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Autore: Anya_tara    13/05/2019    3 recensioni
Quegli occhi rossi che la scrutano attentamente, vigili come quelli di un predatore la mettono a disagio.
Infila una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre quello riprende a mangiare come nulla fosse.
Lei non ha più fame. Ma si sforza comunque di continuare a cenare, anche perché non vuole dargli questa soddisfazione.
Non gli permetterà di metterla in difficoltà, a nessun costo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Che cazzo.
Piove. Come se chi è di turno lassù avesse deciso che “sì, porca troia, dobbiamo annegarli gli stronzi là sotto”.
Gli viene da tirar via tutti i santi che gli capitano sotto mano. Si è inzuppato da capo a piedi, e di pessimo umore.
Neanche i Villan sono così idioti da uscire a far casino col temporale, purtroppo. E dopo cinque giorni che non si sfoga a dovere ha dovuto trattenersi nel non far volare per aria qualcosa in ufficio, che già Scarlet gli sta col fiato sul collo e non vede l’ora di levarselo dalle palle.
Se avesse potuto avrebbe spedito lui via a calci in culo e si sarebbe tenuta stretta Uraraka.
Sono cinque giorni che non sente altro che sospirare tra i corridoi, quella stronza di Aruimi e soprattutto quel coglione di Ishiwara oltre che la stessa Scarlet. Si sono presi tutti una cotta per lei, altro che no.
Ma d’altronde Ochaco è così. Ovunque passi lei è come una ventata di primavera, illumina le persone: la sua sola presenza è stata sufficiente a placare gli animi di quelli ritrovatisi coinvolti qualche sera prima nel panico totale.
Anche se … gli è parso di intravedere come un’ombra nel fondo di quegli occhioni nocciola caldi, liquidi.
Chissà perché.
Gli è venuto spontaneo quel gesto. Non sa neppure lui stesso perché l’abbia fatto: non è una sua consuetudine, è qualcosa che non gli appartiene fare certe cose.
Come anche invitare gente in casa propria. Da quando ci abita nemmeno i suoi ci hanno mai messo piede, nessuno, non vuole nessuno intorno.
Non è cattiveria, anzi. E’ solo che si è stufato della gente che invade il suo territorio, il suo spazio vitale. Aria, gli serve aria, anche da quel lavoro del cazzo, in un’agenzia che l’ha accolto solo perché si trova in un quartiere di merda e tenere a bada i criminali è qualcosa per cui un paio di braccia in più fanno sempre comodo.
Mica come Deku, preso in una delle migliori, quel nerd di merda.
Ma d’altro canto è così da quando ha magicamente ottenuto il quirk.
Si è preso tutte le cose migliori. Tutte quelle che sarebbero toccate a lui, senza quel pidocchio a rompere il cazzo.
Tutte, nessuna esclusa.
Ha un curioso senso dell’onore, Bakugō Katsuki. E’ un ambizioso bastardo, non lo ha mai nascosto ed è disposto a passare sulla testa di chiunque pur di prendersi ciò che vuole, sgomitando e spintonando.
Ma deve conquistarla. Non si accaparrerebbe mai qualcosa senza lottare, non è un ladro o un volgare approfittatore.
Lui vuole guadagnarsele. Col sudore, col sangue se occorre. Deve essere certo di averle ottenute coi suoi sforzi, non con raggiri o bruschi colpi di mano.
Svolta l’angolo di casa. Dannazione, deve decidersi a prendere un cazzo di mezzo di trasporto. Non gli spiacerebbe qualcosa di figo, magari una motocicletta. Ma con lo stipendio da fame che prende a stenti riesce a pagare l’affitto, e poi non avrebbe dove metterla, quella topaia non ha un box e se la parcheggiasse in strada il giorno dopo, anzi la notte stessa non la troverebbe più.
Appena arriva sotto il portone trova una sorpresa, seduta sui gradini.
Forse ha preso troppa pioggia e gli si è fuso il cervello. D’altronde tutto è possibile, e che a lui difetti qualcosa in testa non è certo una novità.
Lei sembra rendersi conto che non è più sola. Si volta e rialza la testa, per un attimo sembra spaventata, poi si rende conto che è lui e si placa un poco. 
<< Uh? E tu che ci fai qui? >>, sbotta Katsuki.
<< Scusami. Ma ero qua vicino e … ha iniziato a piovere forte e … non sapevo dove altro andare >>, mormora timidamente.
E’ bagnata di pioggia fino all’osso. I capelli le stanno tutti appiccicati intorno al viso un po’ pallido, gli occhi sembrano enormi nella debole luce biancastra del neon poco distante.
Si tiene stretto addosso quel cappotto gocciolante. Si prenderà un malanno, così.
<< Entra. Sennò ti viene una polmonite >>, borbotta aprendo la porta.
Lei lo segue, sfila le scarpe continuando a serrarsi il giaccone.
<< Ti conviene toglierti di dosso quel cappotto >>, osserva.
Uraraka pare azzardare il gesto di slacciarlo. Poi arrossisce, e se lo stringe di nuovo addosso.
Ma che le prende? Neanche sia nuda, sotto.
Non è il pensiero più sano che possa avere in questo momento. Se ne rende conto ma non lo tocca più di tanto, in fondo. << Va’ in bagno, fatti una doccia calda. Ti lascio qualcosa di asciutto sul letto … se non è un problema >>.
Gli occhioni che rialza ora su di lui sono lucenti di gratitudine. Distoglie in fretta i propri, gli dà noia quello sguardo. << Grazie, Bakugō >>.
<< Uh >>. Le scocca un’occhiata bassa, obliqua. << Vuoi mangiare? >>.
<< Oh, io … in realtà ho già cenato, grazie >>.
<< Vabbé. Come ti pare >>. Aspetta che sia entrata nel bagno, nel frattempo mette fuori qualche un paio di uova e della carne e un wok dal pensile. Lo posa sul fornello, lo accende e ci adagia dentro le fette di manzo.
In realtà cucinare gli piace, e se la cava anche bene. Ma quando torna a casa non gli va proprio di improvvisarsi lo chef di ‘sto cavolo; tanto meno per una persona sola, così si arrangia come può e pace amen, basta riempirsi lo stomaco nel più breve tempo possibile.
Quand’è sicuro che sia sotto la doccia passa in camera, apre un cassetto e prende una delle sue tute e una maglia. Le lascia sul letto e torna di là ad occuparsi della cena.
Anche se in realtà non è che abbia tutta questa fame.
Quel cappotto … e le scarpe con il tacco. Anche i capelli, malgrado fossero sfatti dalla pioggia, sembrava fossero stati appuntati in qualcosa da femmine.
Non gli quadra. Non gli quadra per niente.
Che sia uscita senza che il Nerd lo sapesse? O magari, proprio con lui?
E allora perché è andata a cercarlo? Cosa può volere da lui che il suo uomo – oddio, uomo è una parola grossa- non può darle?
Che abbiano litigato? Aveva qualche piccola macchia nera sugli zigomi. Potrebbe aver pianto, se non è opera della pioggia.
Ah, chi cazzo se ne fotte. << Bakugō? >>.
Riappare, sulla soglia della cucina, esitante, un asciugamano sulla testa. La sua tuta le sta lunga e larga, sembra quasi sia raggoffata in un sacco a pelo tre taglie più grande. << Do … uhm, dovresti … cambiarti … tu >>, mormora piano.
E avvampa di nuovo, più evidentemente stavolta.
Ma no. Neppure adesso appare fragile. Forse a disagio, questo sì.
Ma fragile mai. << Posso … badare io alla tua cena, se vuoi. Se … ti fidi di me >>.
<< Mhmm >>.
Volta la carne con aria indifferente. In effetti comincia a dargli fastidio tutta quell’umidità addosso. << Okay. Se il nerd è ancora in circolazione allora penso tu non sia così male ai fornelli >>, replica lanciandole un’occhiata obliqua.
La vede mordersi un labbro. E chinare il capo avvolto nell’asciugamano.
Le passa davanti, il profumo dei capelli e la pelle ancora umida gli arriva dritto al naso e glielo sfiora con dolcezza. << Prendi qualcosa dal frigo, se ti va. Torno subito >>.
<< Grazie >>.
Entra nel bagno, si infila nella doccia. E’ ancora tutto appannato di vapore, inspira con forza quando l’acqua bollente impatta contro la sua nuca strappandogli un ansito.
Non è l’odore del suo solito bagnoschiuma. E’ qualcosa di dolce, di femminile.
L’impronta del profumo che le ha sentito addosso.
E’ lei che sa così.
Era rimasto anche sulla trapunta che si era avvolta addosso la sera in cui è stata da lui.
Esce, si asciuga alla buona e si infila una canotta e un paio di calzoni. Si accorge solo adesso del cappotto appeso all’anta della finestra, nel tentativo –inutile- di asciugarsi almeno un po’.
Ma c’è solo quello.
E gli altri abiti?
Bah. Fatti suoi.
Torna in cucina, l’odore che avverte adesso è quello del cibo. Ma non della semplice carne che stava preparando lui.
C’è … qualcosa di speziato, dolce e pungente insieme. << Ho … pensato di improvvisare un po’. Scusami, forse avrei dovuto chiedertelo prima … >>.
<< No. Va bene >>. Si siede, crolla la testa all’indietro ruotando il collo e chiudendo gli occhi.
Si sente infinitamente stanco. Come se l’avessero picchiato.
Ma non gli hanno alzato addosso un dito. E forse è anche questo parte del problema.
Tutta quell’aggressività repressa lo sta corrodendo dall’interno. Se non trova qualcosa con cui sfogarsi finirà col dare di matto e distruggere qualcosa.
<< Tieni >>. Riapre gli occhi, incrociando quelli di Ochaco che gli porge una birra. Ha svolto l’asciugamano e ora i capelli sono tornati ordinatamente lisci a circondarle il volto arrossato per la doccia e il calore della cucina.
<< Grazie >>.
Cena in silenzio, in cucina, con Uraraka seduta di fronte a lui che sorseggia una soda.
Sembra assorta, adesso. Persa in qualche suo pensiero. << Puoi andare ad accendere la tivù, se ti va >>.
<< Credevo … preferissi il silenzio >>.
<< Per la verità comincia a darmi sui nervi. Il rumore della pioggia >>.
<< Oh. Allora … vado >>. La vede spostarsi in soggiorno, sedersi sul divano, accendere il televisore e tirarsi addosso la trapunta.
Il suo profilo nella flebile luce è delicato. Le lunghe ciglia castane sfiorano gli zigomi ad ogni battito di palpebre, i denti mordicchiano le labbra mentre dall’apparecchio provengono le voci di due donne che battibeccano su qualche cazzata.
E’ delizioso.
Forse troppo. Anche se non aveva appetito improvvisamente gli si è aperto lo stomaco, e spazza via tutto rapidamente, rammaricandosi di non poterlo gustare con calma.
Ma quel gioco non gli piace.
Si alza, sciacqua il piatto nel lavello e lo posa su quelli che Uraraka ha già lavato e messo a scolare.
Tutte le fortune, quel cazzo di Nerd di merda.
<< Senti … a me non va per nulla di mettermi a scarpinare sotto questa cazzo di alluvione. Dormi qui >>.
<< Qui? >>.
<< In camera mia. Io sto sul divano >>, spiega, con voce stranamente incolore.
Lo guarda da laggiù, facendosi piccola piccola. << Guarda che non ti tocco, se è di questo che hai paura >>.
Le guance assumono un rosso vivace, << Che cosa??? Oddio, no! No! Solo … posso stare io sul divano >>.
<< Non dire cazzate >>. Rotea una spalla, la sgranchisce tirandola indietro. << Be’, allora? Vorrei dormire, se non ti dispiace >>.
<< Sì >>. Si svolge di dosso la trapunta, la posa su uno dei braccioli. << Allora … buonanotte, Bakugō >>.
<< Uh. Buonanotte >>.
 
Le manca l’aria.
E’ una stanza tremendamente simile alla sua. Anche nel gelo che vi regna.
O quanto meno dovrebbe esserlo.
Lei sente un caldo tremendo. Continua a mordersi le labbra, voltandosi ora sul fianco, ora a pancia in giù in cerca di requie.
Ma l’odore di Bakugō, denso e caldo come l’impronta dei suoi palmi non la lascia dormire.
Ce l’ha addosso, intorno, dappertutto. Si tira su a sedere, allontana i capelli dalla faccia.
Per un attimo pensa di liberarsi dalla maglia. Ma sotto non ha nulla, e non sarebbe proprio il massimo se durante la notte magari Katsuki avesse bisogno del bagno, entrasse e la trovasse mezza nuda nel suo letto.
Oggesù.
Inspira a fondo nel tentativo di calmarsi. Ma è peggio.
E’ una pugnalata ai polmoni.
Si alza, striscia piano fino al bagno. Apre l’acqua e si sciacqua la faccia, passa una mano bagnata dietro la nuca.
Se batte le palpebre rivede Deku in ginocchio sotto la pioggia …
E’ scappata. Come una ladra, una vigliacca.
E’ fuggita via nonostante portasse i tacchi, piantandolo lì.
Non è riuscita a rispondergli. Ha aperto la bocca per lo shock, perché aveva bisogno di ossigeno, che pareva non affluisse più abbastanza sangue al cervello e al cuore e dovesse accasciarsi come una bambola di pezza.
A casa sua non voleva tornare. Non voleva essere trovata.
Forse per questo era andata da lui. Per nascondersi, ha pensato. Impossibile che Midoriya potesse recarsi lì in cerca di lei.
O per qualsiasi altra ragione. L’ombra di Kacchan è ancora troppo lunga su di lui, perché si metta ad affrontarla con tanta leggerezza.
Ma adesso che è lì, realizza.
Non per questo è andata lì.
Ma per capire.
Quello che la mente respingeva, il corpo bramava. Non c’era modo di sbagliarsi, poteva essere inesperta, ma non stupida.
E’ follia e lo sa.
Ma continuare a ripeterselo non la farà sentire meglio.
Per quello occorre solo una cosa.
Socchiude piano la porta, uscendo in soggiorno.
Sta dormendo. Il televisore è rimasto acceso, ma il volume è al minimo.
Si ferma per un attimo a guardarlo.
Dio. Ricordava bene allora.
Quand’è incosciente, è tremendamente dolce. Sono passati anni, e l’aveva visto una sola volta.
Ma non così da vicino.
Il desiderio di avvicinarsi si fa ancora più forte. E’ un dolore fisico, quasi, una morsa allo stomaco.
Si china piano sul suo volto. Socchiude le palpebre anche se non vorrebbe, è così bello che le spiace doverselo negare.
Ma le viene spontaneo.
Non può farsi indietro adesso. Trattiene il fiato e colma la distanza che separa la sua bocca da quella di Katsuki.
Le labbra di lui si muovono appena contro le sue, un riflesso involontario sicuramente; ma tanto basta a darle una fiammata ardente dietro la schiena, nella pancia.
Dio, cosa non è. Si sente sciogliere dentro, tutto quel calore si fa insostenibile; il suo profumo è ancora più intenso, quella morbidezza vellutata sembra chiedere solo di essere assaporata a fondo.
Se soltanto ricambiasse … anche solo un istante …
Sembra l’abbia ascoltata, miracolosamente. Le schiude, e Ochaco allunga delicatamente una mano a sfiorargli la nuca.
Non riesce più a respirare. Le sembra di essere sott’acqua, ha i polmoni in fiamme, la gola arde.
Mai ha provato nulla di simile.
Qualcosa le sfiora la mascella. S’insinua tra i suoi capelli, lambisce l’orecchio.
Il cuore le perde un colpo. Si allontana un solo istante, per riprendere fiato.
Lo vede sollevare lentamente le palpebre. Leccarsi le labbra ancora umide del contatto con le sue.
Poi le iridi rosse la fissano, mettendola a fuoco.
E un attimo dopo, sembra essersi destato del tutto. << Ma … che cazzo fai? Sei impazzita, per caso? Ma che ti dice il cervello? >>, sbotta, mettendosi a sedere.
Uraraka muove un passo indietro, quasi inciampa nel tavolino alle sue spalle. << Io … io … mi dispiace, non … volevo … >>.
<< Non volevi? Ora verrai a raccontarmi che sei sonnambula, per caso?  >>.
Negare non servirebbe a nulla. << No >>.
Ma a Katsuki non interessano le spiegazioni, a quanto pare. Non le chiede nulla a parte quelle domande puramente retoriche.
Ordina e basta. << Tornatene a dormire, e non azzardarti più a fare nulla del genere >>. I suoi occhi ora sono duri, malgrado il colore fiammeggiante hanno la freddezza tagliente del ghiaccio. << E per inciso, se ti sei ficcata in testa qualcosa di strano, vedi di levartela all’istante. Non mi interessi affatto, in quel senso >>.
Il petto di Uraraka si contrae in una morsa.
Fa più male di un ceffone. Di un’esplosione in piena faccia.
<< O .. okay. Va bene. Scusami >>. Torna in camera, prende la borsa in cui ha infilato la biancheria bagnata, il cappotto un po’ meno gocciolante.
Quando riattraversa il soggiorno, diretta all’ingresso lui non la ferma. Resta immobile, sul divano, a fissare lo schermo della tivù. Le previsioni danno pioggia anche il giorno dopo.
Sbatte la porta, corre fuori incontro alla pioggia, al vento, alla notte.
Pioggia.
Ce ne vorrà per un anno almeno, per lavare via la vergogna che sente adesso.
Tutta insieme.
 
 
 
 
 
   
 
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