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Autore: Marra Superwholocked    29/04/2019    0 recensioni
Ultimo capitolo della Trilogia delle impavide cacciatrici milanesi.
Durante il loro anno sabbatico, Catherine e Silvia avranno modo di capire se la caccia ai mostri fa realmente per loro. Tuttavia, da semplici cacciatrici in prova, si ritroveranno a dover escogitare un piano per eliminare la minaccia di Arimane, creatura malvagia scappata dalla sua Gabbia ai confini dell'Universo. Il Dottore le aiuterà anche questa volta? E Storybrooke da che parte starà?
Dal testo:
«Ed ecco a voi» disse Amnesha girando la scatolina bianca per mostrare alle cacciatrici il suo contenuto, «l'ultimo Fagiolo Magico.»
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Belle, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: Cross-over, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Epilogo

Il Demone, la Strega, il Libro


Compiamo scelte fin da quando intravediamo la luce per la prima volta. Quando l'ostetrica ci picchia il sederino, c'è chi fa finta di nulla e torna a dormire e chi invece urla e strilla per il trauma del cambiamento. Quando mamma ci dice che siamo ormai grandi, al mattino decidiamo noi come vestirci. Decidiamo a quale amichetto sederci accanto per cominciare l'anno scolastico nel migliore dei modi. Quando siamo al ristorante e il cameriere ci si avvicina per prendere l'ordinazione... Insomma, avete capito.
Le scelte che facciamo, dicevo, fanno sì che si crei, ad ogni bivio, un universo parallelo o alternativo in base all'importanza di quella decisione. E così, mentre la mia Catherine studia recitazione per diventare doppiatrice, un'altra sarà al conservatorio, un'altra ancora non mi avrà mai chiesto di giocare con lei. E magari in altri universi io, Catherine, il Dottore... Voi... Forse neanche esistiamo, forse neanche esistete. Ma non pensatela come Bandesnatch: non si può tornare indietro.
O forse sì, ma quella è chiamata seconda possibilità e l'errore commesso non si può cancellare.
Quindi è proprio qui che Catherine fece la sua scelta, ma partiamo dall'inizio.


Fine agosto 2017
«A chi scrivi?» Silvia era entrata nella camera d'albergo in cui avrebbero dormito per l'ultima notte nel loro primo anno da cacciatrici. Nelle mani reggeva due buste Burger King che poggiò sull'unico tavolo della stanza con moquette. Guardò Catherine comodamente sdraiata sul suo letto col telefono a illuminarle il volto stanco ma felice. «È il Dottore?» domandò sfilandosi gli anfibi.
Catherine annuì. «Dice che ha conosciuto una strana ragazza di nome Clara*.»
«In che senso strana?» Silvia riprese i sacchetti take away e ne porse uno a Catherine prima di sedersi anche lei sul suo letto.
«Non lo sa nemmeno lui di preciso» rispose la più piccola prendendo due patatine dal sacchetto medium. «Gli ho chiesto se volesse che indagassimo, ma ha risposto che sarebbe inutile: ci ha già provato lui e non ha concluso nulla.»
«Ti ha dato anche un cognome?»
«No.»
«Allora non vuole che ci immischiamo» disse Silvia ingurgitando patatine e Coca-Cola.
A Catherine scappò un sorriso. «Starai male se non ti dai una calmata, mangia piano!»
Silvia mandò giù il boccone aiutandosi con un pugno sul petto. «L'abitudine» disse e frenò un rutto.
Catherine rispose con un altro rutto. «Meglio fuori che dentro!»
E risero quasi dimenticandosi di essere due cacciatrici, di praticare magia e di aver salvato il mondo.
Tornarono alla realtà grazie ad un nuovo messaggio del Dottore a Catherine. Lei prese il telefono e lesse: «Ah, dimenticavo: il Vaso l'ho portato in un carcere di massima sicurezza su un pianeta lontano anni luce dalla Terra. È chiuso in uno scrigno dentro un baule con tripla chiusura in una cella che si apre solo con le onde prodotte dal mio cacciavite sonico.» Catherine non poteva sentirsi più soddidsfatta di come si sentiva in quel momento.
Anche Silvia era felice di come la cosa si era conclusa: con pochi danni e un passaggio a casa. Poco più di otto mesi prima, infatti, stavano uscendo dalla biblioteca con in mano quello strano libro delle favole. Silvia un po' zoppicante per la botta di sangue al cervello e Catherine che la sorreggeva, come sempre. Avevano poi festeggiato, salutato ed erano entrate nel TARDIS mentre il Dottore ringraziava Regina, Tremotino ed Emma per essere stati così pronti a tutto per loro e si scusò ancora con Henry per avergli mentito. Dopo qualche scossone, il Dottore riuscì ad oltrepassare i confini di Storybrooke, a chiudere la crepa spazio-temporale che aveva causato varcando l'entrata della città e a riportare Catherine e Silvia al Motel Penna.
Le due cacciatrici, dopo un fugace scambio di sguardi, convennero che la cosa migliore da fare fosse lasciare il Vaso al Dottore poiché solo lui avrebbe potuto trovargli una sistemazione adatta.
«Grazie» gli aveva detto Silvia lanciandosi in un abbraccio.
«Perché?» le aveva chiesto il Dottore stringendola appena.
«Perché» spiegò Catherine unendosi all'abbraccio, «se non ci fossi stato tu, non saremmo riuscite a salvare nulla.»
Il Dottore, in cuor suo, sapeva che, in merito alle coordinate che si sarebbe poi inviato dal futuro al suo passato, era lui stesso vittima di un punto fisso nell'Universo: in due determinati momenti della sua vita avrebbe dovuto compiere determinate azioni. Però sì, l'avrebbe fatto volentieri all'infinito pur di aiutare le sue due nuove amiche umane.
Catherine, poi, aveva tirato fuori dalla tasca dei jeans un fogliettino di carta con annotata una serie di numeri. Aveva mostrato il fogliettino al Dottore. «Questo è ancora valido?» gli aveva chiesto. Il Dottore annuì e Catherine rimise il fogliettino in tasca dov'era prima.
Era l'alba di un giorno non ben definito, tuttavia le due ragazze sapevano che giorno fosse: era il giorno in cui erano diventate ufficialmente cacciatrici.


Torniamo quindi all'abbuffata di Silvia. Finito di mangiare e di riposare, al mattino seguente presero le loro cose e lasciarono il motel in cui stavano alloggiando. Silvia accese il motore della Navara e partì. Fecero Montenero – Milano in quasi cinque ore di viaggio, contando anche le varie soste per il bagno, con la compagnia melodica dei Queen, dei Bon Jovi, dei Kiss, degli One Ok Rock, dei Muse e, quando preferivano rilassare la corde vocali, Ed Sheeran ed Elvis.
«Hai già avverito i tuoi che stiamo per arrivare?» chiese Silvia lasciando il Naviglio e svoltando in un quartiere chiamato Giardino, ovviamente ricoperto di cemento.
«Ho scritto a madre mentre eravamo all'ultimo Autogrill. Sono al bar sotto ai portici.» Catherine prese fiato come per aggiungere altro, ma ci ripensò e si interruppe.
Silvia, ovviamente, se ne accorse. «Cos'altro stavi per dire?» le chiese guardandola di sottecchi.
«Niente» mentì la più piccola guardando fuori dal finestrino la scuola elementare in cui si era fatta quella cicatrice sulla fronte.
«Catherine.»
La piccola cacciatrice guardò ora avanti a sé. Erano ferme ad un semaforo. «Ci sono anche i tuoi genitori.»
Un paio di clacson risvegliarono Silvia dai suoi pensieri e ripartì proseguendo dritto. «Okay» disse semplicemente. «Okay» ripeté più piano. Alzò il volume, ma l'ultima canzone dell'unico album di musica italiana che Silvia possedeva – Bianco dei Synesthesia – finì pochi istanti dopo e così le due neocacciatrici rimasero in assoluto silenzio fino a che non arrivarono nei pressi della casa di Catherine.
Silvia parcheggiò di fronte ad una statua a forma di aquila e, quando scesero entrambe dalla Navara, il cielo le accolse plumbeo e silenzioso: sarebbe arrivato un temporale o forse era solo come si sentiva Silvia e mentre questi percorreva quei pochi metri che la separavano dai suoi genitori senza pensare a niente, Catherine sospettava che dopo quella breve festa di bentornato ci sarebbe stata la fatidica domanda. Tuttavia, quella domanda arrivò prima del previsto.
«Quindi cosa hai intenzione di fare?»
Catherine arrestò il passo e deglutì. «A cosa serve inseguire un altro titolo di studio se poi tornerei comunque sulla Navara?» le rispose col cuore in gola. Era la prima volta che esprimeva a voce alta quel pensiero e le suonava bene. Gratificante.
A Silvia mancò il fiato e si ritrovò a fissare Catherine a bocca aperta. «Come?» balbettò. In quel frangente un paio di piccioni sfiorarono la testa di Silvia, spaventandola a morte. La ragazza quasi strillò e, d'istinto, come faceva in Piazza Duomo, si aggrappò al braccio e Catherine e serrò gli occhi.
Alla piccola scappò un sorriso. «Vedi?» le chiese. «Come posso lasciarti sola con mostri e fantasmi se poi due polli ti fanno saltare in aria?» rise.
«Cattiva» mugugnò Silvia, poi la lasciò andare per ripensarci subito dopo e abbracciarla più forte che poteva. La lasciò nuovamente e quindi fecero quegli ultimi passi sul marciapiede e poi salirono gli scalini tempestati di mozziconi e cicche ormai nere; quando varcarono la soglia del bar all'angolo sotto i portici, a Silvia mancò il respiro ed esclamò: «Mamma!»
Una donna minuta e poco più bassa di Silvia si girò in direzione della porta d'entrata e si illuminò. I suoi lunghi ricci sobbalzarono più volte, anche loro felici di rivedere quello stupido viso. Madre e figlia si abbracciarono stringendosi forte come non mai. «Mi sei mancata, stupidina» le disse la madre con le lacrime agli occhi.
«Anche tu, mami.» Silvia strinse la madre ancora più forte. Quando alla fine la lasciò andare, alle sue spalle spuntò alto e calvo suo padre. L'uomo era scuro in volto, tant'é che Silvia pensò che fosse – un'altra volta – arrabbiato con lei per le sue decisioni, ma lo tradì il tremolio del labbro. La ragazza gli sorrise e gli fu al collo senza riuscire ad abbracciarlo bene per la grossa pancia muscolosa ch'egli aveva. Silvia sentì l'odore di suo padre e fu un sollievo sapere di essere a casa. «Papino» sussurrò ad occhi chiusi; poi all'improvviso si ricordò che nella piccola sala del bar c'erano anche i genitori di Catherine e Catherine stessa; si divincolò dalle braccia di suo padre e vide la madre della sua migliore amica accarezzare i capelli quasi a spazzola della figlia mentre il padre si copriva il volto celando le lacrime di gioia.
«E adesso che farete?» chiese qualcuno, ma né Catherine né Silvia avrebbe saputo dire da chi fosse provenuta quella voce.
Le due cacciatrici si scambiarono un lungo sguardo d'intesa. Nessuno tranne loro due lì dentro sapeva la verità e loro stesse non sapevano se fosse stato meglio dire l'ennesima bugia a fin di bene oppure raccontare tutto e non sentire più quel peso sulle spalle. Soppesarono semplicemente la cosa: dire la verità avrebbe scaturito panico e forse qualcuno non avrebbe accettato la loro scelta, considerandole pazze; raccontare frottole da lì per sempre avrebbe impedito ai loro cari di entrare in contatto con quel mondo pericoloso. Quale delle due cose andava fatta? Avrebbero voluto raccontare tutto per proteggerli, ma le due strade non si sarebbero mai potute – e dovute – incontrare e così scelsero la via migliore. Se fosse poi quella giusta, questo io non posso dirlo: mi limiterò solo ad esporvi quanto successe.
«Credo che continueremo a viaggiare» si ritrovò a dire Silvia, la quale già sentiva lo sguardo in disaccordo del padre e tentennò: non sapeva cos'altro aggiungere per rimediare.
«Sì, esatto!» intervenne Catherine a braccetto del padre che la guardava curioso. «Ci hanno offerto di fare da promoter per un'azienda discografica. Un termine carino per dire che dobbiamo andare a caccia di artisti di strada che possano crescere e diventare qualcuno.»
I genitori di Catherine e di Silvia rimasero a bocca aperta finché il cane di un'anziana signora lì nel bar a bere un caffè lungo, macchiato caldo e con due bustine di zucchero non abbaiò rompendo il silenzio imbarazzante, ridestando tutti.
«Be', è...» cominciò il padre di Silvia.
«Meraviglioso!» esclamò la madre di Catherine abbracciando la figlia con entusiasmo vero.
«Quindi ogni quanto verreste a casa?» chiese la madre di Silvia già in pensiero per la sua bimba di ventitré anni.
Silvia e Catherine sorrisero senza pensare a nessuna conseguenza ed insieme esclamarono: «Chi lo sa?»


E così, come avete già capito, Catherine e Silvia iniziarono un nuovo anno pieno di nuove avventure spostandosi continuamente da un motel all'altro, da una città all'altra, portandosi dietro quel pesante libro che sembrava aumentare di volume giorno dopo giorno. La copertina in pelle si scurì sempre di più fino a sembrare mulatta e Silvia poteva giurare che, annusandolo, avesse un odore simile all'incenso alla salvia. Ma quel libro cambiò così lentamente, tuttavia, che le due cacciatrici non poterono accorgersi. Faceva parte del loro armamentario tanto quanto i fucili al sale e i machete o gli altri libri di magia wicca.
Anche la magia di Silvia mutò: tornò ad essere quella semplice wicca che era prima di conoscere il Dottore, solo un pochino più esperta. Non poteva più creare globi di fuoco né comandare i suoi poteri col solo uso del pensiero, ma era felice della sua normalità.
Anche Catherine, dal canto suo, non era più la veggente del duo: continuava sì a fare sogni che le aiutavano nei casi, ma non erano più così chiari come con il Crepuscolo di Latina. Poteva vedere gli spiriti con più facilità grazie ai quotidiani esercizi di meditazione a cui si sottoponeva mentre Silvia dormiva o faceva ricerche, spiriti guida o spiriti da cacciare che ora apparivano più nitidi al suo Terzo Occhio.
E mutò anche il Dottore. Sì, mutò anche lui come avete già letto – o visto, miei cari e fedeli lettori, ma di una cosa ancora vi dovrei parlare: il Libro.
Guardiamo più da vicino...


Una dolce notte di primavera, Catherine e Silvia avevano appena terminato una battuta di caccia. Ventidue vampiri in una volta sola. Erano partite col buon proposito di tenere il conto per ogni vampiro abbattuto così da fare a gara, tuttavia tornarono al motel senza saper dire chi ne avesse uccisi di più. Silvia buttò i machete insanguinati nel lavandino della loro camera mentre Catherine già si preparava per una doccia rigenerante. «Ehi, sis'» la chiamò all'improvviso Catherine da fuori il bagno.
«Hai spostato tu il libro?» chiese la più piccola a bassa voce per non disturbare i possibili vicini.
Silvia chiuse l'acqua del rubinetto e ci mollò dentro i machete ancora mezzi lerci, sbucò fuori dal bagno con la maglia sporca e brandelli di esofago. «Assolutamente no, l'hai messo sotto il tuo letto e lì è rimasto.»
Catherine, seria in volto, alzò le coperte e mostrò all'altra cacciatrice il pavimento occupato solo da qualche accumulo di polvere. «Sparito. Di nuovo.»
Silvia si raggelò all'istante. «Forse la donna delle pulizie lo avrà spostato. Hai controllato nell'armadio?» propose con poche speranze.
Catherine scosse la testa. «Siamo arrivate nel pomeriggio e domani mattina lasceremo la stanza» le disse. «Che senso ha farla venire nel frattempo che eravamo a caccia?» Vide la migliore amica mordicchiarsi il labbro inferiore e sistemò meglio le coperte del suo letto. «Speriamo riappaia, prima o poi.» E detto questo Catherine tirò fuori un comodo pigiama e biancheria pulita per avviarsi nel bagno in cui Silvia terminò di lavare anche il machete di Catherine.
Da lì in poi pensarono spesso a che fine avesse fatto il Libro: apparso dal nulla e scomparso senza lasciar traccia. Di certo non le aiutava con i loro casi, ma era come un fedele compagno, una certezza, quasi un terzo componente del loro gruppo. Non lo aprivano mai: erano assolutamente curiose di leggerne le pagine, ma se solo avessero letto una parola in più, chissà cosa sarebbe successo?
Di certo c'era che il Libro avrebbe sempre vegliato su di loro anche se le due cacciatrici non poterono mai saperlo. Quella notte, infatti, il Libro si rivelò per quello che era.
Fuori dalla finestra della stanza del motel dove Catherine e Silvia dormivano profondamente, la lunga tunica bianca era l'unico punto luce in quella notte senza luna. La pelle della donna era fresca ma senza brividi. Sulla sua spalla coperta da uno scialle di lana bianca si appollaiò un corvo nero come la pece. I capeli bianchi e corti della donna gli sfiorarono le piume mentre ella girava la testa per guardare l'uccello. «Ne hanno fatta di strada, non è vero?»
Il corvo le beccò affettuosamente il collo mulatto. «Cra!» gracchiò.
«Smettila, lo so che sei tu» sorrise la donna arruffando le piume del corvo.
Il pennuto le saltellò sulla spalla con le lunghe zampette ed emise quel tenero verso dei corvi paragonabile alle fusa dei gatti. «Cra! Cra! Ma-» gracchiò ancora. «Ma- Cra! Mar-»
La donna sorrise nuovamente davanti a quegli straordinari sforzi.
Ora il corvo si abbassò, come per concentrarsi meglio e quasi in un sol fiato esclamò: «Mar- Mari- Cra! Mari- Ah! Maria! Maria!»
«Bene, bravo!» esultò Maria, la strega di Lucca. «Hai solo passato troppo tempo nelle sembianze di corvo, che ne dici di tornare come prima, Theck?»
Il corvo la guardò curvando il musetto e spiegò le ali per volare lontano; tuttavia rimase sospeso in aria e girò un po' su se stesso finché, con grande meraviglia della strega mulatta, le ali diventarono braccia, le zampe mutarono in forti gambe e il muso da corvo cambiò aspetto fino a che Theck non fu se stesso, con i piedi ben saldi a terra e la pelle protetta solo dai vecchi indumenti ancora laceri dalla lotta contro Arimane. «È davvero necessario che Catherine e Silvia continuino a pensare che io sia morto?»
Maria accarezzò una mano del demone. Era come se la ricordava, solo leggermente più rugosa. Quanti anni erano passati? Secoli, si corresse. Da quella tavola calda di Galway non avrebbe più voluto uscire quella notte e gli occhi di Theck le dissero la stessa cosa. «Sì, Theck» gli disse Maria. «È davvero necessario. Servirà a non pensare al loro come ad un lavoro come un altro. Sarà un peso che le aiuterà a crescere. Staranno più attente, non solo l'una nei confronti dell'altra, ma anche verso il prossimo. Questa non è più una storia per ragazzi, Theck.» Maria ora guardò avanti a sé, attraverso la finestra buia. «Catherine e Silvia stanno crescendo e dovranno affrontare altri mille pericoli per cui saranno pronte gradualmente.»
«E i primi martiri dovevamo essere noi» terminò Theck abbassando lo sguardo annuendo. «Okay» disse a voce più bassa. «E tu ti sei tramutata in quel libro per tenerle d'occhio» sorrise il demone.
Maria rise con lui, divertita. «Ovvio, non potevo lasciarle sole.» La strega guardò Theck nelle iridi e per un attimo si perse. «Ma ho notato che non sono stata l'unica capace di non lasciarle andare da sole. Bello il tuo trucchetto di sdoppiamento, laggiù nel Labirinto!»
Theck le allontanò una ciocca di capelli dal viso e le accarezzò una guancia fresca. «Potrei dire la stessa cosa di te e del tuo camuffamento.»
Allora Maria sospirò e si passò le mani tra i capelli. Subitamente essi si allungarono, alcune ciocche rimasero sciolte e libere, altre formarono delle trecce, altre ancora si annodarono fino a formare dei lunghi dread e, da bianco latte, si colorarono del verde dei prati di montagna. La pelle si schiarì fino a sembrare aristocratica e delicata come quella di un bambino. Dalle mani fece apparire un paio di occhiali neri da vista che infilò all'istante mentre due piercing bucarono la pelle sotto gli angoli della bocca.
«Ora va meglio» disse Theck soddisfatto. «Così ti ho conosciuta e così ho sempre sognato di riaverti.»
Amnesha sorrise mostrando due fossette sulle tenere guance e tirò un pugnetto sul braccio scolpito di lui. «Tranquillo» disse la strega di Latina. «Maria era solo temporanea, non tornerà più, promesso» spiegò, poi sorrise nuovamente al suo amante infernale e gli strinse la mano.
E rimasero così, l'uno accanto all'altra, nella notte più magica di tutte, dinnanzi ad una finestra da cui potevano vedere solo i riflessi dei lampioni giù in strada e qualche insegna a neon lontana all'orizzonte alle loro spalle. La luna sarebbe apparsa sorridente la notte seguente, mentre Inkheart la ammirava nella sua forma felina, ma Amnesha e Theck non ci fecero caso, persi come due innamorati l'una negli occhi dell'altro, questa volta per sempre.

 

fine


*    *    *

 

RINGRAZIAMENTI


Non ho mai scritto i ringraziamenti, ma credo che a questo giro mi tocchi.
Inizierò da Cathy, ché è la più importante. A lei va tutto il bene del mondo; grazie, sis, per esserci stata sempre. Le parole non esprimono bene ciò che provo per te, mia Dipper.
Grazie a voi, a tutti voi; a chi ha letto dall'inizio, da Correte, la Nebbia sta arrivando, a chi è arrivato dopo, a chi ha sempre recensito, a chi ha seguito in silenzio.
Particolari ringraziamenti vanno a...
Alla mia dolce Rob per avermi ispirata con Amnesha, suo nome ...d'arte, e per avermi voluto bene quando nemmeno io me ne volevo. Grazie, cutie Ty.
Grazie a Marty e a Sayu su due livelli diversi: vi voglio bene, ragazze, grazie per avermi aiutata a rivedere i miei errori di ortografia e i miei errori nella vita.
Grazie a Sarah e a Silvia, le "zie" che ho sempre voluto.
Grazie a Dan che ha saputo dirmi di no, ma con classe, e siamo ancora amici.
Grazie a Melissa Malberti, Penelope Delle Colonne, Vera Winters e Valerio la Martire per avermi dato alcuni suggerimenti sul metodo di scrittura, per avermi allietata con le loro storie o anche solo per avermi dimostrato che scrivere non è solo un passatempo, ma un duro lavoro!
Grazie a Sabrina, mia magika collega che solo io posso chiamare Sabrilla; hai un cuore grande grande grande...
Grazie a tutti i miei colleghi e team leader di lavoro che mi hanno supportata e sopportata durante questo duro anno.
Grazie ad Emi, amico e compagno di battute sconce. Grazie a Valentina perché è italofrancese anche se non lo sa. Grazie a Rory che sembra calabrese, ma in realtà è sarda. Grazie a Schamy che è più bella ogni giorno di più. Grazie ad Elena perché è stupenda e i suoi lavori sono opere d'arte. Grazie a Gabe McCoy per le sue lotte per i diritti LGBT+. Grazie ad Elisa e Federica che mi deliziano con meme e gif fantastici. Grazie a Mars che capisce quando scrivo asajhxbhjsb. Grazie a Marty e a Giuse perché mi assecondano quando lancio sfide. Grazie a Milena, ai meme sull'Esselunga e sull'ATM. Grazie a Nayana perché ha seguito il suo sogno ed è felice. Grazie a Flavia perché mi ha tenuto la mano mentre avevo il cuore spezzato a metà. Grazie a Dean Fox e a Cas Cat perché l'amore vero esiste...
Grazie a tutti, perché elencarvi sarebbe troppo lungo, ma in cuor mio e vostro si sa e si sente la verità. Vi voglio bene perché, in un modo o nell'altro, mi sorprendete ogni giorno e perché mi avete aiutata a superare le crisi, i momenti grigi, i blocchi e grazie perché con voi ho soprattutto condiviso momenti indimenticabili di gioia ed euforia.
Grazie anche ad artisti che non sapranno mai che io son qui a render grazie al loro duro lavoro: Brendon Urie, Robert Downey Jr, Ellen, Pete Wentz, Matt Bellamy, Misha Collins, Tyler Joseph, Chris Evans, Mark Sheppard, Tom Hiddleston e solisti o interi gruppi che mi hanno accompagnata durante la scrittura come i miei amati Sheppard, Ed Sheeran, i KISS, i Queen, i Talking Heads, i Green Day, i Led Zeppelin, Alice Cooper, i Lynyrd Skynyrd, le Runaways, i Take That, i Duran Duran, i Kansas, Mika, Elvis, i Lumineers...

Anche questo viaggio si è concluso, ma non è un addio: questo è un arrivederci.
Forse.


Grazie, di cuore.
Marra


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* Sì, Clara appare nel 2013, ma non stiamo parlando dello stesso universo della serie tv, ricordate?

   
 
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