NOTA DELL'AUTORE: una storia seria, scaturita da una scemenza detta per ridere. Funziona così questa fanfiction, che nasce dalla scommessa di poter dimostrare che la ship tra suor Angela e il dottor Pietro poteva divenire realtà... ma funziona spesso così anche la mia amicizia con la persona cui dedico questo breve racconto: buon compleanno alla mia bff, con cui in genere parlo di cazzate ma che alla fin fine c'è sempre quando le cose si fanno serie! ;)
- “Angela…”
Sentitasi chiamata, una donna si girò.
Il suo volto emerse dalla semioscurità. Un bel volto, benché segnato da qualche ruga. I lisci capelli scuri rigati di bianco erano mossi dal vento; gli occhi, celesti, riflettevano la luce del sole ormai calante.
- “Lorenza”.
- “Come?”
- “Chiamami Lorenza, Pietro. Era il mio nome prima di diventare suora, no? Tanto comunque non mi chiami maiSUOR Angela, quindi per te fa anche poca differenza…”
- “Forse…” L’uomo, Pietro, sembrava soppesare le parole “Ma penso faccia la differenza per te. Sei certa che non sia precipitoso?”
- “Non fanno così le donne divorziate, non cambiano il nome?”
- “Sì, ma Angela… cioè, Lorenza… oh, insomma, come-accidenti-vuoi-chiamarti!” Sbottò l’uomo “Tu non sei una donna divorziata!”
- “Forse no… non ancora. Ed è proprio questo il punto, non trovi?”
Sì – pensò Pietro – era quello il punto.
Un paio di giorni prima, Angela gli aveva chiesto di incontrarsi. Era stato un incontro strano… più del solito, per intendersi. Si era abituato da tanti anni alle molte bizzarrie di quella religiosa atipica, cronicamente incapace di farsi i fatti suoi, o perlomeno eccessivamente desiderosa di farsi quelli degli altri. C’è differenza, tra questi due atteggiamenti? Forse… ma non era quello il momento di pensarci.
Dunque, Angela… suor Angela… Con lei Pietro era abituato ad essere disturbato, non importava l’ora, per le domande più strane. ‘Devi aiutarmi a scoprire perché quella donna vuole abortire, magari è solo perché si sente sola e posso aiutarla’, oppure ‘Rivelami il reale stato di gravità della malattia di quella bambina, affinché io possa capire quanto sanno i suoi genitori e affiancarli’ e via dicendo. In effetti, erano più ordini che domande. Amava definirli dei ‘tentativi di incastrarlo in faccende poco deontologicamente professionali’ … Ma, in fondo, già da tempo aveva capito che per quella donna erano atti di giustizia. Certo, aveva un confine tra giusto e sbagliato piuttosto relativo, regolato non tanto dalla legge degli uomini quanto da quella della sua palpitante coscienza… Anche se lei avrebbe detto ‘dalla legge di Dio, Pietro, non solo dalla mia coscienza!’, e tra loro due sarebbe sorto uno dei tanti litigoni. Di quelli che terminavano a volte con loro che prendevano un bicchiere di vino e sempre con lui che finiva per accontentarla.
Dio… a quanto pareva, Angela - o Lorenza - per la prima volta adesso sembrava aver perso la sua fede granitica in quell’entità. Poco male: lui, a Dio, aveva rinunciato già da un pezzo.
Eppure…
- “Ascolta, Angela…” cominciò.
- “Lorenza!”
- “Lorenza, allora, d’accordo. Ascolta… posso capire il fatto di volerti prendere del tempo per te, per riflettere sulla tua, come la chiamate, vocazione? Ma perché… perché il bambino?”
Lorenza si voltò alla sua sinistra. Lì, tutto impegnato a fare potacci con la sabbia bagnata, c’era il bambino.
- “Si chiama Mattia”.
Dopo un po’, lei tornò a parlare.
- “… non potevo lasciarlo, ecco”.
- “Ma perché? Perché?!” Proprio non riusciva a capire, e sentì la frustrazione fargli perdere il tono calmo della voce “Era con suo padre, e tu…”
- “Un padre che era pronto a liberarsene! Un padre pronto a mandarlo in uno squallido orfanatrofio, per paura ed egoismo! Non è un padre, un uomo del genere”. Si scaldò subito la donna.
- “Ok… ammettiamo che lui non fosse un buon padre. La madre?”
- “Te l’ho già detto, l’ha abbandonato in convento alcuni mesi fa. Non si è più vista, né più si vedrà”.
- “D’accordo, forse non ha genitori e sarebbe stato mandato orfanatrofio… anzi, in una comunità per minori: non esistono più gli orfanatrofi, dalla legge che li ha aboliti nel…”
- “Le leggi si preoccupano di cambiare il nome ma non la sostanza!” Lo interruppe Lorenza, aggressiva.
- “D’accordo, va bene, ammettiamo che come destinazione non fosse il massimo. Ma lì poi magari sarebbe stato adottato da una famiglia, non è detto che vi sarebbe rimasto…”
- “È qui che ti sbagli! Mattia potrebbe avere una grave malattia congenita, lo sai bene, te ne ho già parlato…”
- “E io ti ho già rassicurato sul fatto che è scientificamente molto improbabile che tale malattia si ripresenti in una forma tanto aggressiva come fece nel caso di suo…”
- “Lo so, Pietro, lo so!” Lo interruppe lei “Ma chi adotterebbe un bimbo che potenzialmente potrebbe morire dopo pochi anni? Nessuno! Ecco perché l’ho preso, perché io questo bambino ormai l’amo come se fosse mio e non lo lascerò in mano a sconosciuti”.
- “Capisco cosa intendi, Ang… Lorenza. Però devi imparare una buona volta che non può decidere il tuo Dio che cosa è giusto e che cosa è…”
- “Io. Ho deciso io cosa fosse giusto, non Dio. Dio non s’è fatto sentire, manco per sbaglio”.
- “D’accordo… d’accordo!” Ripeté Pietro, stanco per le interruzioni. “Il punto è che questo si chiama sequestro di minore, e se non ti hanno ancora denunciata alla polizia è solo perché…”
- “Suor Costanza spera che io mi ravveda. Ha sempre visto il mio lato migliore, povera donna”. Rifletté Lorenza.
- “Ecco, forse faresti bene a cogliere l’opportunità che lei ti sta dando, non trovi? Prima che sia tardi”.
- “Forse”, concesse lei, prima di tornare a guardare il bimbo.
- “Intanto… che ne dici di cenare?”
- “Mi sembra un’ottima idea, se cucini tu!” Gli rispose la donna, lasciandosi andare al primo vero sorriso dall’inizio della discussione. Un sorriso capace di estendersi agli occhi, fino a prima sempre tristi.