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Autore: Koa__    21/04/2019    7 recensioni
Lestrade chiede a Sherlock di aiutarlo con un caso che vede alcune coppie scomparire misteriosamente nel nulla. Lui però non ritiene che queste sparizioni siano degne della sua attenzione, almeno fino a quando il cadavere di una donna non viene rinvenuto sulle rive del Tamigi. Per poter indagare su questo misterioso delitto, Sherlock e John si fingono fidanzati. Loro malgrado si ritroveranno vittime di un gioco che li costringerà a mettersi a nudo e, con la vita di entrambi in pericolo e il pensiero che Rosie possa perdere un altro dei suoi genitori, Sherlock si renderà conto di non poter più negare ciò che prova per John.
Partecipa alla Challenge “Easter Eggs” del gruppo Johnlock is the way, and Freebatch of course.
[Ispirata alla 8x05 di Smallville: Committed]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Per finta, ma non troppo
 
 
 

 
 
“Is maybe I'm an alien too
Would you ever let me be an alien with you”
 
 
 

 
 
John doveva ammettere d’averci provato e di essersi impegnato per davvero, ma per quanti sforzi facesse non riusciva a capire per quale motivo avesse saltato di nuovo il lavoro. Si era detto di voler aiutare con le indagini e aveva ammesso, non senza una certa riluttanza, di voler provare il brivido dell’avventura, ma a quel punto del pomeriggio non era in grado neppure più di comprendere dove diavolo stessero andando e soprattutto in che modo stessero aiutando la polizia ad arrestare un pericoloso assassino. Erano usciti dal Barts praticamente di corsa, e soltanto dopo aver acchiappato un taxi al volo era riuscito a fare fermare i suoi sensi impazziti e a far mente locale. Stavano cercando qualcuno che rapiva giovani coppie e le sottoponeva a un perverso gioco fino a ucciderle, non aveva idea di che piano avesse Sherlock per risolvere il caso e, non ultimo, Rosie sarebbe uscita tra poco più di un’ora dall’asilo e non sapeva a chi affidarla.


«Ci ho già pensato io» borbottò Sherlock dopo aver dato indicazioni al tassista, ricadendo pesantemente tra i sedili. Naturalmente si riferiva alla bambina e John, per quanto abituato a quelle deduzioni ai limiti del sovrannaturale, non riusciva quasi a credere alle proprie orecchie. Come aveva fatto? In quale modo era riuscito a intuire il suo disagio? E come accidenti faceva ogni volta a sapere quali pensieri aveva per la mente? Quando capitavano cose del genere non si sentiva soltanto frustrato, ma anche invidioso. Avrebbe pagato oro pur di avere la sua intelligenza e sfruttarla per leggergli i pensieri, come faceva tanto abilmente lui. E invece doveva soltanto tentare di capirci qualcosa, pur sapendo che non sarebbe riuscito in niente.
«Ho detto a Mycroft di mandare la solita tata, si occuperà di lei finché non faremo ritorno.» A quella breve spiegazione non aveva aggiunto altro, si era semplicemente rinchiuso dentro al proprio testardo mutismo, senza sollevare lo sguardo dallo schermo del telefono. Sapeva perfettamente chi intendeva con “La solita tata”, perché già si erano affidati a lei in passato. [1] L’aveva trovata Mycroft e si trattava di una di quelle persone che Mr governo inglese riteneva esser fidata, il che significava che era addestrata a qualunque tipo di emergenza, dalla pipì alla crisi nucleare. Sapeva che Rosie sarebbe stata al sicuro con lei, quindi non era senz’altro sua figlia a preoccuparlo. Era più quel non parlare, il fatto che Sherlock non lo guardasse nemmeno negli occhi, a metterlo in agitazione. Non faceva che pensare che quel gesto, in apparenza di poco conto, ma che aiutava a capire il cuore grande e l’animo gentile della meravigliosa persona che aveva accanto. Quel lato di lui lo aveva scoperto soltanto di recente, dopo essersi trasferito a Baker Street ed era quell’aspetto del suo carattere di cui gli estranei ignoravano l’esistenza e che lo stesso John non conosceva ancora bene, ma che era in grado di sorprenderlo ogni giorno di più. Quella sua strana maniera di stare al mondo così sensibile e straordinariamente sentimentale, attenta e premurosa, gli faceva vibrare un qualcosa dentro lo stomaco. John si era innamorato principalmente di ciò che la gente avrebbe considerato0 amorale, strambo o socialmente poco rispettabile. Si era innamorato del suo brutto carattere, dei modi anche un po’ duri. Si era innamorato della genialità, della sua bellezza così particolare e ora lo scoprire questo suo stare attento alle loro esigenze, lo faceva sentire bene. E quel pomeriggio dentro a quel taxi con un consulente investigativo non troppo in vena di chiacchiere, gli venne in mente sua figlia. Quella stessa bambina biondiccia che tanto somigliava a Mary, ma che straordinariamente aveva qualcosa anche di Sherlock e che stava crescendo con due padri, uno dei quali era a dir poco perfetto. Non lo ringraziò apertamente, ma era quasi sicuro che gli occhi di Sherlock avessero brillato nell’istante stesso in cui aveva incrociato il suo sorriso, schiacciato dietro a un pugno chiuso. La sua mente tornò a concentrarsi sul caso in questione, però senza quell’interesse tale da rendere vitale la sua risoluzione. All’improvviso niente aveva più davvero senso se non loro due dentro a quel taxi.

 
 
 
*

 
 
 
John Watson non poteva proprio dire che star dietro a un Holmes euforico fosse semplice. Al contrario, quella sua ampia falcata che macinava vie di Londra con la stessa rapidità con cui una cavia girava dentro a un labirinto, lo stava mettendo alla prova ben più di quanto avesse mai fatto il suo il sergente maggiore ai tempi dell’addestramento. Passo sicuro e svelto, mente attenta ed espressioni contrariate, Sherlock riusciva a essere sempre più infastidito a ogni passo che faceva. Da quando il taxi li aveva fatti scendere nella zona commerciale di Cadmen, non si erano fermati un attimo. Neppure gli era chiaro il motivo per cui si fossero spinti fin lì, il suo compagno d’avventure era stato piuttosto misterioso in proposito, il suo cervello doveva essere nella modalità in cui dava tutto quanto per scontato. Si era senz’altro convinto che tutti (compresi lui, Lestrade e l’intero dipartimento di Scotland Yard) avessero capito perfettamente ogni cosa e che, di conseguenza, non fosse necessario sprecare parole. Non era così, ovviamente, ma John non aveva ancora avuto modo di farglielo presente. Stava giusto pensando alle frasi giuste da usare, quando la loro corsa sfrenata s’interruppe bruscamente.
«Se questa fosse l’ultima cartoleria sulla terra e dovessi scrivere un SOS, qui non comprerei nemmeno una matita.» [2] Erano appena usciti da una cartoleria e il suo mai domo collega aveva un diavolo per capello. Non era insolito il suo reagire in quel modo durante un’indagine, avere a che fare con le persone non era decisamente il suo forte e in genere toccava a John contrattare e fare da filtro (ruolo che non gli era poi così congeniale, considerato che neppure lui amava troppo le persone). Quel giorno però era partito in quarta e senza nemmeno dargli retta aveva interrogato un poveruomo, che neppure lontanamente sarebbe stato al centro di certi sospetti.
«Sherlock, posso sapere cosa stiamo facendo?»
«Per favore, John, non ti ci mettere anche tu» sbottò, irritato «già ho abbastanza problemi ad avere a che fare con questa gente idiota.»
«Gente idiota?» ripeté, incredulo. Sì, probabilmente l’anziano commesso del negozio non era la persona più intelligente di Londra e finora non avevano avuto troppa fortuna, dato che avevano visitato tre negozi e in nessuno di questi pareva esserci un qualcuno che potesse rapire giovani coppie. Non uno, poi, aveva un probabile movente per farlo. Ma questo non giustificava una reazione simile.
«Se ti riferisci al vecchietto della cartoleria sappi che sei stato davvero un villano. Aveva più di ottant’anni ed era appena uscito dall’ospedale: portava ancora il braccialetto. Non ti sembra d’aver esagerato?» John non poteva negare che il più delle volte si divertiva quando Sherlock faceva un po’ lo stronzo con la gente, specialmente se decideva di usare il sarcasmo, e nemmeno poteva smentire d’essersi fatto una risata una volta o due. Non lo negava affatto perché, come ormai ben sapeva, era quell’aspetto della sua personalità di cui si era un po’ innamorato. Qui però la situazione era diversa. Sherlock era strano, doveva esserci qualcosa che lo turbava. Ultimamente aveva spesso reazioni stizzite, si esprimeva con battute acide e poi era pensieroso e nervoso. L’istinto gli suggeriva che c’era qualcosa che non andava nella sua maniera di comportarsi. Da un paio di mesi a questa parte si era gettato a capofitto nel lavoro, ma diversamente rispetto al passato. Sembrava frenetico e desideroso di risolvere casi per poter passare immediatamente uno successivo, non ne accettava per il piacere di svelare un mistero ma soltanto per tenere impegnata la mente. In quegli istanti mentre lo osservava ravvivarsi i capelli e gettare occhiate furtive in sua direzione, forse nel tentativo di dedurre quei ragionamenti, si domandò se non avesse un problema di qualche tipo e avesse paura a parlarne. Che si trattasse di droga? Che sentisse il bisogno di farsi e per questo cercasse uno svago per il cervello? Si era fatto promettere da lui di non toccar più quelle schifezze e che solo a patto d’essere pulito sarebbe tornato a vivere a Baker Street, portando Rosie con sé. John aveva promesso di non bere e di tornare da una terapista che lo aiutasse a tenere sotto controllo gli scatti d’ira, e aveva funzionato. C’era voluto del tempo per guarire e tanto che andava ancora da Ella una volta a settimana, ma ce la stava facendo ed era convinto che anche a Sherlock stesse andando bene. Che poteva fare per sapere che cosa lo preoccupava tanto? Parlarne era la soluzione più ovvia. Ma sì, dovevano sicuramente discuterne o meglio doveva levarsi quel dubbio atroce dalla testa, e sapeva che quello non era il posto giusto in cui sfiorare certi argomenti. Anche se forse un momento giusto non c’era mai, considerata la vita che facevano. Tuttavia e per quanto sicuro fosse di parlargli, il flusso dei suoi pensieri fu interrotto brutalmente. Fu allora che realizzò che Sherlock era troppo concentrato sul caso: non gli avrebbe mai dato retta. Non in quel momento.


«John, delle persone sono scomparse, abbiamo un cadavere in obitorio e un’altra coppia, se non è già finita sulla lista di quel tizio, lo sarà presto. Dobbiamo prenderlo o ucciderà ancora, non abbiamo tempo da perdere.»
«Visto che ti sta così tanto a cuore il tempo, forse dovremmo dividerci» propose, timidamente. In realtà desiderava soltanto stare un po’ per conto proprio. Non che volesse allontanarsi da lui, solo che un po’ di spazio lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. «Tu vai in un posto e io in un altro e poi ci raccontiamo com’è andata.»
«E che cosa speri di fare da solo che non puoi fare insie…» Ma il suo parlare s’interruppe bruscamente, aveva sollevato il volto di scatto e adesso teneva gli occhi puntati dritto avanti a sé. Oh, cielo! Esclamò fra sé. Conosceva quell’espressione fin troppo bene ed era drasticamente ovvio che doveva aver capito un qualcosa d’importante. Che la soluzione fosse vicina?
«Ma certo, che idiota» sbottò, pestando addirittura un piede a terra per la frustrazione o più probabilmente per non esserci arrivato prima. «Stanno rapendo delle coppie, giusto?» Oddio, era quasi sicuro di sapere dove stesse per andare a parare, perché ormai conosceva il suo metodo investigativo e sapeva perfettamente come ragionava. E per quanto il suo stomaco avesse deciso di stritolarsi per l’emozione, la ragione gli suggeriva che era un pessima, pessima idea. Un’idea che magari avrebbe funzionato, ma che avrebbe finto con lo spezzare definitivamente il suo povero cuore tormentato. Sherlock aveva capito che il solo modo per attirare l’assassino era quello di fingersi una coppia e augurarsi che finisse col rapire loro, a quel punto sarebbe arrivata la polizia e tutto sarebbe finito per il meglio. Almeno in teoria. Ma no, John non era pronto, non per quello. Perché la verità era che lo voleva eccome, desiderava essere il suo fidanzato e non per finta. Ecco, magari non voleva sposarsi così presto, però senz’altro fantasticava su una vita insieme a lui. Baciarsi, fare l’amore, essere una coppia a tutti gli effetti. Non lo preoccupava più quello che avrebbe potuto pensare la gente, perché da tempo aveva imparato a fregarsene del parere altrui (e più precisamente da quando aveva accettato di provare qualcosa per un altro uomo), a spaventarlo adesso era invece se stesso. Come si sarebbe comportato in una simile situazione? Sapeva quanto bravo fosse Sherlock a recitare, il fingersi qualcun altro faceva parte del suo lavoro di consulente investigativo, ma lui sarebbe stato altrettanto capace? E soprattutto, quanto di ciò che provava sarebbe trapelato? Non pensava neppure al pericolo che in realtà correvano né al fatto che stavano per attirare su di sé le attenzioni di un criminale che rapiva la gente e la sottoponeva alla macchina della verità, no, non badava alla parte più pericolosa di quell’assurdo piano. Si preoccupava invece dei sentimenti, delle emozioni che non sarebbe stato più in grado di tener segrete. Rimuginava su cosa sarebbe successo se Sherlock avesse anche solo dedotto il suo essere perdutamente innamorato; gli avrebbe chiesto di lasciare Baker Street? A quel punto dove sarebbero andati a vivere lui e Rosie? E senza più una casa e con nel cuore la consapevolezza d’aver perso l’unica persona che gli era rimasta, una persona a cui si era attaccato in maniera spasmodica, cosa ne sarebbe stato della famiglia di cui tanto amava l’idea? John non poteva permettersi di perderlo per nessuna ragione. Doveva fargli cambiare idea, sì, doveva sicuramente convincerlo che era una trovata orribile e che c’erano senz’altro maniere più efficaci di trovare un criminale.

«No, non pensarci nemmeno» gli rispose, negando vibratamente con un cenno del capo, che venne puntualmente ignorato (ma su questo non aveva alcun dubbio).
«Quindi se andiamo in giro fingendo d’essere una coppia che sta per sposarsi, l’assassino abboccherà e noi riusciremo a catturarlo.»
«Ma andiamo, Sherlock, non ci crederà mai nessuno. Guardaci: abbiamo forse l’aria della coppietta felice?»
«John Watson» gli disse a quel punto con un gran sorriso vittorioso stampato in volto. Era la faccia che portava sempre quando aveva capito quello che c’era da fare, una faccia da schiaffi e baci e contro la quale mai avrebbe perso. Era evidente che non avrebbe cambiato idea, insistere avrebbe significato smuovere dei sospetti o peggio farlo sentire rifiutato e inadatto a essere un fidanzato, finto o vero che fosse. E John voleva tutto tranne che questo. Arrendersi, quindi, fu la mossa successiva oltre che la cosa più sensata da fare.
«John Watson, vuoi sposarmi?» E sì, si sentì proprio morire.
 
 
 

 
*



 
Per quanto avesse tentato di convincere se stesso che sarebbe stato un incubo far finta di essere il fidanzato di Sherlock Holmes, la sua preoccupazione venne comunque messa da parte. A un certo momento infatti, fu quella vaga vena di surrealismo che contraddistingueva le sue giornate da quando viveva al 221b di Baker Street, a prender piede e a scacciare persino le paranoie più profonde. A quanto pareva non stavano visitando dei posti presi a caso, il loro obiettivo era entrare in tutti i negozi e atelier che gli sposini avevano frequentato negli ultimi due mesi e fingersi in procinto di celebrare delle nozze sontuose. I soli posti che le coppie avevano in comune erano una cartoleria, una pasticceria e una gioielleria, sempre nel centro di Londra. Questo però non era bastato a Sherlock perché, per quanto fosse ovvio che l’assassino scegliesse le vittime in almeno uno di questi tre negozi, lui aveva voluto per scrupolo controllarli tutti. Ed era stato così che avevano fatto avanti e indietro lungo le strade del centro, fingendosi una coppia ed esibendo sorrisi forzati, con la forte speranza di venir finalmente rapiti e metter fine a quel delirante pomeriggio. Non che John credesse che qualcuna di quelle persone potesse essere un omicida. Spesso infatti s’imbattevano in donne, magari anche minute e dalla corporatura esile e dopo aver saputo per certo che l’assalitore era un uomo, quelle visite diventavano ancora più inutili. Non per Sherlock ovviamente, secondo il quale dovevano tenere un minimo di veridicità, altrimenti nessuno avrebbe creduto che si stessero per sposare seriamente. Il primo negozio utile era stata proprio la cartoleria, fuori dalla quale avevano avuto quella brillante e soddisfacente conversazione, poi più nulla per il resto della giornata. Almeno fino a quando finalmente non misero piede dentro a una pasticceria. Si trattava di un luogo a dir poco incantevole, gestito da un uomo sulla quarantina, di corporatura massiccia e mani grosse da scaricatore di porto, con le quali creava però delle vere e proprie opere d’arte. Il pasticcere si chiamava François qualcosa, era di origini francesi e aveva aperto da un paio d’anni una “Patisserie” nel centro di Londra. Aveva un paio di folti baffi e una capigliatura piuttosto rada e una voce grossa e appena un po’ rauca. Ecco, quella visita non fu tanto fruttuosa, quanto surreale. Pareva infatti che l’uomo non gradisse preparare torte di nozze per coppie gay, almeno a giudicare da un paio di battute vagamente omofobe che aveva gettato qua e là, quasi distrattamente, come se non se ne fosse nemmeno reso conto. Era stato quando aveva chiesto chi di loro due avrebbe portato il velo da sposa, che John aveva sentito il forte desiderio di tirargli un cazzotto in faccia. Si era trattenuto, ovviamente e aveva fatto buon viso a cattivo gioco mentre il suddetto pasticcere si prodigava in svogliati tentativi di dar loro ciò che desideravano. Erano comunque dei clienti. Clienti paganti. Clienti che volevano una torta per un matrimonio di duecentocinquanta persone, almeno secondo quanto aveva raccontato Sherlock. E proprio Sherlock che, di loro, era quello che parlava perché lui aveva “Bugie più convincenti, John” e perché sapeva mentire molto meglio, oltre che avere l’innata capacità di pianificare cerimonie di nozze nel proprio palazzo mentale in cinque minuti netti. Di conseguenza John non faceva poi molto se non annuire o dare il proprio parere, puntualmente ignorato. La situazione però dall’essere una tortura, ebbe sviluppi imprevisti e piuttosto spassosi. Quell’uomo non doveva stare simpatico a Sherlock, questo fu uno dei primi pensieri che gli attraversò la mente quando si rese conto che stavano davvero per ordinare una torta di cinque piani, per un matrimonio che non si sarebbe mai celebrato. E come se non fosse stato sufficiente, gli aveva fatto richieste a dir poco assurde dando certamente prova di gusti impeccabili e sopraffini, ma finendo con l’ordinare una torta composta da ingredienti impossibili da reperire, che sarebbe costata un patrimonio. Era quasi convinto che fosse una vendetta per quelle vaghe battute omofobe, ma non volle mai indagare più di tanto sulla questione. Tutto ciò che fece fu trattenere le risate, salvo poi lasciarsi andare quando si sentì sussurrare all’orecchio un: «Non preoccuparti, la faremo recapitare a Mycroft. Immagina la faccia che farà quando riceverà il conto» che lo fece definitivamente scoppiare in una fragorosa risata. Quindi sì, forse quello era semplicemente uno stronzo che odiava le coppie omosessuali, ma era stato comunque piuttosto spassoso. Non era stata poi una cattiva idea essere il suo fidanzato, rifletté mentre procedeva a passo svelto lungo un affollato marciapiede. Per assurdo fu proprio allora che un senso di amarezza lo pervase: era soltanto una finzione. Una bugia e basta. Sherlock non lo amava e non l’avrebbe mai amato e lui era soltanto un illuso.


Per far sì che succedesse qualcosa di rilevante dovettero aspettare l’ultimo dei negozi che avevano in lista. Non che gli sviluppi furono esattamente come se li erano aspettati, alcuni di essi si rivelarono relativamente preoccupanti, oltre che imbarazzanti, ma senza ombra di dubbio fu quella gioielleria il luogo che li avrebbe condotti sulla pista giusta. Lì avrebbero dovuto ordinare le fedi, anche se ovviamente era più facile dirlo che farlo. Già perché non potevano limitarsi a provare un paio di anelli e prendersi per mano facendo finta di essere in procinto di sposarsi, la scelta delle fedi era un momento importante nella vita di una coppia. John ancora ricordava quando lui e Mary erano andati a scegliere le loro, e probabilmente non se lo sarebbe mai dimenticato. Era un momento romantico, quasi d’intimità. Era la prima volta in cui ci si rendeva conto che ci si stava per sposare, e che si sarebbe portato quell’anello per tutta quanta la vita. In quel frangente e intanto che il pensiero gli attraversò la mente, come dominato da una sorta d’istinto, John sfiorò l’anulare. Non portava più la propria ormai da tempo, l’aveva tolta quando aveva detto addio a sua moglie e non avrebbe mai pensato d’indossarne un’altra, un giorno. Ma poi, Sherlock l’avrebbe mai desiderato? Pur supponendo che lo amasse, era un tipo da matrimonio? Dubitava, considerato come aveva reagito quando aveva detto che lui e Mary si sarebbero sposati, per lui si era trattato di un giorno come un altro. Forse più noioso del solito, ecco. John non avrebbe dovuto indugiare in simili ragionamenti, ma quel giorno non riusciva proprio a frenarsi. Per fortuna fu proprio l’oggetto dei suoi più oscuri ragionamenti, a tirarlo fuori da quell’oscuro baratro.


«Un sorriso sarebbe d’aiuto» ironizzò Sherlock dopo che ebbero entrambi messo piede nella gioielleria. Un sorriso, gli chiedeva. Ridicolo, non sarebbe stato in grado di farne neanche uno, non in quel momento. Ma se avesse messo la discussione su toni più seri, sarebbe stato difficile spiegare l’origine del proprio malumore. Quindi preferì per una battuta di spirito, giusto per alleggerire la tensione. Naturalmente non ci riuscì affatto.
«Non ne ho molti, non vorrei sprecarne uno.» Tuttavia strinse la presa al suo braccio e indossò la miglior faccia da matrimonio che aveva: ampio sorriso e faccia da idiota, sperando di sembrare convincente. Di sicuro fece appena in tempo a fingersi uno sposino perfetto, perché giusto un istante più tardi uno dei commessi venne loro incontro. Erano due soltanto e se una era una donna sulla cinquantina, l’altro era un uomo considerevolmente alto, sui due metri. Era di bell’aspetto, portava un abito molto elegante e aveva una camminata posata e raffinata. Quando li vide, le espressioni del suo viso assunsero un tono cordiale e tanto gentile, quanto le parole che pronunciò appena dopo: «Posso aiutarvi?»
«Siamo in cerca di due fedi nuziali per me e il mio futuro marito; chi è l’uomo più fortunato del mondo?» trillò Sherlock con voce stridula e insolitamente acuta. Si atteggiava in una maniera che francamente gli dava sui nervi. Era anche piuttosto ridicolo perché era così diverso da come si comportava di solito che si domandò se, per caso, in un rapporto sentimentale fosse veramente così spensierato ed entusiasta, oppure se fosse soltanto un trucco per confondere il commesso. Qualunque fosse la risposta giusta, John non poteva negare che più di una risatina gli saliva di tanto in tanto e che altrettanto spesso faticasse a trattenersi dallo scoppiargli a ridere in faccia.
«Un amico ci ha detto che questo è il posto migliore in città in cui trovare un anello» aggiunse John, stringendo con inadeguata forza l’avambraccio del suo “fidanzato” il quale gli gettò un’occhiataccia contrariata, tirandogli una gomitata nel fianco senza farsi vedere.
«C’è qualcosa in particolare che avevate in mente?»
«Semplice, sobrio ed elegante.»
«Magari d’oro bianco» aggiunse John con una spontaneità tale, che era riuscito a sorprendere persino se stesso. Quella precisazione gli era nata molto istintivamente, non ci aveva pensato troppo. E neanche aveva fatto caso al silenzio di Sherlock o al suo essere arrossito sugli zigomi. Non sapeva davvero perché lo avesse detto, eppure lo aveva fatto: voleva fedi in oro bianco. Pensandoci con maggior attenzione si rese conto che c’entrava in parte col suo primo matrimonio, le fedi nuziali le aveva scelte Mary e l’oro giallo non gli era mai piaciuto. Se pensava di sposarsi un’altra volta si figurava un qualcosa di fine, delicato e che magari richiamava la purezza del loro amore. Bellissimo e chiaro come la pelle del viso di Sherlock. Avrebbe ovviamente dovuto ricordarsi della finzione, del caso e di tutto quanto il resto, ma quella situazione stava mettendo seriamente alla prova la sua lucidità.
«Vi mostro subito dei modelli» mormorò il commesso, poi circumnavigò il bancone e da uno dei cassetti tirò fuori una buona schiera di anelli maschili. Tutti bellissimi e, a quanto poteva capire, anche piuttosto costosi. Si domandò se nella sua fantasia sfrenata, Sherlock avesse pensato anche a un ipotetico budget e se quelle vere rientrassero nel costo del matrimonio. Era piuttosto probabile ed era anche curioso di saperlo, ma ora non avrebbe avuto senso chiederglielo. Si domandò anche quali impressioni si fosse fatto non solo di quei gioielli, ma anche dell’uomo in questione. Poteva essere un aggressore omicida? Se avesse dato retta al carattere gentile e al modo accogliente in cui li aveva fatti accomodare, avrebbe detto di no. Ma John sapeva perfettamente che certe persone erano abilmente capaci di mentire, finanche a nascondere i propri più oscuri segreti dietro a una bella faccia pulita e a maniere cortesi. Quel tizio aveva una corporatura del tutto simile a quella dell’uomo descritto dalla ragazza che era sopravvissuta, sarebbe stato certamente capace di trasportare dei cadaveri e gettarli nel fiume, considerata la muscolatura e la forza fisica, che certamente aveva. Tutto quel ragionamento non lo portò però da nessuna parte, perché non fece neppure in tempo a chiedersi cosa stesse passando per la mente del suo amato detective, che questi lo stordì con una nuova domanda.


«Questo ti piace, pasticcino?» gli chiese, indicando un bellissimo anello decorato con intarsi. Era effettivamente raffinato, oltre che stupendo ma non fu quello a catalizzare tutte le sue attenzioni. Quella versione del suo amico non gli piaceva per niente, era troppo poco naturale, molto forzato e anche discretamente antipatico. Il vero Sherlock si sarebbe comportato in tutt’altra maniera, avrebbe fatto commenti ironici su quel tizio e avrebbe probabilmente dato poca importanza a tutta la questione delle fedi. E poi, più di tutto, non avrebbe parlato in quel modo.
«Non lo so, crostatino» rispose John, rimarcando quell’assurda parola con un velo di divertimento. «Se piace a te. Certo che dev’essere bello vedere tante coppie felici venire qui ogni giorno» aggiunse infine rivolgendosi al commesso. Era ben deciso a essere utile in qualche modo e magari farlo parlare avrebbe aiutato a capirci qualcosa.
«Assolutamente, è molto gratificante aiutare a cementare il legame tra gli sposi. Eccellente lavoro artigianale» disse poi, parlando dell’anello in questione che teneva stretto tra le dita di modo da mostrarglielo per bene. «Cerchio perfetto: niente inizio e niente fine. Lo provi e veda come le sta.»
«Non aver paura, biscottino» mormorò Sherlock, allungando il dito e invitandolo a fargliela indossare. «Dovrai farlo davanti a un migliaio di persone prima di quanto pensi. Ha un po’ d’ansia da prestazione» ammiccò in fine al commesso, il quale si profuse in una lieve risata. Anche lui doveva aver senz’altro notato la sua indecisione, il non saper bene come comportarsi in un momento del genere. Il fatto era che gli tremavano le ginocchia perché era una finzione, ma neppure troppo dato che i suoi sentimenti erano dannatamente reali. E sì, era piuttosto probabile che non si sarebbe mai più sposato, ma ciò non toglieva il fatto che gli mancasse il fiato e che il suo cuore battesse fin troppo alla svelta. In effetti John non fece caso a nulla se non a quel circolino di metallo che aveva posato sul palmo della mano, tenerlo lì e farlo indossare a Sherlock come stava per fare era una sensazione meravigliosa. Fingevano, ma lo facevano davvero? Se doveva considerare la voce insolitamente stridula del suo amico, il suo comportamento fin troppo sopra le righe e molto poco naturale, doveva ammettere che sì, stavano decisamente fingendo. Eppure quel rossore sulle sue guance, l’evitare il suo sguardo e specialmente adesso che il commesso se n’era andato, lasciandoli soli… A nessuno di loro tutto quello era indifferente e stava giusto per chiedergli, beh, non sapeva nemmeno lui che cosa, che lo scampanellio della porta attirò la loro attenzione. Si voltò appena, ma soltanto quando un a lui noto tossicchiare ruppe il silenzio, si rese conto di quanto imbarazzante fosse la situazione in cui s’erano andati a cacciare. Già perché là, in piedi appena oltre la soglia, Greg Lestrade li guardava con aria stralunata. Vide i suoi occhi passare insistentemente dagli anelli ai loro volti e viceversa, per poi fissare il vuoto come se faticasse a capire dove si trovava. E questa, pensò con una punta di orrore, come l’avrebbero spiegata?
 



 
*




«Ho provato a chiamarti» esordì il DI di Scotland Yard, rivolgendosi a uno Sherlock che aveva posato in fretta e furia le fedi al loro posto. Parlava in tono piatto, quasi arreso ma al tempo stesso carico di rimprovero. «Ma tu non rispondevi, il che è molto normale. Poi ho chiamato anche John e non rispondeva nemmeno lui. Allora ho chiamato Molly, ma lei mi ha detto che siete usciti dal Barts ore fa. Quindi ho telefonato a Mrs Hudson, ma nemmeno la vostra padrona di casa sapeva dirmi niente e allora l’ho fatto. L’ho chiamato» disse, accennando alla telecamera di sicurezza sistemata appena sopra la porta che, sapevano bene tutti, era tenuta sotto controllo da Mycroft Holmes. Così come ogni altra telecamera di Londra, tra l’altro. «Ovviamente ha saputo dirmi immediatamente dov’eravate.» [3]
«Il grande fratello ci spia» mormorò Sherlock, ironico e senza mancare di fare un gestaccio in direzione della suddetta telecamera.
«Letteralmente» annuì John, tentando di alleggerire la tensione. Speranza che risultò comunque molto vana. [4]
«Immagina la mia sorpresa quando mi ha detto che eravate qui.»
«Sì, ecco noi…»
«Mi stupisco di come Scotland Yard sia migliorata» lo interruppe Sherlock, trascinandolo con sé ben oltre la porta d’ingresso e dando segno evidente di volersela svignare al più presto. «Quanto tempo può essere passato dalla tua ultima telefonata con Mycroft? Dieci minuti? Venti? E sei già qui?»
«Ero in zona» s’affrettò a rispondere, poco prima di raggiungerli con un’ampia falcata fuori dalle mura del negozio, a debita distanza dalle orecchie del gioielliere. Stavano ancora mantenendo la copertura, si ricordò John con un miscuglio di timore e aspettativa. Per un attimo se l’era dimenticato. «Che diavolo ci fate qui dentro? Pensavo steste lavorando al caso.»
«Una piccola deviazione, Graham. Io e John avevamo da fare.»
«In una gioielleria?» rispose Lestrade, scettico. Era chiaro che non capiva cosa stesse succedendo o forse era più probabile che avesse frainteso l’intera situazione. Avrebbero dovuto dirglielo? Da una parte ne aveva tutto il diritto considerato che si trattava di una sua indagine, e che loro dovevano soltanto aiutarlo. Ma dall’altro, John lo conosceva abbastanza bene da sapere che li avrebbe messi sotto protezione, facendo saltare l’intero piano e vanificando il lavoro di un pomeriggio, perché mai avrebbe permesso a qualcuno che non fosse un agente addestrato, di fare da esca. Il che avrebbe portato l’assassino a uccidere di nuovo. Greg non accettava quella parte del loro lavoro e il metodo del celebre consulente investigativo Holmes, di tanto in tanto, prevedeva pericoli simili. Greg faticava ad accettarlo e tentava sempre di frenarli e non soltanto perché voleva bene a entrambi come un amico sincero, ma perché era un poliziotto e in quanto tale era geneticamente programmato per proteggere le persone. Per questo John rimase pensieroso per un istante o due, non avendo idea di come comportasi e semplicemente fissandolo con la bocca spalancata senza saper ben cosa dire. Per sua fortuna, Sherlock era in grado di pensare adeguatamente per entrambi. John non fu nemmeno obbligato a dover prendere una decisione, che si sentì strattonare con vigore via da quel posto.
«Ovviamente» proruppe, con aria di sufficienza, agitando una mano a mezz’aria «dove vanno le persone quando devono comprare un paio di fedi nuziali? E ora scusaci, ma la nostra giornata non è finita.»
«Cosa vuol dire fedi nuziali?» gridò Greg, correndo loro appresso ma faticando appena a mantenere la falcata di Sherlock. «Significa che vi sposate?»
«Addio, ispettore» mormorò Holmes, glaciale e fu allora che successe. Arrivò inaspettato. E quando già entrambi erano troppo convinti d’averla fatta franca. Arrivò perché, per un’ennesima volta, avevano sottovalutato Gregory Lestrade, ritenendolo inoffensivo. Arrivò e fu terribile e meraviglioso. La sua voce li raggiunse che non avevano neppure svoltato l’angolo, ed era alta e chiara. Poche parole, ma che andarono dirette al punto. Poche parole che ebbero il potere di mettere sul tavolo una volta e per tutte quell’enorme elefante nella stanza che era loro relazione. Poche parole che fecero tremare le dita di John Watson e inciampare il passo svelto e indifferente di Sherlock.
«Era ora che vi decideste. Siete i figli di puttana più innamorati l’uno dell’altro che abbia mai incontrato in vita mia. Congratulazioni.» Uno sguardo fugace. Rubato. E poi subito ignorato. Tra loro, la tensione non era mai stata così alta.
 



 

Continua
 




 
[1]Citazione all’AU/Headcanon che vede Mycroft nella versione maschile di Mary Poppins, e su cui un giorno mi deciderò a scrivere qualcosa.
[2] Da questo momento in avanti i luoghi che visiteranno per il caso ovvero la cartoleria, la gioielleria e la pasticceria fanno parte di scene che ho ripreso dall’episodio che ha ispirato questa storia (Smallville, 8-05). Parte dei dialoghi sia in questa scena che in gioielleria saranno in tutto e per tutto simili a quelli di Lois e Clark. In linea ideale, e sempre prendendola per le pinze, Sherlock sarà un po’ la Lois della situazione mentre John sarà il più “arreso” a se stesso Clark.
[3]In linea generale trovo la scena che segue abbastanza inutile ai fini della trama principale. Nell’episodio è Oliver Queen (Freccia verde) a incontrare Lois e Clark in gioielleria ed è più che altro un inserto comico. Io sono stata incerta sino all’ultimo se toglierlo o meno, ma alla fine l’ho tenuto perché volevo che la storia fosse fedele alla puntata di Smallville già citata. Ho preferito approfittarne per darle un senso nella linea di trama che riguarda la Johnlock infatti Greg, nel suo non saper nulla, li mette davanti a una verità che stanno ignorando da troppo tempo.
[4]Scambio di battute preso da The Lying Detective, tra Sherlock ed Eurus.
 
La frase citata è tratta da Alien Like You dei The Piggott Brother
s.
Ringrazio chi mi ha lasciato una recensione al capitolo precedente e più in generale chi ha letto e deciso di seguire questa storia che, faccio presente, sarà composta da quattro capitoli in totale. Ne approfitto per augurare Buona Pasqua a tutti.
Koa
   
 
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