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Autore: T612    26/04/2019    1 recensioni
Dal capitolo 8:
Devono aver urtato i cameramen perché viene perso il segnale, quando i televisori si risintonizzano segue un chiacchiericcio confuso che si placa con la notizia che nessuno voleva sentire… e i televisori esplodono, non si parla d’altro.
“...la diretta proseguirà per tutta la notte, man mano che giungeranno altre notizie. A tuttora, le nostre fonti ci confermano che pochi minuti fa, all’arrivo al Mercy Hospital, Capitan America è stato dichiarato morto.”
[Post-TWS - Civil War ComicVerse - "Captain America Collection" di Ed Brubaker - paring: canonico + WinterWidow]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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30 maggio 2017, vagone Eurostar in partenza, Londra

Natasha si specchia un'ultima volta sui finestrini del treno, il caschetto nero che copre la cascata di boccoli rosso fuoco e il rossetto opaco che le incornicia il sorriso.
Marcia a passo spedito lungo il corridoio del vagone, due bicchieri di caffè sigillati in mano, mentre punta al suo posto di fianco al finestrino e di fronte a Maki Matsumoto.
-Caffè macchiato? -propone allungando un bicchiere in direzione della donna, per nulla sorpresa di vederla, accettando l’offerta ma soffermandosi sul suo sguardo.
-Perché sei qui?
-Sono una ricercata, mi serve un legale. -afferma decisa portandosi il bordo del bicchiere alle labbra, prendendone una lunga sorsata.
-Chiedere all’ex fidanzato? Troppo codarda o conflitto di interessi? -ribatte piccata la donna, imitandola di riflesso sorseggiando il caffè.
-Codardia. -mente innocentemente, accompagnando il gesto con una scrollata di capo ed un movimento ipnotico del caschetto nero. -Ci siamo lasciati male. Come stai, Maki?
-Benissimo. -sorride l’asiatica accennando ad un sorriso. -Costo caro Natasha, sicura di volerti indebitare?
-Credo possiamo raggiungere un accordo, discuterne da persone civili. -allude enigmatica portandosi di nuovo il caffè alle labbra.
-Civili… sono una persona di parola, hai prove del contrario? -ripete pensierosa, prendendo un altro lungo sorso per dilatare il silenzio. -Ammetto che pensavo mi cercassi per altro, non per un consulto legale… sono sorpresa, credevo di conoscerti.
-Non bene quanto pensavi. -replica guardando distrattamente il quadrante dell’orologio. -L’hai detto tu, sei una persona di parola, porti sempre a termine gli incarichi.
-L’ultima volta che hai chiesto il mio aiuto non avevi le tutele che hai ora… qual è il vero motivo per cui sei qui Natasha?
-Come stai, Maki? -ignora la domanda ponendone un'altra, osservando l’ombra del sospetto nello sguardo della donna.
-Te l’ho già detto, sto benissimo. -replica confusa, mentre il sorriso di Natasha fa capolino dalle sue labbra. -Dimmi perché sei qui e facciamola finita.
-Sai… di recente mi sono messa sulle tracce di mio padre, persona scorbutica e manipolatrice, non andiamo molto d’accordo. Tu ce li hai avuti dei genitori, Maki?
-Non esattamente.
-Peccato… avrebbero dovuto insegnarti che non si accettano mai le caramelle dagli sconosciuti. -rivela trasformando il sorriso in un ghigno inquietante. -Avrebbe dovuto avvertirti dei rischi… che a giocare con il fuoco ci si scotta, che sono vendicativa.
-Non capisco a chi ti riferisca. -asserisce nascondendosi dietro una bugia, lasciando fuggire lo sguardo ad una via di fuga negata, constatando che mentre parlavano il treno aveva già iniziato a correre silenziosamente sulle rotaie.
-Mio padre, stai andando ad incassare la ricompensa per i tuoi servigi. Se non ti dispiace, vorrei presentarmi io all’incontro, abbiamo dei conti in sospeso.
-Non conosco tuo padre, Natasha. Sto andando a Parigi per affari, le ricompense che incasso non sono affar tuo. -ribatte nascondendosi dietro all’ultima debole difesa, finendo il caffè ed appoggiando il contenitore sul ripiano sotto il finestrino.
-È qui che ti sbagli, Maki. Hai ferito intenzionalmente la mia famiglia e per farlo hai preso ordini da Ivan Petrovich. Il gran bastardo di mio padre. -rivela sorridendo, i denti bianchissimi e letali come quelli di un cobra, messi in risalto dal rossetto color sangue. -Sei una donna intelligente, sai quali sono le tue opzioni ora. Parli o ti arresto, a te la scelta.
-Devi essere viva per arrestarmi. -afferma determinata la donna portando la mano al coltello nella tasca interna della giacca, ma bloccandosi nel movimento terrorizzata, incapace di muoversi e sfoderare la lama.
-Non si accettano mai le caramelle dagli sconosciuti. -commenta Natasha lapidaria brindando con il bicchiere di caffè, posandolo di fianco a quello vuoto dell’altra donna, spostandosi una ciocca dietro l’orecchio sfiorando il pendente dell’orecchio. -Veleno paralizzante. Parte dagli arti, passa ai muscoli… i tuoi polmoni rallenteranno il respiro a tal punto che ti crederanno morta, il tuo cuore si fermerà solo una volta che ti avranno seppellita sotto una lapide senza nome. Me ne assicurerò personalmente. Oppure puoi parlare guadagnandoti l’antidoto, mi dici dove trovare Petrovich e chi sia la sua talpa all’FBI.
-Non sono solo il cecchino, sono anche il corriere. -sbotta la donna nel panico, lo sguardo terrorizzato e la voce che si sta riducendo pian piano a un sussurro. -La talpa ha tolto le informazioni dal mercato nero, l’unico download riuscito prima che si attivasse il virus è dentro la pendrive, anche quella fa parte del pagamento.
La voce di Maki si esaurisce, pregandola con lo sguardo di ricevere l’antidoto, mentre Natasha si allunga sulla sua borsa rubando la chiavetta e il cellulare.
-Se ciò che dici è ero, sarai riesumata e salvata. -le sussurra all’orecchio. -Che ti sia da lezione, non giocare con la mia famiglia.
Natasha si alza dirigendosi nella toilette, la carenza di passeggeri l’aiuta a passare inosservata, sostituendo il caschetto nero con una parrucca biondo cenere. Quando esce dall’abitacolo si accaparra un posto vuoto, godendosi il viaggio restante osservando il paesaggio sfilare dal finestrino, scendendo dal treno quando le porte automatiche si aprono sulla stazione di Gare de Paris. Si accoda agli altri passeggeri abbassando lo sguardo davanti alle telecamere, fermandosi ad osservare lo scompiglio causato dal ritrovamento del presunto cadavere di Maki Matsumoto, mentre l’orda di persone si blocca curiosa all’arrivo dei paramedici.
-Non le hai dato l’antidoto. -constata l’uomo alle sue spalle sfiorandole il braccio.
-Non ancora, prima deve imparare la lezione. -ribatte voltandosi in direzione della voce appena udita. -Non dovresti essere qui, James. È tutto sotto controllo.
-Lo vedo, c’è solo l'ambulanza e la polizia è in arrivo. -commenta sarcastico, ma stringendole una mano con la destra, felice di vederla viva e sul passo di guerra. -Mi aspettavo un saluto un po’ più caloroso, sai?
-Ti ho inviato le coordinate per avvisarti, non per raggiungermi. -obietta afferrandolo sottobraccio avviandosi verso l’uscita, ignorando la domanda.
-Non sono qui in visita di piacere, al momento Sharon mi copre, ma è questione di un paio d’ore prima che qualche telecamera ti riprenda e l’FBI si mobiliti costringendomi ad arrestarti. -la informa spiccio costringendola a rallentare il passo. -Se hai delle novità ti conviene parlare ora.
Natasha sfila il cellulare di Maki e la pendrive dalla borsa consegnandoglieli, scomparendo velocemente nelle tasche interne della giacca di James.
-È l’unica copia del download, rintracciami la posizione di Ivan ed al resto ci penso io. Ho un piano… ti procuro una confessione, ma mi dovrai arrestare, okay?
-Okay. -ribatte senza esitare, smettendo di trattenersi, tirandola per la mano ancorata alla sua, facendo entrare in collisione le loro labbra.
-James…
-Ti preferisco rossa, sai? -scherza staccandosi, eclissando la supplica contenuta nel suo nome tentando di alleggerire la situazione scompigliandole i boccoli chiari. -Presto sarà tutto finito, ‘Tasha.
-Lo so, attieniti al piano. -commenta decisa, evitando volutamente di chiedere quale sia la sua posizione attuale all’interno dei muri del Complesso. -Fidati di me.
-Sempre. -ribatte con uno sguardo così limpido da causarle le vertigini. -Quando tutto questo sarà finito, dobbiamo tornare a Parigi.
-Ci torneremo. -acconsente lasciandosi sfuggire un altro bacio sulle labbra.
-Stai attenta.
-Togliti lo stampo del rossetto prima di tornare dai federali, ho inavvertitamente marchiato il territorio. -tenta di sdrammatizzare sfiorandogli le labbra striate di rosso, cedendo di fronte a quello sguardo color ghiaccio indefinito. -Stai attento anche tu.
-Non insultarmi, so fare il mio lavoro.
-Vai. -lo respinge sorridendo, perdendolo nel via vai di gente qualche secondo dopo.
Sfila lo specchietto dalla borsa sistemandosi il rossetto, ripristinando la sua facciata inattaccabile, fingendo che quella piccola parentesi di normalità non si sia mai verificata.

***

30 maggio 2017, Centrale operativa FBI, Parigi

-Shar, stiamo bene, smettila di chiamare. -la rimbecca Tony dall’altro capo del telefono appena accetta la chiamata.
-So che hanno dimesso Pepper dall’ospedale stamattina, ti chiamo per farmi dare l’accesso ai server del Complesso da remoto.
-Perché? Dove sei?
-Parigi, leggi i messaggi che ti invio invece di ignorarmi. -ribatte piccata in risposta, fulminando James con lo sguardo quando lo vede ridere sotto i baffi, facendogli segno di chiudere la porta dell’ufficio dove li hanno confinati.
-Resta in linea. -commenta il cugino, aspettando che si metta in pari con le informazioni sui progressi fatti sottobanco da Natasha, trascinando il PC verso di lei avviando l’accensione.
Erano a Parigi da quella mattina, non c’era stato nessun avvistamento o sviluppo, ma li avevano caricati su un Quinjet diretto in Europa senza troppe cerimonie, sicuri che Natasha fosse lì da qualche parte, aspettando un passo falso da parte di uno dei due… era stata una ripicca terribilmente soddisfacente coprire l’incursione di James alla stazione sotto il loro naso senza che se ne accorgessero, riuscendo ad ottenere un buon punto di partenza per scovare Petrovich e far cadere l’intero teatrino.
-Tony, sei ancora lì?
-Hai l’accesso, la password è il compleanno della zia. -la informa qualche secondo dopo avvisandola. -Vedi di farne buon uso e di non pestare troppi piedi, risparmia la sfrontatezza per quando ti servirà davvero.
Sharon incassa la frecciatina, non era un segreto per nessuno quanto odiasse avere a che fare con le altre organizzazioni di intelligence, il suo spirito competitivo e il suo pensare fuori dagli schemi non era visto di buon occhio, in particolar modo dopo Washington… senza aggiungere che l’essere stata surclassata all’“ex fidanzatina” del Capitano non la metteva propriamente sotto una luce positiva, considerata l’opinione pubblica che ancora parteggiava per una fazione o l’altra nonostante la Guerra Civile si fosse conclusa ormai da mesi… almeno i colleghi la rispettavano, contribuendo personalmente alla propria causa combattendo la diffidenza con la caparbietà e la sfrontatezza, anche se Sharon preferiva non indagare se il rispetto guadagnato fosse dovuto al suo cognome o al timore di ciò che aveva combinato ad Albany.
-Pesto solo quelli che servono. -tenta di scherzare, tornando quasi subito seria. -Ti aggiorno quando abbiamo finito, salutami Pep.
Riattacca la chiamata senza aspettare un saluto dall’altra parte, a volte il cugino si mostrava troppo apprensivo in modo immotivato, riuscendo solo ad irritarla… stava bene, nessuno voleva ammetterlo ma Lukin si meritava di morire e di certo qualcuno l’avrebbe comunque ucciso al posto suo, era solamente sana vendetta per ciò che era stata costretta a fare e non aveva assolutamente bisogno che Tony, Sam o gli psicoterapeuti continuassero a rimuginarci sopra trattandola con i guanti. Per Steve provava colpa infinita, per Lukin nemmeno un po’… era tornata in missione per redimersi, non per distrarsi, nonostante tutti pensassero il contrario continuando a metterle i bastoni tra le ruote.
-Allora, abbiamo i codici? -chiede James impaziente rigirandosi il cellulare di Maki Matsumoto tra le dita. -Non ci resta moltissimo tempo, Sharon.
-Non mettermi fretta. -lo rimprovera sfilandogli lo smartphone dalle mani, collegandolo al PC portatile, accedendo a FRIDAY avviando la scansione dei tabulati telefonici.
-Scusami… aspettare mi fa saltare i nervi. -sospira l’uomo lasciandosi cadere sulla sedia più vicina, ma sorridendo suscitando un’occhiata curiosa da parte della donna, spingendolo a concederle una spiegazione. -Sei una che tiene testa Carter, è un vizio di famiglia.
-Non impazzisco all’idea di essere associata alla zia, lo sai vero? -si lascia sfuggire la considerazione tra le labbra, fissando la barra progresso per impedirsi di ricambiare il suo sguardo in tempesta.
-Non mi riferivo a Peg. -ribatte James sorvolando sulla risposta scontrosa. -Tu sei completamente diversa da lei.
-Quindi a chi ti riferisci? -chiede curiosa alzando lo sguardo, ma continuando a picchiettare sulla tastiera indirizzando le directory di FRIDAY in default.
-A Tony.
-Non siamo parenti.
-Certo, come no. -ribatte sporgendosi nella sua direzione con la miglior faccia da schiaffi che possiede. -Nemmeno io e Steve siamo davvero fratelli, se è per questo… siete cresciuti insieme, è come se lo foste.
-Chi te l’ha detto? -chiede curiosa, dando l'ok a FRIDAY per la scansione dei documenti, abbandonando la tastiera prestandogli attenzione… James era l’unico che la trattava come se Albany non si fosse mai verificata, si meritava la sua sincerità come ricompensa. -Nat o Fury?
-Nessuno dei due, l’ho capito da solo, non ci vuole un genio. - afferma ottenendo in risposta un’occhiata interrogativa da parte della donna che lo spinge a spiegarsi. -Tu hai lo stesso senso dell’umorismo di Howard, mentre Tony ha ereditato l’istinto da mamma orsa e lo spirito di sacrificio da Peg… ed a nessuno dei due piace sentirsi dire che cosa fare, come vostra zia.
-Non parli molto ma capisci sempre tutto, dico bene Sergente? -ribatte nascondendosi dietro il sarcasmo, facendo solo aumentare il sorriso di Bucky… sì, lei e il cugino erano più simili di quanto volessero entrambi ammettere.
-Non sono un Sergente da un bel pezzo, Shar.
-Giusto… sei salito di grado ora. -commenta con tono forzatamente leggero, alludendo allo scudo di vibranio addossato alla parete alle sue spalle.
-La mia carica è meritata però, inizialmente Steve si è guadagnato il titolo di Capitano solo perché suonava bene nei giornali. Niente leva militare… si è solamente fatto irradiare come popcorn da tuo zio ad essere sinceri. -ribatte tentando di scherzare, fallendo miseramente ricadendo nel tono monocorde, virando nel risentito nell’ultima sillaba.
-Non gliel'hai mai perdonata, vero?
-No, non del tutto… ma con lui è sempre stata una battaglia persa in partenza, testardo come un mulo fino alla fine. -spiega James con lo sguardo rivolto ostinatamente alle proprie mani.
Sharon realizza con un pizzico di rimorso misto a stupore che loro due non hanno mai parlato apertamente di Steve… non ce n'era mai stata occasione o pretesto, rinviando sempre l’argomento, finendo per gettare un’ombra infelice sulla conversazione in corso. Forse nessuno dei due ne aveva mai parlato perché non c’era nulla da dire, o forse perché entrambi non volevano ancora accettare l’idea della sua morte, nonostante la tomba ad Arlington avesse il suo nome inciso sulla lapide e fosse sempre ricoperta di fiori.
-Sai, credo proprio che sarebbe stato felice della tua nuova vita… Natasha, lo scudo e tutto il resto. -si ritrova ad affermare sporgendosi sul tavolo per stringergli la mano sana. -Voleva solo il meglio per te, Bucky.
-Lo so… mentre io sono felice cha abbia avuto te, Sharon. -ribatte ricambiando con uno sguardo così limpido da farle provare una stretta allo stomaco dolce-amara. -Gli serviva davvero una famiglia e qualcuno che gli tenesse testa, che lo facesse sentire di nuovo a casa.
Sharon non sa come ribattere ad una esternazione del genere, si ritrova ad abbassare lo sguardo, salvandosi con il bip acuto del PC che segnala il termine della scansione, fornendole la scusa per porre delle distanze di sicurezza e ricomporsi.
-Abbiamo un riscontro… a Budapest. -lo informa assottigliando lo sguardo sulle coordinate, girando il portatile nella direzione dell’uomo.
-Fantastico… tutto questo caos per scoprire che Petrovich non si è mai mosso da lì. -commenta ironicamente segnandosi le coordinate nelle note del telefono. -Ora dobbiamo solo aspettare che Natalia decida di farsi arrestare, poi possiamo procedere.
-È il piano più folle a cui abbia mai preso parte, lo sai vero? -afferma cancellando la cronologia del computer e consegnando il cellulare a James.
-Non è folle, sarà divertente… ‘Tasha non offre certi spettacoli tutti i giorni.
Sharon non ha modo di chiedergli che cosa intenda con quelle ultime parole, le viene mostrato lo spettacolo in questione a distanza di qualche ora, quando i federali li convocano in servizio dopo aver avvistato la temibile Vedova Nera in una caffetteria di Montmartre.
Natasha viene accerchiata dagli agenti che la tengono sotto tiro, mentre Sharon tallona O’Connor per supervisionare le procedure d’arresto, ascoltando l’uomo che rivela a James quanto sia sollevato che almeno Capitan America sia rinsavito ed abbia visto Natasha per quella che è veramente… una scena quasi comica, considerato che l’agente federale era completamente all’oscuro della relazione che intercorre tra i due.
Sharon osserva James far scattare le manette ai polsi della donna dopo un tentativo di colluttazione coreografato ad arte, ascoltando la freddezza glaciale con cui annuncia alla compagna di essere in arresto… dando il via allo spettacolo, con una Natasha incollerita che spara sentenze velenose dibattendosi teatralmente, inscenando una lite in piena regola così credibile da far dubitare Sharon della sua falsità di fondo, contemplando ammirata l’indifferenza studiata di James nell'incassare gli insulti e le maledizioni sotto lo sguardo compiaciuto di O’Connor.
Riescono a scortare Natasha in centrale, mentre i due mantengono la farsa senza battere ciglio, scatenando in Sharon un'invidia professionale non indifferente… non può fare a meno di spiare l’espressione ignara di O’Connor, trattenendo a stento l’ombra di un sorriso soddisfatto, smorzato alla velocità della luce da un leggero colpetto sul piede da parte del stivale di James.
Potrà avere anche i colori della bandiera e la stella trapuntata sul petto, ma l’indole da stratega e la mente diabolica gli conferiscono un valore aggiunto che lo distanzia di molto dalla somiglianza con Steve… Sharon è convinta che non si abituerà mai a vederlo con l’armatura bianco, rosso e blu indosso, ma almeno è grata che James le faciliti enormemente il compito per non confonderlo con il fratello.
Scuote la testa, scacciando dalla mente l’immagine dell’uniforme di Steve macchiata di sangue, salvandosi dall'emicrania che ultimamente si fa sentire sempre più frequentemente… come se mancassero diversi tasselli in mezzo a quei risvolti macabri e il suo cervello si rifiutasse ostinatamente di ricollegarli.
Sharon si impone di non pensarci, concentrandosi sulla missione in corso… dando inizio alla fase due inviando un messaggio cifrato al transponder di Sam.
Procede tutto secondo i piani.

***

-Si può sapere cosa sta succedendo? -chiede Sam quando lo raggiunge, fermandosi ad un paio di metri da lui a braccia conserte. -Ho incrociato Sharon nei corridoi ma non ha voluto dirmi assolutamente niente, si è volatilizzata ordinandomi di cercarti ed ho dovuto girare a vuoto l’intero stabile prima di trovarti.
-Stanno interrogando Natalia, Sharon sta eseguendo i miei ordini ed ora tu ti siedi qui e aspetti con me. -afferma James in risposta, picchiettando il palmo contro il pavimento, seduto a terra con la schiena contro il muro senza scomporsi minimamente.
-Cosa aspettiamo? -chiede Sam rinunciando a raggiungerlo per terra.
-Che Natalia mi procuri una confessione. -afferma l’uomo convinto indicando lo schermo appeso sopra la porta dell’ufficio, che mostrava la discussione muta in corso tra Natasha, con i polsi ammanettati, e O’Connor.
-Da quanto sono là dentro?
-Una decina di minuti, inutile che guardi, le telecamere sono in loop.
-Opera di Shar? Sono questi i tuoi ordini? -chiede distogliendo lo sguardo dallo schermo.
-Già, scommetto 50 dollari che ‘Tasha si libera tra un paio di minuti.
-Nessuno riesce a liberarsi in un quarto d’ora scarso, nemmeno Natasha. -obietta Sam con tono ovvio, mordendosi la lingua e sfilando la banconota dal portafoglio quando la donna esce dalla porta facendo scattare la serratura della sala interrogatori.
-Uomo di poca fede. -ribatte James trattenendo a stento un sorriso mentre accetta il contante, allungando una mano in direzione di Natasha, che si era già sfilata il fermaglio dai capelli incidendosi il palmo, consegnandogli un dispositivo poco più grande di un chicco di riso. -Quanto ne hai lasciato?
-Abbastanza perché Maria si diverta ad interrogarlo… avevate scommesso? -chiede la donna accettando il fazzoletto che l’uomo le sta porgendo in cambio, tamponando il taglio come soluzione momentanea, seguendo il compagno e Sam lungo i corridoi della centrale.
-Sam dubitava delle tue doti di persuasione. -scherza l’uomo intercettando Sharon sull’uscita, consegnandole la cimice insanguinata. -Shar occupatene tu, diffondi la confessione ai media e fa in modo che le accuse contro Natalia vengano ritirate, al resto ci pensiamo noi.
Sharon annuisce prelevando il dispositivo ricoperto di sangue senza battere ciglio, facendo marcia indietro scavalcando a passo deciso gli agenti dell’FBI che fanno capolino dalle porte degli uffici con espressioni confuse sul volto, mentre Sam fa strada verso il parcheggio mettendosi al volante dell’auto per portarli all’aeroporto.
-Hai preso tutto ciò che ti avevo chiesto? -chiede James a Sam aprendo la portiera a Natasha, aggirando l’auto salendo dal lato del passeggero.
-Si, ma sono stanco di farti da fattorino portaborse, sai? -ribatte l’uomo trattenendo un sospiro frustrato, immettendosi nel traffico. -Porta questo, prendi quello, vai là, vieni qua…
-Si, lo so, non serve che continui a rinfacciarmelo ogni volta che ti chiedo un favore. -commenta James liquidando la discussione con un gesto della mano, scrutando Natasha dallo specchietto retrovisore. -Sotto il mio sedile c’è la cassetta del pronto soccorso per medicarti la mano, poi là dietro da qualche parte ci dovrebbe essere una borsa con un cambio di vestiti e un po’ di armi, serviti pure.
Natasha si tuffa sotto il sedile recuperando il necessario per la medicazione, chiudendo il taglio, fasciandosi il palmo con una garza sterile, per poi afferrare la borsa ai suoi piedi.
-Hai localizzato il segnale? -chiede la donna a James saltando drasticamente i convenevoli, rivoltando la sacca prelevando ed accatastando le armi scelte sul sedile a fianco.
-Petrovich è ancora a Budapest dove l’hai lasciato nel ‘91, ti ho appena inviato le coordinate. -ribatte digitando i comandi sul transponder, consegnando il cellulare della donna alla legittima proprietaria quando la mano fasciata sbuca da sopra la sua spalla. -Ti abbiamo procurato un Quinjet con tutto il necessario a bordo, ti portiamo direttamente sulla pista di decollo.
-Organizzazione impeccabile vedo. -commenta in risposta con un paio di secondi di ritardo, scalciando via le scarpe e sfilandosi i vestiti restando in biancheria intima, allungandosi sul sedile per recuperare il cambio d’abiti ancora sul fondo della borsa. -Puoi guardare se vuoi, James.
-Sì, James. Guarda pure, fa finta che io non ci sia. -scherza Sam in risposta alla provocazione lanciata dalla donna, che sta trafficando con il gancetto del reggiseno sui sedili posteriori.
-Occhi sulla strada, socio. -ribatte l’uomo lanciando un’occhiata di fuoco in risposta e lasciando trasparire una minaccia di morte velata nel tono della voce, per poi ricambiare lo sguardo di Natasha dallo specchietto retrovisore, che gli rivolge una linguaccia in risposta mentre è intenta a rivestirsi. -E tu non devi provocarmi, ‘Tasha.
-Giusto, scusa, niente distrazioni finchè non siamo fuori dai guai. -sospira la donna rassegnata, chiudendo la zip della tenuta da combattimento, scrutando il paesaggio fuori dal finestrino fino all’ingresso della pista di decollo dell’aeroporto. -Grazie per il passaggio, ragazzi.
James non ha tempo di ribattere, la donna è già scesa dall’auto dirigendosi a passo spedito verso il Quinjet, reagendo d’istinto aprendo la portiera dell’auto correndole dietro senza prestare attenzione alle domande di Sam in merito alle sue intenzioni, senza trovarne spiegazioni per primo, seguendo la paura atavica che lo afferra per la bocca dello stomaco smorzandogli il respiro.
-Ferma lì, Romanova. -urla sovrastando il rombo dei motori degli aerei in fase di decollo, inseguendola lungo la pista afferrandola per un gomito.
-Cosa vorresti fare, sentiamo. -ribatte a tono spostando lo sguardo dalla presa sul suo braccio al suo volto, chiedendo una spiegazione implicita al gesto improvviso, ma senza scrollarsi la sua mano di dosso.
-Lasciami venire con te. -annuncia senza battere ciglio ma con la gola secca, rendendosi conto solo in quel momento dell’azione impulsiva appena compiuta che andava contro tutti i piani prestabiliti… doveva solo accompagnarla, non mettersi in mezzo alla caccia.
-Petrovich è la mia resa dei conti, James. -obietta puntuale la donna, ma con sguardo conciliante intuendo i suoi pensieri. -Mi hai addestrata tu, ricordi? Tu ti fidi di me ed io so cavarmela… non sarà un altro Bol’šoj.
Le parole di Natasha calmano la sua l’agitazione improvvisa e innata, sciogliendo di colpo la morsa allo stomaco, permettendogli di allentare la presa sul suo gomito.
-Okay… ma chiamami subito quando hai finito, ti vengo a prendere.
-Non vedo l’ora. -sorride in risposta depositandogli un leggero bacio sulle labbra. -Andrà tutto bene, promesso.

   
 
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