Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Lady1990    28/04/2019    2 recensioni
Ashwood Port, situata sulla costa del Massachusetts, vanta circa ventimila abitanti. Tre anni dopo la sua fondazione, risalente al 1691, fu teatro di un grande processo per stregoneria, mentre alla fine dell'Ottocento, durante la Guerra Civile, ospitò una sanguinosa battaglia. Al giorno d'oggi deve la sua popolarità a un florido commercio di pesce.
Le persone conducono una vita normale, spesso noiosa, perché nulla di sensazionale accade mai ad Ashwood Port.
Regan, sedici anni, erede dell'agenzia di pompe funebri McLaughlin, ha iniziato il liceo con un chiaro obiettivo in mente: stare lontano dai guai. Ma quando Teresa Meyers scompare senza lasciare traccia all'inizio dell'anno scolastico, Regan capirà di non avere altra scelta che lasciarsi coinvolgere nella follia che infesta Ashwood Port.
Infatti, quella di Teresa sarà solo la prima di una serie di impossibili sparizioni che, assieme ad altri eventi sinistri, si abbatteranno sulla tranquilla cittadina.
Tra fantasmi, streghe, licantropi, cacciatori, incubi e inganni, Regan si impegnerà per svelare il mistero. Ma a quale prezzo?
Anche se si è nati nell'oscurità, perdersi in essa è più facile di quanto si pensi.
[IN REVISIONE]
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






 
Il pullman raggiunse la stazione con venti minuti di ritardo, alle dieci e quaranta della notte del 5 gennaio. Aveva fatto una lunga sosta a Boston, di almeno un’ora, e poi altre fermate intermedie.

Regan chiuse il blocco da disegno, sul quale aveva abbozzato il lupo del suo sogno, lo rinfilò nel borsone e stiracchiò i muscoli indolenziti. Fece una smorfia e grugnì quando sentì un paio di vertebre scrocchiare. Indossò il giubbotto, si caricò in spalla il borsone e si accodò agli altri passeggeri per scendere dal pullman.

Non appena mise i piedi a terra, una folata di vento gli scompigliò i capelli. Alzò lo sguardo sul pannello di benvenuto della stazione, sul quale c’era scritto “Benvenuti ad Athens – Ohio”. Esalò un sospiro stanco e si diresse al banco informazioni per chiedere quanto distava il motel più vicino.

Lo raggiunse dopo dieci minuti, camminando spedito a testa bassa, le mani seppellite nelle tasche del giubbotto. Percepiva qualcosa nell’aria, come una corrente elettrica. Attraversò il parcheggio semi deserto del motel in direzione della reception. L’uomo dietro il divisorio di plexiglass aveva una barba incolta e i capelli unti e indossava una camicia da boscaiolo azzurra su una maglietta bianca sporca di ketchup. Regan nascose il disgusto e si impose di respirare dalla bocca.

Il tizio neanche gli chiese i documenti, gli fece solo firmare il registro degli ospiti e gli consegnò la chiave. Regan la prese e, per il resto della notte, si barricò in camera. Sdraiandosi sul letto cigolante dopo una veloce capatina in bagno, si augurò di riuscire a riposare, poiché il giorno successivo sarebbe stato alquanto stressante.

Siccome desiderava una notte tranquilla, l’incubo tornò a fargli visita. Avanzando nel buio, a un certo punto scorse il solito grammofono e udì le solite voci e i sibili. Fin qui tutto normale. Ma quando i sibili cedettero il posto alla melodia orientale, in lontananza registrò un movimento. Lì per lì credette di esserselo immaginato. Non appena lo vide di nuovo, si rese conto che somigliava a una figura prona, rannicchiata, con uno strano cappello fatto di aculei. O forse erano i suoi capelli, acconciati come aculei. Oppure aveva aculei al posto dei capelli. Impossibile dirlo, data la densa oscurità che circondava la figura. Non riuscì a vedere nient’altro, perché la mano scheletrica del demone afferrò la punta di lettura del grammofono e interruppe la melodia, e così il sogno.

La sveglia sul cellulare suonò alle sette e mezzo. Regan grugnì e si avvolse di più nelle coperte che odoravano di muffa. Sottili lame di luce filtravano dalle tende tirate, rischiarando la camera quel tanto da distinguere i contorni dell’arredamento spartano: comodino, tavolo, due sedie di legno, televisione, cassettone e specchio a figura intera. Il suo borsone giaceva sul letto accanto, assieme al giubbotto.

Le immagini dell’incubo continuarono a venire riprodotte in loop dietro le sue palpebre chiuse. Grugnì seccato e aprì gli occhi cisposi, scalciando le coperte in fondo al letto. Ancora mezzo addormentato, afferrò il cellulare dal comodino e scrisse a Deirdre un breve messaggio. Senza attendere risposta, si alzò e andò in bagno. Dopo una doccia veloce, si rivestì, prese il borsone e lasciò il motel per andare a fare colazione.

Comprò un caffè e un muffin al bar all’angolo, optando per mangiare lungo la strada. Camminò a passo sicuro, avendo già memorizzato il nome della via e il percorso per raggiungere la casa di colei che, secondo Deirdre, era la sua vera nonna: Sheila Morgan. Shannon non aveva mai fornito a Deirdre altri dettagli oltre al nome. Regan si augurò che non gli sbattesse la porta in faccia. Aveva bisogno di alleati, un mentore, delle risposte, non di un altro nemico.

Arrivò all’indirizzo un’ora più tardi. Era una piccola casa a due piani, con un minuscolo giardino sul davanti e un delizioso cancello in ferro battuto che si affacciava sulla strada, accanto a una cassetta delle lettere. I muri esterni erano color indaco. Sui davanzali di ogni finestra c’erano vasi di gerani e, sul lato destro del giardino, un albero di limoni. Sembrava una di quelle villette pubblicizzate sulle riviste immobiliari.

Il cancello era aperto, così entrò, ma senza abbandonare la prudenza. Quella era la casa di una strega, e Regan non aveva idea di quanto fosse potente. Per quel che ne sapeva, potevano esserci incantesimi di protezione che lo avrebbero incenerito non appena avesse messo un piede in fallo.

Percorse lo stretto e corto vialetto lastricato fino alla porta. Non venne respinto da alcuna barriera e la contò come una vittoria. Tuttavia, la vera impresa sarebbe stata farsi invitare a entrare in casa senza insospettire Sheila. Deirdre gli aveva ripetuto che tra vampiri e streghe, come tra vampiri e licantropi, scorreva cattivo sangue. A quel punto, iniziò a domandarsi se i vampiri avessero amici, o se fossero i perdenti del mondo soprannaturale.

Trasse un profondo respiro e sollevò una mano per premere il campanello. Attese qualche secondo. Le sue orecchie colsero il battito di un cuore e il rumore di passi in avvicinamento. Perlustrò la strada con lo sguardo, appurando di non essere osservato. Quando la porta si aprì, si voltò di scatto con un sorriso nervoso.

Una donna sulla settantina si stagliava nell’ingresso, una mano stretta attorno alla maniglia e l’altra sullo stipite, a bloccare il passaggio. Aveva lunghi e lisci capelli neri, appena striati di grigio, raccolti in una coda bassa tramite un fermaglio alla base del collo. I suoi occhi erano di un azzurro tenue, gli zigomi alti, il naso dritto e affilato. Agli angoli della bocca e intorno alle orbite esibiva sottili rughe d’espressione. Indossava un vestito borgogna e pantofole rosa. Alle orecchie sfoggiava un paio di orecchini a forma di farfalla. Una fede le ornava l’anulare sinistro e un anello con una pietra nera il medio della mano destra.

“Sheila Morgan?” chiese, una volta terminato di farle la radiografia.

“Sì?”

La sua voce era bassa, un po’ roca. Regan annusò l’aria con discrezione. A giudicare dal tanfo di nicotina che appestava la casa, Sheila era una fumatrice incallita.

“Sono Regan McLaughlin, vengo da Ashwood Port.” si presentò educato.

“Cosa posso fare per te, Regan?”

Regan ponderò la risposta per qualche secondo. Non voleva rischiare di dire la cosa sbagliata e farsi cacciare in malo modo. Se Sheila era potente come Regan credeva, sarebbe bastato un niente per finire nel mirino della congrega, situazione che puntava a evitare a tutti i costi. Invece, rivelando subito un pezzo di verità, e dandogli così prova della sua buona fede, magari l’avrebbe convinta ad ascoltarlo.

Non avrebbe rinunciato solo per paura di innescare l’ira di una strega. Aveva fatto troppa strada per fermarsi al primo ostacolo e, se c’era un tratto della sua personalità di cui andava fiero, era la determinazione.

“Sono il figlio di Shannon.” snocciolò in fretta, prima che potesse rimangiarsi le parole.

La donna sbiancò, impietrendosi sul posto. Siccome non pareva propensa a uscire dallo stato di shock in cui era piombata, Regan continuò a spiegare.

“Sono qui per chiedere aiuto, non per creare problemi. Se non sono il benvenuto in casa sua, possiamo parlare qui fuori. Ma la questione è estremamente urgente.”

Sheila richiuse la bocca con uno scatto e contrasse la mandibola. Poi assottigliò le palpebre e si prese qualche istante per studiarlo da capo a piedi.

“Quanti anni hai?”

“Sedici, signora.”

“Come mi hai trovata?”

“La donna che mi ha adottato quando Shannon è morta, Deirdre McLaughlin, mi ha parlato della vostra congrega. È stata la necessità a spingermi a cercarvi, altrimenti non vi avrei disturbati. Ho davvero bisogno di aiuto.”

Sheila rimase immobile, soppesandolo con il suo sguardo di ghiaccio. Dopodiché, si fece da parte in silenzio.

Regan occhieggiò nervoso la cornice della porta: “Posso entrare?”

“Hai bisogno di un invito scritto?”

Il sospetto che Regan lesse in fondo a quelle iridi azzurre gli suggerì che lei sapeva, o perlomeno intuiva la sua diversità. Disse addio a ogni speranza di mantenere il segreto sulla sua natura. Chiuse gli occhi, preparandosi a un rifiuto.

“Temo che debba dirlo ad alta voce. Giuro che non voglio farle del male. Se si sentirà minacciata in qualsiasi modo, non mi difenderò da nessun incantesimo che lei deciderà di usare contro di me. Le ripeto che desidero il suo aiuto.”

Regan la vide contrarre i lineamenti in una smorfia impressionata.

“Molto bene. Puoi entrare.”

Il ragazzo mise un piede oltre la soglia. Quando non accadde niente, entrò e si fermò nell’ingresso, poggiando il borsone accanto al muro.

“Gradisci una tazza di tè?”

“Solo un po’ d’acqua, se non le dispiace.”

Sheila gli disse di accomodarsi in salotto e sparì in cucina.

Mentre l’aspettava, Regan osservò l’ambiente. C’erano quadri di ignoti paesaggisti appesi alle pareti e vasi di fiori ovunque. Le tende della finestra erano di un giallo spento, semitrasparente. Il pavimento era ricoperto dal genere di tappeti che potevi trovare al mercato delle pulci. Non c’era una televisione, ma, in compenso, Regan poté ammirare una notevole libreria, colma di romanzi gialli e d’avventura. Riconobbe molti dei titoli. Non notò, però, alcun volume relativo all’arte occulta. Probabilmente, Sheila li teneva in un’altra stanza, al riparo da occhi indiscreti.

Il divano su cui era seduto era comodo, ricoperto da un telo bianco con camelie rosse. I cuscini erano ricamati a mano con motivi di vago gusto orientale. C’era un posacenere pieno sul mobiletto vicino alla finestra. Emanava un olezzo nauseante, appena attenuato da quello dolciastro dei fiori.

Sheila tornò un paio di minuti dopo con un bicchiere d’acqua e una tazza di tè verde. Li depose entrambi sul tavolino basso di fronte al divano e si sedette sulla poltrona, senza perdersi alcun movimento del suo inatteso ospite. Il vestito borgogna svolazzò brevemente attorno ai suoi polpacci.

Regan accettò l’acqua. Si concentrò sul battito cardiaco della strega, scoprendolo accelerato. I suoi muscoli erano contratti, la sua espressione tesa. Il suo odore era mascherato dalla nicotina, che permeava i suoi vestiti da cima a fondo, quasi ci avesse fatto il bagno.

“Ebbene?” lo incalzò Sheila, sfiorando con uno sguardo fuggevole il bicchiere d’acqua.

Regan si bloccò a metà di un sorso e annusò l’acqua con circospezione: “Mi ha avvelenato?”

“Ho lanciato sull’acqua un incantesimo della verità.” ammise tranquilla, come se stesse parlando del tempo.

“Tipo il Veritaserum di Harry Potter?” indagò curioso, schiacciando l’indignazione sotto uno strato di calma forzata.

“Quella era una pozione. Io ho detto di aver usato un incantesimo.”

A Regan sarebbe piaciuto bombardarla di domande, esigere la formula dell’incantesimo, strappargliela dal cervello se necessario, ma resistette. Si consolò pensando che prima o poi lo avrebbe comunque scoperto da solo, ora che ne conosceva l’esistenza. Gli sarebbe stato di grande aiuto.

“Ti ho offeso, per caso?” domandò affabile.

Nel suo sguardo Regan colse una scintilla di sfida. Poiché non c’era nulla ormai che potesse fare, si limitò a sorriderle serafico. Gli insegnamenti di Deirdre sul controllo delle emozioni risultarono un grosso vantaggio: non provava alcunché, a parte un lieve fastidio per essere stato raggirato in modo tanto plateale. Non che non si fosse aspettato un attacco o un test di qualche tipo, ma la consapevolezza di averlo subito davvero senza rendersene conto gli provocava un prurito nello sterno, là dove la rabbia ribolliva selvaggia. Aveva abbassato le difese e peccato di ingenuità. Per fortuna era solo un incantesimo della verità, non una fattura.

“No, affatto. Un po’ me lo aspettavo.”

“Perdonami se non ti credo sulla parola, ma sai com’è.”

“Beh, a questo punto, da me non riceverà altro che la verità. Chieda pure ciò che desidera.”

“Chi sei?”

“Sono Regan McLaughlin, figlio di Shannon Morgan.”

Sheila sbarrò le palpebre e boccheggiò. Passò numerosi attimi a scrutare Regan da capo a piedi, come se cercasse segni di somiglianza. A quanto pare li trovò, perché si portò una mano davanti alla bocca e con occhi lucidi balbettò uno sfiatato “Per la Madre…”, prima di venire interrotta da un singhiozzo.

“Non sapevo che Shannon… credimi, non lo sapevo. Se lo avessi saputo, io… come è possibile…?”

Regan le diede tempo per digerire la notizia. Benché il suo sguardo penetrante lo mettesse a disagio, si costrinse a rimanere immobile per farsi esaminare.

“Perché sei qui, Regan?” domandò con voce tremante.

“Non per riallacciare i rapporti con la famiglia di Shannon, se è questo che sta pensando. Ho appreso il suo nome solo pochi giorni fa e, nonostante sia un po’ curioso, al momento ho faccende più pressanti di cui occuparmi. E no, non intendo restare ad Athens più del dovuto. Senza offesa, ma la mia vita è ad Ashwood Port.”

Sheila annuì con aria contrita: “Capisco. Hai parlato di faccende pressanti. Di che si tratta?”

“Un demone sta terrorizzando la mia città. Ha già mietuto sei vittime, tra cui due bambini. Ritengo che sia un Chabalim, appartenente alla stirpe degli Shedim. Non so come affrontarlo, mi mancano informazioni e mezzi. Può aiutarmi?”

Sheila boccheggiò di nuovo, palesemente scossa.

“Aspetta, facciamo un passo indietro. O più di uno, magari. Un demone della mitologia ebraica? Ne sei certo?”

“Quasi.”

“Devi esserlo completamente.”

“Perché?”

“Scommetto che hai pensato di condurre un esorcismo.”

“È il metodo più sicuro per scacciare un demone.” rispose in tono ovvio.

“Certo. Tuttavia, dovresti sapere che esistono tanti tipi di esorcismo quanti sono i popoli della terra. Un esempio lampante è la Chiesa cattolica. Con il tipo di esorcismo che praticano, per mezzo della Bibbia, combattono i demoni legati alla mitologia cristiana. Ma cosa succederebbe se un prete si scontrasse con… bah, diciamo un djinn?”

“Il rituale non avrebbe effetto, perché il djinn appartiene alla cultura araba?”

“Esatto. Se tenti di combattere un demone di un’altra cultura con i mezzi che la tua ti fornisce, l’esito è uno soltanto: fallimento. Spesso seguito da una morte cruenta. Per tale ragione ti ho chiesto se sei sicuro di avere a che fare con un Chabalim. Ti servono prove concrete e inconfutabili. Se è davvero un Chabalim, devi rivolgerti a un rabbino.”

“Lei non può fare niente, in quanto strega?”

“Per favore, chiamami Sheila e dammi del tu. Comunque, no, non posso. Le streghe non si confrontano mai con i demoni, solo con gli spiriti maligni. Sono due cose diverse. A prescindere dalla mia preparazione e dai miei poteri, non avrei alcuna speranza contro un demone, non importa da quale cultura proviene. Fallirei perché non possiedo la fede necessaria a fronteggiarlo. Le streghe non seguono alcuna religione, non l’hanno mai fatto. Invece, onorano la terra, gli spiriti e gli elementi. Perciò, metti caso che entrassi in conflitto con un demone della mitologia cristiana: cosa potrei fare? Non credo in Dio, negli angeli e nei santi. Un prete è la persona più indicata a cui rivolgersi, perché attraverso la sua fede attinge alle forze della luce di cui lui è servo.”

“Intendi dire che Dio esiste? E anche gli angeli?”

Sheila ridacchiò e scosse debolmente il capo: “Questa è una domanda da un miliardo di dollari.”

Regan sbuffò e, in barba all’incantesimo, trangugiò l’acqua sino all’ultima goccia.

“Venire qui è stato inutile, allora. Devo cercare una sinagoga.”

“Aspetta. Forse posso aiutarti a trovare le prove che cerchi. La congrega Morgan è molto potente. Ciò significa che abbiamo una biblioteca molto fornita. Quanto avevi pianificato di restare?”

“Fino a domenica.”

“Ottimo. Mi farebbe piacere presentarti alla congrega, se sei d’accordo. E in città abbiamo una sinagoga, puoi farci un salto quando vuoi.”

“Non lo so…”

“Ah, giusto, quasi dimenticavo.”

Sheila posò la tazza di tè sul tavolino e si sporse verso di lui, trafiggendolo con un’occhiata intensa.

“Come mai hai avuto bisogno del mio invito per entrare?”

“Sono un ibrido di vampiro.”

Sheila sbarrò le palpebre e lo scrutò con sgomento: “Come sei venuto al mondo?”

“Due vampiri hanno ucciso Shannon sedici anni fa. L’hanno aggredita mentre mi stava partorendo in casa. Deirdre non è arrivata in tempo. Ha praticato un cesareo su di lei e mi ha tirato fuori. A quel punto, però, il veleno dei vampiri era già entrato in circolo nel mio corpo.”

Sheila impallidì e premette di nuovo una mano sulla bocca per impedirsi di scoppiare a piangere.

“Perché hanno preso di mira mia figlia…?”

“Non lo so, Sheila.”

La donna chiuse gli occhi, deglutì ed inspirò a fondo. Nonostante si sentisse soffocare dal lutto, dal rimpianto e dal senso di colpa, si sforzò di restare ancorata al presente. Aveva già pianto la sua Shannon, molto tempo fa, convinta che fosse morta a causa di un incidente. Così le era stato riferito, almeno. Quella menzogna adesso accese una miccia in lei, ma non era il momento adatto per soccombere all’ira. Strinse denti e pugni e raddrizzò la schiena.

“Andiamo avanti. Bevi sangue umano?”

“Sì, proprio come i vampiri, ma ho imparato a controllare la sete grazie a Deirdre. Posso mangiare anche cibo normale senza problemi.”

“In che modo controlli la sete?”

“Deirdre mi nutre con sei dita del suo sangue al giorno. Me lo versa nel succo o nell’acqua durante i pasti tramite una siringa.”

“McLaughlin, hai detto? Per caso, è imparentata con la congrega McLaughlin in Irlanda?”

“Sì, ma ha tagliato i ponti con loro quando era giovane, perché non ha ereditato i loro poteri.”

“Capisco.”

Il silenzio si protrasse per non più di un minuto, finché Regan non cedette alla curiosità.

“Ti va di raccontarmi qualcosa di Shannon?”

Sheila gli rivolse il primo, vero sorriso da quando era arrivato: “Certo. Cosa desideri sapere?”

“Che tipo era?”

“La mia Shannon era una ragazza intraprendente, spavalda, testarda. Molto dotata nell’arte magica e molto intelligente. La prima della classe al liceo. Con mio grande rammarico, scelse di non continuare gli studi al college, preferendo imbarcarsi in un’avventura che la portò da un capo all’altro del paese. Le interessava parecchio il folclore delle varie etnie. Sai, le storie, le leggende, la musica. Partì non appena ricevette il diploma. Salì in macchina e stette via per tre anni, collezionando esperienze che trascrisse nei suoi diari. Ce li ho ancora, se vuoi leggerli.”

“Volentieri. Poi è tornata ad Athens?”

Una maschera di rabbia calò sul viso di Sheila.

“Sì, in compagnia di un uomo. Il suo nome era Stefan Black. C’era qualcosa di strano in lui, emanava un’energia negativa. La congrega non lo accolse. Shannon insisté, ma quando Fiona le negò il permesso, se ne andò in esilio con Black. Non l’abbiamo più rivista. Un anno e mezzo dopo, ci giunse la notizia che era morta. La Prima ci disse che si era trattato di un incidente.” terminò in tono tagliente, il viso contratto in una smorfia bellicosa, “Oh, adesso mi sentirà. Come ha osato mentirmi?”

“La Prima?”

“È la strega più potente, una specie di capo. Fiona amministra e guida la congrega da circa vent’anni.”

“Okay. Tornando a Stefan Black, avete più saputo nulla di lui? È… è mio padre?”

“Non lo so. Il giorno in cui Shannon venne bandita, non era ancora incinta.”

“Aspetta. Perché ora dici bandita, quando un minuto fa hai detto che scelse l’esilio?”

“Beh, suppongo che si possa dire che siano vere entrambe. Siccome Shannon scelse l’esilio pur di stare con Black, la Prima la bandì, spogliandola del nome dei Morgan.”

Regan posò il bicchiere vuoto sul tavolino e si accasciò sul divano a braccia conserte, profondamente turbato.

“Ti presenterò alla congrega nel pomeriggio.” disse Sheila, “Nel frattempo, mi piacerebbe se tu pranzassi con me e mi raccontassi della tua vita.”

Le ore passarono veloci. Regan le parlò della scuola, dei suoi amici, delle feste, tralasciando di rivelare la presenza di un branco di licantropi e tre famiglie di cacciatori in città, nonché la sua innata abilità di vedere i fantasmi. Tenne per sé pure i dettagli più macabri relativi al demone, poiché li avrebbe esposti una sola volta al cospetto della congrega.

Sheila ascoltò con ovvio interesse. Quando il tema virò sulle relazioni sentimentali, Regan parlò di Derek, Roman e Lorie. Sheila si rilassò e addolcì l’espressione, per poi raccontargli che anche Shannon aveva avuto diversi spasimanti di entrambi i sessi durante l’adolescenza.

Verso le tre del pomeriggio, montarono in macchina per recarsi alla casa della congrega. Sheila gli spiegò che i vari membri avevano le proprie dimore e che la casa era solo un luogo di ritrovo dove apprendere l’arte occulta in sicurezza. Il perimetro era circondato da potenti incantesimi atti a respingere il male. Era una sorta di fortezza inespugnabile che li avrebbe protetti in caso di pericolo, magico e non. Inoltre, se un novizio avesse sbagliato un rituale e provocato un incidente, le rune incise su ogni parete della casa avrebbero debellato la minaccia sul nascere. Era il posto perfetto dove imparare e sperimentare.

“Una specie di piccola Hogwarts, insomma.” commentò Regan.

“Ecco, questo non devi dirlo quando ti troverai davanti alla Prima. Detesta Harry Potter.”

“Beh, io stesso sono più un tipo da Tolkien.”

“Detesta pure Tolkien.”

“Ha l’aria di essere una donna terribilmente noiosa.”

Sheila ridacchiò. Pochi minuti dopo, parcheggiò sul ciglio di una strada di periferia, davanti a un’imponente villa che si innalzava su tre piani. I muri erano di pietra, le finestre alte e strette. Il cortile sul davanti era curato come quello di Sheila, con roseti e siepi di alloro. Un sentiero di ciottoli conduceva alla porta d’ingresso. Ai lati dell’edificio si innalzavano due torrette, che lo facevano apparire come un castello in miniatura.

“Wow. Mi sembra di essere stato catapultato in Europa.”

“I nostri avi venivano dall’Europa.” disse Sheila, “I primi Morgan arrivati con i coloni costruirono questa villa.”

Regan seguì Sheila in silenzio, incapace di smettere di boccheggiare meravigliato. Giunti davanti alla porta di legno intarsiato, con un battimano di ferro a forma testa di cervo, la donna l’aprì senza bussare.

“Ho già avvisato la Prima del nostro arrivo, per farle rimuovere la barriera. Vieni, entra. Appendi pure il giubbotto nel guardaroba.”

Il ragazzo obbedì. Mentre si guardava intorno, annusò l’aria. Percepì un lieve effluvio di erbe e un odore che, dopo un po’, comprese essere ozono. Era l’odore che annunciava una tempesta e accompagnava i fulmini. La sua pelle formicolò e tutti i peli del corpo si rizzarono, allertandolo sulla presenza di energie estranee, potenzialmente pericolose. Realizzò che era la stessa sensazione che aveva provato quando era sceso dal pullman.

Una donna sulla cinquantina, con folti capelli rossi e ondulati sciolti sulle spalle e occhi neri, sbucò da una stanza in fondo al corridoio e si fece loro incontro. Indossava una camicetta bianca e pantaloni rossi che le fasciavano le gambe lunghe e magre. I piedi erano nudi, le unghie laccate di blu.

“Sheila. E lui deve essere Regan, il figlio di Shannon.” esordì con voce neutra quando fu loro vicina.

“Fiona.” proferì Sheila, la postura era rigida e i lineamenti del viso tesi, per poi sospingere Regan in avanti, “Regan desidera chiedere il nostro aiuto a proposito della questione che ti ho accennato per telefono.”

“Il demone, certo. Andiamo nel mio studio.”

Non fu solo l’atteggiamento di Sheila a provocare disagio in Regan. C’era qualcosa in Fiona che stava mettendo a dura prova i suoi nervi. Nonostante l’apparente disponibilità, la sua voce era fredda e il suo sguardo ostile. Era chiaro che non fosse felice della sua visita, anche se tentava di mascherarlo dietro una facciata di cordialità. E la tensione che aleggiava su Sheila e Fiona parlava di un conto in sospeso, probabilmente relativo alla menzogna sulla morte di Shannon.

Regan seguì le due donne lungo il corridoio. Ad ogni passo, catalogò odori, colori e forme, senza lasciarsi sfuggire alcun dettaglio. L’ozono permeava pareti, soffitto e pavimento, impregnava ogni singolo centimetro della casa. Sembrava quasi che la magia palpitasse al di sotto delle superfici, emettendo una lievissima vibrazione che faceva allo stesso tempo cantare e ribollire il sangue di Regan.

La sensazione di claustrofobia lottava contro l’esaltazione di trovarsi al centro di un nodo di potere. Quel posto era intriso di possibilità, abbastanza mature da far venire a Regan l’acquolina in bocca e l’impulso di coglierle, come frutti che ciondolano invitanti dai rami di un albero. Ma c’era anche un substrato di pericolo, trappole invisibili, che non aspettavano che un suo passo falso per cibarsi di lui.

Entrarono in una stanza a metà del corridoio, grande all’incirca come il suo salotto di casa ad Ashwood Port. Sul soffitto, attorno al lampadario antico, c’era un affresco che ritraeva le fasi lunari e alcune costellazioni. I colori predominanti erano l’oro e il blu cobalto. A est, di fronte all’unica finestra, c’era una grossa scrivania in legno di quercia. Nell’angolo sulla destra, Regan vide un tavolino d’antiquariato e una teca, all’interno della quale c’erano bottiglie dall’aspetto costoso e porcellane. Il resto dei muri era tappezzato di scaffali e scaffali ricolmi di tomi, rilegati e non.

Fiona si sedette sulla poltrona dietro la scrivania, ponendosi di spalle alla finestra. Spostò il computer, liberò lo spazio da fogli e appunti sparsi e li invitò ad accomodarsi sulle sedie davanti a lei. Non appena furono seduti, intrecciò le dita e prese la parola.

“Ebbene, Regan. Parlami di questo demone.”

Regan lanciò un’occhiata smarrita a Sheila, che annuì incoraggiante.

“Okay. Dunque, tutto è iniziato i primi di settembre.”

Le narrò i fatti, cercando di restare oggettivo, ed elencò le sue teorie. Quando giunse alla parte dello Shedim, si gettò in un racconto particolareggiato delle sue ricerche. Tuttavia, non parlò delle visioni, di come temesse l’inganno del demone e, di conseguenza, non fosse sicuro al cento percento di essere sulla strada giusta.

“Ho paura che, se non troverò presto una soluzione, Ashwood Port piangerà molte altre vittime. Potete aiutarmi?”

Fiona si appoggiò allo schienale della poltrona e assunse un’aria meditabonda. Dopo un po’, si raddrizzò e annuì.

“Gli eventi che hai descritto indicano senza dubbio la presenza di un demone. Senza contare che lo hai visto con i tuoi occhi. Se sia o meno uno Shedim, questo è da capire. Nel frattempo, ti do il permesso di leggere alcuni libri della nostra biblioteca in merito alla simbologia dei serpenti, corvi, ragni, mosche e altri animali normalmente associate ai demoni. Magari li troverai utili.”

“Quelli sono libri per bambini, Fiona. I libri che gli servono non sono in biblioteca.” disse Sheila.

“Per leggeri i libri a cui ti riferisci, Regan dovrebbe essere un membro della congrega.”

“Regan è un membro, anche se non ufficialmente. È il figlio di Shannon e mio nipote, vanta un diritto di sangue.”

Fiona la trafisse con un’occhiata raggelante: “Molto bene. Allora, offro ufficialmente a Regan un posto nella congrega. Anche se porta un cognome diverso, è pur sempre un Morgan. Se lo vorrà, inizierà l’apprendistato domani.”

Entrambe si voltarono a fissare Regan, che si corrucciò.

“Mi state dicendo che l’unico modo per leggere i libri che mi servono è diventare un novizio?”

“Esatto.” annuì Fiona, “Il contratto di apprendistato ti impedirà di divulgare informazioni senza il mio esplicito consenso o parlare a estranei di tutto ciò che vedrai, farai o sentirai mentre sei con noi. È per motivi di sicurezza, spero tu capisca. Prendere o lasciare.”

Regan si morse un labbro. Percepiva qualcosa di strano intorno a sé. Il suo istinto gli spediva segnali di allarme da quando era entrato in quella villa. Non era sicuro di potersi fidare di quelle streghe. O meglio, di Sheila si fidava. Con lei provava la stessa sensazione di quando era vicino a Deirdre. Senza contare che Sheila era la sua vera nonna, condividevano il sangue. Erano una famiglia.

Fiona, invece…

“Posso rifletterci per una notte, per favore? Ci sono alcune cose che devo considerare, prima di decidere.”

“E sarebbero?” domandò Fiona.

“Non posso assentarmi troppo a lungo da casa. Un demone è a caccia e ha già mietuto sei vittime. In più, ho promesso a Deirdre che sarei tornato al massimo entro domenica. Oggi è martedì, perciò mi restano giusto cinque giorni. Quanti ne occorrerebbero per diventare un novizio della vostra congrega?”

“Sette.”

“Allora devo rifiutare. Mi dispiace, non ho tempo.”

“Fiona, il demone è più importante.” si intromise Sheila, “Diamogli tutto ciò che gli serve per combatterlo e lasciamolo tornare ad Ashwood Port. Poi, se avrà successo, lo inviteremo qui per essere iniziato.”

Fiona serrò le labbra, palesemente in disaccordo. Dopo qualche secondo, sospirò e rilassò le spalle.

“È quasi ora di cena. Regan, sarai mio ospite finché rimarrai ad Athens. Riprenderemo il discorso domattina e vedrò cosa posso fare per aiutarti.”

“Grazie.”

“Sheila, mostragli una camera. La cena verrà servita alle sei in punto.”

Detto ciò, vennero congedati.

Mentre Regan si arrampicava lentamente sui gradini per accedere ai piani superiori, non poté esimersi dall’ammirare l’architettura.

La casa era enorme. Le ampie rampe di scale erano delimitate da un lato da una parete tappezzata di ritratti di giovani donne, i più antichi risalenti al Settecento, dall’altro da una robusta ringhiera in legno di noce dalla forma avvitata, che imitava il movimento spiraleggiante della scalinata. Le finestre toccavano quasi il soffitto ed erano ornate da tende color porpora. Su ogni piano, a partire dalle scale, quattro corridoi si diramavano a raggera, tutti costellati da porte di uguale fattura, poste a uguale distanza l’una dall’altra. Sugli stipiti in alto, però, l’intonaco esibiva decorazioni personalizzate, probabilmente per aiutare a distinguerle. I loro passi risultavano attutiti sul tappeto che ricopriva il parquet, anche se talvolta le assi scricchiolavano.

Sheila si fermò al terzo e ultimo piano, davanti a una normalissima porta con pomello in ottone. Sullo stipite erano stati dipinti tralci di vite.

“Eccoci arrivati.”

Nella camera c’era un letto a una piazza e mezzo con lenzuola fresche, un cassettone con sopra uno specchio ovale e un armadio. I muri erano spogli e tristi, privi di quadri, ritratti o qualsivoglia abbellimento. A parte il verde delle coperte, il porpora delle tende e il grigio del tappetino ai piedi del letto, tutto era bianco come in un ospedale.

“Il bagno è in fondo al corridoio. Io andrò a casa a recuperare il tuo borsone, sarò di ritorno per cena.” disse Sheila.

“Grazie.”

Non appena Sheila si richiuse la porta alle spalle, Regan estrasse il cellulare per mandare un messaggio a Deirdre e dirle che aveva trovato la congrega. Lei gli rispose di stare attento e gli augurò buona fortuna.

Per passare il tempo, esplorò la camera. I cassetti erano vuoti, l’armadio pure. Nessun mostro sotto al letto. Si accostò alla finestra. Il sole era basso sull’orizzonte e innaffiava di luce infuocata gli alberi e le case che scorgeva in lontananza. La stanza aggettava sulla strada, così Regan poteva osservare il giardino, il via vai di macchine e parte della cittadina. Athens non possedeva un panorama degno di nota. Nessun edificio spiccava in mezzo agli altri, eccetto, forse, per quello in cui Regan già si trovava.

Ad un tratto, il suo sguardo venne attirato da degli strani simboli sulla cornice della finestra, oltre il vetro. Li studiò meglio e, con stupore, riconobbe alcune rune di protezione. Aprì la finestra e passò i polpastrelli sopra le rune, ritraendoli di scatto quando una scarica elettrica li ustionò.

Annoiato, andò a sdraiarsi sul letto. Ponderò se uscire e bighellonare qua e là o rimanere in camera. Alla fine, optò per la seconda, dato che non voleva dare l’impressione di essere un ficcanaso.  Trascorse l’ora successiva a giocare al cellulare, finché Sheila non bussò per consegnargli il borsone e avvertirlo che la cena era servita. Le si accodò e si lasciò scortare giù per le scale.

Quando i piedi si posarono sulla seconda rampa, delle voci sconosciute gli giunsero alle orecchie, accompagnate in sottofondo da battiti diversi, alcuni accelerati e altri regolari.

“Quanti saremo a cena?” domandò a Sheila.

“Una ventina. Mancano un paio di famiglie, che avevano già altri impegni, e i sei membri del Consiglio.”

“Avete un Consiglio?”

“Ne parleremo domani.”

“Okay.” si arrese, anche se era faticoso tenere a freno la curiosità, “Mangiate sempre qui, tutti assieme?”

“No, questa è un’occasione speciale.”

“Cioè?”

Sheila gli sorrise e spiegò: “Il figlio di Shannon è venuto a farci visita e ha bisogno del nostro aiuto. Chi non sarebbe curioso di conoscerti?”

“Sai, all’improvviso ho come questa strana voglia di tornare in camera e ordinare una pizza a domicilio.”

La donna ridacchiò. Posandogli una mano sulla spalla, lo pilotò verso una stanza molto grande, sormontata da un lampadario di cristallo. Al centro c’era un lungo tavolo rettangolare, incorniciato da poltroncine imbottite prive di braccioli.

Il fuoco scoppiettava nel camino sul lato destro della sala. Sopra di esso troneggiava il ritratto di una donna dai capelli neri e occhi simili a punte di spillo, vestita secondo la moda del diciottesimo secolo. Sul muro opposto all’entrata e quello adiacente, due paia di finestre si affacciavano sul cortile sul retro, che Regan non aveva ancora visto. Gli parve di scorgere una piccola serra.

Il brusio lo distolse dalla contemplazione dell’arredo. Si focalizzò immediatamente sulle persone raccolte nella sala. Erano una ventina, di età compresa tra i quindici e gli ottant’anni, più o meno. Regan contò quattordici donne e sette uomini. In disparte, appoggiata al caminetto, c’era Fiona. Era vestita uguale a quel pomeriggio, ma i capelli erano stati legati in una crocchia sulla nuca e ai piedi indossava dei mocassini rossi.

Sheila sospinse Regan verso gli altri ospiti. Il ragazzo avvertì subito la magia che vorticava intorno a loro. Era meno intensa rispetto a quella che avvolgeva Fiona, ma comunque rimarchevole. La maggior parte erano streghe potenti, non aveva dubbi.

“Regan, ti presento la congrega Morgan. Congrega, questo è Regan, figlio di Shannon. È venuto dal Massachusetts per chiedere il nostro aiuto e, spero, cominciare l’apprendistato.”

Dopodiché, Regan venne sommerso da nomi e formule di benvenuto. Prima di sedersi a tavola, aveva già dimenticato come si chiamavano almeno una quindicina di quelle streghe.

Sheila lo indirizzò verso una sedia sul lato sinistro del tavolo, vicino al centro. Lei si sedette alla sua destra e una ragazzina di circa sedici anni dall’altra parte. Il posto di fronte a lui fu preso da un uomo sulla trentina. Aveva i capelli neri e gli occhi azzurri, due sopracciglia folte, la mascella allungata e il naso affilato.

“Regan, lui è mio figlio Andrew, fratello minore di Shannon. Tuo zio.” gli disse Sheila.

“È un piacere.” esalò frastornato.

“Questo è da vedere.” rispose Andrew, stendendo il tovagliolo sulle ginocchia.

“Non ascoltarlo.” lo rassicurò Sheila, “È nato scorbutico.”

Fiona, seduta a capotavola, si schiarì la gola per richiamare l’attenzione dei convitati.

“Stasera accogliamo Regan fra di noi. Che la sua permanenza possa portargli consiglio.”

“Che la Madre lo benedica.” recitarono in coro gli altri.

Poi Fiona agitò la mano. Come per magia, sui piatti comparve un antipasto di crostini e salmone.

Regan boccheggiò e si girò fulmineo verso Sheila: “Proprio come…”

“Non dirlo!” lo ammonì sottovoce.

“Giusto.” tossicchiò imbarazzato.

Le streghe cominciarono a mangiare e conversare tra di loro. Sheila venne coinvolta in una discussione su una ricetta dalla donna accanto a lei, Andrew si distrasse a parlare di sport con il vicino.

La ragazza alla sinistra di Regan gli diede una leggera gomitata sul braccio e gli rivolse un sorriso timido. I capelli castani erano tagliati corti e gli occhi marroni erano grandi e ornati da lunghe ciglia nere. Sembrava un folletto.

“Quanti anni hai?”

“Sedici.”

“Anch’io! Da dove vieni, di preciso?”

“Ashwood Port, vicino Salem.”

“Oh. Brutta zona, quella.”

“Per i processi alle streghe?”

“Già. Qual è la tua materia preferita?”

“Sono indeciso tra Francese e Latino.”

“Anch’io studio Latino! Avete già affrontato la metrica?”

“No, siamo fermi alla grammatica.”

“Fidati, quella è una passeggiata. Sono Poppy, comunque. Nel caso non te lo ricordassi.”

“Ehm… grazie per averlo ripetuto. Sei una strega da molto?”

“Sono ancora una novizia. Ho iniziato l’anno scorso.”

“Credevo che l’apprendistato durasse una settimana…”

“No, è il test che dura una settimana. Ti introducono alle varie discipline per analizzare il tuo livello di partenza. Non serve che eccelli in ognuna di esse, siamo tutti diversi, con diverse inclinazioni. Occorre soltanto vedere se possiedi il talento necessario per apprenderle.”

“Perché proprio una settimana? Sì, sette è un numero sacro, ma c’è una ragione precisa?”

“Esistono cinque tipi di magia. Sette sono i giorni che si impiegano per completare i test. Il primo giorno ce ne sono due, sull’erbologia e sulla cristallomanzia. Si deve dare prova, cioè, di saper maneggiare le erbe e le pietre. Queste discipline sono le più comuni rappresentanti della magia curativa e divinatoria. Vengono trattate insieme perché non richiedono un eccessivo dispendio di energia.”

“Ho capito. Quali sono le altre discipline?”

“Ci stavo arrivando. Oltre alla curativa e alla divinatoria, abbiamo la magia elementale, alchemica e negromantica.” elencò, “Quella elementale, come puoi intuire, si basa sulla manipolazione degli elementi. La magia alchemica è lo studio della metamorfosi della materia, chiamata trasmutazione. La magia negromantica ha a che fare con la morte. Il secondo giorno, quindi, dovresti mostrare di saper controllare l’elemento del fuoco, il terzo quello dell’aria, il quarto quello dell’acqua e il quinto quello della terra. Il sesto giorno devi trasmutare degli oggetti. Infine, il settimo giorno devi riuscire a riportare in vita un piccolo animale e ripetere il processo al contrario. È il test più difficile, quasi nessuno lo supera.”

“Queste discipline hanno un nodo di congiunzione? Oppure sono branchie separate?”

“Il nodo di congiunzione è la magia elementale. Essa è universale e molto versatile, poiché può essere associata agli altri quattro tipi senza alcun problema. Gli elementi, all’occorrenza, vengono usati per trattare le erbe, per la divinazione, per trasmutare la materia e per operare incantesimi di negromanzia. In quest’ultimo caso, viene usato specialmente il potere della terra e del fuoco.”

“Ma la negromanzia non è magia oscura?”

“Non necessariamente. Dipende che uso ne fai, come tutto. Ci sono piante velenose che puoi usare per uccidere qualcuno, pietre che incrementano l’energia di una fattura, la divinazione ti si può ritorcere contro se provi ad alterare il futuro. Senza contare che tutti gli elementi sono potenzialmente pericolosi, se non si sa come controllarli.”

“E quale sarebbe un uso benevolo della negromanzia?”

“Beh, a volte capita che la congrega venga contattata da persone che hanno problemi con un testamento di eredità. La strega incaricata resuscita il defunto per parlare di suddetto testamento, poi lo restituisce al sonno eterno.”

“Niente apocalisse zombie?”

“Niente apocalisse zombie.” sbuffò divertita.

“E tu in quale magia sei più versata?”

“Curativa. Ho preso da mia madre. È quella lì, accanto al tizio con la testa rasata.”

Regan osservò di sottecchi la donna indicatagli da Poppy. Era bassa, magrolina, con un cespuglio di crespi capelli castani e occhi a palla. L’unico dettaglio del suo aspetto che Poppy aveva ereditato era il naso.

“E tuo padre?”

“È a Los Angeles, adesso. Lavora nelle telecomunicazioni. Ed è umano, non uno stregone.”

“I matrimoni misti sono accettati, quindi.”

“Certo. Se non lo fossero, le streghe si sarebbero già estinte.”

La cena trascorse tra chiacchiere superficiali e portate deliziose. Regan non aveva mai assaggiato nulla di così buono. Deirdre era un’ottima cuoca, ma non a questi livelli.

“Chi ha cucinato?” chiese a Poppy.

“Fiona. È bravissima, eh?”

“Non la credevo un tipo da cucina.”

“In che senso?”

“Mi sembra più una di quelle padrone di casa che danno ordini a uno stuolo di servi.”

“In passato era così. Ogni Prima veniva trattata come una vera regina.”

“Poi che è successo?”

“Siamo entrati nel ventunesimo secolo.”

“Ah.”

“Regan.” lo chiamò Andrew mentre gustavano il dessert.

“Mh?” mugugnò con la bocca piena di gelato alla crema.

“Mia madre mi ha detto cosa è successo a Shannon. È la verità? È stata uccisa da due vampiri?”

Il silenzio calò sulla tavola. Persino Fiona smise si mangiare.

“È quello che mi ha raccontato Deirdre, mia nonna adottiva. Era la vicina di casa di Shannon, quando abitava in un condominio nella periferia di Ashwood Port. Ha sentito dei rumori ed è intervenuta. Ha visto i due vampiri scappare, ma non ricorda che aspetto avessero, perché l’appartamento era buio. Prima che Shannon morisse, le ha praticato un cesareo. Mi sono salvato grazie a lei.”

“Perché non si è difesa con la magia? Mia sorella era una delle streghe più dotate della congrega.” pretese di sapere Andrew.

“Andrew.” sibilò Sheila, scoccandogli un’occhiata ammonitrice.

“Mi stava partorendo.” rispose Regan, senza interrompere il contatto visivo.

Rannuvolandosi, Andrew domandò: “Perché questa Deirdre non ha mai cercato di rintracciarci, dopo la tua nascita? Mia madre mi ha detto che è stata Deirdre a informarti della nostra esistenza. Significa che ha sempre saputo che eravamo ad Athens. Sei il figlio di mia sorella. Anche se lei è stata bandita, resti un Morgan. Appartieni alla congrega.”

“Voleva proteggermi.”

“Perché?”

“Perché Regan è un ibrido di vampiro.” rispose Fiona al suo posto.

Tutti guardarono Regan con occhi fuori dalle orbite. Poi, come il ragazzo si aspettava, un paio di streghe si alzarono di scatto e puntarono il dito contro di lui.

“Abominio!”

“Fiona, come puoi accoglierlo fra di noi? Non dovrebbe nemmeno esistere! Che importa se è il figlio di Shannon, non può restare qui!”

“Regan è un Morgan da parte di madre.” enunciò fredda, “E, come tale, gli spetta di diritto un posto nella congrega, come ha detto Andrew.”

“Ma…”

“Non è una bestia, sa controllare la sua sete. Inoltre, lo avete visto mangiare il nostro cibo, camminare sotto il sole. Le rune intorno alla casa hanno reagito alla sua natura vampira, allertandomi della potenziale minaccia; tuttavia, quelle sulla porta non lo hanno respinto, segno che non ha cattive intenzioni. Credete che lascerei entrare un mostro in casa mia?” sibilò, inchiodandoli sulle sedie con la forza dello sguardo.

“Ma…” fece per protestare quella che aveva gridato il primo insulto.

Fiona inarcò un sopracciglio in un velato avvertimento. L’altra ammutolì e si sedette di nuovo.

“Regan ha bisogno del nostro aiuto e della nostra guida. Non è qui per farci del male, ma per capire come sconfiggere un demone che sta terrorizzando la sua città. Lo istruirò personalmente, supervisionerò la sua ricerca e lo sorveglierò per tutta la durata del suo soggiorno.”

Un mormorio basso si diffuse tra le streghe. Alcune erano alquanto scettiche, altre parevano tranquillizzate. Poppy aveva smesso di guardarlo e si era scostata di qualche centimetro da lui. Andrew lo fissava senza battere ciglio, l’espressione imperscrutabile, mentre Sheila aveva poggiato una mano sulla sua gamba in un gesto di conforto.

“Per stasera è tutto. Grazie di essere venuti. Se ci saranno novità, vi aggiornerò.” li congedò Fiona.

Gli ospiti si alzarono e, dopo essersi salutati a vicenda, uscirono alla spicciolata dalla villa. Poppy non gli elargì nemmeno un’occhiata. Andrew, invece, soffermò lo sguardo su di lui per un momento, prima di infilare la porta in silenzio. Rimasero soltanto Sheila, Regan e Fiona.

“Penso che mi ritirerò per la notte.” disse Regan, ansioso di tornare nel suo temporaneo rifugio.

“Certo. Ci vediamo domani.” gli sorrise Sheila e lo abbracciò per sussurrargli all’orecchio, “Non preoccuparti di loro. Sono scioccati, ma vedrai che gli passerà presto.”

Regan annuì poco convinto. Si staccò, diede la buonanotte a Fiona e salì le scale, diretto alla camera che gli era stata assegnata.

Giunto al secondo piano, udì Sheila che diceva a Fiona che dovevano parlare di Shannon, e la Prima che rimandava il loro colloquio a un altro giorno. Non gli fu difficile immaginare come si sentisse Sheila, soprattutto quando una zaffata potente di rabbia lo investì da dietro. Se qualcuno avesse liquidato lui così, su un argomento tanto delicato come la morte di una figlia, non sarebbe rimasto zitto. Ma Sheila non era come lui, perciò la strega non reagì e, pochi istanti più tardi, la porta della villa sbatté con forza.

Regan entrò in camera. Si spogliò, indossò il pigiama e si recò in bagno. Valutò se farsi una doccia, ma era stanco e di pessimo umore. L’avrebbe fatta la mattina.

Tornò in camera e frugò nel borsone alla ricerca delle siringhe di sangue. Deirdre gliene aveva date sei. Se Regan non avesse insistito e giurato che se le sarebbe fatte bastare, la nonna gliene avrebbe consegnate almeno una decina. Non poteva chiederle così tanto sangue tutto in una volta, avrebbe messo a rischio la sua salute.

Ne prese una, tolse il tappo e scolò il contenuto in tre sorsi. Si sentì subito meglio. Infine, si infilò sotto le coperte e, dopo aver spento la luce del comodino, scrisse un messaggio alla nonna e uno a Derek.

A Deirdre:
Mi aiuteranno. Come previsto, resterò fino a domenica.

A Derek:
Parlerò a breve col rabbino. Ti tengo aggiornato xxx
 
Ponderò se mandarne uno anche a Roman, ma poi scelse di non farlo: non aveva niente di nuovo da dirgli e non aveva nessun obbligo di contattarlo, come invece era nel caso di Derek.

Inserì il silenzioso e si imbacuccò nel piumone. Il riscaldamento era acceso, però la temperatura era parecchio bassa. Si addormentò pochi minuti più tardi, cullato dal lieve fruscio del vento fra gli alberi del giardino.

Quella notte sognò un incendio, in cui arti abbrustoliti si agitavano tra le fiamme e cercavano di afferrarlo, mentre nell’aria risuonavano grida disumane.

 
*

Regan era seduto sul letto a gambe incrociate quando Sheila bussò alla porta il mattino dopo per invitarlo a scendere per colazione. Era sveglio già da molte ore, ancora scosso dall’incubo che aveva fatto. Intorno a lui giacevano due siringhe vuote. Le aveva usate per placare la sete che lo aveva colto non appena si era destato, assottigliando la sua già esigua scorta.

Mentre aspettava che il sole sorgesse, era rimasto a rimuginare sull’incubo, esaminandolo da ogni angolazione possibile. Poteva trattarsi di un’altra visione creata dal demone per alimentare la sua ansia e lo stress – e, a giudicare dalla sete che gli aveva provocato, aveva funzionato – oppure era stato solo un parto della sua mente fiaccata dalla stanchezza. La sola cosa di cui era assolutamente certo era che il sogno gli aveva lasciato una sensazione di incombente pericolo addosso, oltre al sapore del fumo sul palato. Era stato vivido, come se lo avesse vissuto in prima persona.

Si strofinò la faccia con le mani per scacciare il torpore e si alzò per vestirsi. Nascose le siringhe vuote nel borsone, poi fece una breve sosta in bagno prima di scendere in cucina.

Quando le raggiunse, Fiona e Sheila lo accolsero con un “Buongiorno” e gli servirono tè e biscotti. Erano ancora caldi, appena sfornati. Emanavano un odore divino, che gli fece venire l’acquolina in bocca.

“È cannella?”

“Sì. Questo, invece,” Fiona gli porse un foglio su cui erano state vergate a mano delle frasi in una calligrafia spigolosa ed elegante, “è il contratto di apprendistato. Leggilo e firmalo col sangue. Se hai domande, Sheila risponderà. Appena hai finito, vieni in biblioteca.”

Fiona si dileguò nel corridoio, lasciando Regan e Sheila da soli.

“Hai dormito bene?” gli chiese lei.

“Non proprio. Ho avuto un incubo.” rispose sincero.

Sheila si accigliò, ma per fortuna non indagò.

Regan approfittò della pausa nella conversazione per leggere il contratto. Era semplice, chiaro, dritto al punto. In pratica, recitava più o meno le stesse cose che gli aveva detto Fiona il giorno prima: se avesse firmato, sarebbe stato vincolato dalla segretezza con tutti i non membri della congrega e non avrebbe potuto praticare la magia al di fuori della villa. In compenso, avrebbe avuto pieno accesso alle risorse della congrega e, se necessario, avrebbe potuto richiedere assistenza negli incantesimi.

Alzò lo sguardo su Sheila: “Tu che mi consigli di fare?”

“Firma. Questo consoliderà la tua appartenenza alla congrega. Non sarai più solo. Potrai contare su tutti noi in caso di bisogno.”

“E i test? Non ce la farò mai a completarli in tempo.”

“Ho parlato con Fiona, a tal proposito, e siamo giunte a un compromesso. Anche se non riuscirai a completare i test prima di tornartene a casa, verrai comunque considerato un novizio. Ti assisteremo nella lotta contro il demone, per quanto possiamo, e ti proteggeremo. Una volta risolto il problema, verrai di nuovo ad Athens per finire i test. A quel punto, verrai affiancato da un mentore, che ti istruirà in maniera più approfondita nelle varie discipline.”

“Mi sembra perfetto… troppo perfetto.”

“Le tue sono circostanze speciali, Regan. Hai un demone per le mani.”

Regan fissò il foglio per qualche istante, poi annuì.

“Ce l’hai una penna?”

Sheila gli rivolse un sorriso sghembo. Si alzò, prese un coltello dal cassetto delle posate e gli incise con un gesto fulmineo la carne di un polpastrello.

“Si firma col sangue, caro nipote.”

Un paio di gocce caddero sulla parte bassa del foglio. Un attimo dopo, vennero assorbite dalla carta, che tornò bianca. Regan rimase paralizzato sulla sedia, in attesa di non sapeva cosa. Ma non successe niente. Non si sentiva nemmeno diverso.

“E questa è fatta. Benvenuto nella congrega, Regan Morgan.” proferì Sheila con un grande sorriso.

“Ehm… grazie.”

“Bene. Ora ho qualcosa da farti vedere.” disse e poggiò sul tavolo un album fotografico, “Ti andrebbe di conoscere la storia della congrega?”

Regan annuì con enfasi. La donna aprì l’album sulla prima pagina. Al centro campeggiava uno strano simbolo, costituito da due rombi che si intersecavano. All’interno c’erano due spade incrociate, sormontate da una corona di alloro.

“È il nostro stemma.” spiegò Sheila, per poi iniziare a raccontare, “La congrega Morrigan è originaria della Scandinavia. Secondo i nostri registri, venne formata all’epoca dei vichinghi. Allora non era che uno sparuto gruppo di sacerdotesse e druidi. La magia curativa era la loro specialità, poiché era quella di cui c’era più bisogno in un periodo di guerre e invasioni. Nel tempo si spostarono in Galles – fu un periodo molto prospero per la congrega – e dopo ancora in Irlanda, per sfuggire al bigottismo del governo, prima quello romano e poi quello britannico. Pian piano la congrega si ampliò e, con essa, le branchie di magia praticate dai suoi membri. Cambiò persino la gerarchia interna.”

“In che senso?”

“In principio, tra i membri vigeva la democrazia e ognuno era padrone delle proprie scelte: poteva decidere se usare la magia o se mantenersi imparziale. Ma quando i numeri si infoltirono, fu necessario eleggere dei capi per preservare l’ordine. Così, ne furono nominati sei, tre donne e tre uomini. Questo gruppo assunse poi il titolo di Consiglio dei Sei. Essi dovevano giurare di restare fedeli alla congrega e non mettere al mondo alcuna discendenza, al fine di impedire lotte interne tra i figli per ereditare la posizione di prestigio. Potevano sposarsi, certo, ma non procreare.”

“Nessuno di loro ci ha mai provato?”

“Oh, sì. Non è mai finita bene. Di conseguenza, prima di eleggerli, la congrega cominciò a sterilizzare le donne e castrare gli uomini facenti parte del Consiglio. Questo pose fine a qualsiasi tentativo di aggirare le regole. È una tradizione che si è protratta sino ai giorni nostri.”

“Vuoi dire che sei tra voi sono stati…”

“Sì. Ieri sera non erano presenti, perché al momento non sono ad Athens.”

“Ma è proprio necessario? Insomma, basterebbe usare i contraccettivi.”

“La sterilizzazione dei Sei è parte della nostra tradizione. Non è dolorosa, se è questo che pensi.”

“Okay… e di cosa si occupa questo Consiglio?”

“È un organo governativo di massima importanza nel mondo delle streghe. Si occupano di diplomazia, diffusione del sapere magico ed eradicazione delle minacce alla congrega.”

“Ogni congrega ha un Consiglio dei Sei?”

“Quelle più grandi, sì. E una volta ogni tre anni, i vari Consigli dei Sei delle più potenti congreghe di tutto il mondo si incontrano in un luogo isolato per passarsi informazioni e discutere di diverse questioni. Ciascuno dei Sei, sin da quando il loro gruppo è stato creato, è specializzato in una e una sola disciplina. Si può dire che tutti loro siano dei veri maestri nell’arte occulta che rappresentano.”

Sheila sfogliò l’album e puntò il dito su una foto di una tavoletta di pietra, che raffigurava sei sagome umane stilizzate assise su altrettanti troni.

“Intorno al primo secolo, siccome il numero pari impediva di trovare una maggioranza durante le votazioni, si decise di scegliere un settimo capo, puramente simbolico. Venne scelta Dolores, una giovane strega vergine di appena quindici anni. Nonostante la sua età, si dimostrò formidabile, tanto che i Sei decretarono di comune accordo di porla in cima alla piramide gerarchica. In questo modo nacque la Prima. Da quel momento, il ruolo venne sempre assegnato a una donna.”

“Perché?”

“C’è una ragione per cui le congreghe, nell’immaginario comune, sono considerate una sorta di matriarcato. Nel Medioevo, gli uomini credevano che fosse perché le donne avevano una predisposizione naturale alla magia. In realtà, erano le donne a comandare perché di indole più pacifica rispetto ai maschi.”

“Ma non è vero. Le donne sanno essere spietate quanto e più dei maschi.”

“Esatto. Per tale motivo il Consiglio dei Sei, a un certo punto, sancì che la candidata Prima dovesse superare specifici test per essere considerata degna della posizione.”

“Che tipo di test?”

“Alcuni servivano a valutare il suo talento magico, che doveva spiccare in mezzo agli altri. Altri servivano a misurare la sua stabilità psicologica.”

“Per appurare che non fosse una psicopatica.”

“Sì.” sorrise Sheila, “Sono rimasti in vigore sino ad oggi. Fiona, ad esempio, per diventare Prima ha dovuto superare quei test.”

“Era l’unica candidata al ruolo?”

“No. C’era anche sua sorella, Siobhan. Erano gemelle.”

“Cosa le è successo?”

“È morta durante uno dei test.”

“Oh. E tra il Consiglio e la Prima, chi ha più potere?”

“Sono bilanciati. I Sei combinati insieme possiedono il medesimo potere della Prima. Al contempo, la Prima si rimette ai Sei per gestire i rapporti con le altre congreghe e l’apprendistato dei novizi. La Prima è come una madre, raramente si sposta o lascia la casa. I Sei, invece, viaggiano di continuo in missioni diplomatiche. Il fatto che non possano mettere su famiglia li rende perfetti per questo tipo di compiti.”

“E questo sistema funziona sempre?”

“No. Con il cambiamento della gerarchia, sorsero i primi problemi. Trovare dei compromessi in una congrega costituita da una decina di membri non è difficile, ma quando dieci diventano cento…” sospirò e fece un gesto vago con la mano, “Presto iniziarono gli scismi. Dei gruppi di streghe e stregoni si separarono dalla congrega madre e ne formarono altre, con le loro leggi e le loro tradizioni. Molti migrarono altrove, soprattutto in Germania, per risparmiarsi inutili dispute sul territorio.”

“Vuoi dire che le streghe sono pacifiche?” sbuffò sarcastico.

“Di solito sì, Regan. Le streghe amano la tranquillità e la solitudine, perché esse favoriscono l’intimità con la natura, che è la fonte del nostro potere.”

“Allora che mi dici della Fata Morgana? Mia non- cioè, Deirdre mi ha detto che è stata lei a dare il nome alla vostra congrega, e la storia non la dipinge certo come una santa.”

“È vero. Morgana era una donna parecchio piena di sé, potente e colta, e purtroppo anche votata alla vendetta. Morgana non era nemmeno il suo vero nome, se lo diede da sola dopo aver battezzato la congrega con quello di Morrigan, che era la divinità irlandese associata alla guerra, alla morte e al fato. Lei si sentiva come la sua emissaria in terra, così scelse di chiamarsi Morgana. Voleva trasformare la congrega nel suo esercito, al fine di reclamare il dominio sulle terre governate dagli uomini. Nella sua corsa al potere imboccò il sentiero del male, ma questo non significa che tutte le altre streghe Morrigan fossero come lei.”

“Ce ne sono state altre come Morgana?”

“Sì, ahimè, anche se i loro nomi sono andati perduti, poiché la storia viene scritta dai vincitori e quelle streghe non ebbero fortuna nei loro propositi nefandi.” spiegò, poi si focalizzò di nuovo sull’album, mostrando a Regan altre foto, “I Morrigan continuarono a vivere in armonia sul suolo irlandese per anni, finché non cominciarono le prime migrazioni alla volta dell’America. Il cattolicesimo avanzava, la repressione si stava facendo soffocante, così fecero i bagagli e fondarono una piccola comunità in Virginia, là dove ora sorge New Orleans.”

La foto che gli mostrò era di un quadro che ritraeva un gruppo di donne vestite alla moda settecentesca. Tutte indossavano graziosi cappellini e abiti di sartoria, con corsetti tanto stretti da far loro il vitino di vespa. Erano tutte di razza bianca.

“Non vedo uomini.”

“Eccoli qui.” Sheila girò la pagina e gli mostrò la foto di un dipinto identico al precedente, solo con soggetti maschili, “Poi i Morgan si spostarono a nord. Viaggiarono per lungo tempo, senza mai insediarsi in modo permanente da nessuna parte. Non perché non apprezzassero il panorama, ma perché scoprirono che i cacciatori li avevano seguiti.”

Regan si finse confuso, per vedere in che modo una strega gli avrebbe presentato i cacciatori. Aveva ascoltato la versione di Derek, ora desiderava ascoltare quella di Sheila.

“All’epoca dei vichinghi, si facevano chiamare Berseker. Riteniamo che siano il frutto dell’unione di comuni mortali con i figli di streghe nati senza poteri, come la tua Deirdre. Questo li rende ricettivi al soprannaturale, ma non capaci di maneggiare la vera magia. Così, col passare dei secoli, hanno compensato con un addestramento anormale, in maniera tale da divenire guerrieri provetti. Il sangue di strega che scorre loro nelle vene li rende anche immuni alla maggior parte degli incantesimi e persino ai veleni prodotti da alcune creature soprannaturali.”

“Sembrano pericolosi.”

“Lo sono. E la loro scelleratezza peggiorò quando misero piede in America.”

“Come mai?”

“Sterminarono intere tribù di nativi mischiandosi ai plotoni umani e rapirono i giovani maschi sopravvissuti per reclutarli tra le loro fila, facendo loro il lavaggio del cervello. Quei poveri ragazzi erano già devastati dalla perdita delle loro famiglie e della loro terra, così ai cacciatori non occorse chissà quale sforzo per piegare la loro fragile volontà.”

“Sono tutti maschi?”

“Diciamo di sì.”

“Ma allora come fanno a incrementare il loro numero, a parte il rapimento? Cioè, possono sposare donne normali? Ci sono anche donne nei loro ranghi?”

“In linea di massima, i cacciatori usano prendere in moglie delle donne umane col solo scopo di usarle come fattrici. I figli che non ereditano il sangue dei loro padri, vengono uccisi. Gli altri vengono addestrati. Tra i ‘fortunati’, talvolta, ci sono anche delle femmine. Per impedire che il sangue si disperda, vengono costrette ad accoppiarsi con i fratelli o, addirittura, con i padri. La pratica si è rivelata un successo sin dal primo tentativo. Anzi, pare che più il sangue si mischi attraverso l’incesto, più diventi forte, ritornando alla primigenia purezza. È un’usanza in voga tutt’ora. E i loro capi, come puoi immaginare, sono esclusivamente maschi. La loro comunità è l’esatto opposto di una congrega: patriarcato contro matriarcato, guerrieri contro pacifisti, odio contro tolleranza, morte contro rispetto per la vita. Disprezzano qualsiasi cosa sia connesso al soprannaturale, poiché considerato contro natura.”

“Beh, da un lato non li biasimo.” ammise Regan.

“Prego?”

“Se fossi un semplice umano, avrei paura dei vampiri. Si nutrono di sangue, vivono di notte, uccidono senza pietà…”

“Regan, ascoltami.” Sheila adagiò con delicatezza una mano sulla sua e lo fissò dritto negli occhi, “I vampiri sono tra le creature della notte più terrificanti, te lo concedo. Non per questo sono tutti malvagi. Sì, molti di loro lo sono, così come esistono umani malvagi, streghe malvage, eccetera. Ma non dimenticare che, prima di diventare ciò che sono, erano umani. A volte, tracce di quella umanità sopravvivono, perché loro non vogliono distaccarsene. Di conseguenza, conservano i sentimenti e i tratti caratteriali che li rendevano le persone che erano.”

“Faccio fatica a crederci. Solo per quello che hanno fatto a mia madre, non sono propenso a dar loro il beneficio del dubbio.”

“Allora prendiamo te. Non sei malvagio. D’accordo, la tua metà umana probabilmente è la causa principale, ma allo stesso tempo sei stato tu a compiere una scelta. Hai scelto di non essere un mostro, di non cedere alla sete. Ed è grazie a questa scelta che sei qui oggi. Il tuo cuore è ancora puro e intendo proteggerlo, a qualsiasi costo. Ho perso mia figlia, non perderò anche la sua eredità.”

Regan impedì a stento a un ghigno beffardo di sbocciare sulle sue labbra.

Sheila sfogliò l’album e lo aprì su una pagina verso la fine, indicando la foto di una ragazza. Aveva i capelli neri e lisci e gli occhi azzurri, un viso ovale dai lineamenti dolci, labbra carnose e un naso piccolo e all’insù.

“Lei è Shannon. Questa foto è stata scattata quando aveva la tua età. Aveva appena terminato l’apprendistato. Non è bellissima? Hai ereditato la sua fronte e la forma dei suoi occhi.” commentò Sheila a bassa voce, scostandogli un ricciolo dietro l’orecchio.

Regan osservò la foto con aria rapita, cercando di imprimersi nella memoria ogni dettaglio.

L’ora successiva la trascorsero a parlare di Shannon. Sheila gli raccontò alcuni aneddoti sulla sua infanzia e adolescenza, come le piacesse rifugiarsi nella natura quando era turbata e come si rimpinzasse di dolci quando era felice. Amava la musica rock, l’autunno, i frutti di bosco e il suo colore preferito era il verde. Odiava il cibo piccante, il caldo, l’odore della benzina e gli scarafaggi. Da piccola, era solita portare a casa gatti randagi, uccelli feriti e volpi malnutrite, occupandosi di loro finché non guarivano. Possedeva un’intelligenza scientifica, era un vero genio della matematica. Era una persona gentile, amichevole, ma selettiva quando si trattava di scegliere le vere amicizie. Shannon era anche molto curiosa, sempre affamata di nuove esperienze, avventurosa, intraprendente; era una testa dura, non si lasciava intimidire dalle sfide e amava il rischio.

Mentre Sheila parlava, Regan dipinse nella sua immaginazione un ritratto sempre più particolareggiato della madre che non aveva mai conosciuto, scoprendosene irrimediabilmente affascinato.

Quando l’orologio segnò le undici, si alzarono per recarsi in biblioteca. Era composta da cinque stanze: una centrale, di forma rotonda, dalla quale si diramavano a raggera quattro stanze rettangolari, in una riproduzione dei piani superiori della villa. Tutte le pareti erano ricoperte di scaffali e scaffali colmi di libri, da cima a fondo. Degli scalei di ferro erano arpionati agli scaffali tramite dei ganci e scorrevano su dei tubi per mezzo di piccole rotelline. In ciascuna delle stanze laterali c’era un lungo tavolo con delle sedie, mentre in quella centrale ce n’era uno rotondo, posto sotto un grosso lampadario in ottone. In un angolo, Regan vide un mappamondo, accanto al quale c’era una teca di vetro contenente pestelli, mortai, fialette, candele e altri oggetti.

Fiona era nella stanza che aggettava a nord. Sul tavolo c’erano una pila di libri, dei pezzi di stoffa, un paio di candele, un mortaio con pestello, una brocca d’acqua, un vaso con della terra, un pentolino adagiato sopra un fornello da campeggio, delle forbici e una scatola piena di vari tipi di pietre e cristalli.

“Vieni. Siediti.” gli disse, indicando una sedia, “Sheila, tu vuoi assistere?”

“Se a Regan non dispiace.”

Il ragazzo scrollò una spalla, troppo nervoso per parlare. Si accomodò sulla sedia e attese istruzioni.

“Per prima cosa, valuteremo la tua attitudine nella manipolazione delle erbe e dei cristalli. Dovrai creare un decotto per accelerare la crescita di questi semi con le erbe che ti fornirò. Ma fa’ attenzione: non tutte possono essere usate per tale scopo, perciò dovrai scegliere quelle giuste. Inoltre, dovrai calcolare in che dosi usare ognuna di esse e il metodo di preparazione più adatto. Avrai a disposizione tre tentativi. Fin qui è tutto chiaro?”

“Sì. E cosa devo fare con i cristalli?”

“Potrai avvalerti del loro aiuto per creare il decotto. Altrimenti, più tardi ti chiederò di usarli per trovare un oggetto che nasconderò in questa biblioteca.”

“D’accordo. C’è solo un problema.”

“Quale?” 

“Non so niente di erbe o cristalli.”

“Lo immaginavo. Ecco a cosa servono questi libri. Sono compendi di facile consultazione, di solito i preferiti dei novizi.”

Regan deglutì, osservando la pila con crescente abbattimento: “Quanto tempo ho?”

“Fino al tramonto. Se lo vorrai, potrai fare una pausa per uno spuntino.”

“Ricevuto, capo.” rispose facendole il saluto militare.

“Ti lasciamo solo, adesso.”

Regan afferrò il primo libro della pila. Passò almeno due ore a sfogliarli, uno ad uno, e imparò le definizioni, le caratteristiche, le ricette e gli incantesimi di ogni pianta. Quelli sui cristalli li accantonò, perché voleva vedere se sarebbe stato capace di creare il decotto senza il loro aiuto.

Annusò, tagliuzzò, bollì, mischiò, sperimentando tutte le possibili combinazioni che gli venivano in mente. Usò pestello e mortaio, pentolino e forbici, divenendo più frustrato di minuto in minuto.

I primi due tentativi fallirono: un seme marcì, l’altro esplose. Consultò di nuovo i libri per sicurezza, ma era certo che le erbe che aveva scelto fossero quelle giuste. C’era solo qualcosa di sbagliato nella preparazione.

Fu allora che adocchiò le candele. Erano bianche, semplici e sottili. L’istinto lo spinse ad accenderne una. Fissò le erbe disposte ordinatamente davanti a sé, le sfiorò con i polpastrelli e, infine, ne prese una. La scaldò sulla fiamma finché non si annerì, poi la sminuzzò nel mortaio con le dita. Aggiunse due erbe bollite, tagliò con le forbici una radice in minuscoli pezzettini e versò nel composto un cucchiaio di acqua bollente. Dopodiché, piantò il seme nel vaso con la terra e ci fece cadere sopra tre gocce di decotto.

Aspettò. Col passare dei secondi, il timore di aver sbagliato crebbe. Ma poi, di fronte ai suoi occhi sgranati, il seme germogliò, sbocciando in una bellissima orchidea gialla.

“Ho finito!” esclamò eccitato.

Fiona e Sheila comparvero al suo fianco in un attimo. Analizzarono l’orchidea in silenzio, tastandone delicatamente i petali. Regan restò col fiato sospeso. Il suo cuore batteva come un tamburo nello sterno.

“Ce l’hai fatta.” lo lodò Sheila.

“Ottimo lavoro.” disse Fiona, “Bene, ora passiamo al test dei cristalli. Ho già nascosto l’oggetto, ma non ti dirò cosa è. Usa i cristalli per trovarlo. Hai tempo fino a mezzanotte.”

“Regan, vuoi mangiare qualcosa? Hai saltato il pranzo.” gli fece notare Sheila.

“No, sono a posto.”

“Puoi fermarti per uno spuntino quando lo desideri.” gli ricordò Fiona.

Regan si sedette di nuovo e prese i libri che aveva messo da parte. Li lesse con attenzione, rigirandosi tra le mani una pietra diversa per ogni capitolo. Come le erbe, anche i cristalli avevano vari usi e potevano essere combinati a seconda dello scopo. Alcuni si armonizzavano, altri si respingevano come poli opposti. Tutto si basava sull’energia, ma era diversa da quella delle piante: queste ultime erano vive, organiche, mentre i cristalli erano rocce.

Alla fine, scelse quattro cristalli. Li posizionò sul tavolo e li guardò per svariati minuti, valutando il da farsi.

Colse un movimento con la coda dell’occhio e, quando si voltò, vide che Sheila e Fiona lo stavano osservando. Dalle loro espressioni traspariva sorpresa, curiosità e scetticismo. Regan dedusse che non erano affatto convinte della sua decisione, ma non gli importava. L’istinto gli diceva che era sulla strada giusta.

Inspirò ed espirò finché il battito non rallentò. Chiuse gli occhi e proiettò tutta la sua concentrazione sui cristalli. Senza sollevare le palpebre, ne strinse uno nel palmo e, senza preavviso, lo lanciò in una direzione a caso. Il cristallo rimbalzò su scaffali e libri, zigzagando per la stanza. Rotolò sul pavimento e si fermò all’angolo con quella adiacente.

Regan si alzò. I suoi occhi erano ancora chiusi. Si portò dietro le tre pietre rimanenti e seguì il percorso del cristallo che aveva lanciato. Non si chinò a raccoglierlo quando ci passò accanto.

Entrò nella stanza che guardava ad est e si fermò. Le sue orecchie fischiavano e una strana energia si agitava nel suo petto, sospingendolo in più direzioni nel medesimo istante. Schioccò la lingua infastidito.

Impugnò il secondo cristallo e infilò gli altri due in tasca. Lo lanciò in aria tre volte, ascoltando il suono che emetteva durante la rotazione, l’ascesa e la discesa. Ad ogni lancio cambiava posizione, scansandosi di pochi passi. Non appena si ritenne soddisfatto, gettò il cristallo dietro di sé e avanzò sulla destra, a ridosso degli scaffali.

A quel punto, estrasse le due pietre rimanenti dalla tasca. Appartenevano alla categoria di quelle che si respingevano a vicenda. Le avrebbe usate per localizzare tramite esclusione il luogo esatto del nascondiglio. Le sollevò e le fece cozzare tra di loro. Non accadde niente. Così, le mandò a sbattere l’una contro l’altra con forza. L’impatto scatenò una vibrazione che somigliava al suono di un diapason. La vibrazione rimbalzò qua e là, come le pietre, che ricaddero sul pavimento con schiocchi netti.

Regan piegò il capo, in ascolto. I piedi seguirono la vibrazione, la mano destra protesa verso i libri. Li sfiorò mentre passava, percependo la vibrazione aumentare via via che si avvicinava al bersaglio.

Si arrestò davanti a un libro rilegato in pelle. Lo sfilò dallo scaffale e lo aprì. Quando le dita toccarono un quadratino di carta incastrato tra due pagine, finalmente spalancò di nuovo le palpebre. Sul foglietto c’era una frase in latino. La lesse a voce alta.

Vi Veri Veniversum Vivus Vici.”

“Con la forza della verità, in vita, ho conquistato l’universo.” tradusse Fiona.

“Sei stato fenomenale, Regan!” si complimentò Sheila, “Non avevo mai visto niente di simile. È stato affascinante. Shannon impiegò fino alle undici per completare il test, e iniziò all’alba. Sono davvero colpita!”

“Devo ammettere che anch’io sono sorpresa.” disse Fiona, “Il modo in cui hai maneggiato i cristalli è stato rozzo, ma efficace.”

“Ho improvvisato.” confessò Regan, per poi guardare confuso il foglietto, “Cosa devo farci con questo?”

“Quello che vuoi. Conservalo, buttalo, facci gli origami…” rispose Fiona con un’alzata di spalle, “Ora vieni, devi mangiare.”

“Che ore sono?”

“Le sei di sera.”

“Wow. Non mi sono accorto del tempo che passava. In effetti, muoio di fame.”

Sheila gli circondò le spalle con un braccio, un sorriso orgoglioso a illuminarle il viso, e lo sospinse fuori dalla biblioteca.

“C’è dell’arrosto con patate che ti aspetta in cucina.”

Regan mugugnò il suo apprezzamento, anche se non gli sarebbe dispiaciuta una dose di sangue.

Si sentiva esausto, ma tutto sommato soddisfatto di quella giornata. Aveva appreso la storia della congrega, scoperto di possedere del talento magico, superato il primo test imparando due trucchetti utili e, soprattutto, la sua mente era sgombra da qualsiasi preoccupazione. Si augurava che almeno quella notte gli incubi si astenessero dal tormentarlo.

Un’ora dopo, mentre era in camera, si ricordò del compleanno di Roman. Prese il cellulare, indeciso se scrivergli un messaggio o telefonare. Alla fine, cliccò sulla rubrica e inoltrò la chiamata.

 
*

Roman esultò alla seconda vittoria di fila a Super Mario contro Zack. Jennifer e Charlotte brindarono alla sua salute con due lattine di soda, mentre Derek continuò a sbocconcellare salatini stravaccato sul divano.

Quando il cellulare di Roman squillò, si scusò con gli altri e andò in cucina per parlare con più tranquillità.

“Ciao! Come sta andando la ricerca?”

“Nessuna novità, per ora.” rispose Regan, “Buon compleanno.”

“Grazie! Sai, per un attimo ho temuto che te ne fossi dimenticato.”

“Sono stato impegnato. Come festeggi?”

“Tra poco esco con i ragazzi, andiamo a mangiare la pizza.”

“Chi viene?”

“Zack, Charlotte, Jennifer, Crystal, Mary, alcuni ragazzi della squadra di basket e un paio di quella di football. Gli altri sono tutti partiti per le vacanze, poco dopo Capodanno. Lo sapevi che Lorie ha una casa a Marta’s Vineyard? Mike e altri tre, invece, sono negli Hampton, Vanessa e Claire a Cape Cod. Siamo rimasti in pochi.”

“Ti divertirai lo stesso. Hai già ricevuto regali?”

“I miei mi hanno regalato un nuovo computer. I miei zii dei vestiti. Stasera, forse, ne riceverò altri.”

“Mi sembri felice.”

“Lo sono. È un peccato che tu non ci sia.”

“Mi dispiace, Roman. So quanto sia importante un diciottesimo. Prometto che mi farò perdonare. Dimmi, è scomparsa altra gente da quando sono partito?”

“Tutto tranquillo.”

“Okay. Ora devo andare. Buona serata.”

“Anche a te. Grazie per la telefonata.”

“Prego. Salutami gli altri.”

“Vuoi davvero che lo faccia?” domandò sorpreso.

“No, era solo per dire. Ancora buon compleanno. Ciao.”

Roman ridacchiò, tornò in salotto e riprese posto sul tappeto davanti alla televisione.

“Chi era?” indagò Jennifer.

“Regan.”

“È andato a un raduno di sassofonisti, giusto?”

Roman tossì: “S-sì. Già.”

“Io ho fame.” si intromise Derek, salvando il lupo per un soffio.

“Prima i regali.” decretò Charlotte.

Gli cantarono la canzoncina, facendolo morire di imbarazzo, e scattarono delle foto di gruppo da postare su Instagram. Infine, presentarono a Roman una pila di regali.

“Jen, comincia tu.” la incoraggiò Charlotte.

La ragazza prese un pacchetto e lo diede a Roman, che lo aprì con un sorriso. Era un maglione azzurro di lana grossa, morbido e lungo fino a metà coscia.

“Grazie, Jennifer. È bellissimo.” disse sincero.

Lei arrossì e rispose che non era niente di speciale.

Poi fu il turno di Charlotte e Zack. La coppia gli aveva comprato un pallone da basket e lo avevano fatto firmare a tutta la squadra. Roman percepì gli occhi inumidirsi.

“Ragazzi… questo è… grazie.”

“Non piangere.” lo ammonì Zack, fingendo di commuoversi.

“Non sto piangendo.” ribatté con voce tremante.

Entrambi scoppiarono in un pianto teatrale, abbracciandosi come due idioti.

Derek, invece, gli presentò un album fotografico con i colori della squadra di Ashwood Port: “Così potrai riempirlo con le foto delle tue partite. Dietro la copertina ho già incollato quella della prima. Ci sei tu insieme a tutta la squadra.”

Roman lo fissò impassibile per qualche secondo. Poi si sciolse in un debole sorriso e gli assestò una pacca sulla spalla, ringraziandolo per il pensiero carino. L’astio tra di loro era ancora evidente, ma stava scemando pian piano.

Derek li salutò prima di cena, perché aveva promesso ai suoi che sarebbe tornato a casa per rimettersi in pari con i compiti, visto che le lezioni sarebbero ricominciate presto. I quattro rimasti uscirono per recarsi al ristorante, dove si sarebbero riuniti agli altri invitati.

Si sedettero a un tavolo vuoto accanto alle finestre. L’ambiente si riempì subito del vociare dei ragazzi, che parevano aver fatto del parlarsi sopra a vicenda un vero sport. Ordinarono hamburger e chiacchierarono animatamente dei film da vedere al cinema, dei compiti, di quanto fossero bacchettoni i loro genitori e dei compleanni che Roman aveva festeggiato mentre viveva a Brooklyn.

Jennifer pendeva dalle labbra del licantropo. Si era calmata, non flirtava più platealmente come all’inizio, ma non sembrava intenzionata a mollare l’osso. Per di più, Charlotte non faceva che spingerla verso di lui ad ogni occasione, cieca al rifiuto di Roman. Quando il cibo arrivò, il ragazzo colse l’opportunità per scambiare qualche parola con gli altri.

Una volta finito di mangiare, il conto venne diviso tra i presenti, eccetto Roman, che era il festeggiato. I compagni di squadra, compreso Zack, lo invitarono a continuare la serata al molo con una bottiglia di tequila, ma Roman rifiutò gentilmente. Era stanco, dato che la notte scorsa l’aveva passata a scorrazzare assieme al branco per il bosco per celebrare il compleanno. Voleva solo sdraiarsi sul letto e chiudere gli occhi.

Uscirono e a gruppetti salirono sulle auto parcheggiate nello spiazzo davanti al ristorante, per poi immettersi in strada a calcson spianati e altri auguri rivolti a Roman. Anche Charlotte e Zack salutarono, perché la ragazza aveva il coprifuoco: i suoi genitori erano preoccupati per l’aumento di crimini in città e non volevano che Charlotte rimanesse fuori fino a tardi.

Così, Roman e Jennifer rimasero soli. Il lupo sapeva che era un’altra delle trovate di Charlotte, c’era la sua firma inconfondibile. Piccolo genio del male in minigonna.

Osservò con la coda dell’occhio Jennifer portarsi una ciocca bionda dietro l’orecchio, in un gesto nervoso. Lei si schiarì la gola e si strinse nel cappotto beige, elargendogli un sorriso speranzoso.

“Ti riaccompagno a casa?” le domandò.

“Grazie. Se non è un disturbo. Altrimenti, posso chiamare un taxi.”

Roman annuì. Tastandosi le tasche in cerca delle chiavi dell’auto, si accorse di aver dimenticato il cellulare dentro il ristorante.

“Torno subito. Aspetta qui.”

La strada era deserta, vista l’ora tarda. Per non assiderare, Jennifer si avviò verso la macchina di Roman, il ticchettio dei suoi tacchi l’unico suono distinguibile nel silenzio.

Ad un tratto, un rumore proveniente dal vicolo dietro il locale la paralizzò. Si girò lentamente, sondando l’oscurità con lo sguardo. Vide dei cassonetti e suppose che si trattasse di un gatto randagio. Non era raro che bazzicassero intorno ai ristoranti. Scrollò il capo e continuò a camminare verso la macchina.

A un metro dal traguardo, il medesimo rumore la costrinse a voltarsi ancora.

“Chi c’è? Roman?” chiamò incerta.

Colse un movimento nel vicolo. Deglutì e si strinse di più nel cappotto.

I lampioni del parcheggio tremolarono e si spensero all’improvviso, lasciandola al buio. Estrasse il cellulare e attivò la torcia, puntandola di fronte a sé.

L’ennesimo tramestio giunse dal vicolo.

“Chi c’è?”

Quando una risposta tardò ad arrivare, arretrò. In quell’istante, pure la torcia del cellulare si spense. Agitata, si sbilanciò e inciampò sui tacchi, finendo distesa sull’asfalto. Occhieggiò febbrilmente in direzione delle finestre del ristorante e vide Roman frugare tra i sedili. Non si era accorto del calo di corrente. Anzi, il locale era ancora perfettamente illuminato.

Jennifer si issò a sedere e si alzò con un grugnito. Si era sbucciata un ginocchio e il gomito pulsava.

All’improvviso, qualcosa l’agguantò per la gola e l’ossigeno le venne strappato via bruscamente dai polmoni. Sbarrò le palpebre quando l’orrenda sagoma della creatura invase il suo campo visivo. Tentò di urlare, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono.

Sarebbe morta.

Quella certezza, assieme alla paura, prese d’assedio e piantò le crudeli radici nella sua coscienza. I suoi occhi si riempirono di lacrime.

“Roman…” rantolò a fatica.

La vista si sfocò e il buio calò su di lei.









 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Lady1990