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Autore: Afaneia    23/07/2009    3 recensioni
Febe, quattordici anni, studentessa toscana, iscritta al liceo classico. Una stravagante quarta alfa, tra professori troppo belli per essere veri e presidi dal look alternativo. Una vita buia, immersa nella sua solitudine, vissuta cercando di ignorare il senso di vuoto infinito che la sopprime. Perché di giorno ci sono lo splendore del sole e le risate, e di notte il pallore della luna e un'esistenza cupa di cui nessuno si accorge mai. Il contrasto estremo: serenità e malinconia.
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Ho ricopiato il nuovo capitolo

Ho ricopiato il nuovo capitolo, con grande anticipo sul previsto. Il fatto è che ieri sera davano Renato Zero alla televisione, così anche se pensavo di andare a letto a mezzanotte, alla fine ci sono andata all'una e dieci perché volevo finire di vederlo, così ho anche ricopiato il capitolo.

Un ringraziamento a chi ha commentato:

DopoDiMe: Grazie degli apprezzamenti, comunque immagino che non sia impossibile che il primo giorno di quarta sia così. Il mio non era del tutto diverso.

Smolly_sev:Sofy non sclerare...va tutto bene!!E grazie del commento ovviamente!

Amaerize: Grazie del commento, sono contenta che abbiate gradito... in ogni caso Legolas sta sempre bene da tutte le parti, no? E complimenti per l'iscrizione!

Grazie ad ArabaFenice, bella95, jecu, reader e Smolly_sev di aver aggiunto la storia ai preferiti.

Buon capitolo.

 

 

 

Era martedì.

La IV alfa aveva affrontato felicemente le prime quattro ore di scuola, e ora ce ne aspettavano altre quattro.

Quando arrivai a scuola, il giorno dopo, trovai il cortile gremito, come sarebbe stato nei giorni a venire, poiché adesso tutti gli studenti entravano insieme.

Non avevo voglia di restare giù nel cortile, temendo che i ragazzi più grandi m’infastidissero, perciò decisi di salire subito in classe. Per le scale incontrai Moriani.

- Ciao- gli dissi aggrappandomi al corrimano.

Sorpreso, mi guardò per qualche secondo prima di ricordarsi di me.

- Ah- esclamò. – Febe, vero?

- Davvero.

- Scusa, non sono un gran fisionomista.

- Neanch’io, ti ho riconosciuto per via dell’auditorium.

I suoi occhi si illuminarono. – Bella scena, eh?

- Per me sei un pazzo.

- Solo un pochino- affermò con sicurezza.

- Eri così anche l’anno scorso?

- Sì. Ma non è per quello che sono bocciato.

- Magari un giorno me lo racconti.

- Contaci.

Arrivammo in classe. La maggior parte dei nostri compagni era già lì.

Andai a mettere la cartella al mio posto. Sandra era seduta sul suo banco e parlava con una compagna.

Come ho detto, non sono una gran fisionomista, perciò neppure non mi ricordavo il suo nome, non mi ricordavo neppure di averla mai vista.

- Ciao- dissi.

- Ciao- mi rispose Sandra allegramente, invitandomi a sedermi. Mi accomodai accanto a lei, sul mio banco.

La ragazza con cui stava parlando si chiamava Vittoria Ricci. Era alta, più di noi, aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri. Parlava piano, lentamente, scandendo le parole, un vaghissimo accento del nord, ma del nord non era perché mugellana DOC.

Parlavamo dell’alfabeto greco e di quanto difficile fosse stato ricopiarlo il pomeriggio precedente quando dalla porta entrò Napodano.

Il suo abbigliamento era quanto di più ridicolo fosse possibile aspettarsi da un professore: indossava infatti una maglietta azzurra scolorita, una giacca scura vagamente da sera e le converse giallo canarino.

Sbiancammo nel vederlo e corremmo a posto. Soprattutto impallidimmo nel vedere com’era vestito.

Andò alla cattedra e ci guardò sorridente.

- Oggi mi sono svegliato tardi- ammise come se fosse un vanto. - Il treno l’ho preso di corsa…

- Ecco la spiegazione a quei vestiti schifosi!- mi sussurrò Sandra.

Fu contraddetta quando sentimmo dire:

- Per fortuna i vestiti li avevo scelti ieri sera…

Entrambe ci restammo di marmo.

Qualcuno, dalla mia fila, osò una domanda: - Prof, ma tardi, vero?

Napo gli rivolse un sorriso.

- Bah, prima di dormire, saranno state le undici e mezza…

Non appena il prof distolse lo sguardi da lui, il ragazzo (più tardi avrei imparato che si trattava di Alberto Bindi) si rivolse al suo compagno, Oscar, e mormorò: - Dimmi che va a letto tutte le sere alle dieci!

Oscar aggrottò le sopracciglia con fare poco speranzoso e non disse nulla.

Napodano fece l’appello e iniziò la lezione di storia. Voleva farci un’introduzione alla preistoria e tutti pensammo bene che sarebbe stato utile preparare qualche mezzo per distrarsi.

Poi iniziò a spiegare, ed eravamo lì ad ascoltarlo.

Passeggiava per la classe, il libro in mano, incurante dell’abbigliamento idiota, ma dopo poco ce ne sbattemmo anche noi. Aveva una bella voce e spiegava bene.

C’eravamo appassionati, quando fece una cosa che non avrebbe mai dovuto fare.

A un tratto, si voltò e iniziò a scrivere un riassunto della spiegazione alla lavagna.

Non l’avesse mai fatto.

- Dio mio che culo da favola!- bisbigliò Sandra sporgendosi per vedere meglio il didietro del prof.

Anch’io mi sporsi. Aveva veramente un fondoschiena incredibile.

Sentii una sedia spostata e mi voltai. Dall’ultimo posto Zadini era in piedi e spudoratamente fissava Napodano.

- Vieni giù, imbecille!- sussurrava Moriani disperato, cercando di trascinarla seduta.

- Sei scemo? Lasciami!

Alla fine non ressi e anch’io spinsi la sedia indietro e mi alzai.

- Idiota!- mi disse Sandra ma per non lasciarmi sola si alzò anche lei. Albina non fece eccezione.

Trenta secondi dopo, quasi tutte eravamo in piedi a fissare il sedere di Legolas.

E Napodano si voltò a guardarci.

Noi, tutte in piedi a guardargli il culo.

- Cosa…cosa state facendo?- chiese perplesso.

Moriani scoppiò a ridere senza ritegno, le mani sul viso, quasi senza fiato. Oscar lo seguì e subito Alberto, Paolo e Raffaele erano con loro.

Noi ci gettammo di nuovo sulle sedie, rosse in viso, disperate.

Napo rimase perplesso.

- Ho qualcosa dietro?- chiese poi terrorizzato, iniziando a contorcersi per guardarsi di dietro. – Che cos’ho?

- Non ha nulla a parte quel suo culo perfetto, prof- sussurrò Sandra, troppo piano perché lui potesse sentirla.

- È un insetto? È gesso? C’è uno strappo? Cos’è?

- Ha solo un po’ di gesso, prof- sospirò Oscar alla fine, cercando di calmarlo.

- Qualcuno me lo leva?

Impallidimmo e arrossimmo d’un colpo. Napo attendeva volontari. Infine Zadini si alzò e con la massima calma lo raggiunse, lo fece voltare e gli diede una pacca sul sedere.

Davanti a tutta la classe.

Dopodiché tornò a posto, tranquilla, mentre noi ci scompisciavamo dal ridere.

- Grazie- disse Napodano soddisfatto. – Non mi piace avere il gesso addosso.

- Si figuri- replicò Zadini impassibile.

Noi soffocavamo. Napo spiegava, paziente.

Neppure si era accorto che era tutta una scusa per toccare quel suo fondoschiena scolpito.

 

Quando, al suono della campanella, Legolas se ne andò ed entrò la professoressa Corsi, ormai ci eravamo quasi ripresi dagli avvenimenti dell’ora precedente.

Non fosse che, non appena la prof si fu seduta alla cattedra, Moriani si alzò in piedi ed esclamò: - Prof, se ha del gesso addosso lo dica alla Zadini, lei sarà ben felice di aiutarla!

- Eh?- fece la Corsi perplessa guardandolo. Rivolse uno sguardo stupito alla classe, mentre Zadini si faceva tutta rossa e affondava il viso nelle mani. – Ma che dici?

- La verità!

- Non gli creda, prof, dice solo scemenze!- gridò Michela disperata; un po’ rideva, però, e il divertimento e la vergogna giovavano ai suoi occhi belli.

- Ma di cosa parli, Moriani?

A quel punto, Niccolò rideva troppo per spiegarsi; anche perché Michela si era aggrappata al suo braccio e cercava di tirarlo giù dicendo – Sei uno stronzo, non glielo dovevi dire!

- Via! Queste parole! – disse la prof giusto per darsi un contegno di persona seria; e guardandoci: - Ma di cosa parlano?

Toccò a Raffaele Cassia spiegare, lui che dei maschi era il più vicino alla cattedra. – All’ora di italiano Napodano aveva del gesso sul sedere, e lei è andata a levarglielo, prof…

Stava un po’, diciamo, edulcorando la faccenda, visto che il gesso non esisteva, ma in fin dei conti andava bene così. La Corsi sbatté un paio di volte le palpebre.

- E brava la nostra Zadini, con quel suo visino da angioletto!- esclamò infine divertita, perché davvero Michela sembrava un angioletto, coi capelli biondi e lisci e gli occhi azzurro pallido, l’espressione innocente e il fisico sottile. – E così è anche riuscita a toccare il bel culetto del prof di italiano, è pur vero che è un bel ragazzo!

E si mise a ridere. Noi, increduli.

- Guarda, mi verrebbe da metterti un più solo per la faccia tosta, ma immagino che non si possa, sai…

A quelle parole, Michela si ricompose tanto da dire: - Non importa prof, apprezzo comunque il pensiero!-, al che tutti ridemmo.

La Corsi finalmente si decise a fare la persona seria, o a fingersi tale; e fece l’appello per ricordarsi i nostri nomi, e ci chiese com’era andato il greco. Ci fu un bell’imbarazzo in classe quando tirammo fuori i quaderni riportando alla luce, sulle prime pagine, i segni tremolanti che a grandi linee ricordavano quelli del libro, tutti diversi tra loro. Solo sul quaderno di Niccolò spiccava una lunga serie di segni elegantissimi e perfettamente identici. Facendo il giro, la Corsi lo notò e gli disse: - Potevi anche evitare, Moriani! Non avevi nove?

- Anch’io volevo fare i compiti, mi sentivo in colpa a stare in panciolle sapendo che loro compicciavano quello che compicciavo io un anno fa, prof! – rispose lui con la massima serietà; al che la prof non poté evitare di ridere. Proseguì il giro, arrivò al mio quaderno e annuì ai miei scarabocchi con aria comprensiva, come a tutti quelli che li avevano preceduti.

Ecco i difetti che avremmo trovato pochi mesi dopo riguardando il nostro primo approccio con l’alfabeto greco: poiché noi copiavamo i simboli dal libro, e questi erano stampati a macchina, era ovvio che noi cercavamo di imitare la perfezione. È come cercare di rifare identiche le lettere che leggiamo su un libro: non ci vengono, ma d’altro canto non ne abbiamo bisogno, perché facendo le lettere a modo nostro, anche quelle sono comprensibili eppur diverse: ma è lo stesso alfabeto. Dopo poche settimane, le lettere ci vennero a modo nostro, sempre comprensibili, ma diverse da quelle del libro.

Ancora noi non sapevamo che sarebbe andata a finire così, perciò il giorno prima ci eravamo tutti disperati.

Finito il giro, la Corsi tornò alla cattedra. Là stette ferma per un poco, volgendoci le spalle, prima di sedersi.

- Sapete- disse poi, quando fu seduta e poté guardarci – Mi stava venendo mal di pancia a vedere come scrivete in greco!

Ci indignammo.

- Prof!- esclamò Elisa Bassi dalle mie spalle, offesa a morte.

- Grazie del complimento!- aggiunse Paolo, che era seduto al fianco di Albina.

Assistendo a quel tumulto, la prof se la faceva quasi addosso dal ridere.

- Via, via, adesso basta!- sospirò dopo poco, sforzandosi per la seconda volta quel giorno di tornare seria. – Visto che non apprezzate le critiche, miglioreremo. Vediamo un po’…- Guardò il registro. – Agostini! Vieni alla lavagna e scrivi.

Oscar si alzò in tutto il suo metro e ottantasette di altezza e si diresse alla lavagna. Prese in mano un pezzo di gesso, si voltò verso la cattedra e attese.

La Corsi tacque per qualche istante; quindi, senza guardarlo, disse una lettera greca.

Così iniziò la lotta di Oscar contro le lettere greche; la prof sorrideva guardandolo.

- Omega, su- insisteva, ma dolcemente, e Oscar lì, a cercare di disegnare “quella porticina che non mi viene mai”, mentre noi ridevamo, o a stento ci trattenevamo dal ridere.

Però non la scampammo tutti, vedete, la Corsi cercò di chiamarne il più possibile, specie di quelli che più ridevano o che meno avevano decenza nel loro ridere.

Anche Sandra si ritrovò alla lavagna col gesso nella mano sudata, ad abbozzare lettere sulla pietra nera. Non chiamò me, di me si scordò o non mi notò; alla fine dell’ora, quando anche Barbara Grossi se ne tornò a posto dopo essere a stento riuscita a disegnare tre lettere e averne confuse o sbagliate altrettante, la Corsi scosse il capo.

- Migliorerete- garantì. – E adesso facciamo latino?

- Latino no!- gemette Sandra accasciandosi, il capo tra le mani, sconvolta ancora per via della prova alla lavagna.

Così trascorsi tutta l’ora seguente guardando affascinata il dizionario di italiano appoggiato sulla costola all’interno dell’armadietto a muro che, a poco a poco, si richiudeva. Fu molto interessante vedere come la Corsi spiegasse, tutta interessata, le nozioni di base del latino, mentre io e Sandra osservavamo incantate il dizionario che si chiudeva.

Questo andò avanti finché non suonò la campanella; allora ci scagliammo fuori della classe, attendendo giusto il tempo necessario perché Vittoria ci raggiungesse.

Trascorremmo la ricreazione in corridoio e rientrammo alla campana. La Bini arrivò con un minuto appena di ritardo e si mise alla cattedra. Nonostante le scocciasse dovette aspettare che tutti rientrassimo. Quando quel momento arrivò tentò di ricordarsi i nostri nomi.

- Morganti!- mi disse con decisione.

- Quasi- ammisi. – Doria.

- Beh, quasi- confermò lei; e andò avanti finché non ne azzeccò qualcuno.

- Poggi!- disse soddisfatta a Poggi Ambra, che era rimasta ultima, quindi l’azzeccò per forza.

La prima lezione di matematica fu noiosa, ma non molto altro potevamo aspettarci, visto che iniziammo a ripassare le addizioni.

L’unica cosa che risolvemmo fu che per sabato era stabilita la prova d’ingresso di matematica.

 

 

   
 
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