Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: SirioR98    13/05/2019    2 recensioni
In fisica, un sistema isolato è un sistema posto così lontano dagli altri da non interagire con loro, oppure un sistema chiuso che non ha scambi con l’ambiente circostante.
È un sistema perfetto, in equilibrio, costante.
Mi chiamo Noah e mi hanno costretto in un sistema isolato.
Noah è un sedicenne nato e cresciuto in una piccola comunità di mormoni nello Utah. Apertamente omosessuale e fiero di esserlo, si ritrova a convivere per cause di forza maggiore con Alex, la sua “persona preferita”, che si identifica come nonbinary. Esplorando la comunità LGBTQ+ di Salt Lake City e sopravvivendo alle sfide della città natale di Joseph Smith, Noah si vede costretto a crescere prima del tempo e a cercare la sua voce.
Genere: Azione, Dark, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
*Angolo dell'autrice*
Buonsalve, signori e signore, e bentornati, ancora un'ultima volta, alla storia di Noah. Prima di parlare del brano di questo capitolo, sono doverosi dei ringraziamenti. Un grazie particolare a KarenHumbert per aver recensito tutti i capitoli, dal primo all'ultimo, e avermi dato dei consigli su come migliorare la storia di Noah. Ringrazio il mio ragazzo, così paziente da revisionare tutti i capitoli più volte, e che li revisionerà ancora insieme a me per dare una degna impaginazione al manoscritto, così da poterlo inviare a case editrici (perché sì, questo libro vedrà la luce, prima o poi, così come il suo fratello maggiore). Grazie a tutti coloro che mi stanno sostenendo nella promozione di "Sistema Isolato: Mitch", che hanno comprato il libro (hanno esaurito le copie online in poco più di un mese, siete fantastici!), ma soprattutto grazie a te, lettore, che sei arrivato fin qui! Spero che la storia di Noah ti abbia commosso, fatto ridere, fatto riflettere.
Il brano di oggi è What a Catch, Donniedei Fall Out Boy. Alla canzone, ultimo singolo prima della pausa quinquennale del gruppo, hanno partecipato vari artisti della Fueled By Ramen. Come i Fall Out Boy hanno messo in pausa la propria carriera con questo singolo, penso andrò anche io in pausa per qualche mese dalla mia attività di scrittura, giusto il tempo di revisionare il libro e raccogliere il materiale per la prossima storia (ho già in mente tre storyline, la prima che svilupperò diventerà il terzo libro della saga sistema isolato).

Ancora una volta, vi auguro una buona lettura.
Grazie mille e alla prossima.

 
Epilogo


«Mi sta venendo da vomitare», bisbiglio, guardando gli spettatori prendere posto. Entrano a flotte, inondano la platea dal fondo, dai lati, dal fronte. Sembrano provenire dappertutto, materializzarsi sul posto quasi fossero dei gonfiabili montati sulle sedie apposta per far venire l'ansia ai poveri ospiti che sbirciato da dietro il muro delle quinte, in attesa di salire sul palco e tenere quel discorso che hanno provate mille e mille volte ancora davanti lo specchio.
Sayid mi abbraccia da dietro, come suo solito quando mi vede scivolare nella spirale.
«Tranquillo, non è la prima volta che parli davanti a un pubblico del genere. Ce la farai.» Mi rincuora, facendomi dondolare lentamente per calmarmi.
Destra. Sinistra. Destra. Sinistra. Destra. Sinistra.
Come la lancetta di un metronomo forzato.
«Dimenticherò tutto, me lo sento. Con cosa cominciavo a casa?»
Sayid scioglie l’abbraccio giusto il tempo di voltarmi e prendermi per le spalle.
«Salve a tutti…», mi suggerisce, guardandomi negli occhi.
«Salve a tutti? No, è troppo banale. Non va bene.» Commento, passandomi un mano fra i capelli.
Ripercorro mentalmente il discorso, trovando difetti in ogni frase, parola e intonazione a me ormai familiare.
Anche le pause sono sbagliate.
Mi sento un peso sul petto.
Perché mi sento un peso sul petto?
Respiro a fatica.
«Non va bene. Non va bene niente, è orribile. Devo cambiare l'intero discorso. Li annoierò. Non mi ascolterà nessuno. Si metteranno a parlare… rideranno di me, m'insulteranno!»
Il mio respiro si fa sempre più veloce, sempre affannato.
Mi manca l'aria.
«Mi gira la testa… Forse dovremmo annullare. Sì, non sto per niente bene, annulla tutto.»
«Ehi, Noah… no, no, sssh…», mi sussurra il mio compagno, prendendomi delicatamente il viso fra le mani.
«Va tutto bene. Guardami, respira con me.» M'istruisce dolcemente, portando la mia mano sul suo cuore, così che possa sentire i suoi battiti e l’alzarsi ritmico del suo petto.
«Andrà tutto bene, rimani con me, ok?»
Lo guardo negli occhi, coordinando il mio respiro al suo.
Conto i secondi: inspiro per sette, trattengo per cinque, espiro per otto.
E sette di nuovo, cinque di nuovo, otto di nuovo.
Ancora, ancora e ancora una volta, finché la stanza non smette di girare.
«Meglio?» Mi domanda, accarezzandomi una guancia.
Annuisco, incapace di parlare.
«Bravissimo, così ti voglio.» Sussurra, avvicinandomi la testa alle sue labbra.
Lo abbraccio, in cerca di un altro momento di conforto. Per mia tristezza, non dura che qualche secondo.
Una voce parla dalle casse, chiede a tutti di mettere il cellulare in silenzioso e avvisa che l'intervento verrà ripreso per essere pubblicato sul loro canale YouTube.
Io sono il primo a parlare.
Mi volto velocemente verso il palco, per poi rivolgere a Sayid un’ultima disperata ricerca d'aiuto.
Il ragazzo mi mette le mani sulla nuca e forza la mia fronte contro la sua.
«Oh, Noah, mi raccomando: merda.» Soffia, preso dall’adrenalina che precede sempre un evento del genere.
Emozione piacevole che sente solo lui, sicuramente io la descriverei con tutt'altri termini.
«Non è uno spettacolo teatrale.» Lo contraddico.
«Non c’è molta differenza. Merda comunque!» Mi augura, prima di baciarmi e spingermi verso il palco, ancora in preda al panico.
Le luci della ribalta mi accecano per un momento.
Socchiudo gli occhi per cercare di vedere il pubblico, riuscendo lentamente a dare un volto all'ombra che mi ritrovo davanti.
Mi accorgo di essere su questo palco a fissare il pubblico da ormai una ventina di secondi. Non è proprio un buon inizio, vero?
Quindi, saluto con la mano.
«Bu… buonasera a tutti e benvenuti!»
Mi giro verso Sayid, il quale mi fa segno con la mano di continuare.
«È… scusate.» Tossico un attimo, spostando lo sguardo a terra.
«È… È un grandissimo piacere avervi qui presenti a sentirmi, ehm… sentirmi blaterare a proposito della nostra f… folle impresa. Mi chiamo Noah Smith, e fino a qualche anno fa ero sicuro di non riuscire a trovare una casa, né di essere considerato come un essere umano, a dire il vero. Di non essere in grado di fare nulla di buono e di avere un futuro nel carcere.
E nemmeno parlare davanti a un pubblico.
Ma andiamo per ordine.»
Mi fermo un momento a riordinare i pensieri, cercando di rimanere quanto più attinente alla struttura del discorso che Sayid mi ha aiutato a preparare.
«Provengo da una cittadina dello Utah, a qualche miglio da Salt Lake City. Si tratta di uno di quei posti dove tutti conoscono tutti sin dall'asilo, dove nessuno chiude la porta a chiave la sera, dove chiunque conosce il nome di chi devia dalla norma e li ostracizza. Quel qualcuno sarei io, salve di nuovo», scherzo, indicandomi.
«Eppure, nel mio caso, nessuno lo sapeva. Nessuno era a conoscenza della mia… “diversità”, perché i miei genitori si sono assicurati che la notizia non uscisse dalle mura di casa. Fatto sta che, raggiunti i quattordici anni, ho scoperto di essere omosessuale. Io… un ragazzo mezzo venezuelano che vive nella patria del mormonismo. L’ideale, vero?
La mia famiglia non ha accettato molto bene la notizia, hanno deciso che fosse più consono cacciarmi di casa e mentire sulla mia scomparsa,  dicendo a tutti di avermi mandato in un collegio in un altro Stato, sono venuto a scoprire da voci durante il mio vagabondaggio. Dopo quella notte di ormai nove anni fa, ho deciso di rinnegare il mio passato, cambiare nome e assumere un’altra identità in una città diversa. Fatto sta che le autorità locali hanno capito subito di non aver davanti un nuovo maggiorenne proveniente da un altro paese, anche perché il mio finto accento del nord mi ha tradito dopo poco e, a quattordici anni, ancora puzzavo di latte. Mi hanno piazzato in affidamento e sono finito all'inferno, dove ho conosciuto una delle persone più importanti della mia vita, la mia persona preferita, Alex.»
Sorrido un attimo nel ricordare.
«Alex era come me, differente, ma in quella casa per altri motivi. Presto abbiamo scoperto di che cosa sono capaci degli estranei quando non vengono controllati. Siamo stati torturati in quella casa, Alex ha quasi perso la vita, e alle autorità non importava. Semplicemente, avevano problemi più gravi di due deviati, senza appartenenza e figli di tossicodipendenti. No, non sto esagerando con le parole, così ci hanno definiti per quasi un anno. Alla fine, ne abbiamo avuto abbastanza e siamo scappati, riuscendo a far perdere le nostre tracce e raggiungere Salt Lake City. Lì abbiamo vissuto in strada per qualche mese, dormendo in un parco e rubando quello che ci serviva per sopravvivere. Avevo quindici anni quando sono finito per la prima volta in riformatorio, dopo essere stato scoperto a rubare in un 7-Eleven. Fortunatamente, avevano appena aperto un rifugio per giovani senzatetto appartenenti alla comunità LGBTQ. Una fortuna per noi, vero? Io, essendo omosessuale, e Alex, che si identifica come non-binary, saremmo stati accettati, giusto? E così è stato, ma dopo anni di maltrattamenti, non riuscivo a fidarmi, soprattutto perché era gestito da mormoni. Diciamo che le mie esperienze passate non erano molto felici. Eppure, ci hanno accolti immediatamente a braccia aperte, si sono preoccupati per la nostra situazione, ci hanno offerto subito una sistemazione. Mi sembrava tutto troppo…facile. Niente è facile in questa vita.»
Mi fermo un attimo, lasciando sospeso il pensiero.
«Sapete, quel rifugio è stato la prima casa sicura in cui sono entrato dopo quasi due anni. Non ci credevo. All’inizio ho fatto resistenza. Non conoscendo né il mio nome, né la mia residenza originale, e vedendo il mio impegno nel combinare guai per estendere in qualche modo la mia permanenza al riformatorio pur di non essere piazzato da solo in un’altra casa-famiglia, perché quello stavo facendo, hanno deciso di darmi in affidamento ai coniugi a cui apparteneva il rifugio: Josh ed Emma Winterfield, quei due brutti ceffi in prima fila, che ancora oggi sostengono me e gli altri nella nostra crociata, come se fossero i miei veri genitori. Mi dispiace ancora, ragazzi, ve ne ho fatte passare di cotte e di crude.
E da qui iniziano i guai, per i miei nuovi tutori. Prima che arrivassi, i rapporti con il vicinato non erano dei migliori. Dopo il mio arrivo, l'ennesimo litigio ha spinto i vicini a creare una petizione per far chiudere il rifugio. Insieme ad Alex e al mio attuale compagno, Sayid, abbiamo quindi lanciato un appello su Twitter per salvare la casa, in un breve video dove riprendevamo i manifestanti raggruppatisi nel vialetto adiacente, con tanto di cartelli e picconi, data la partecipazione della Chiesa Battista di Westboro, sempre presente in queste situazioni. Il video ha attirato l'attenzione delle emittenti locali e mi sono ritrovato improvvisamente sotto i riflettori. Il video continuava a girare su internet, il che è un bene se vuoi cercare un aiuto nel consenso popolare, ma non tanto se stai cercando di nascondere la tua vera identità e la tua attuale posizione. Già, in quel video ho pure specificato l'indirizzo di casa… un genio, vero?»
AIl pubblico ridacchia, facendomi sorridere.
Ora che ci ripenso, riesco a trovare il lato divertente della storia.
«Mio padre, il mio vero padre, si è imbattuto nel video. Ha quindi deciso di rompere la bugia e venire a Salt Lake City per cercarmi. Intanto io e altri ragazzi avevamo iniziato a lavorare per aiutare i miei due tutori con i problemi finanziari, pagare un avvocato per la causa apertasi – alla fine, avevano denunciato i Winterfield per mancata supervisione o qualcosa del genere – e, in generale, pagare quelle spese che servivano per mandare avanti un rifugio di quel genere, sovvenzionato in parte dallo Stato e gestito da volontari. Sta di fatto che l'unico lavoro disponibile era quello di commesso in un 7-Eleven»
Sento qualche mormorio, un commento incredulo. Spostò gli occhi nella direzione del suono e indicò una donna con la mano sulla bocca e la sorpresa evidente sul volto.
« Già: era lo stesso 7-Eleven in cui avevo tentato di rubare. Il direttore, che potrei tranquillamente definire un sant'uomo, perché quello è, ha deciso di darmi una seconda possibilità e mi ha assunto, con la promessa di non combinare guai. Con mio rammarico, l'ho infranta qualche settimana dopo.
La comparsa di mio padre mi ha scombussolato. No, è un eufemismo. Insieme a tutto ciò che stava succedendo, trovarmi davanti una delle due persone a cui per anni ho attribuito la causa di tutti i miei mali… mi ha sconvolto. Qualcosa si è rotto dentro di me, la mia psiche ha ceduto. Già l'ansia e lo stress mi avevano portato ad avere forti mal di testa, a svenire, ad arrabbiarmi. Dopo quella sera, ho iniziato a dimenticare. C’è stato un giorno particolare, forse quello stesso, di cui non ricordo un pezzo. L'attimo prima stavo tornando a casa da lavoro, quello dopo mi sono risvegliato rannicchiato in un parco, con le nocche insanguinate.
Credete che tutto quello che ho raccontato basti per cercare un aiuto professionale, vero? Non per me.
E la situazione è peggiorata quando mio padre ha deciso di aiutarci, essendo lui avvocato. Non volevo avere niente a che fare con lui, e me lo sono ritrovato in casa. Contate poi una minaccia da una coppia di estremisti, con tanto di esplosioni, disegni di casa in fiamme e messaggi sul muro con vernice rossa, e quindi un viaggio dalla polizia, con cui ho avuto solo contatti negativi, che ha trattato me e Josh con sufficienza, confermando i miei preconcetti… diciamo che quel giorno me ne sarei dovuto stare a casa, forse? Però a casa avevo mio padre, quindi non se ne parlava nemmeno.
Allora sono andato a lavoro con i nervi a fior di pelle. Sayid è venuto a trovarmi nel pomeriggio, a controllare come stessi, per vedere la situazione. Mi aveva fatto molto piacere, perché allora avevo un debole per lui… ma, nel sentirci flirtare scherzosamente, un cliente aveva espresso il suo dissenso, non soltanto per il nostro orientamento sessuale, faccio notare, ma anche per le nostre origini: io latine, Sayid arabe. È arrivato al punto di minacciare di denunciarli alla polizia come immigrati irregolari. Ne ho avuto abbastanza, il mio cervello si è spento, l'ho aggredito. Il direttore è intervenuto, è riuscito a immobilizzarmi prima di ferire gravemente quell'uomo e mi ha chiuso nel suo ufficio finché non è arrivata la polizia, e di questo gliene sono grato. Ripensando ai sensi di colpa che hanno seguito quell’aggressione, non immagino neanche come mi sarei potuto sentire se avessi continuato. Fortunatamente non lo dovrò scoprire.
Sono tornato in riformatorio, ma sono riuscito a riconciliarmi in qualche modo con mio padre, anche grazie a un aiuto mandato dal cielo durante una mia tentata fuga. La storia è già abbastanza lunga, non entrerò nei dettagli.
Quell'episodio non è passato inosservato alla corte. I Winterfield hanno perso la causa, hanno dovuto chiudere il rifugio e vendere la casa. I ragazzi sono rientrati nel sistema d'affidamento, e di alcuni si sono perse le tracce. Alex, invece, ha firmato insieme ai Winterfield le carte per la sua adozione ufficiale, dopo che i suoi genitori biologici hanno rinunciato alla propria potestà genitoriale.
Io sono tornato dalla mia famiglia, e ho riaperto un dialogo con mia madre. È stato un lungo e lento cammino, quello verso la riappacificazione, iniziato da una tolleranza basilare che si limitava al salutarsi a vicenda la mattina, per i primi tempi.
Ci sono voluti un paio di anni per ricreare un rapporto famigliare, ma Roma non è stata costruita in un giorno, vero?
Mi ha spiegato perché mi aveva buttato fuori di casa, aveva riconosciuto l'errore e, anche lei, ha cercato di lasciare il passato alle spalle e ricominciare.
Paradossalmente, i miei nonni mi hanno accettato subito, insieme a Sayid siamo pure andati a trovarli a Caracas, l'estate scorsa.
Oggi, per mia felicità, mamma è seduta accanto ai Winterfield, insieme a mio padre. Tutti e quattro hanno preso parte, chi direttamente, chi a puro sostegno morale, nella causa.»
Il pubblico applaude, mentre mia madre saluta tutti, con un sorriso sulle labbra.
«Dopo la chiusura del rifugio, io, Sayid, Alex e quache altro nostro amico abbiamo deciso di aiutare i ragazzi come noi, i reietti, i rifiutati dalle proprie famiglie. Una volta diventati maggiorenni, abbiamo aperto un nuovo rifugio per giovani senza fissa dimora, riservato ai ragazzi della comunità LGBTQ, supportati dalle nostre famiglie.
Quattro anni fa abbiamo creato la fondazione “Aaron Peterson” per la salvaguardia della gioventù della comunità LGBTQ, chiamata così in onore del primo luogo sicuro in cui siamo stati accolti e che oggi finanzia rifugi sparsi in tutta la nazione, contando migliaia di membri.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il vostro aiuto, di Josh, di Emma, e di papà e mamma. Ma soprattutto senza le donazioni che ogni giorno riceviamo e senza il lavoro dei nostri volontari.
Non è mai troppo tardi per cambiare rotta e imboccare la giusta via, credo di esserne la prova vivente.»
Il pubblico torna ad applaudire, e continua nonostante abbia ripreso a parlare.
«Sapete,» concludo, voltandomi a guardare Sayid e Alex, in piedi dietro le quinte, commossi per il mio intervento. Accanto a loro noto anche i Winterfield e i miei genitori, che si saranno spostati durante le battute finali.
Mi giro nuovamente verso il pubblico.
«In fisica, un sistema isolato è un sistema posto così lontano dagli altri da non interagire con loro, oppure un sistema chiuso che non ha scambi con l’ambiente circostante.
È un sistema perfetto, in equilibrio, costante.»
Sorrido orgoglioso, osservando gli sguardi davanti a me.
«Mi chiamo Noah Smith e mi hanno costretto in un sistema isolato, ma sono riuscito a sconfiggerlo insieme ad altri come me.
Grazie per aver partecipato a questa TedxTalk.
Vi auguro una buona serata.»
Con questo, saluto un ultima volta il pubblico in applauso e scendo dal palco, tornando nel dietro le quinte per essere accolto, a braccia aperte, dalla mia famiglia.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: SirioR98