Crossover
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Autore: Registe    03/05/2019    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 28 - Vexen (X)





Un Heartless





Tutti lì, pensò.
Marluxia e Larxen, appena usciti da un portale oscuro e con la n. XII con più tagli e lividi di quanti gliene avesse mai visti. Axel, risvegliatosi da qualche minuto dall’operazione, lo sguardo perso nel vuoto.
E se stesso.
Il ricordo del viso di Zexion, scivolatogli via nella visione create dalle Stanze, lo distrasse per pochi istanti.
Loro quattro, i “traditori”.
E lui.
Lo Spirito del Castello aveva aperto il portale sotto i piedi di Marluxia e Larxen proprio quando Saïx stava per mettere piede nelle segrete. Vexen aveva osservato ogni cosa dalla sua postazione privilegiata, e più volte si era chiesto perché il misterioso guardiano non fosse sceso al fianco della n. XII se così tanto desiderava la caduta del Superiore e dei suoi tirapiedi. Ma lo Spirito si era fatto silenzioso, e non era certo quella la domanda che all’uomo bruciava nel petto.
“Un salvataggio provvidenziale, invero”.
Se l’imponente figura in armatura avesse impressionato la lingua di miele del n. XI, questo non gli era dato saperlo. Aveva imparato quanto di rado i sentimenti sfuggissero dalla maschera del principe Dayel. “La stessa anima del Castello che si unisce a noi. La cosa avrebbe dell’ilare, se non ci fosse un licantropo sulle nostre tracce”.
“Se vuoi trovare qualcosa di ilare, Lumaria dei Dayel, cercalo nel nostro destino”.
Innaturale. Immobile, quasi fosse una statua.
Chissà se vi era ancora un volto sotto quell’elmo.
“Vi è anche uno solo di voi che sappia dirmi il nome del vostro mondo? Del mondo dove siete nati e cresciuti?”
“Beh, ci sono il regno di Carl, il regno di Ringaia, il principato di Banora, il regno di …”
“No”.
La testa della figura metallica si voltò in direzione di Larxen, bloccando il suo elenco. Con una certa soddisfazione Vexen si accorse che la ragazza era ancora troppo stanca dal combattimento per rispondere a tono allo spirito. L’elmo si mosse, come se lo sguardo del suo padrone potesse toccarli tutti. “Non mi interessano questi minuscoli regni. Ciò che conta è qualcosa di molto più grande”.
Vexen si ritrovò a sospirare.
Prima di accedere alla sapienza del Castello dell’Oblio non aveva alcuna idea di cosa fosse un pianeta. Se fosse giunto da lui qualcuno dicendo che tutti loro vivevano su una minuscola sfera nell’immensità del vuoto lo avrebbe forse considerato pazzo. Il mondo era ciò che veniva disegnato sulle mappe, ed i limiti soltanto delle righe vergate con inchiostro vecchio di secoli.
Il teletrasporto del Castello gli aveva permesso di raggiungere qualsiasi posto desiderasse.
Era stato meraviglioso.
E inebriante.
Il loro piccolo, arretrato pianeta brulicante di demoni era solo un triste granello di sabbia. L’idea che potesse essere stato qualcosa di più era stato solo un pensiero fugace tra i mille altri.
Lo spazio, la stanza bianca in cui si trovavano, mutò forma.
Vexen si ritrovò insieme agli altri come sospesi in aria mentre il soffitto si tingeva di scuro ed il pavimento si allontanava, colorandosi di scuro. Accanto a lui Axel bestemmiò tra i denti, ancora scosso dai sedativi.
Sotto di loro prese forma una città.
Uomini, donne e bambini camminavano senza fretta, occupando strade così grandi da far passare otto carri insieme. Erano vestiti con indumenti che gli ricordarono quelli del pianeta Coruscant, semplici ma puliti, privi dei gioielli di cui i nobili si caricavano. Edifici alti, lucidi, alcuni di vetro ed altri di materiali simili al metallo, che riflettevano la luce del sole ed illuminavano le vie di un colore vivo, intenso. Guardò meglio in un angolo, e vide quello che chiaramente era un negozio abbondare di frigoriferi, lavatrici e quelli che sembravano computer, con gente che entrava ed usciva senza sosta. Larxen rimase persino in silenzio quando vide un gruppo di uomini uscire dal negozio, caricare un frigorifero su uno strano oggetto e vedere questo sollevarsi da terra e prendere il volo, scivolando tra le strade come un carretto ma senza conducenti.
Ad un cenno dello Spirito si abbassarono, trovandosi proprio in mezzo a quella gente.
Si accorse di potersi muovere, e d’istinto estese la mano verso gli schizzi di una fontana; l’acqua gli passò attraverso, come aveva sospettato, ma questo non rendeva la scena meno vivida. Un altro di quegli oggetti volanti gli passò attraverso, stavolta con due ragazzi a bordo. Gli ricordarono gli hovercraft di Hosnian Prime e Cardota, ma più leggeri, semplici e dalle forme lineari. Scorrevano sopra le strade in file ordinate, arrivando persino a superare in altezza alcuni degli edifici più bassi.
Si ritrovò a trattenere il fiato quando uno di questi velivoli, più grande degli altri, si fermò a pochi passi da loro e ne uscì della musica.
Persino Marluxia, che fino a qualche istante prima aveva mantenuto la sua solita espressione, fece un passo verso quella macchina, vinto dalla curiosità.
“Questa era Autozam”.
Lo Spirito, fino a quel momento impassibile, guardò verso il basso. Un bambino sembrò guardare proprio nella sua direzione, ed il guerriero fece un impercettibile segno di saluto. Per la prima volta a Vexen sembrò di scorgere un barlume di emozioni in quella voce metallica. “La capitale degli uomini”.
Axel aveva gli occhi incollati ad un negozio traboccante di dolci dalle forme più svariate, con barattoli dai mille colori che avrebbero rapito lo sguardo di chiunque. “Stai dicendo che questo posto era il nostro mondo?”
“Lo era. Finché il Grande Satana non lo bramò per i suoi demoni”.
Il primo a notarlo fu Marluxia. “Che cos’è quello?”
Vexen si voltò.
I suoi occhi impiegarono qualche secondo a notarlo, troppo distratti dalle luci azzurre e verdi provenienti da un negozio. Registrarono un movimento strano, e dovette seguire il dito del n. XI per capire cosa fosse.
Un’ombra si mosse.
Priva di un corpo d’origine, scivolava da una persona all’altra. Una macchia nera lungo il viale grande poco meno di un braccio. La vide muoversi da un’ombra all’altra.
E, senza sapere cosa fosse, capì che era viva.
Lo Spirito si avvicinò a loro, con un cenno d’assenso. “Heartless” mormorò “Il frutto della nera magia dei demoni”.
Sebbene tutto intorno a loro non avesse alcuna forma, Axel mandò un grido e si scansò quando un’altra di quelle macchie passò lungo il muro di un edificio, staccandosene e atterrando a pochi passi da lui. In pochi istanti, il tempo di voltarsi, e le ombre avevano invaso più di metà della via. Intorno a loro la gente iniziò a correre.
Vexen si accorse di non riuscire a staccare lo sguardo da quelle macchie. Prima una, poi tutte le altre, iniziarono ad aumentare dimensione e forma fino ad essere dense. Diventarono creature strane, diverse da qualsiasi altra avesse mai visto di persona o letto nei cataloghi del Castello, assenti persino nei libri di creature magiche che aveva trovato per Zexion. Avevano addosso l’oscurità dei portali, quel buio capace di risucchiarti.
Gli arrivavano al ginocchio, con quelle che potevano ricordare delle zampe assai gracili. Gli occhi erano l’unica fonte di luce in quel buio.
Tutto divenne nero.
Gli Heartless, ormai più di quanti riuscisse a contarne, si avventarono sugli uomini. Axel d’istinto lanciò una fiammata contro un gruppo che assalì una bambina, ma la sua magia passò attraverso le figure. La bambina non fece in tempo a gridare che Vexen la vide cadere, assalita dalle creature come un branco di predatori su un cucciolo finché non riuscì nemmeno più a vederla. Si staccarono da lei dopo poco tempo, e da sotto i vestiti dilaniati vide le minuscole forme diventare sempre più scure, fino a farne emergere un nuovo Heartless. Un gruppo di donne alla sua sinistra sprangò l’ingresso del negozio, ma le ombre scivolarono attraverso e le grida furono fin troppo reali per non volgere lo sguardo. Persino gli schermi lungo le abitazioni, pieni di immagini che scorrevano, iniziarono a spegnersi uno dopo l’altro, come finestre nere.
Si ritrovarono stretti tra loro più del necessario quando una raffica di spari irruppe nel bel mezzo del massacro.
Solo nei suoi viaggi Vexen aveva appreso l’esistenza di altre armi che non fossero spade, lance o asce, ma aveva ben chiaro cosa volesse dire il rumore di uno sparo.
L’aria ionizzata si illuminò a pochi palmi dalle loro teste, ed un gruppo di uomini emerse dalle vie, armati con blaster ed altre armi che il n. IV non avrebbe saputo definire. Entrarono nello spazio visivo a decine, creando muri di elettricità statica tra i mostri e la gente disarmata, caricando tutti su dei velivoli e Larxen non nascose un grido di giubilo quando un raggio rosso emerse da un macchinario grande quanto un uomo e fece esplodere una decina di mostri. Altri soldati entrarono ancora, avvolti in armature che non avevano nulla delle cotte sgangherate delle guardie del loro mondo, dove un elmo di ferro era il massimo delle difese possibili.
Poi dall’altro lato della piazza, emersero degli uomini vestiti di blu. Si inginocchiarono all’unisono, e quando tracciarono dei segni a terra al cuore di Vexen mancò un battito.
“Gli Alchimisti di Stato del maestro Xehanort” mormorò lo Spirito. “L’unione perfetta tra scienza e magia. Uno dei pochi baluardi degli uomini in grado di fronteggiare la magia selvaggia della famiglia demoniaca”.
Scoprì di non riuscire a trattenere l’emozione.
Stava vedendo il passato, la storia di un mondo che non avrebbe mai immaginato.
Gli umani del suo stesso pianeta avevano posseduto conoscenze e tecnologie da far impallidire quelle di mondi avanzati come Coruscant, che Vexen aveva visitato per giorni con il naso all’insù, incapace di accettare che si potesse anche solo vivere tra quelle meraviglie mentre lui era stato condannato a nascere in un posto arretrato e primitivo.
Si rivide anni prima, mentre imprecava la sorte per non essere cresciuto in un luogo che avrebbe esaltato la sua brama di sapere, invece che reprimerla come avevano fatto i sacerdoti. Sentì l’invidia che lo aveva pervaso nello scoprire che nell’universo esistevano università, laboratori, santuari della Conoscenza che avrebbero potuto spalancargli le porte.
E, quando dai cerchi alchemici vide le mura d’acciaio degli edifici piegarsi in due, schiacciando decine di Heartless, capì.
“I demoni avevano paura di noi”.
“Invero”.
Sopra di loro, nemmeno avesse udito le loro parole, un demone si librò sui tetti di Autozam. Le sue mani si riempirono di energia oscura, e la nube di Heartless sembrò prendere vigore dalla sua magia.
I soldati si voltarono verso il nuovo arrivato, puntando le armi al cielo. I mostri si abbatterono su di loro come un fiume in piena, e per quanti gli alchimisti ne riuscissero a distruggere, altrettanti se ne formavano dalle persone coinvolte. Luci, armi e scudi ionici si mossero contro l’invasore, e Vexen non poté non notare il pugno dello Spirito, serrato con rabbia come se potesse distruggere il guanto stesso.
Gli uomini combattevano contro i demoni.
A testa alta, con delle armi vere.
Non gli servivano i poteri di Zexion per accorgersi che anche i suoi compagni provavano le sue stesse emozioni. E, mentre il buio calava sempre più sulla città degli uomini, comprese il motivo per cui lo Spirito del Castello aveva deciso di venire in loro soccorso.
“Hai ascoltato la nostra riunione, anni fa” disse. “Quando proponemmo al Superiore di usare i poteri del Castello per combattere ancora una volta la famiglia demoniaca”.
“Esatto”.
Uno alla volta, anche gli alchimisti svanirono. Avevano eretto dei muri con l’asfalto della strada ed erano giunte delle pattuglie in loro soccorso, ma ormai la quantità di Heartless era così immane che non si riusciva nemmeno a vedere il terreno. Correvano lungo i muri, si ammassavano l’uno sull’altro quasi a ricreare delle torri, ed anche se il demone furioso era scomparso si accorsero che tutte le luci della città si erano ormai spente, e l’unica fonte di luce erano gli occhi delle creature sempre più numerose ed affamate.
Una dopo l’altra, anche le grida di aiuto si spensero.
Il bianco del Castello colpì i loro occhi come una coltellata. Si ritrovarono di nuovo nelle Stanze della Memoria, e sui volti di ciascuno di loro vi era qualcosa di insolito. Larxen, ad esempio, mostrava un’eccitazione semplice e poco rumorosa. Axel si stringeva nel cappotto, gli occhi spalancati dalla paura. E Marluxia, dopo tanto tempo, aveva dipinta sulla faccia un’espressione di stupore incredibile. La stessa, pensò Vexen, che doveva trasparire anche dal proprio viso.
“Per la prima volta dopo secoli ho visto persone nuove tra queste mura. Persone diverse”.
Era stato umano.
Qualsiasi cosa fosse adesso quello Spirito, vi era stato un tempo in cui era stato come loro.
Qualsiasi cosa fosse stato negli ultimi millenni, erano stati i sentimenti degli uomini a restituirgli coscienza e forma.
Quando Zexion lo aveva avvisato che il Castello fosse qualcosa di vivo non avrebbe mai immaginato nulla di simile.
“Lumaria dei Dayel” disse “Gli oligarchi di Autozam deprecavano l’immobilità. Credevano nel cambiamento, nell’oltrepassare le convenzioni imposte dalle convinzioni immutabili dei demoni. Sapevano quando scegliere la pace … e quando la guerra. Hanno guidato gli uomini a testa alta, senza mai rifuggire dai demoni più feroci. A modo tuo, me li ricordi molto”.
Un sorriso si increspò sulle labbra del n. XI. Vexen avrebbe avuto di che dissentire, ma questa volta la forma del guardiano si piantò davanti a lui. Non gli era mai giunto così vicino. Ma, anche a quella distanza, nulla si intravedeva oltre il visore dell’elmo. “Even, Ultimo Alchimista. Negli ultimi tre millenni ho visto i nobili alchimisti svanire, i loro testi bruciati. Uno dei più grandi vanti degli uomini ridotto a meno di un pugno di individui nascosti, e nessuno di essi mai al tuo livello. Hai desiderato portare la conoscenza agli uomini, e per questo non te ne sarò mai abbastanza grato”.
Vexen annuì.
Durante quella riunione, due anni fa che ormai sembravano almeno due secoli, aveva agito soprattutto per se stesso. Per sfuggire ai divieti che erano comunque giunti. Per non finire isolato su un pianeta buio, bloccato nella libreria come un topo.
Per poter finalmente mostrare al mondo chi era e cosa poteva fare, per avere gente che lo guardasse col rispetto che nessuno, nemmeno gli stessi membri del Castello, gli avevano mai tributato.
A parte Zexion.
Ma adesso, dopo quello che aveva visto, qualcosa di diverso iniziò a battergli dentro.
“Il tempo e la paura non hanno cancellato soltanto il sapere. Hanno distrutto la forza, e i demoni ci hanno piegati. Arlen, ho visto le fiere donne di Autozam, le grandi guerriere ed i migliori generali, svanire nel buio. Sentirsi inferiori di fronte agli uomini, un concetto degno solo di un mondo che mi rifiuto accettare sia il mio. Se devo a qualcuno il mio risveglio, è anche dovuto alle tue certezze incrollabili. E anche tu, Lea …”
Si immobilizzò. Aveva appena sottoposto il n. VIII ad un condizionamento di una certa rilevanza, e non aveva alcuna idea pratica di come e quanto uno stimolo così importante potesse influenzare l’operazione svolta. I collegamenti sinaptici dovevano ancora riallacciarsi correttamente. Se qualcosa fosse andato storto …
Lo Spirito fece qualcosa di strano.
Si avvicinò ad Axel, estese un braccio, e gli poggiò la mano sulla spalla.
Che Vexen avesse mai visto, l’essere in armatura non aveva mai sviluppato un contatto fisico con nessuno. La pressione e l’improvviso sobbalzare nel n. VIII gli confermarono che la creatura aveva davvero un livello di fisicità.
“Quando ti ho chiamato a me, trascinandoti nelle Stanze, ho voluto testare la tua risolutezza. Ho voluto vedere il tuo crocevia. Se questo ti ha spaventato, o confuso, te ne chiedo perdono. Ci sarà sangue nel tuo futuro, ma … so che avrai la forza di sopportarlo”
Nonostante il tempo fosse stato scarso, Vexen era riuscito ad osservare anche i ricordi di Axel connessi al viaggio nelle Stanze. La curiosità sullo Spirito, sui ricordi e su ciò che era accaduto al n. XIII aveva preso il sopravvento, ed aveva osservato i mille corpi di quel luogo, dove il passato ed il futuro sembravano carte da gioco mescolate su un tavolo. Aveva visto i corpi carbonizzati, ed al pensiero di Xigbar aveva tremato.
In quel mondo confuso e distorto, il n. VIII aveva davvero visto stralci del proprio futuro.
E, come lui, il ragazzo nella pozza di sangue gli aveva lasciato addosso qualcosa.
“Noi umani non siamo come i demoni. Non siamo immutabili. Non viviamo così a lungo da arrogarci la presunzione di conoscere ogni cosa”.
Si ritrovarono tutti a fissarlo. “Siamo fragili. Le creature più semplici possono avere ragione di noi, se hanno abbastanza artigli. Il dono della magia è stato dato solo ad alcuni, ed a livelli così infimi rispetto a quelli dei nostri nemici. Davanti ad un ostacolo rispondiamo con la paura. Perché sappiamo cosa sia la paura. Perché la viviamo ogni giorno, con la disperata certezza che potrebbe essere l’ultimo. I demoni ci considerano vili e pusillanimi perché non sanno cosa voglia dire doversi conquistare la vita palmo a palmo. Non sanno quanto sia difficile, per un essere debole, sopravvivere”.
Vexen si accorse di vibrare. Dai ciuffi alla punta dei piedi, con maggiore intensità. Si accorse di sentire i propri pensieri, quelli sempre alla rinfusa nella sua mente, prendere forma nella voce metallica dello Spirito.
“Ma noi umani sopravviviamo. Deboli, primitivi, diversi, ma anche davanti alla furia dei demoni ed alla furia degli Heartless abbiamo continuato ad esistere. Non ci siamo estinti. Ci siamo piegati. Ma ciò che è piegato, con la giunta spinta, può sollevarsi di nuovo. Ci siamo divisi, allontanati, ma per combattere coloro che ci schiacciano possiamo unirci ancora. E per sempre. Grazie alla vostra guida ed ai poteri del Castello la razza umana ha ancora una speranza”.
“Ci sono giusto tre o quattro ostacoli da superare …”
Il commento del n. XI li riportò bruscamente alla realtà. Vexen ebbe la sgradevole sensazione che il principe avesse ascoltato il discorso dello Spirito solo in parte, come un serpente in attesa di colpire solo il proprio obiettivo.
Se la creatura non se ne fosse accorta o se accettasse la cosa, questo non gli era dato saperlo. Anche se purtroppo il n. XI non aveva tutti i torti.
Fuori dalle Stanze della Memoria, il Superiore li stava aspettando.
Che lo Spirito non avesse alcuna inclinazione verso Xemnas, quello ormai era chiaro. Il Superiore, la sua famiglia, le sue antiche tradizioni ed il rispetto verso il Castello non valevano nulla agli occhi del guardiano.
Xemnas aveva cercato di allontanare il Castello dagli uomini per le proprie paure, quando ormai era chiaro che la creatura non bramasse altro che ricongiungersi alla sua stessa gente.
Ilare.
Si chiese cosa ne avrebbe pensato l’ottuso Radigata a quella rivelazione. A giudicare dal sorriso feroce, anche il n. XI stava pensando la stessa cosa.
“E li supererete”.
Quattro forme bianche apparvero lungo la stanza. Al n. IV ricordarono dei boccioli, sebbene molto articolati. Ciascuno di loro era grande abbastanza per contenere una persona.
“Io sono il Castello. Ma il Castello è la mia prigione. Non mi è dato manifestarmi al di fuori di questo luogo. Per ora”.
Ad un suo cenno, le quattro forme si aprirono, proprio come dei fiori ed i loro petali. Ne uscì una luce bianca, non violenta, ma allo stesso tempo abbastanza forte da impedire loro di vedere cosa ci fosse all’interno. Ma la magia che gli correva nelle vene non aveva bisogno di occhi per bearsi di quel richiamo. “Posso offrirvi parte della mia forza, ma solo per poco tempo. Immergetevi nel Cuore del Castello, ed uscitene come siete degni davvero di essere. Non potrò ottenere una nuova forma per molto tempo, ma so di lasciare la mia stessa essenza nelle mani giuste. Rimuovete gli ostacoli che vi impediscono di portare la sapienza alla razza umana”.
“Quindi non ci rivedremo?”
“Per ora rivendica il Castello per voi, Even Ultimo Alchimista”.
Con una mano, lentamente, li invitò ad entrare. La n. XII fu la prima ad avvicinarsi alle strutture, madida di curiosità. “Una volta ottenuto ciò che vi spetta, cercate nella biblioteca tutto ciò che concerne l’Invocazione Suprema. Se la porterete a compimento, la magia draconica che mi incatena a questo luogo sarà spezzata. Sono stato rinchiuso tra queste mura, per il mio amore per la nostra gente, e non intendo rinnegarlo. Se vorrete il mio potere, e la mia lealtà, essa sarà vostra. Ma prima … pensate al vostro presente. Perché è questo ciò che dà agli uomini la vera forza”.
Uno ad uno entrarono. Larxen con solito entusiasmo, Axel con un po’ di dubbio, Marluxia con voluta calma, quasi come un sovrano che scegliesse il momento adatto per sedere sul proprio trono.
Con lentezza, anche Vexen si avvicinò.
La luce non era né calda, né fredda. Era accogliente, e ogni singolo raggio parlava di magia.
“Entrate, nuovi umani, e sognate del vostro passato. Sognate della vostra grandezza, del vostro coraggio, di ciò che vi è stato portato via dall’ingordigia di creature terrorizzate dalle vostre potenzialità”.
Entrò, e con un lieve ronzio i petali della capsula iniziarono a chiudersi intorno a lui. Si sentì cullato in un abbraccio vivo, dolce, come lo aveva conosciuto tantissimo tempo addietro.
“Sognate del vostro regno, e prendetevene cura. Sognate della grandezza di Autozam, il passato che vi è stato strappato via. Delle vostre teste erette, della conoscenza che vi spettava. Sognate dell’intero pianeta, che un domani potrete chiamare vostro, e libero con il suo vero nome”.
Chiuse gli occhi, e l’ultimo pensiero fu lo sguardo triste di Zexion.
“Sognate del nostro mondo. Sognate del mio amato Cephiro”.
 
  
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