Capitolo settimo
Quante volte hai già pagato le tue scelte?
Quante colpe ti sei prese senza averle?
Quante volte mi hai risposto, non è niente?
Quante volte io lo so che mi sorriderai?
A tutto quello che hai passato non pensarci mai
Che non cambia niente, che non conta niente, ma
Se avrai torto o ragione per me non sarà importante
Sappi che io sarò sempre dalla tua parte
E senza dubbi ed incertezze
Inganni, scuse o debolezze io
In ogni giorno, in ogni istante
Io sarò dalla tua parte…
(“Dalla tua parte” – Alessandra Amoroso)
Clarice tornò da Roma pochi giorni dopo
e le sue parole non fecero che confermare i sospetti di Lorenzo nei confronti
del Papa. Il tentativo di congiura era fallito, ma pareva proprio che l’allegra combriccola ci avrebbe
riprovato presto. Lorenzo non avrebbe fatto l’errore di sottovalutare quelle
persone, sebbene apparissero talmente caotiche e sconclusionate da non sapere
nemmeno come mettere in piedi un attentato decente… tuttavia, tanto meglio per
lui e Giuliano!
Clarice disse al marito che il Papa
aveva deciso di inviare a Firenze il suo giovanissimo nipote, Raffaele Sansoni
Riario, appena eletto Cardinale, per negoziare la pace tra i Medici e lo Stato
Pontificio e che sarebbe dovuto essere ospitato a Palazzo Medici per provare la
buona volontà della famiglia nei confronti del pontefice… ma Lorenzo,
ovviamente, comprese subito che la pace era l’ultima cosa alla quale Papa Sisto
pensava. Anche il nome Riario
risvegliava in lui il ricordo di quello che gli aveva rivelato Antonio, sebbene
questo Riario non fosse il Conte di cui aveva parlato il ragazzo… ma insomma,
quanti Riario c’erano a piede libero? Tuttavia il giovane Medici avrebbe fatto
buon viso a cattivo gioco e finto di credere a tutte quelle manovre, accogliendo
con cortesia e con i sorrisi più falsi del mondo il Cardinale e il suo seguito.
Chissà, forse Antonio sarebbe riuscito a scoprire qualcosa anche sul loro
conto, intanto, per non sbagliare, sarebbe stato all’erta.
In quanto ad Antonio, era sull’orlo di
una crisi di nervi eppure sapeva di non potersela permettere proprio in un
momento come quello, al contrario, avrebbe dovuto mantenere il sangue freddo e
dare fondo a tutte le sue capacità di spionaggio… che non erano poi così
eccelse!
Qualche sera dopo il giovane Orsini era
appena rientrato a Palazzo Pazzi quando, ancora una volta e con suo grande
sgomento, udì delle voci provenire dallo studio di Jacopo. Le robuste porte
della stanza erano socchiuse e già questo era un segnale parecchio brutto ma,
d’altro canto, permettevano ad Antonio di avvicinarsi il più possibile e
ascoltare senza che nessuno potesse vederlo, con il cuore in gola e i
presentimenti più negativi.
Jacopo era in compagnia di una bella
congrega di delinquenti e, tanto per cambiare, l’argomento del giorno era come far fuori i Medici, vista la figura
di merda che avevano rimediato con la prima versione della congiura…
“Salviati e cinquanta uomini del Conte
di Montesecco stanno scortando il Cardinale Riario a Firenze, camuffati da guardie
del corpo di Sua Eminenza per non destare sospetti” spiegava l’uomo.
Ah, certo, con quelle
facce patibolari che si ritrovano nessuno li sospetterà, c’è da scommetterci, pensò Antonio,
sperando che le cose andassero proprio così. Se le guardie fiorentine avessero
deciso di impedire a quei brutti ceffi l’ingresso in città, probabilmente la
congiura sarebbe svanita come neve al sole, esattamente com’era accaduto la
prima volta.
“Ci sarà un banchetto di benvenuto per accogliere
il Cardinale Riario, ma i fratelli Medici non andranno oltre la prima portata. Quando
saranno morti, il Palazzo della Signoria verrà occupato in nome del popolo”
continuò Jacopo, senza sapere che le sue parole avevano appena trafitto al
cuore il povero Antonio che ascoltava dietro la porta.
Il ragazzo dovette premersi forte le
mani sulla bocca per soffocare in gola il grido di disperazione che gli era
salito spontaneo alle labbra. Pallidissimo, si fece forza per continuare ad
ascoltare con attenzione tutti i dettagli, era necessario per salvare la vita
dei suoi amici… ma un dolore sordo gli aveva attanagliato il petto e il sangue
sembrava pulsargli in testa come se volesse fargliela esplodere.
No, no, non poteva essere! Sapeva che
Messer Pazzi aveva acconsentito alla congiura, nonostante quello che aveva
raccontato a Lorenzo e Giuliano, ma adesso era troppo, qui non si trattava più
di dare un appoggio o di trovare qualche avanzo di galera per assassinare i
Medici: Messer Pazzi parlava come se avesse ben chiara in testa tutta l’organizzazione
del piano per eliminare i due fratelli e impadronirsi della città. Sentirlo
dire quelle parole lo aveva quasi ucciso sul posto…
“I miei uomini, giunti da Imola e
accampati nelle vicinanze, entreranno a Firenze e, quando Messer Pazzi sarà proclamato
nuova guida della città, saranno pronti a combattere contro chiunque si opponga
alla sua signoria” intervenne Girolamo Riario, baldanzoso. Aveva la tipica
faccia di chi sta prendendo per i fondelli il prossimo, ben consapevole che la
signoria di Jacopo su Firenze sarebbe stata di brevissima durata, più o meno
finché non fosse giunto lui in città,
sbandierando ai quattro venti che erano stati i Pazzi a uccidere i Medici per
ottenere il potere e che lui avrebbe
rimesso le cose a posto e punito in modo esemplare i responsabili.
Come no, maledetto
bugiardo! Sai benissimo che il Papa concederà a te il dominio su Firenze, gridò dentro di sé
Antonio, che conosceva tutto il piano molto meglio di Jacopo. Era straziato dal
terrore di perdere i suoi amici, dal dolore e dalla delusione per il
coinvolgimento fin troppo fervido di Pazzi nella congiura e dal pensiero
lacerante della fine che attendeva l’uomo che amava dopo tutto quell’ambaradan.
“E il Papa è d’accordo con tutto
questo?” domandò Antonio Maffei, il figlio del mercante di Volterra che era
stato ucciso anni prima per le losche trame di Jacopo. Ovviamente anche lui non
era un’aquila, visto che aveva accettato di prendere parte al complotto al
fianco dell’uomo che aveva provocato l’assassinio di suo padre… bisogna dire
che, tra tutti, quei congiurati non erano proprio i più svegli e arguti di
Firenze! Ci si stupisce ancora che i vari attentati fallissero uno dopo
l’altro?
“Il Papa vuole liberarsi dei tiranni
Medici tanto quanto lo vogliamo noi” dichiarò Jacopo, convinto. Eh, già, aveva
perfettamente ragione, soltanto che non sapeva che Sisto IV voleva con
altrettanto entusiasmo liberarsi anche di lui
per impadronirsi di Firenze…
Dopo queste parole di Jacopo, Antonio
udì dei passi che si avvicinavano alla porta e fece appena in tempo a
nascondersi nell’ombra e a lasciare non visto il palazzo, prima che Antonio
Maffei e gli altri congiurati, i priori Bandini e Vespucci, aprissero i
battenti e uscissero.
Il Conte Girolamo Riario fu l’ultimo a
lasciare la stanza e prima di uscire si avvicinò a Jacopo con un sorriso falso
come quello di Giuda Iscariota e lo salutò cordialmente.
“Quando tornerò con i miei uomini,
sarete voi a capo di questa Repubblica” gli disse.
Eppure anche Jacopo dovette intuire
qualcosa, o intravederlo nel suo sguardo da rapace, perché si limitò ad
annuire, poco convinto, e poi lo fissò meditabondo mentre usciva dallo studio.
Quell’uomo non gli piaceva per niente e non era affatto contento di doversi
affidare a lui e ai suoi uomini per ottenere il potere che aveva sempre
desiderato.
A dirla tutta, non era quella la strada
che avrebbe scelto, se avesse potuto decidere. Tuttavia, ormai era troppo tardi
per farsi venire degli scrupoli. Il Cardinale e il suo seguito sarebbero giunti il giorno seguente e il banchetto era
previsto per la sera successiva e…
E qualcosa si risvegliò nella coscienza
di Jacopo Pazzi, che fino a quel momento si era presa un giorno di ferie.
Antonio! Antonio avrebbe partecipato al
banchetto e… e avrebbe visto i suoi amici Lorenzo e Giuliano morire davanti ai
suoi occhi. Cosa avrebbe pensato? Avrebbe forse sospettato di lui? E Jacopo
come avrebbe potuto guardare in faccia il suo ragazzino dopo aver partecipato
all’assassinio dei suoi amici? Forse sarebbe stato meglio che Antonio non
andasse a quel banchetto, del resto lui non voleva nemmeno che si accostasse a
gente come Riario, Montesecco e gli altri congiurati, non voleva che avesse il
minimo coinvolgimento in quello sporco affare.
Già, ma Antonio era il fratello di
Clarice, era uno dei più cari amici di Lorenzo e Giuliano e, oltre tutto, era
pure il suo protetto. Sarebbe stato
troppo strano se non fosse intervenuto al banchetto, non poteva tenerlo
lontano. Non c’era altra scelta, Antonio sarebbe stato presente… e avrebbe
visto tutto.
Jacopo era rimasto nel suo studio, in
piedi accanto alla finestra, perduto in questi pensieri che lo ossessionavano e
lo tormentavano. Non si accorse che Antonio era rientrato nel palazzo e che,
silenziosamente, era giunto sulla soglia della stanza e lo osservava, cercando
di leggere in lui almeno qualche piccolo segno di rimorso, di senso di colpa,
qualcosa che potesse fargli pensare che, in fondo al cuore, nemmeno lui voleva
quel complotto. Forse poteva fargli cambiare idea e allontanarlo da quella
strada malvagia e pericolosa… standogli vicino, facendogli capire quanto fosse
importante per lui, che la vita e l’amore erano più importanti del dominio di
una città…
Il fiducioso, innocente e ingenuo
Antonio aveva già perdonato a Jacopo il male che non aveva ancora fatto!
“Messer Pazzi” mormorò piano, entrando
nella stanza, “va tutto bene? Vi vedo turbato, preoccupato. C’è qualcosa che
non va? Affari della Banca?”
La voce del giovane riscosse Pazzi, che
parve ritornare con i piedi per terra e anche con un minimo di sale in zucca
che lo portò a provare qualcosa che somigliava vagamente al rimorso.
“Io… no, giovane Orsini, non
preoccuparti, va tutto bene” rispose, sforzandosi di sembrare convincente. “Vieni
qui.”
Antonio non se lo fece ripetere due
volte e si avvicinò velocemente a Jacopo, che lo strinse tra le braccia con
tanta foga da sollevarlo da terra. Era come se vedere Antonio lo avesse
risvegliato da un incubo, come se, durante il colloquio con i congiurati, fosse
stato ipnotizzato e adesso fosse rientrato in sé. Naturalmente non era così, ma
era ciò che sentiva lui. In quel momento non gli importava più di niente,
voleva solo avvolgere Antonio nel suo abbraccio per proteggerlo da tutta la
crudeltà e il sudiciume che aveva riempito quella stanza fino a pochi minuti
prima; voleva tenerlo lontano da ogni male e dal dolore che quel complotto gli
avrebbe causato. E, in realtà, stringendo a sé Antonio, affondando il viso nei
suoi capelli morbidi, sentendo il calore del suo corpo, gli pareva anche di
ripulire almeno un po’ quell’animaccia nera che si ritrovava e che, in quegli
ultimi tempi, si era fatta sentire fin troppo. Antonio era la luce
nell’oscurità della sua mente.
E il ragazzo ricambiava l’abbraccio con
la stessa intensità disperata, per strapparlo via alle sue tenebre e ai
pericoli cui sarebbe andato incontro se avesse proseguito su quella strada. Era
terrorizzato all’idea che gli succedesse qualcosa e voleva solo stare lì con
lui, tra le sue braccia, allontanandolo dalla congiura e da ogni intenzione
malvagia.
L’abbraccio sembrò interminabile, poi a
poco a poco diventò qualcos’altro, perché Jacopo Pazzi era uno istintivo e,
quando gli veniva in mente qualcosa, la faceva senza stare a pensarci troppo.
Avere Antonio tra le braccia gli risvegliò anche altre parti di sé e così prese
a baciarlo profondamente, intensamente, spingendolo contro una parete,
desiderando solo perdersi in lui fino ad annullarsi completamente. Gli slacciò
i calzoni e, sempre tenendolo sollevato e premuto contro la parete, lo prese
con un ardore mai provato in precedenza, dimenticando tutto, il complotto, i
congiurati, il banchetto del giorno successivo… nel suo universo esisteva solo
Antonio, adesso, e la luce e la serenità che gli regalava quando si fondeva con
lui come in quel momento.
Ma non era abbastanza, non poteva, dopo
la serata che aveva trascorso con Riario e gli altri. Sempre tenendolo in
braccio, portò Antonio nella camera da letto e lì ricominciò tutto da capo,
sempre più intensamente, sempre più disperatamente, sempre con l’illusione che
la sua anima e il suo corpo potessero trasfigurarsi e ritrovare l’innocenza
perduta nel contatto più intimo e totale possibile con quel dolce ragazzo che
lo accoglieva con tanta dolcezza e tanto amore. Antonio era l’unico che poteva
rischiarare le tenebre del suo spirito.
Dopo un tempo infinito e incalcolabile,
Jacopo continuò a stringere il giovane tra le braccia, sempre avvolgendolo e
proteggendolo; rasserenato dal contatto con lui, riuscì lentamente a prendere
sonno, pensando che avrebbe fatto il possibile per impedirgli di veder morire i
suoi amici, che gli sarebbe stato vicino per lenire il suo dolore, che lo
avrebbe consolato e confortato con la sua presenza e con tante premure, come
non aveva mai fatto prima. Le cose si erano spinte troppo oltre e lui non
poteva più fermarle, ma non avrebbe permesso che fosse Antonio a pagare per il
male che avrebbe commesso lui. Antonio doveva rimanere puro, sereno e innocente
com’era adesso, doveva essere la sua oasi di pace, la parte migliore di sé.
Antonio era sfinito, ma ci mise di più
ad addormentarsi, perché comprendeva che Jacopo, pur non essendo del tutto
convinto della congiura, tuttavia non avrebbe fatto niente per impedirla. Glielo
aveva detto la disperazione con cui lo aveva preso e posseduto, la foga con cui
lo baciava e lo teneva incollato a sé.
E lui cosa poteva fare adesso? Come
poteva salvare sia Lorenzo e Giuliano che Messer Pazzi?
Se avesse svelato tutto il complotto ai
suoi amici, Jacopo sarebbe anche lui stato accusato di complicità, sarebbe
stato denunciato e arrestato e… e lui non poteva permetterlo!
Ma non poteva permettere nemmeno che
Lorenzo e Giuliano morissero.
C’era un’unica soluzione: avrebbe dovuto
agire lui stesso, tenere d’occhio i congiurati (tanto ormai li aveva visti,
conosceva i loro volti: erano quel beccamorto di Montesecco, quell’ipocrita di
Maffei, quel doppiogiochista di Bandini e quell’inetto di Vespucci! Sì, perché
il Conte Girolamo Riario si sarebbe guardato bene dal partecipare alla
cospirazione, se ne sarebbe stato rintanato nella sua Imola per poi tornare a
cose fatte a prendersi il premio…),
osservare ogni loro mossa e… fermarli, fermarli a qualsiasi costo. Impedire
loro di nuocere ai suoi amici e tenere Messer Pazzi il più possibile lontano
dal vivo dell’azione.
Sì, stare dalla parte di Messer Pazzi e,
allo stesso tempo, cercare di proteggere Lorenzo e Giuliano stava diventando
oltremodo faticoso e difficile, ma non aveva scelta.
Doveva salvare i suoi amici.
Doveva difendere l’uomo che amava.
A qualsiasi costo.
Senza dubbi ed incertezze.
Fine capitolo settimo