsi tutta la strada di corsa. Temette potesse essere successo qualcosa di brutto a Siobhan poiché quella ragazza amava parlare, straparlare, e lamentarsi.
La verità, era che Siobhan Smythe si trovava ancora all'interno della saletta per le interviste insieme al suo collega. Al buio, si erano messi a parlare a bassa voce perché non sapevano cos'altro fare, anche se la loro pancia aveva iniziato a brontolare dalla fame. Avevano parlato di sport, di alcuni programmi in tv, delle elezioni e di Rhea Gand, delle aspettative per il futuro, se a quel punto ce ne fosse stato uno. Dove si vedeva tra qualche anno? Magari Cat Grant le avrebbe affidato una rubrica tutta sua. Sarebbe stato bello. Una bella promozione, perché no. Una famiglia… oh, no, al contrario di Mcbrown, non ci si vedeva proprio ad abitare nella classica casetta con la staccionata bianca a cucinare biscotti mentre i suoi figli giocavano fuori col cane. Era un'idea di vita che non le aveva mai fatto gola. Anche se ora, in quel momento, ogni idea di vita le faceva gola se fosse riuscita a uscire viva da quella serata. Siobhan si era persa nel spiegare al collega come fosse stata quella donna, Rhea Gand, a inviare quelle persone apposta per ucciderla, ma lui non ci credeva. Gli raccontò della sua ossessione per Kara Danvers e cosa l'aveva obbligata a fare per lei, di come l'avesse minacciata con la pistola proprio nei parcheggi della CatCo. Di come fosse matta, matta da legare.
«E tu pensi che lei abbia fatto tutto questo… per te?», strabuzzò gli occhi e Siobhan annuì.
«Mi vuole morta, credimi. Non le sto di certo simpatica», alzò gli occhi al soffitto e lui prese il cellulare: Siobhan vide la luce dello schermo appena, da quanto era bassa. «È scarico, vero?», domandò.
«Sì», scrisse qualcosa e lo rimise via. «Sta morendo, non posso neppure chiamare i soccorsi».
«Come se non ci abbia già pensato io appena li ho visti arrivare, geniaccio. O starei qui a parlare con te se avessi altra scelta?», sbottò acida. «Non risponde nessuno». Stava per riprendere il cellulare che sentirono dei passi e videro un'ombra fermarsi davanti al vetro della porta. I due restarono fermi e in silenzio, con la paura negli occhi. Ma la porta si aprì. Siobhan strinse il cellulare pensando a Kara, ma non poteva farsi sentire supplicando aiuto, così allungò la mano per riprendere lo spray al peperoncino: era la sua unica difesa. La luce si accese e i due scattarono in piedi, terrorizzati.
«Ma guarda chi abbiamo qui! Mi era sembrato di sentire delle voci», esclamò; era un uomo. Entrò al centro della saletta e i due si sporsero ai lati, guardandosi.
«Ti prego, non sparare», disse subito lui, «Ho una fidanzata a casa, stiamo provando ad avere un bambino».
«Non sparare, non sparare», pregò anche lei. «P-Potrei, beh, anche io un giorno potrei volere dei figli. Un giorno, lontano. Forse. A tutti è concesso cambiare idea. Non per questo valgo meno di Mcbrown».
Il terrorista guardò lei, guardò lui, di nuovo lei e alzò la pistola, ma era a lui che sparò. Di fretta. Siobhan urlò e anche Mcbrown, la cui la camicia bianca si riempì di sangue.
«Brutto idiota di un omega», urlò in preda al dolore, «Ti avevo detto il braccio, mi avrai sfiorato due costole». Si resse la ferita sanguinante mentre Siobhan guardava lui e l'altro, sgomenta. A tentoni per via della perdita che gli faceva provare le vertigini, Mcbrown si avvicinò al terrorista che gli passò la pistola.
Siobhan sgranò gli occhi, impallidita, quando capì cosa stava succedendo. «Sei uno di loro… Sei uno di loro», mormorò. «Mi fidavo di te, brutto stronzo! Mi sono confidata con te». Controllò il cellulare ma vide che la chiamata era staccata. Lo lasciò scivolare dalle dita, mente gli occhi le si riempivano di lacrime.
«Sono venuto a cercarti… questo facevo in ascensore. Credo di non aver mai parlato con te… così tanto a lungo… come oggi», disse a denti stretti, sofferente. «Sei superficiale, non hai niente… di speciale, non… mancherai a nessuno. Hai ragione, Smythe… la signora Gand ti vuole morta», le puntò contro la pistola. «E non stai… simpatica a nessuno».
Ecco. Era la fine, lo sapeva, se lo sentiva nelle ossa. Sarebbe morta quel giorno, in quella circostanza, e puzzava di pipì. Ma Gand non avrebbe avuto il suo cadavere senza sudare: alzò il braccio destro e, iniziando a urlare, schiacciò lo spray al peperoncino tanto forte e tanto a lungo come non aveva mai fatto, facendo tossire e gridare entrambi. Mcbrown non vedeva più niente e gli bruciavano gli occhi, per poco non respirava, ma sparò due colpi e Siobhan corse verso la porta aperta, rischiando di cadere, ciondolando, con la sua unica arma ancora in mano. L'aveva colpita, se ne rese conto quasi subito. Si sentiva bollente e bagnata, ma aveva solo voglia di correre. Di correre lontano da lì. Udì Mcbrown ordinare all'altro di trovarla. Doveva correre lontano, anche se faticava a vedere dove metteva i piedi. Era la fine. Girò un angolo e corse. Era la fine. E puzzava di pipì.
Barry si era fatto strada attraverso una porta di servizio lasciata incustodita e, quando sentì il rumore di spari, cercò di seguirli. Era stata una fortuna perché non le reggevano più le gambe. «Siobhan?», corse più veloce che poté e la soccorse. «Sei ferita?», gridò lui, col fiatone. Le mani gli si riempirono di sangue e trattenne il fiato per un attimo, guardandosi dopo intorno, cercando di tirarla su di sé per nascondersi insieme: chi l'aveva ridotta in quello stato non poteva essere lontano. La afferrò e, come ridestata all'improvviso, lei lo guardò: indossava il passamontagna.
Con forza, Siobhan provò a gridare ma, anche se non le riuscì, alzò di nuovo lo spray e lo colpì a quelli che immaginava fossero gli occhi. Era debole, lo spruzzo gli urticò la vista e lo sentì imprecare, e tossire, ma non la lasciò andare. Doveva scappare, doveva scappare. Oh, non ci sarebbe riuscita. Capì tardi di non avere più forze. Era davvero la fine, dopotutto. Stava morendo, se lo sentiva nelle ossa.
Si accasciò a terra e il ragazzo, togliendosi il passamontagna, la caricò su di sé e la trascinò dietro una porta. Una volta lì chiamò di nuovo il nove uno uno, sperando fossero reperibili, questa volta: Siobhan perdeva molto sangue, non aveva tempo.

Rhea era davvero su tutte le furie: la sua operazione non era andata a buon fine come sperava, lo vide attraverso il tablet dalle telecamere rotte e dalle prime notizie online, perché il silenzio a National City, che doveva essere il primo obiettivo da raggiungere, era stato rotto. La Lord Technologies liberata dal D.A.O., la CatCo dalla polizia e l'FBI che erano tornati operativi, circondando anche la Luthor Corp dopo una chiamata anonima proveniente dall'interno, Lillian Luthor era ancora viva e la squadra era stata fermata dai suoi uomini, Leslie Willis sparita. Mentre molti dei suoi omega e aspiranti tali erano stati arrestati e fermati, solo in pochi erano riusciti a scappare. E chissà dov'erano. Erano tutti una grande minaccia per lei, adesso. Chiese al bodyguard di stringerle un braccio per creare un livido e si sbavò di nuovo il rossetto, poiché quella era l'unica via d'uscita che poteva tentare.
Quando Kara arrivò alla Luthor Corp, c'erano più volanti della polizia e tre ambulanze. Vide i soccorritori portare fuori dal palazzo due barelle coperte da un telo nero e gridò, colpì un poliziotto che la bloccava e, proprio quando si misero in gruppo per trattenerla, Charlie Kweskill ordinò di farla passare.
«Tranquilla, non-», lui non riuscì a parlare che lo ignorò, correndo da James, seduto su uno dei veicoli dell'ambulanza.
«Dio mio, Kara, stai bene?».
«Dov'è Lena?», domandò subito, col cuore in gola. Sentiva la tachicardia. L'effetto della pillola era già svanito? Perché duravano sempre meno? «C-Certo, e tu? Tu come stai? Perché eri qui? Non sapevo ci fossi».
«Sta bene, Kara», le sorrise, annuendo. «Mi ha salvato la vita ben due volte. È-È dentro».
Kara corse subito, salendo le scale dell'ingresso. Ritrovò Jeffrey il portinaio e lo abbracciò: era ferito a un braccio e glielo avevano fasciato. Anche Winn aveva un braccio fasciato e un grosso cerotto sul viso.
«Devi vedere l'altro. L'altra, veramente», sghignazzò, per poi tornare serio e abbracciarla di scatto con il braccio sano. «Sono contento che stai bene».
«Anche io di vedere te, Winn», si sforzò per sorridere. «Devi aver conciato l'altra per le feste».
«Sì», rise. «Peccato che sia scappata, o…».
«Ne sono sicura».
Poi incrociò Maggie, abbracciando anche lei. «Alex è con il D.A.O., è tornata alla base per l'arresto di alcuni uomini, ma verrà a trovarvi. Sta bene ed è riuscita anche a mettersi in contatto con John, lui e Megan stanno tornando». Kara vide che le mancò il fiato, a un certo punto. «Kara, non sapevamo che sareste state dei bersagli; pensavamo volesse mettere a soqquadro la città per andare al potere, ma-».
«Non è colpa vostra, lo so! L'importante è che stiamo tutti bene; devo andare da Lena, adesso».
Maggie abbassò gli occhi solo un momento, per poi sorridere, incurvando la testa. «Certo, tutti bene. Sì. Vai, le abbiamo lasciato del tempo nel suo ufficio».
La macchina con a bordo Lillian ed Eliza aveva deragliato, a un certo punto. Si erano spaventate, ma non avevano riportato alcun danno e gli uomini che lavoravano per i Luthor avevano consegnato i terroristi agli agenti di polizia intervenuti sul posto. Lillian aveva poi ordinato a Ferdinand di rimettere in moto e lei ed Eliza si erano rimesse sulla strada per raggiungere il ristorante dell'incontro, prima che le fermassero per aspettare l'ambulanza. Se non altro, Eliza era riuscita a parlare con Alex al cellulare che l'aveva rassicurata su come tutte loro stessero bene; almeno aveva potuto tirare un sospiro di sollievo.
«Che cosa vuoi fare, Lillian? Non sarà così sprovveduta da farsi trovare». Era preoccupata, come non esserlo. Sapevano che lo stesso ristorante era stato assediato, per via del sindaco che si trovava lì.

«Non la conosci bene quanto la conosco io, mia cara. Si fingerà una vittima come tutti noi».
Quando arrivarono lì e videro le persone vestite di nero che venivano arrestate, raggiunsero il piazzale con i tavoli e scorsero Rhea, proprio come aveva detto Lillian, che cercava di farsi passare per vittima: raccontava di come due uomini avessero cercato di aggredirla e come la sua guardia del corpo aveva dovuto sparare per farli fuggire. L'agente dell'FBI raccolse la sua testimonianza e la lasciò, andando verso il sindaco che era terrorizzato, continuando a scolarsi pieni bicchieri d'acqua accasciato su un tavolino. Anche altri invitati erano sotto shock. Lillian alzò il palmo destro ed Eliza vide Ferdinand passarle una pistola.
«No, fermati», si era messa in mezzo, coprendola, prima che qualcuno potesse vederle in quell'angolo. «Non stai facendo sul serio, non puoi volerlo fare sul serio, Lillian».
«Ti prego, devi lasciarmelo fare. Devo chiudere questa faccenda una volta per tutte», strinse le labbra secche. «Era una cosa che avrei dovuto fare molto tempo fa, è una mia responsabilità», socchiuse gli occhi, diventando lucidi. «Lionel lo sapeva, per questo aveva cercato di fermarla undici anni e mezzo fa e per questo aveva cercato di raccogliere prove sull'organizzazione, perché tutto finisse. Com'era iniziato, doveva finire. E lo hanno ucciso».
Eliza le strinse i polsi e la guardò negli occhi, cercando di mantenere la calma. «E la tua seconda possibilità? Se premi quel grilletto, finirai in prigione. Non avremo più un futuro insieme».
«E vorresti ancora averlo con me, questo futuro?».
«Certo», disse, tremando. «Ti ho sposata, Lillian Luthor».
«Forse però è questo che mi merito. È così che dovevano andare le cose», annuì brevemente. «Non sai cosa ho fatto in passato. Che tipo di persona fossi».
«So esattamente che tipo di persona fossi», le accarezzò i polsi. «E avremo modo di parlarne con tranquillità se è quello che vuoi ma, Lillian, non sei più quella persona e non puoi lasciare che quella donna malvagia vinca». Si voltò ed entrambe la guardarono mentre fingeva di piangere, singhiozzando, consolata da altri invitati. «Lei vuole distruggerti e, se le spari, è come se avesse vinto. E questo lo sai», riguardò lei e la pistola. «Mettila via. Per favore».
Lillian prese un bel respiro, alzò il mento e abbassò le braccia. Fu allora che Rhea la vide e, impaurita, sgranò gli occhi arrossati. Capì che era armata. Ma non ebbe il tempo di urlare:
«Rhea Gand», una voce conosciuta si sollevò lungo il piazzale e, mentre tutti si voltavano, alla donna mancò il fiato: Dru Zod era lì e le andava incontro, mentre un'agente dell'FBI si avvicinava con le manette e altri la circondavano. «Ti dichiaro in arresto per cospirazione, terrorismo, omicidio plurimo e tentato omicidio», prese una pausa, «Tra cui il mio».
Tentò di divincolarsi e dichiararsi innocente ma si ghiacciò quando il suo bodyguard le fece vedere un cellulare, andandolo a consegnare a Zod. L'aveva registrata? Lavorava per lui? L'aveva tradita? «Non puoi farmi questo, Dru! Non puoi», gridò. Sapeva che, con quelle registrazioni dove elencava il suo piano e le persone da colpire, era fregata in qualunque caso e che ogni sua parola contro di lui o l'organizzazione, a quel punto, sarebbe stata giudicata non affidabile. Avevano le loro prove e gli aveva consegnato la sua pistola, non voleva crederci. Non avrebbe più potuto neppure trascinarlo con sé. Tutti la stavano guardando, tutto il suo mondo perfetto le stava crollando da sotto i piedi. «Fallo per Petra! Non puoi farmi arrestare, fallo per la sua memoria». L'agente che le mise le manette iniziò a leggerle i diritti mentre la scortavano e Rhea scalciò come indemoniata. «Avvocato? Ci puoi scommettere che avrete tutti notizie dai miei avvocati! Ve li ritroverete anche sotto la doccia».
Ferdinand ripose la pistola dietro la giacca e le due donne si allontanarono con lui, venendo fermate dai paramedici. Rhea ancora urlava e la videro l'ultima volta venendo trascinata all'interno di una volante. Eliza si premurò di fissarla, si scambiarono un'occhiata, poi chiusero la portiera.


***


Kara scosse la testa, appoggiandosi al muro dell'ascensore. Le girava di nuovo tutto e aveva la tachicardia alta.
Guardò il cellulare: aveva chiamate perse da Lena, da Eliza e una da Megan, tre da parte di Clark e ben sette da Mike, mentre Barry non si era fatto sentire. Sperava che fossero con Siobhan e Leslie, adesso; avrebbe richiamato suo cugino più tardi, invece. Le porte dell'ascensore si aprirono e deglutì, uscendo pian piano, camminando per il corridoio. Non sentiva nulla. Non sapeva neppure cosa le avrebbe detto o cosa avrebbe fatto. Si affacciò all'ufficio e vide che tutto era stato rovesciato, che i libri erano sparsi sul pavimento e che Lena era lì che li raccoglieva, fregandosi gli occhi e mettendo giù il suo cellulare. Oh, risentiva tutto: i suoi sentimenti verso di lei tornavano a galla come sparati dalla pressione e non poteva fare nulla per fermarli. Quella stupida pillola aveva fallito, ma ora… chi se ne importava. Non voleva fermarli. Voleva sentire tutto, voleva provare quella felicità nel rivederla sana e salva salirle lungo il petto ed esplodere, voleva provare quella frenesia che la spingeva verso di lei.
La vide alzarsi e notarla. Guardarla a lungo, come se il tempo si fosse fermato; i libri raccolti scivolarono dalle sue braccia. Ora voleva provare tutto, voleva sentirla. Kara trattenne il respiro e corse all'interno dell'ufficio nell'esatto momento in cui anche Lena scattò verso di lei. Si ritrovarono e si abbracciarono, sorridendo, con occhi lucidi. Si strinsero tanto a lungo da sentire ognuna il cuore dell'altra che batteva e riconoscerlo familiare. C'era un insieme, da qualche parte. Kara le portò le mani sulle guance fresche e si avvicinarono, appoggiando ognuna le labbra sull'altra, lasciandosi per riprendere fiato e accogliersi di nuovo, più a fondo, sentendosi di nuovo loro. Di nuovo loro due e loro due soltanto.
«No», sussurrò Kara, le labbra sulle sue, gli occhi semichiusi. Era stata così stupida, così stupida…
«Shh», scosse un poco la testa, «Lascia stare, non dire niente».
«Devi saperlo: no», la guardò negli occhi verdi grandi e pieni, specchiandosi: ritrovò lì la conferma delle sue parole. «Non mi sono innamorata di te per pena. Ho detto una cosa stupida. Stupida! E-E ti ho ferito. Ero così… preoccupata che ti fosse successo qualcosa».
Lena sorrise e arrossì vistosamente, abbassando gli occhi solo un momento. «Sono felice di sapere che sei tornata in te».
Anche Kara rise e si lasciarono andare a un altro bacio, stringendosi. «T-Ti hanno ferita? Perché-».
«No, no, non piangevo per-», scosse la testa, «Parlavo con Indigo».
«Parlavi? Cioè, ti ha telefonata o…?».
«No, un messaggio. Non voglio parlarne, adesso. Sono solo felice di sapere che stai bene».
«Mi conosci, sono fatta d'acciaio».
Kara la strinse forte e Lena ricambiò, sentendosi finalmente al sicuro tra le sue braccia. Stavano bene lì, in quel momento, ad ascoltare i loro reciproci respiri e l'odore dei capelli. Non esisteva nient'altro di più bello, al mondo. Avrebbero avuto tempo per perdonarsi, per sentirsi in colpa, o per parlare di ciò che era successo. Ora volevano solo sentirsi e, riguardandosi, baciarsi.
Maggie Sawyer le scorse dietro la porta e tornò indietro, sbricio un'altra volta veloce per essere sicura e camminò a passi felpati in corridoio per non farsi sentire. Scrisse rapidamente un messaggio, rientrando in ascensore.
Tua sorella e Lena sono insieme, le dirò dopo di Siobhan Smythe. Tienimi aggiornata!










































***

Ops! Siobhan?! Sappiamo che è stata sparata, ma le sue condizioni?
Il problema vero è che dovremo aspettare per saperlo, perché il prossimo capitolo è uno stand alone e ci porterà a capire di più su un personaggio in particolare ;)

Il punto della situazione:
Maxwell Lord è salvo grazie ad Alex e una squadra del D.A.O..
Selina Kyle ha frugato alla Lord Tech e pare che sia l'unica ad aver guadagnato da questa situazione.
La squadra di omega dell'organizzazione e di Larry, il poliziotto che stravede per Leslie, hanno acciuffato i terroristi scappati dalle zone liberate.
Lena e James se la sono cavata e sono riusciti a superare la difficoltà, anche aiutando Winn e facendo scappare i terroristi che lo minacciavano. Una di voi aveva visto giusto: James si è preso una sbandata per Lena ma… mi sa che qui, a dispetto della serie, non ha avuto fortuna XD Intanto Indigo ha finalmente avuto i dettagli d'accesso che tanto disperatamente voleva da Lena, eppure, come quest'ultima nota, sapeva cose che avrebbe potuto sapere solo se avesse avuto accesso alle telecamere già prima che le inviasse i dati d'accesso. Piuttosto strano. Senza dimenticare che Lena piangeva prima dell'arrivo di Kara alla Luthor Corp, e piangeva proprio dopo aver parlato con Indigo, come dice. Cosa sarà successo?
Proprio Kara è stata attaccata mentre lei e Barry cercavano il terrorista mancante, peccato che sia stato poi più lui a trovare loro XD
Mike ora non ha più bisogno di nascondersi e Rhea, dopo aver sudato freddo nell'aver capito che Lillian era lì per ucciderla, è stata arrestata da Zod, ancora vivo e vegeto.
E, oh sì, pare proprio che sia successo: Lena e Kara si sono ritrovate, si sono abbracciate e si sono baciate. Questo non significa che tra loro sia tutto sistemato, solo che si amano e che certe situazioni “scavalcano” di fatto tutto ciò che le impediva di stare insieme per farle ritrovare laddove si sono sentite terrorizzate all'idea di perdersi davvero. Però è un grande passo avanti, non c'è che dire. Eppure, sapete, esiste un'altra versione di questo finale! Ne avevo scritto un altro che sarebbe stato comunque un punto di svolta, ma dal sapore tutt'altro che allegro! Lo volete leggere? Lo trovate a questo link!!

Note? Neanche stavolta ho qualcosa da dire, se non che, magari, mi venivano in mente altri capi d'accusa per Rhea Gand, ma che quelli elencanti sono l'essenziale (sperando di non aver sbagliato la procedura perché, okay che è una fan fiction, ma mi piacerebbe tenere in considerazione la realtà).
Anche in questo capitolo ci sono due piccoli indizi su qualcosa, anzi qualcuno, uno dei quali è praticamente lo stesso dello scorso capitolo, uno dei tre, il terzo. Ma come lì, è un indizio difficile, comprensibile magari più avanti, per chi lo può ricordare.
Sarà una cosa che vi farò presente quando potrò :P

Come vi avevo anticipato, il prossimo capitolo sarà uno stand alone, si intitola Il violino e sarà pubblicato qui martedì 30 aprile :) Intanto, buona Pasqua!


   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supergirl / Vai alla pagina dell'autore: Ghen