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Autore: Axel Knaves    05/05/2019    1 recensioni
La vita di Laila Black non è mai andata come voleva, neanche nel momento peggiore.
Quando sembra che la sua vita sia arrivata alla fine, incontra Jason Todd.
Lui le chiede una semplice cosa: 12 ore della sua vita.
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Contenuti delicati. Pubblicata anche su Wattpad con il mio account Axel_Knaves
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damian Wayne, Dick Grayson, Jason Todd, Nuovo personaggio, Tim Drake
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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~ Salvataggio ~

 

Mi odiai. Mi odiai per non riuscire a smettere di piangere.
Perché non riuscivo mai a smettere di piangere su uomini inutili. Prima mio padre, quella volta in cui mi aveva fatto intendere come non fossi una figlia per lui. Poi Andrew quando mi aveva abbandonato, in cui mi ero resa conto come per lui non ero mai stata nulla se non un oggetto.
Ed ora Jason.
Per qualche motivo questa volta era peggio delle altre. Queste lacrime erano più pesanti e più intrinseche di amarezza, che mai.
Quell’uomo, uno sconosciuto fino a poche ore prima, mi aveva mostrato cosa avevo perso della vita cercando di stare a dietro alle aspettative inumane dei miei genitori e di Andrew. Mi aveva mostrato come il mondo non fosse fatto solo di ciò che gli altri pensavano di te; ma fatto di persone una così differente dall’altra da sembrare magia. Mi aveva fatto conoscere un mondo pieno di risate e divertimento, ormai creduto scomparso completamente per me.
Ed io ero caduta nella sua trappola: affezionandomi a lui in un modo spaventoso e quasi impossibile per due persone in mezza giornata.
Mi ero pure illusa di come lui stava provando lo stesso tumulto di emozioni verso di me.
Tutto era stato nella mia mente, a quanto pareva.
Jason mi aveva solamente usato per i suoi porci comodi.
Eppure non riuscivo a smettere di piangere e le lacrime, che si congelavano a causa del vento serale, continuavano a cadere nel vuoto sotto di me.
Eccomi lì, di nuovo su quel dannato parapetto. Di nuovo pronta a fare una delle cose più aberranti su questa terra.
Ma cosa avrei potuto fare? Quando anche il mio ultimo appiglio alla mia miserabile vita mi aveva pugnalato alle spalle?
Cosa era rimasto per me da questo lato? Almeno dall’altro avrei avuto mio figlio.
Mi asciugai ancora una volta le lacrime con la manica del cappotto.
Gotham di sera, vista dall’alto, era uno spettacolo bellissimo. Le luci accese dei palazzi venivano rispecchiate nell’acqua insieme alle ombre degli stabili fino al punto in cui non riuscivi più a distinguere dove la terra finisse ed iniziasse il mare.
Un poco mi sarebbe mancata quella visione.
E per quanto lo stessi odiando, mi sarebbe mancato anche Jason. Seppur con doppi fini, era stata l’unica persona che mia aveva davvero fatto vivere.
Ma ormai non importava più nulla alla mia mente stanca. Volevo solo smettere di provare tutto questo rammarico e tutto questo dolore.
Sospirai.
Eccomi alla fin–
«Laila!»
L’urlo di Jason mi fece sgranare gli occhi e saltare il cuore in gola.
Lentamente mi girai e vidi l’uomo avvicinarsi a me, il volto rosso e sudato, il petto si alzava e abbassava velocemente per colpa del respiro veloce.
«Vattene!» Urlai, sentendo una seconda ondata di lacrime che cercavano di uscire dagli occhi.
«No!» Mi rispose lui con tono deciso. «Non ho fatto tutta questa strada per andarmene da solo!»
Perché quell’uomo riusciva sempre a dire le parole giuste per farmi sentire amata e voluta? Era così che conquistava tutte?
«Perché sei qua?!» Gli urlai ancora addosso, sfogando tutta la mia frustrazione. «Perché non sei da qualche parte a non so… Scoparti un’altra qualsiasi donna
Se non fossi stata così arrabbiata avrei sicuramente notato come gli occhi di Jason, pieni di preoccupazione, ora contenevano un’altra emozione: disperazione.
«Laila», disse lentamente lui, avvicinandosi ancora più lentamente, quasi da non accorgersene. «Sono qua perché quello che ha detto Damian non è vero». Spiegò, quasi supplicandomi.
«Damian?» Chiesi, un attimo titubante. Non mi sembrava di aver incontrato e parlato con un Damian… In più… Perché mi sembrava un nome così famigliare?
«Robin!» Si corresse, il tono pieno di panico, e parlando più velocemente del solito. «Quello che ha detto Robin! Nessun Damian
Oh! Pensai. Credo mi abbia appena rivelato il vero nome di Robin per sbaglio.
Mi morsi la lingua cercando di non ridere alla reazione di Jason.
«Non è vero? Quello che ha detto Robin?» Chiesi io di rimando, tornando all’argomento vero e proprio. Ero pur sempre in piedi sul parapetto di un grattacielo.
«No», scosse la testa lui. «Non è per nulla vero. Sì, ogni tanto ho avuto delle compagne negli anni, ma non sono mai stato troppo un Don Giovanni». Spiegò. «Inoltre non sarei qua se non fossi tu su quel parapetto. Non so cosa hai usato, se stregoneria o un qualche siero chimico, non mi importa, ma dalla prima volta in cui ti ho fissato negli occhi ho saputo una cosa: tu devi far parte della mia vita».
Le lacrime iniziarono a scendere più copiose che mai. Maledizione a lui, al suo sorriso perfetto, ai suoi occhi pieni di malizia e al suo carisma.
«Jason cosa vuoi da me?» Gli chiesi allora stanca, ormai l’uomo era a pochi passi da me ma non avevo ancora dato segno di voler scendere sul tetto, al sicuro. «Cosa vuoi dalla mia vita?»
«Tutto il tempo che ti resta». Mi rispose serio, senza dubbi. «Non ti prometto che non ci saranno problemi o che non ti capiterà mai nulla – sai della mia seconda identità e hai conosciuto alcune persone con cui, si può dire, lavoro – ma ti posso promettere che farò di tutto per esserci sempre».
«Se non volessi?» Chiesi allora, in quel momento l’idea della morte sembrava molto più facile di quella della vita. Eppure il mio cervello non riusciva a dare il giusto imput al mio corpo, stava infatti urlando di scendere e trovare rifugio nelle braccia di Jason.
Ero in guerra con me stessa e tutto per colpa di quell’uomo dal ciuffo bianco.
Jason, ormai a portata di braccio, mi prese per il polso e notai come quella semplice presa lo fece rilassare. L’uomo poi mi fissò dritto negli occhi come per essere sicuro che mi tatuassi la sua risposta nell’anima.
«Salterei per prenderti».
Non ce la feci più, la mia mente e il mio corpo avevano subito troppi danni in così poco tempo: collassarono sotto il peso di tutte quelle emozioni. In uno strano susseguirsi di flash scesi dal parapetto e mi feci avvolgere dalle forti braccia di lui.
Mentre continuavo a piangere come se non ci fosse un domani contro il petto di lui, la sua voce nell’orecchio continuava a ricordarmi come lui ci sarebbe sempre stato da ora in avanti, mi sentii davvero apprezzata per la prima volta nella mia vita.
Non per essere un automa, come volevano i miei genitori, ma per essere me. Mi sentii apprezzata per essere Laila Black, con tutte le sue imperfezioni.

   
 
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