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Autore: Lady1990    26/05/2019    2 recensioni
Ashwood Port, situata sulla costa del Massachusetts, vanta circa ventimila abitanti. Tre anni dopo la sua fondazione, risalente al 1691, fu teatro di un grande processo per stregoneria, mentre alla fine dell'Ottocento, durante la Guerra Civile, ospitò una sanguinosa battaglia. Al giorno d'oggi deve la sua popolarità a un florido commercio di pesce.
Le persone conducono una vita normale, spesso noiosa, perché nulla di sensazionale accade mai ad Ashwood Port.
Regan, sedici anni, erede dell'agenzia di pompe funebri McLaughlin, ha iniziato il liceo con un chiaro obiettivo in mente: stare lontano dai guai. Ma quando Teresa Meyers scompare senza lasciare traccia all'inizio dell'anno scolastico, Regan capirà di non avere altra scelta che lasciarsi coinvolgere nella follia che infesta Ashwood Port.
Infatti, quella di Teresa sarà solo la prima di una serie di impossibili sparizioni che, assieme ad altri eventi sinistri, si abbatteranno sulla tranquilla cittadina.
Tra fantasmi, streghe, licantropi, cacciatori, incubi e inganni, Regan si impegnerà per svelare il mistero. Ma a quale prezzo?
Anche se si è nati nell'oscurità, perdersi in essa è più facile di quanto si pensi.
[IN REVISIONE]
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Regan percepì un’ondata di calore bruciante diffondersi nelle sue vene. Gli fece ribollire il sangue e ardere le ossa, scatenando forti vampate che si riverberarono in tutto il suo corpo. Una piccola parte del suo cervello era curiosa di scoprire se stesse andando a fuoco. Il resto, invece, era concentrato su Sheila e sulla propria mano, ora avvolta attorno al collo della strega.

Lei boccheggiò, si aggrappò al suo braccio e lo guardò con occhi sbarrati. Tuttavia, non tentò di liberarsi come Regan si aspettava. Rimase passiva, le ciglia umide di lacrime e le labbra tremolanti.

“Dimmi. Come. Accedere. Alla vostra. Biblioteca. Segreta.” scandì Regan.

L’ordine perentorio venne espresso con una voce che non aveva nulla di umano. Era bassa, cavernosa, sinistra. Sembrava provenire dalle viscere della terra, là dove la lava dei vulcani giace in attesa della spinta che la farà eruttare con violenza per spandere distruzione ovunque.

Sheila ebbe uno spasmo, il suo sguardo si fece vacuo e i suoi arti si afflosciarono, come privati di colpo dell’energia che li aveva animati sino a un istante prima.

Le iridi di Regan si rifletterono in quelle azzurre della donna, due biglie del colore delle braci sonnecchianti circondate da una sclera nera, a sua volta incorniciata da occhiaie scure che delineavano i contorni delle orbite.

“Si deve recitare una formula e offrire un tributo di sangue.” gli disse in tono piatto.

“Un tributo? Io potrei offrirlo senza far scattare l’allarme?”

“No. Solo le streghe anziane possono.”

“E tu fai parte di quella cerchia fortunata, immagino.”

“Sì.”

“Molto bene. Congratulazioni, Sheila, hai vinto un viaggetto nei sotterranei.”

La strattonò per la gola, aderì con il torace alla sua schiena e le intimò di fargli strada.

“E mi raccomando, fa’ piano. Non vogliamo che Fiona ci scopra, giusto?” le sussurrò all’orecchio, “Prova a gridare e te ne pentirai. Non voglio farti del male, ma se mi costringi non avrò scelta.”

Lasciarono la cucina senza ulteriori indugi. I loro passi felpati producevano un lievissimo tud tud sul parquet, un suono che nessun orecchio umano avrebbe mai potuto cogliere, a meno che non si trovasse negli immediati paraggi. Regan tenne le sue ben aperte e non abbandonò mai la prudenza, arrestandosi subito se solo sentiva uno scricchiolio sospetto.

Via via che avanzavano, le ombre presero il sopravvento, arrampicandosi voraci sui loro vestiti e sulla loro pelle per divorarli in un sol boccone. L’alone freddo emanato dai lampioni in strada, che filtrava attraverso le finestre con pigrizia, era l’unica fonte di luce a tenerle a bada.

Raggiunsero e superarono un salottino dall’atmosfera accogliente, con tanto di caminetto, quadri di nature morte, divano di broccato e poltroncine imbottite. Svoltarono a sinistra in un altro corridoio e imboccarono una scorciatoia attraverso una grande camera stipata di vecchi mobili polverosi, ammonticchiati gli uni sugli altri in delle pile dall’aspetto più che precario, alte fino al soffitto. Regan non aveva dubbi che un minimo sfioramento avrebbe provocato una frana. Infine, si fermarono di fronte a una semplice porta di legno dipinta di bianco, situata in cima all’ennesimo corridoio.

Regan fece un passo indietro per dar modo a Sheila di aprirla. Lei poggiò la mano destra sul pomello di ottone, lo girò e spinse. La porta si spalancò su una rampa di scale che si tuffava nel buio. Scesero piano, attenti a non inciampare. Arrivati in fondo, Sheila gli fece strada verso una porticina, incassata tra due torrette di scatoloni ammuffiti. Non c’era maniglia o serratura. Adagiò un palmo sulla superficie scrostata.

Gofynnaf am fynediad.” pronunciò, e Regan tradusse senza problemi la richiesta di accesso, anche se non aveva idea di che lingua fosse.

Sheila si ferì di proposito sulle schegge che costellavano la porta. Il sangue la macchiò e venne assorbito dal legno, che scricchiolò in maniera inquietante. Un attimo dopo, uno schiocco riecheggiò per il seminterrato e uno spiraglio si aprì. Sheila spinse l’anta e Regan la seguì oltre la soglia, nell’oscurità più fitta che avesse mai visto.

Quando Sheila bisbigliò altre parole in quella lingua sconosciuta, grosse lanterne di vetro soffiato dalle forme eleganti e bombate si accesero come per magia, illuminando l’ambiente con la loro soffice luce bianca. Erano appese tramite dei ganci di ferro, posti a uguale distanza in cima agli alti scaffali che assiepavano una sala così enorme da non riuscire a scorgerne la fine.

Nemmeno il soffitto era visibile, o forse non esisteva. Gli scaffali erano immersi in un mare di fitta tenebra, tanto soffocante da far venire voglia di aggrapparsi alla solida mobilia per rimanere ancorati al presente, alla realtà, e impedire al vuoto di risucchiarti via.

Suddetti scaffali erano posizionati in modo da creare degli stretti passaggi, talmente intricati che Regan comprese da dove scaturisse l’idea del labirinto. Il pavimento era liscio e nero, macchiato qua e là con precisione maniacale dalle ombre proiettate su di esso dalle lanterne.

Regan deglutì e si guardò intorno basito. C’erano così tanti libri! Il suo cervello salivò alla prospettiva di mettere le mani su tutta quella conoscenza. Le ginocchia gli tremarono e il fiato si mozzò. Recuperò il controllo con un grande sforzo, rinserrò la presa attorno alla gola di Sheila e la sospinse in avanti.

“Cerca i libri di demonologia.” le ordinò brusco, frustrato all’udire il leggero tremolio nella propria voce.

La strega iniziò a camminare a passo sicuro attraverso i passaggi. Regan lesse alcuni titoli sulle costole dei libri che gli scorrevano a fianco, ma erano davvero troppi. Ci sarebbero volute almeno dieci vite per leggerli tutti.

Dopo un po’, Sheila si fermò di fronte a degli scaffali identici agli altri, fatti dello stesso legno e illuminati dall’alto dallo stesso tipo di lanterna. Tuttavia, i libri che li gremivano sprigionavano un’energia che gli fece accapponare la pelle. Quella che provava Regan non era paura, ma piacere. Seppe all’istante, appena li sfiorò con occhi avidi, che quei libri erano destinati a essere suoi.

“Prendine uno alla volta, assorbi il contenuto nella tua mente e rimettilo al suo posto.” comandò a Sheila.

Lei afferrò un tomo a caso, rilegato in pelle e leggermente consumato sui bordi. Lo aprì alla prima pagina e vi adagiò sopra una mano. Pronunciò a bassa voce la formula. Il suo corpo ebbe uno spasmo e la testa si riversò all’indietro, gli occhi chiusi e la bocca spalancata in un grido muto.

Durò una manciata di secondi, ma a Regan parve passare una piccola eternità. Poi Sheila tornò lucida. Ripose il libro dove lo aveva trovato, ne prese un altro e ripeté la formula. Continuò finché non assorbì tutti i libri della prima sezione.

A un certo punto, un gemito spezzò l’assordante silenzio e le sue ginocchia cedettero. Regan l’agguantò di slancio, proteggendole la testa con un braccio affinché non sbattesse sul pavimento duro. La sdraiò adagio e la esaminò con cipiglio critico. Notò che stava perdendo sangue dal naso e dalle orecchie e le iridi erano diventate quasi bianche.

Si morse un labbro e valutò la prossima mossa. Evidentemente era impossibile, nonché fatale, assorbire tanta conoscenza in così poco tempo. Doveva liberare spazio.

Si guardò intorno in cerca di un’idea. Lo sguardo gli cadde su un libricino che giaceva sullo scaffale più basso alla sua sinistra. Lo prese e lesse velocemente per appurare che non contenesse nulla di significativo. C’erano delle formule e dei pentacoli, ma non sembrava prezioso. Lo aprì all’ultima pagina, adagiò il palmo su di essa e recitò a memoria l’incantesimo per creare una dimensione magazzino nella carta.

Per conservare e proteggere, invoco spazio infinito.”

Pregò che, con l’aumento delle pagine, il libro non aumentasse pure di dimensioni, altrimenti non ce l’avrebbe mai fatta a trasportarlo fuori.

Sorreggendo Sheila da sotto le ascelle, la costrinse ad assumere una posizione seduta. La schiaffeggiò dolcemente per svegliarla. Non appena lei si destò, le ordinò di riversare le informazioni assorbite nel libro che le mise tra le mani. Seppur debole, Sheila ubbidì.

Sotto gli occhi meravigliati di Regan, le pagine del libro crebbero di numero e si riempirono di parole e simboli. Per fortuna, le dimensioni restarono quelle originali. Quando Sheila finì, Regan richiuse il libro e le pagine in più scomparvero alla vista. Schioccò la lingua soddisfatto e piegò le labbra in un ghigno.

“Ricomincia ad assorbire. Quando senti di essere vicina a raggiungere di nuovo il limite, trasponi le informazioni qui dentro.” le disse in tono più gentile e paziente.

Sheila riprese da dove aveva interrotto. Regan aspettò in silenzio al suo fianco, pronto ad afferrarla nel caso avesse perso l’equilibrio per via della stanchezza.

Dopo quelle che sembrarono ore, benché fosse impossibile scandire lo scorrere del tempo in quella dimensione, Sheila copiò anche l’ultimo volume di demonologia nel libricino. Era esausta, lo si vedeva chiaramente dalle occhiaie, dal respiro affaticato e dal pallore cadaverico del suo viso.

Regan si fece consegnare il libricino e lo nascose sotto la felpa, poi terse il sangue che colava dalle orecchie e dal naso della strega con una manica. Cinse la vita di Sheila con un braccio, le strinse una mano nella propria e, sorreggendola, la condusse fuori dalla biblioteca. Dopo averle ordinato di richiudere la porta, la guidò su per le scale del seminterrato. Ripercorse il tragitto che avevano fatto all’andata e, giunti in cucina, la depositò con estrema delicatezza su una delle sedie intorno al tavolo.

L’orologio a muro segnava le nove di sera, segno che non era passata che una misera oretta. Regan acuì l’udito e, con sollievo, appurò che Fiona era ancora nel suo studio.

Prese lo straccio abbandonato accanto all’acquaio e lo bagnò con acqua fredda. In ginocchio davanti a Sheila, mentre le teneva fermo il mento con due dita, terminò di ripulire la sua pelle dal sangue. Qualche goccia aveva macchiato il colletto del maglioncino color senape.

“Sheila, guardami.” le ingiunse con voce autoritaria e, appena lei obbedì, le diede l’ultimo ordine, “Vestiti e torna a casa. Assicurati di avvolgere bene la sciarpa attorno al collo prima di uscire, per celare le macchie di sangue. Non salutare Fiona quando te ne vai. Guida con prudenza, anche se sei stanca e l’unica cosa che desideri è rannicchiarti sotto le coperte e dormire per almeno un giorno intero. Se qualcuno te lo chiede, abbiamo parlato di Shannon per tutta la sera. Non siamo mai scesi nella biblioteca sotterranea, tutto quello che è successo là dentro non è mai avvenuto. Ripeti.”

Sheila ripeté, lo sguardo vacuo fisso in quello di Regan. Poi si alzò e Regan la seguì nell’ingresso, dove la osservò con il cuore pesante indossare cappotto e sciarpa. I suoi movimenti, compiuti in religioso silenzio, erano meccanici, come se fosse telecomandata. Regan non la salutò quando lei oltrepassò la soglia della villa. Avrebbe voluto ringraziarla, scusarsi, abbracciarla, ma si trattenne e aspettò che si chiudesse piano la porta alle spalle.

Rimasto finalmente solo, rilasciò un sospiro. Afflosciò le spalle, chiuse gli occhi e si strofinò la faccia con le mani. Un minuto dopo, aprì la porta della sua camera e scivolò all’interno senza emettere alcun rumore.

Estrasse da sotto la felpa il libro e lo nascose nella tasca interna del giubbotto, assieme ai diari di Shannon. Si inginocchiò di fronte all’armadio, aprì il borsone e tirò fuori l’ultima siringa per trangugiare in due sorsi il resto del contenuto. Non lo aiutò a sentirsi meglio, la debolezza seguitava ad assediare le sue membra come un ostinato invasore, ma gli restituì la lucidità mentale necessaria per fare i conti con un altro grosso problema: Fiona.

La Prima stava architettando qualcosa per toglierlo di mezzo. L’avvertimento di Sheila gli rimbombava ancora nel cervello, facendo risuonare migliaia di campanelli d’allarme. I motivi per cui all’improvviso Regan era diventato un bersaglio gli sfuggivano. Fiona non era sembrata spaventata dalla sua natura ibrida, all’inizio. Lo aveva accolto, seppur con qualche incertezza, lo aveva incoraggiato a inserirsi nella congrega e lo aveva convinto a cominciare i test per l’apprendistato. Allora perché adesso ce l’aveva con lui?

Qualsiasi fosse la ragione, Regan sapeva di non poter rimanere fino a domenica. L’indomani sarebbe passato dalla sinagoga in mattinata per sentire cosa avesse da dirgli il rabbino. Dopodiché, avrebbe fatto i bagagli per tornare a casa con un giorno di anticipo.

Si sdraiò sotto le coperte, afferrò il cellulare e controllò i messaggi. Ne aveva uno da parte di Roman, in cui il lupo gli chiedeva se ci fossero novità. Regan rispose che era riuscito a raccogliere del materiale. Copiò e incollò il messaggio per inviarlo anche a Deirdre e a Derek. Quest’ultimo gli rispose con parole entusiaste, aggiungendo che non vedeva l’ora di riabbracciarlo.

Regan poggiò il cellulare sul comodino e serrò le palpebre, conscio che i tarli molesti non lo avrebbero lasciato in pace finché non li avesse esaminati uno per uno. Aveva ancora numerosi interrogativi da vagliare: per esempio, come aveva fatto a usare il controllo mentale su una strega, dal momento che avrebbe dovuto essere impossibile esercitarlo su altre creature soprannaturali; oppure, quanto sarebbero durati gli effetti di suddetto controllo.

Sospirò sfinito. Era stata una giornata stressante, benché ricca di successi. Il sonno lo vinse in pochi minuti e l’ennesimo incubo lo avviluppò tra le sue spire, trascinandolo in un inferno infuocato.

 
*

Regan chiuse la cerniera del borsone, se lo caricò in spalla e abbandonò la camera senza voltarsi indietro. I piedi infilati nei calzini non producevano alcun suono sulla moquette del corridoio. Fece attenzione a evitare le assi scricchiolanti, perché la prudenza non era mai troppa. La mano libera stringeva gli anfibi, che avrebbe indossato solo quando avesse raggiunto la porta.

Era consapevole di non avere più tempo. Aveva già elaborato almeno quattro diversi piani di fuga, più altri cinque o sei di riserva nel caso fossero sorti degli imprevisti.

La prima tappa era nascondere il borsone in un luogo sicuro e non troppo lontano. L’opzione migliore sarebbe stata pagare un armadietto alla stazione e lasciarlo lì fino alla partenza, così da non portarsi dietro pesi ingombranti alla sinagoga, dove Rabbi Joseph lo aspettava per comunicargli il verdetto dei suoi superiori. Se però Fiona lo avesse intercettato prima, avrebbe dovuto lasciarlo alla villa, idea che non lo entusiasmava per niente perché avrebbe dovuto tornare a recuperarlo, ponendosi di nuovo nella linea di tiro della strega. Non solo, avrebbe anche dovuto spiegare i motivi per cui aveva anticipato il viaggio, rifilarle una balla abbastanza credibile da fugare ogni sospetto.

Scese le scale, piano ma deciso, le orecchie tese per captare il battito cardiaco di Fiona. Lo individuò nello studio, calmo e regolare. Trasse un bel respiro e camminò spedito verso la porta della villa. Attraversò a passi felpati lo spazio che lo separava dalla sala da pranzo, svoltò nel salotto e giunse in vista della porta d’ingresso. Mancavano giusto una ventina di passi al traguardo. Poteva farcela.

“Dove stai andando così furtivo?”

Regan non squittì. Il verso che rotolò fuori dalle sue labbra fu una manifestazione assolutamente virile della sorpresa che gli irrigidì i muscoli e gli trasformò il sangue in ghiaccio. Si portò una mano al petto e si girò lentamente.

“Fiona. Mi hai spaventato.”

La donna era in piedi sulla soglia del salotto, la schiena dritta e le braccia conserte. I suoi occhi scuri scavavano solchi nell’anima di Regan, come se stesse tentando di sviscerarlo dall’interno.

“Sto andando di nuovo alla sinagoga per parlare col rabbino.”

“E perché ti porti dietro il borsone?”

Regan mise in moto il piano B e riprese il controllo.

“Pensavo stessi dormendo. Avrei lasciato un messaggio a Sheila, così ti avrebbe avvertito lei della mia partenza anticipata. Ma ora che sei qui, lo dico direttamente a te. Sto partendo, come puoi vedere.”

“Ma ti resta ancora un giorno. E non hai completato i test.”

“Lo so, ma il demone ha attaccato di nuovo. Deirdre mi ha chiamato ieri sera, era terrorizzata. Devo tornare.”

“Rimani almeno per cena. Puoi prendere il pullman delle dieci ed essere ad Ashwood Port domenica mattina presto.”

Regan scosse il capo e si passò una mano fra i capelli, fingendosi combattuto.

“Dimmi una cosa, Fiona, e ti prego di essere onesta. Sei in grado di aiutarmi con il demone?”

Fiona serrò le labbra e strinse i pugni sulle costole, spiegazzando la stoffa della camicetta viola.

“No. Non ho esperienza con loro, solo con gli spiriti maligni.”

“Che differenza c’è?”

“Gli spiriti maligni erano umani, un tempo, soggetti alle leggi di Madre Natura. Con un rituale di purificazione e uno di esilio possono essere rispediti oltre il Velo. I demoni, al contrario, non vengono da Madre Natura. Sono il seme dell’Oscurità, dimorano in un mondo parallelo privo di vita e luce. Sono anche il triplo più potenti degli spiriti, quindi occorre altrettanto potere per scacciarli. Io, da sola, non potrei fare niente. L’intera congrega forse avrebbe una chance, ma ci sono troppe cose che potrebbero andare storte e non posso mettere a rischio la vita di coloro che ho giurato di proteggere.”

Regan annuì solenne, affatto stupito da quella risposta. Evitò di farle notare che lui stesso, da quando aveva firmato il contratto col sangue, faceva parte del gruppo di persone che Fiona doveva proteggere. Era ovvio che la Prima non lo considerasse allo stesso livello delle altre streghe, perciò era inutile insistere. Contratto o meno, Regan non sarebbe mai stato un Morgan agli occhi di Fiona.

“Allora credo che non abbiamo nient’altro da dirci. Non completerò l’iniziazione, ho cose più importanti a cui pensare. Ora vado alla sinagoga per parlare col rabbino, poi salirò sul primo pullman per il Massachusetts.”

“Un rabbino!” sputò sprezzante Fiona, “Le persone normali non saprebbero distinguere un demone da un folletto.”

“Ha detto che avrebbe presentato il mio caso ai suoi superiori e mi avrebbe fatto sapere. Siccome hai appena ammesso che non puoi aiutarmi, questa è un’opportunità che non posso lasciarmi sfuggire. Ho apprezzato quello che avete fatto per me, davvero, ma dovete capire che ho un demone di cui occuparmi. Degli innocenti stanno morendo, la mia famiglia e i miei amici sono indifesi contro quell’essere. Non posso far finta di nulla. Devo aiutarli con ogni mezzo disponibile, non importa quale prezzo sarò chiamato a pagare. D’ora in avanti, se un altro bambino sparirà, sarà colpa mia, perché non sono intervenuto quando potevo.”

Si aggiustò il borsone sulla spalla e si girò per andarsene, quando Fiona lo fermò.

“Resta comunque per cena, così potrai salutare per bene Sheila e i ragazzi. So che hai stretto amicizia con Poppy e Cole.”

“Mi dispiace, non ho tempo.”

“Un tè, allora.” insisté in tono più urgente, “Lascia pure il borsone, verrai a riprenderlo dopo.”

Regan si morse la lingua per impedirsi si sbottare che non voleva rimettere piede in quella villa mai più. Invece, si stampò un sorriso educato sulla bocca e annuì.

“D’accordo, vada per il tè. Prenderò il pullman delle sei.”

Posò il borsone dentro il guardaroba dell’ingresso, indossò gli anfibi e salutò la strega con un cenno. Uscì rapidamente, ansioso di respirare aria fresca e frapporre quanta più distanza possibile tra sé e Fiona. La sua aura lo metteva a disagio, vuoi per l’ostilità che emanava a dispetto della maschera di cordialità, vuoi per il monito di Sheila, grazie al quale aveva la certezza che Fiona stesse tramando qualcosa.

Sapeva che ritornare dopo alla villa non era una buona idea. Anzi, era chiaro come il sole che fosse una trappola. Tuttavia, non poteva abbandonare i suoi effetti personali tra le grinfie della congrega. Non che ci fosse chissà cosa nel borsone, eccetto vestiti e siringhe vuote. Pensandoci, non avrebbe perso niente lasciandolo a loro.

Scrollò con veemenza il capo, conscio della triste, e terribile, verità. I Morgan erano streghe e stregoni, ergo non ci avrebbero messo molto a scagliargli contro una fattura di qualche tipo se avessero messo le mani su qualcosa che gli apparteneva. Non aveva nemmeno la garanzia che Fiona non ne avrebbe approfittato mentre lui era alla sinagoga. Si era già reso vulnerabile, ormai, non aveva vie d’uscita.

Giunto alla sinagoga, trovò la porta accostata. Entrò, chiamò il rabbino e si diresse verso la sala dove lo aveva incontrato il giorno prima. La casa sembrava deserta. C’era solo un cuore che batteva da qualche parte nelle vicinanze.

Joseph non lo fece attendere più di qualche minuto. Emerse dalla stessa porta laterale che conduceva alla biblioteca, sfoggiando un’espressione funerea. La kippah era ben calcata sulla testa, la camicia bianca piena di grinze; la giacca nera pareva essere stata indossata in fretta e furia. Regan si augurò che la chiacchierata con i rabbini più anziani avesse dato i suoi frutti, altrimenti sarebbe stato di nuovo punto e a capo.

“Ah, Regan. Eccoti qui.”

“Salve. Sono tornato come mi aveva chiesto. Ci sono novità?”

Joseph si incupì: “Temo di no. Mi dispiace.”

“Perché?” domandò, trattenendosi dall’imprecare.

“Innanzitutto, hai detto di venire da un’altra città, perciò il tuo caso non rientra nella nostra giurisdizione. Dovresti rivolgerti alla sinagoga locale. Seconda di poi, praticare un esorcismo per scacciare un Chabalim è estremamente pericoloso. Nel senso che si rischia la morte. Tra i rabbini di Athens, nessuno è abbastanza preparato per combattere una creatura tanto potente. Terzo, mancano le prove che si tratti veramente di uno Shedim.”

“Ha spiegato loro che ci sono in ballo vite innocenti?”

“Sì, ma devi capire che sono spaventati. Esistono sacerdoti esperti in grado di praticare un esorcismo, ma, da quanto ne so, non risiedono negli Stati Uniti al momento. Se vuoi, posso contattarli a nome tuo ed esporre loro il tuo caso. Ti ricordo che, anche se accettassero di ascoltarmi, non c’è alcuna garanzia che si assumano l’incarico.”

Regan si afflosciò con la schiena contro il muro, schiacciato dalla frustrazione. L’unica soluzione, a quel punto, era rimboccarsi le maniche e calarsi nell’abisso di persona.

Ironico come, per un misero attimo, si fosse illuso di ricevere aiuto. Era stato un ingenuo a credere che l’universo avrebbe avuto pietà di lui, fornendogli soccorso. Adesso sapeva, con inoppugnabile certezza, che si sarebbe ritrovato ad affrontare le tenebre da solo. Prima digeriva il boccone amaro del rifiuto, prima avrebbe racimolato il coraggio di agire.

“Il massimo che posso fare è fotocopiare i rituali dai libri. Però mi raccomando: non azzardarti a praticare l’esorcismo da solo, non compiere azioni impulsive e, soprattutto, non credere a ciò che vedi. Cerca sempre le prove, indaga a fondo e non distorcere i fatti affinché si accordino alle tue teorie. Devi essere sicuro al cento percento, altrimenti non finirà bene.”

“Gradirei avere quei rituali. Non posso promettere di non usarli, ma posso giurare di stare attento.”

Joseph esalò un sospiro e si massaggiò le palpebre: “Se deciderai di tentare l’esorcismo, almeno assicurati di avere un uomo di fede al tuo fianco. Prete o rabbino, non importa. Non farlo da solo, capito?”

“Sì.”

“Bene. Seguimi.”

Si recarono in biblioteca, dove Joseph si prodigò subito a recuperare i testi giusti per fotocopiarli. Mentre la macchina lavorava, riempiendo il silenzio con ronzii e fruscii, Regan si sedette e iniziò a tamburellare le dita sul tavolo.

“Rabbi Joseph.”

“Mh?”

“Ha trovato qualcosa su Aharman?”

“Ah, giusto. Ricordavo di aver incontrato quel nome da qualche parte e, dopo una lunga ricerca, ho scoperto che Aharman è uno dei modi in cui è chiamato colui che incarna il Male nel culto dello zoroastrismo. Nei testi più recenti è conosciuto come Ahriman. Il suo appellativo originale, invece, era Angra Mainyu. Secondo la mitologia persiana, Ahriman era il gemello cattivo di Ahura Mazda, o Ohrmuzd, il dio creatore e portatore di luce.”

“Mitologia persiana?”

“Sì.”

Regan rifletté sulle implicazioni della scoperta. Se lo strano sogno che aveva fatto era una visione, allora forse la risposta alle sue domande risiedeva nella mitologia persiana, non in quella ebraica. Ma se era l’ennesimo inganno ad opera del demone per depistarlo, era meglio restare fedele alla teoria dello Shedim.

“Lei è proprio sicuro che io non potrei officiare l’esorcismo?”

“Hai fede in Dio, ragazzo?”

“No.”

“Come mai? Dato che credi nei demoni, perché non credere anche in Dio?”

Regan lo trafisse con un’occhiata raggelante, tanto affilata che l’uomo si pietrificò sul posto.

“Se esiste, di certo quelli come me non godono del Suo favore.”

“Cosa intendi?”

Regan ghignò e, abbandonando la prudenza, gli mostrò le zanne. La rabbia che provava stava offuscando il suo giudizio, ne era consapevole, ma era stanco di nascondersi, di mantenere il controllo, di fingersi normale. Desiderava solo sguinzagliare il suo vero io ed espellere la bolla di negatività che gli corrodeva l’anima.

Joseph boccheggiò, arretrando di un paio di passi, fino ad aderire con la schiena a uno scaffale. Il pallore del suo incarnato risaltava ancora di più in contrasto con la barba scura. L’uomo era il ritratto dello sgomento. Dopo qualche minuto, tuttavia, si riscosse e osservò Regan come se lo vedesse per la prima volta.

“Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa celato oltre il velo della realtà quotidiana. La fede tiene la mia mente aperta, mi rende più incline a credere a ciò che gli altri reputano una mera fantasia o superstizione. Eppure, mai avrei immaginato…”

Lasciò la frase in sospeso e gli si accostò titubante, ogni passo lungo una piccola eternità. Quando gli fu di fronte, allungò una mano verso la guancia di Regan. Sussultò al contatto con la pelle fredda e vellutata. Nei suoi occhi ardeva una scintilla curiosa, rapita, quasi avesse ricevuto un’epifania.

“Come sei venuto al mondo?”

“Da grembo di donna, ovviamente. Una strega.”

“E tuo padre?”

“Non so chi sia.”

“Le zanne… sei un… un vampiro?” gli costò molto pronunciare quelle parole.

“Mia madre è stata uccisa da due di loro. Il veleno è penetrato in me attraverso il sangue e il cordone ombelicale. Sono sopravvissuto per miracolo.”

“Tu sei un miracolo.”

“Certo, come no.” replicò in tono neutro, per poi puntare lo sguardo sulla fotocopiatrice, “A che punto siamo?”

“Ti prego, non andartene. Ho così tante domande…”

“Magari un’altra volta.” Regan tagliò corto e si scansò dal tocco di Joseph, che era passato ad accarezzargli le orecchie e la nuca, dimentico delle buone maniere.

Joseph ritirò lentamente la mano e si voltò come in trance per radunare i fogli e spillarli. Appena consegnò a Regan tutto l’occorrente, estrasse una penna dal taschino della camicia e vergò velocemente un numero di telefono.

“Restiamo in contatto. Risponderò a qualsiasi domanda sul rituale e ti guiderò al meglio delle mie possibilità. Se avrai successo, in cambio ti chiedo il permesso di venire a farti visita nella tua città per… approfondire la nostra conoscenza.”

Regan lo squadrò dall’alto in basso con sussiego, la bocca storta in una smorfia scettica.

“Che cosa desidera davvero, Rabbi Joseph?”

Joseph si umettò le labbra e trasse un ampio respiro: “Questa vita mi è sempre stata stretta. Ho tentato di obbedire agli insegnamenti sacri, vivendo giorno dopo giorno nella luce di Dio, ma non mi basta.”

“E…?”

“Se… se me ne darai l’opportunità, ti dimostrerò che sono degno.” balbettò febbrile e gli afferrò le spalle in una morsa d’acciaio, “Posso offrirti cose… ti insegnerò tutto ciò che so. Sarò il tuo servo finché lo vorrai.”

Regan si scostò bruscamente, ignorando il suo sguardo spiritato, e gli schiaffeggiò le mani con rabbia.

“Vuoi essere come me? È questo che stai dicendo?” lo apostrofò invelenito, accantonando a sua volta l’educazione, “Preferiresti camminare nelle tenebre per sempre, senza alcuna speranza di redenzione, piuttosto che vivere una vita serena e piena di amore?”

“Sì.”

Lo sguardo del ragazzo si indurì, diventando simile a un ghiacciaio perenne.

“E così sia. Quid pro quo. Mantieni la tua parte dell’accordo e io manterrò la mia. Ammesso che io sopravviva al demone.”

Il sorriso che curvò le labbra di Joseph ricordò a Regan quelli dei fanatici zelanti. Sbuffò internamente. Che quello sciocco scambiasse pure la luce con le tenebre, non era affar suo. Se Joseph era convinto, non lo avrebbe dissuaso. Una persona con una salda morale avrebbe provato a fargli cambiare idea, ma Regan non vantava sani principi quando trattava con gente che per lui contava meno di zero.

In tutta onestà, non sapeva se il suo morso fosse in grado di trasformare un essere umano. Beh, poco male. In caso di fallimento, avrebbe comunque avuto una sacca di sangue a sua completa disposizione. L’unico obiettivo che gli premeva ora era sconfiggere il demone.

Strinse al petto il pesantissimo plico di fotocopie e se ne andò senza salutare. Tornò alla villa poco dopo pranzo. Di nuovo, la trovò vuota, eccetto per Sheila e Fiona, entrambe rintanate nello studio.

Aprì il guardaroba dell’ingresso per riporre le fotocopie nel borsone. Non sembrava che qualcuno lo avesse toccato, non solo perché i vestiti erano appallottolati nel medesimo modo, ma anche perché su di essi c’era soltanto il suo odore. Poi si recò in cucina. Indossava ancora il giubbotto, non volendo separarsene per nulla mondo dato che all’interno conservava il libro incantato e i diari di Shannon.

Stava rovistando nel frigo, quando Sheila apparve sulla soglia con un sorriso tirato.

“Ciao.” disse Regan, scrutandola da capo a piedi con una lunga occhiata per valutare le sue condizioni.

Sheila era rigida, il viso contratto in un’espressione severa e guardinga. Regan si mise subito in stato di allerta. Chiuse il frigo e la fronteggiò.

“Fiona vorrebbe parlarti nel suo studio.”

Ci siamo, pensò Regan.

“A proposito di cosa?”

Sheila si limitò a fargli cenno di andare, in un palese indizio che le cose stavano per mettersi male. Regan decise di agire a sua volta, prima che fosse troppo tardi.

In un lampo la raggiunse, le avvolse il collo in una mano e, serrando la presa, la fissò dritta negli occhi, come aveva fatto la sera precedente. Ignorando il suo squittio sorpreso, si concentrò e richiamò a sé l’energia rovente che aveva percepito nel sangue e nelle ossa quando l’aveva soggiogata. Quella rispose prontamente e lo avviluppò in una bolla calda, che lo rinvigorì in pochi istanti.

“Va’ in biblioteca a prendere un quaderno vuoto, poi scendi nel seminterrato ed entra nella biblioteca segreta. Memorizza i libri più utili e i grimori più potenti e riversa il contenuto nel quaderno. Quando le pagine finiscono, pronuncia l’incantesimo per renderle infinite e continua a riempirle. Non farti scoprire. Quando hai finito, metti il quaderno nel mio borsone, nel guardaroba dell’ingresso. Se qualcuno ti chiede qualcosa, rispondi che sono i miei appunti di erbologia.”

Sheila rabbrividì, lo sguardo vacuo e le labbra socchiuse. Regan la osservò annuire e ritirarsi in direzione della biblioteca. Aspettò. Non appena la vide camminare verso il seminterrato con un quaderno sottobraccio, si preparò ad affrontare Fiona.

Di fronte alla porta dello studio, squadrò le spalle. Dopo un momento di esitazione, sollevò una mano e bussò. Fiona lo invitò a entrare e gli disse di accomodarsi su una poltrona. Il suo viso era indecifrabile, la sua postura statuaria. Soltanto i suoi occhi neri rilucevano di vita.

“Sheila ha detto che desideri parlarmi.”

Invece di rispondere, la strega si alzò dal suo trono e andò alla teca dove conservava le stoviglie per il tè, deliziose tazze di porcellana e cucchiaini d’argento. Versò acqua fredda in due tazze e le scaldò con un incantesimo. Sollevò il coperchio della scatola delle bustine con i filtri e lo inclinò verso di lui per farglielo vedere.

“Rosa selvatica o limone?” gli domandò.

“Ehm… limone?”

“Latte? Zucchero o miele?”

“Un cucchiaio di miele e un goccio di latte, grazie.”

Regan avvertiva la tensione nella stanza, tanto forte da risultare quasi palpabile. Si impose di essere prudente e analizzare ogni singolo gesto di Fiona, così come la disposizione degli oggetti e della mobilia. La via per la porta era libera, ma quando i suoi occhi si posarono sugli stipiti scorse delle rune intagliate nel legno. Rune che prima non c’erano, ne era certo. Quello, più di tutto il resto, confermò che qualcosa bolliva in pentola.

Una volta che entrambi ebbero una tazza di tè fumante davanti al naso, Regan si schiarì la gola.

“Volevi parlarmi?”

“Com’è andata la visita alla sinagoga?”

“Non mi aiuterà con l’esorcismo, ma il rabbino mi ha fornito delle copie di alcuni rituali. Non so ancora cosa ne farò, ma è meglio di niente. Almeno non tornerò a casa a mani vuote.”

Sorseggiò il tè. Il sapore aspro del limone era attenuato dal miele e dal latte. Il calore sprigionato dalla bevanda lo riscaldò dall’interno, a partire dallo stomaco, facendogli accapponare la pelle.

“Oh, c’è una cosa che vorrei chiederti, Fiona. Per caso, sai come si fa a distinguere i sogni normali da quelli premonitori?”

“Perché lo vuoi sapere?”

“Faccio degli incubi molto vividi.”

“Mmm… non esiste un metodo comprovato. Più che altro, è una questione di istinto. Coloro che possiedono la chiaroveggenza, dicono di sentire quando hanno una visione. Grazie all’esperienza, diventa sempre più facile distinguere fra sogni e visioni. Ma a chi, come te, è alle prime armi dico ‘chi vivrà, vedrà’.”

Regan esalò un sospiro stanco. Non aveva idea di quante volte avesse ripetuto quel verso durante i giorni trascorsi con la congrega, ma gli sembravano tante. Era stufo marcio dell’innata capacità di Fiona di imitare alla perfezione una Sibilla. Cosa doveva fare per ottenere risposte sensate, o quantomeno utili? Pregarla in ginocchio? Offrirle vergini in sacrificio?

Sbadigliò. Confuso, scrollò il capo e si massaggiò le palpebre per scacciare il torpore.

“Sono esausto.” farfugliò, posando la tazza mezza vuota sulla scrivania.

Si accasciò sulla poltrona, i muscoli ridotti a gelatina e i nervi pervasi da un formicolio fastidioso. Le tempie pulsavano, pallini colorati gli punteggiavano la vista. I contorni degli oggetti vennero avvolti dalla nebbia e il mondo si capovolse e vorticò come se fosse a bordo di una giostra.

“Che cosa…” biascicò, faticando persino ad articolare le parole, “Fi-Fiona…?”

La udì bisbigliare qualcosa. Ci mise un po’ a registrare la formula magica, ma, quando accadde, gelò sul posto.

La carne è pietra, il sangue è ghiaccio, la voce è muta.” disse in una lingua che suonava parecchio simile a quella che aveva usato Sheila per aprire la biblioteca segreta.

Nella penombra della stanza, Regan scorse il baluginare di una lama ricoperta di rune. La mano stretta sull’elsa del pugnale era pallida e magra, le unghie laccate di rosso. Gli occhi offuscati colsero una saetta d’argento piegarsi in una rapidissima parabola, diretta verso la sua gola. Non avrebbe potuto evitarla, il suo corpo era pesante come un macigno.

Domande come “Perché Fiona brandisce un pugnale?” o “Perché non riesco a muovermi?” attraversarono la sua mente simili a effimere comete, prima di cedere lo spazio a pensieri più pressanti, tipo come sopravvivere a una gola tagliata. L’ultima volta, Derek lo aveva salvato facendogli bere il suo sangue. Ma adesso Derek non c’era e, a parte Fiona, non aveva riserve di sangue a portata di mano.

All’improvviso, il formicolio si fece più acuto e pungente, quasi che il suo sangue si fosse trasformato in acido e stesse sfrigolando nelle vene. Un sapore aglioso gli esplose sul palato, sovrastando quello del limone. I respiri si trasformarono in agonizzanti rantoli muti, che non videro mai la luce a causa dell’incantesimo.

La lama del pugnale adesso era premuta sul suo collo, appena sotto il pomo d’Adamo. Al contatto, la sua pelle si lacerò e bruciò. Fiona gli girò intorno e si fermò dietro di lui.

“Lo senti, non è vero? L'arsenico che entra in circolo e avvelena ogni parte di te. Inodore, letale per un normale essere umano. Ma non per il nostro Regan. Tu non sei umano, dico bene?” sibilò al suo orecchio, “Per un terzo vampiro. Per un terzo stregone. Per un terzo demone.”

Regan sbarrò le palpebre, gli occhi puntati sul soffitto, su cui era dipinto un intricato sigillo. Perché prima non lo aveva notato? I simboli emettevano un bagliore cangiante, segno che stavano adempiendo al loro scopo, così come l'arsenico. Perché aveva bevuto il tè? Prima regola di sopravvivenza: mai accettare cibi o bevande da qualcuno che sai che vuole ucciderti. Quanto era stato idiota!

Fiona entrò nel suo campo visivo e lo scrutò dall’alto con una smorfia sprezzante.

“Hai ereditato più dei capelli da Stefan Black.” sputò quel nome come se avesse un gusto ripugnante, “L’oscurità che dorme in te inghiottirà la terra e tutte le sue creature se non la rispedirò nell’abisso da cui è nata. Peccato che quei vampiri non siano riusciti a terminare il lavoro. Quando li ho scelti, credevo avessero il giusto potenziale, ma…”

Passò la lama sull’altro lato del collo di Regan e ghignò quando lo vide contorcersi in spasmi. O, quantomeno, provare a contorcersi, dato che era costretto all’immobilità dal suo incantesimo.

“Ti rivelerò un segreto.” sussurrò, poggiando la guancia sulla spalla di Regan, e lo scrutò di sbieco, “La cara Shannon cercò di ucciderti quando alla fine si accorse che il bambino che portava in grembo era un mostro. Provò e riprovò, arrivando a usare persino un coltello per aprirsi il ventre e tirarti fuori. Ahimè, tu non volevi morire. La tua energia guariva ogni ferita che lei si procurava, mantenendola sana e forte. Nemmeno il digiuno forzato o l’insonnia funzionavano. Nessun incantesimo. È per questo che ho mandato i vampiri. È colpa tua. Il tuo attaccamento alla vita è risultato nella morte di tua madre.”

Gli occhi di Regan non erano più appannati per via del veleno, ma per le lacrime che si stavano velocemente ammassando dietro le ciglia. Il dolore che gli era esploso nel petto gli aveva mozzato il fiato. E la rabbia, anzi, la furia che gli ruggiva dentro non aveva eguali.

Percepì una vampata di energia fresca montare nel suo ventre, serpeggiare nello stomaco e diramarsi fino alla punta delle dita. Capì che il suo corpo stava combattendo il veleno e l’incantesimo, con risultati promettenti. Così si impegnò a nasconderlo a Fiona, imponendosi di rimanere fermo, anche se avrebbe tanto voluto spaccarle il cranio sulla prima superficie disponibile.

“In fondo, si è quel che si è, Regan. Tua madre era una strega, tuo padre un demone… e tu non sei altro che un abominio.”

Abominio. Regan stava iniziando a odiare in maniera viscerale quella parola. Bruciava come un marchio a fuoco sull’anima, lo soffocava come un cappio di filo spinato attorcigliato attorno alla gola, lo appesantiva come una palla di piombo legata alla caviglia. Non riusciva a liberarsene, non importava dove andasse. Simile a una lettera scarlatta incisa sulla pelle, una “A” che non aveva nulla a che vedere con l’adulterio, sembrava l’unica cosa che lo indentificasse agli occhi degli altri esseri soprannaturali, fossero essi streghe, licantropi o cacciatori.

Era stufo marcio.

Senza alcun preavviso, le sue mani presero fuoco. Le fiamme lambirono la poltrona e si innalzarono feroci in un vortice rovente, distruggendo il sigillo sul soffitto.

Fiona strillò spaventata e si lanciò verso la porta, una mano premuta davanti alla bocca per non inalare il fumo e l’altra ancora stretta attorno all’elsa del pugnale.

Con la forza della mente, Regan bloccò la porta e fece scattare la serratura. Poi fletté le dita per incoraggiare la circolazione, scrocchiò il collo e, lentamente, si alzò in piedi, stagliandosi al centro di quell’inferno di fuoco come il Diavolo in persona.

E un diavolo fu proprio ciò che vide Fiona. Avvolto dalle fiamme, la sua figura magra e pallida pareva uscita da un incubo. Occhiaie violacee occupavano tutta l’orbita, e viola erano pure le labbra sottili. Gli occhi erano due tizzoni ardenti in due laghi neri, privi di emozione. La sua ombra, proiettata sui quattro muri dello studio in uno strano gioco di luci, si ingrandì poco a poco e torreggiò su di lei, facendola sentire in trappola. Dalle dita emersero artigli e sulla testa dell’ombra spuntarono sette spine ricurve che la incorniciavano come una sorta di corona.

Fiona rinserrò la presa sul pugnale. Pronunciò un incantesimo e lo scagliò contro Regan. Le rune rifulsero, cariche di energia. Tuttavia, il pugnale non arrivò mai a colpire il bersaglio, perché una barriera di fuoco si erse davanti a Regan e lo disintegrò.

La distrazione valse comunque allo scopo. Fiona pronunciò un contro-incantesimo per aprire la porta e barcollò nel corridoio, già invaso dal fumo. Corse verso il salotto. Le altre streghe erano lì come programmato, pronte all’azione.

“Attivate i sigilli, presto!” ordinò Fiona.

In quel momento, Regan si affacciò dallo studio. Prima fecero capolino gli occhi, poi una mano, che artigliò lo stipite, e infine il resto del corpo. Ovunque toccasse, il fuoco divampava, spietato e implacabile.

Le streghe serrarono i ranghi. Scostarono i divani e i tavoli e cominciarono a intonare incantesimi. Eressero una barriera che li proteggesse dagli attacchi di Regan e, al contempo, permettesse loro di attaccarlo impunemente. La loro forza combinata risultò in una barriera forte e spessa, che li avvolse sotto una cupola trasparente. Fiona era davanti al gruppo, le braccia protese, pronta a scagliare incantesimi offensivi non appena Regan fosse apparso.

Il suo arrivo venne annunciato dal fuoco. Lingue arroventate lambirono muri, mobilia, tende, e salirono fino al soffitto e ancora più su, verso i piani superiori. Poi Regan svoltò l’angolo, camminando come se non avesse alcuna preoccupazione al mondo. Il pavimento si incendiò sotto i suoi anfibi, e con esso i tappeti.

“Prestatemi la vostra energia!” gridò Fiona.

Le streghe si strinsero intorno a lei e posarono le mani sulle sue spalle.

Nascosta dietro la porta della sala da pranzo, Poppy osservava con occhi sgranati l’inferno che circondava le streghe, le membra pietrificate dalla paura. Tra di loro c’erano anche i suoi genitori.

Non avrebbe dovuto essere lì. Le avevano ordinato di restare a casa. Ma appena aveva capito cosa avevano intenzione di fare a Regan, dopo aver origliato una conversazione privata tra sua madre e suo padre, non aveva potuto nascondere la testa nella sabbia.

Il piano era semplice: convincerli della bontà di Regan e pregarli di lasciarlo tornare a casa sano e salvo. Peccato che fosse andato in fumo, letteralmente, non appena era arrivata. Il fuoco, infatti, le aveva sbarrato il cammino un minuto dopo essersi intrufolata nella villa dalla finestra.

Il pensiero che Cole l’avrebbe raggiunta a breve la riscosse. Estrasse il cellulare e gli scrisse un messaggio conciso, dicendogli di non venire. Conoscendolo, l’amico non l’avrebbe ascoltata, ma valeva la pena fare un tentativo. Quando puntò di nuovo lo sguardo sulle streghe, implorò la Dea affinché avesse pietà di loro.

Poco dietro Fiona, Andrew contrasse i muscoli e digrignò i denti, cercando di mantenere i nervi saldi per non infrangere la barriera protettiva. I suoi occhi saettarono per la stanza in cerca della madre. Non trovandola, un brutto presentimento serpeggiò in lui.

“Fiona, dov’è mia madre?”

“Non è qui?”

“Non te lo avrei chiesto, se lo fosse.”

All’insaputa di tutti, Sheila si era rintanata nel guardaroba accanto all’ingresso. Non sapeva bene perché fosse lì. Era come se una forza invisibile la bloccasse, impedendole di uscire. Ai suoi piedi c’era il borsone di Regan. Inalò il fumo e tossì, mentre gli occhi si riempivano di lacrime.

Il fuoco si propagò per le stanze con una rapidità allarmante e il fumo dilagò dappertutto, formando una cappa irrespirabile nel salotto. I primi incantesimi vennero lanciati con inaudita precisione, ma si schiantarono contro un’impenetrabile parete di fiamme e si dispersero in scintille colorate.

Allora, Fiona decise di combattere il fuoco con il fuoco. Attinse all’energia delle altre streghe e agguantò l’elemento per piegarlo al suo volere. Creò un arco e una freccia e li lasciò sospesi dinanzi a sé. Quindi mirò e scoccò.

Regan afferrò la freccia infuocata con la mano e la spezzò nel mezzo, guardandola dissolversi nuovamente in scintille con espressione annoiata.

“Fiona.” la chiamò con voce cavernosa, inumana.

“Datemi altra energia!”

“La barriera si romperà!” l’avvertì Andrew, ormai allo stremo.

“Maledizione.” imprecò e si guardò intorno con occhi animati da una luce febbrile, “D’accordo, non ci resta che scappare. Non oserà seguirci in strada.”

A quelle parole, Regan ghignò. In risposta a un tacito ordine mentale, tutte le serrature della villa scattarono, tagliando ogni via d’uscita. I sigilli magici disegnati su pareti e soffitti si sgretolarono, i lampadari caddero sul pavimento con boati assordanti. La terra tremò.

“Fiona, Fiona, Fiona.” cantilenò Regan, la bocca piegata in un finto broncio, “Non hai ancora capito che non uscirai viva di qui?”

“Taci, mostro! Voi altri, concentratevi sulla barriera!” comandò, cercando di sovrastare il rombo dell’incendio combinato a quello del terremoto.

La porta del guardaroba si aprì cigolando e Sheila, finalmente, barcollò fuori tossendo.

“Sheila, corri! Presto!” la spronò Fiona, invitandola con cenni urgenti a raggiungerla, “Non sta funzionando!”

Regan fissò Sheila con iridi di brace, prive di qualsivoglia parvenza di amore: “Oh, Sheila. Mia cara e dolce nonna.”

“Mi dispiace…” singhiozzò la donna, “Ho tentato di avvertirti, ma…”

Al che, i lineamenti di Regan si ammorbidirono: “Lo so. Per questo ti risparmierò. Va’ in cucina e lascia gli altri a me.”

“Cosa…?”

“Va’. Non temere, il fuoco non ti farà del male.”

“Ti prego, risparmia anche Andrew! Ho già perso una figlia!” supplicò piangendo.

Regan diresse lo sguardo sullo zio, valutandolo con cipiglio critico.

“Non abbandonerò mai la mia congrega!” replicò sprezzante Andrew, quasi la sola idea di battere in ritirata lo disgustasse.

“Perfetto, abbiamo risolto. Forza, Sheila. Non vorrai farmi arrabbiare...” proferì Regan con un sorriso serafico.

Sheila indietreggiò, il cuore già in lutto. I suoi singhiozzi accompagnarono la corsa verso la cucina e, presto, furono inghiottiti dal crepitio delle fiamme.

“E ora veniamo a te, Poppy. Credevi che non ti avessi notata?” disse Regan, voltandosi verso la sala da pranzo.

Poppy si affacciò tremando, pallida come uno spettro. Deglutì e, sforzandosi di non svenire dalla paura, fronteggiò Regan.

“Poppy! Che ci fai qui?!” urlò Savannah, atterrita quanto lei, “Non ti azzardare a toccarla, abominio, o te la farò pagare!”

“Mi dispiace, Poppy.” sospirò Regan, “Non avrei mai voluto che mi vedessi in questo stato. Anche se non so di preciso cosa mi stia succedendo, ad essere onesto. Bah, dettagli.”

“Ti prego, non far loro del male.” lo implorò con voce rotta la ragazza, “So che non sei un mostro. Dimostra loro che si sbagliano. Sii migliore e lasciali andare.”

Regan scosse debolmente il capo: “È troppo tardi. Anche se lo facessi, continuerebbero a darmi la caccia. So come pensano le persone come loro, come agiscono. Nessuna azione, nessuna parola mi redimerà mai ai loro occhi. Non si ragiona con i fanatici.”

“Non vuol dire che devi per forza ucciderli. Potresti, ehm, potresti cancellare loro la memoria! Ecco, sì! Io non conosco l’incantesimo, ma di sicuro sarà scritto in uno dei grimori di Fiona. Rimuoverai dai loro ricordi quelli relativi a te e sarà fatta!”

“Sei così ingenua.” Regan le sorrise intenerito, “Non finirebbe con loro, Poppy. Se ho inquadrato bene Fiona, avrà certamente già avvertito il Consiglio dei Sei, allertato tutti i suoi alleati e ideato dei piani di riserva in caso questo fallisse. Cosa che accadrà. Non ho scampo, prima o poi verranno a prendermi. Ma se sfoltisco sin da ora i ranghi dei miei nemici, forse avrò una chance di salvarmi, alla fine di tutto.”

Poppy cercò gli occhi della Prima. Quando in essi lesse la conferma alle parole di Regan, smise di trattenersi e scoppiò a piangere.

“La-lascia andare almeno i m-miei genitori…”

“Non posso, lo sai. Ora raggiungi Sheila, io devo portare a termine l’opera.”

“Cosa?”

“Tu non mi hai fatto niente.” spiegò Regan, “Anzi, hai provato ad essermi amica, mi hai ascoltato e mi hai teso una mano. Simili atti di sincera gentilezza hanno un valore particolare per me. La tua ricompensa sarà la vita. Promettimi soltanto che non verrai mai a cercarmi con cattive intenzioni. Se lo farai, non avrò pietà. Non sono un fan delle terze possibilità.”

“Poppy, va’ da Sheila.” le ordinò Savannah, “Non morirai oggi, tesoro.”

Poppy scosse il capo, lo sguardo deciso nonostante i brividi di paura che l’assediavano.

“Ascolta tua madre, Poppy. Va’.” scandì lo stregone accanto a Savannah, mentre accarezzava con sguardo triste la figura della figlia un’ultima volta.

La gentile esortazione di suo padre ebbe più effetto dell’ordine prepotente di sua madre. Poppy scoppiò in singhiozzi. Realizzando di non avere alternative, corse verso la cucina e ci si chiuse dentro.

Regan sospirò, ruotò le spalle e scrocchiò il collo. Non appena batté le mani, l’impatto palmo contro palmo sprigionò una nuvola di scintille incandescenti. Le streghe rifocalizzarono l’attenzione su di lui.

“Bene, dove eravamo?”

Le streghe non persero tempo: si riunirono in un fronte compatto e ricominciarono a formulare incantesimi. Mulinelli di vento sferzarono l’aria e diradarono il fuoco; sfere d’acqua si abbatterono sulla barriera che avvolgeva Regan; il fumo si addensò fino a formare armi impalpabili, ma non meno letali.

Regan parò ogni assalto con una smorfia seccata. Si chiese quanto ancora avrebbe dovuto aspettare prima che le streghe esaurissero l’energia. A giudicare dal pallore sui volti di più della metà, non molto.

Dopo qualche minuto, stufo dell’inettitudine di quel branco di incapaci, li scaraventò contro il muro con la sola forza del pensiero e li immobilizzò, sospesi a un metro da terra.

Si accostò a Fiona, alitandole in faccia per godere da vicino del suo disgusto e annusare meglio il dolce odore della sua paura.

“Hai commesso due errori fatali, strega: primo, sei stata impaziente e, secondo, mi hai sottovalutato.”

Fiona assottigliò le palpebre e spinse il petto in fuori, in un ultimo, patetico tentativo di apparire padrona della situazione. Se solo non fosse stata incatenata al muro da corde invisibili, senza alcuna speranza di salvezza, Regan sarebbe rimasto colpito.

“Non sono tanto stupida da non capire di aver perso. È chiaro che non sarò io a infliggerti il colpo di grazia, ed è un peccato. Ma un giorno, che sia domani, tra dieci anni o venti o più, incontrerai la fine che meriti, Regan. Il tuo è un destino da cui non puoi fuggire. Se tu amassi davvero questo mondo, ti strapperesti il cuore dal petto da solo; perché morire è l’unico modo che hai per proteggere chi dici di amare. Adesso non mi credi, e va bene. Ma ricorda le mie parole quando i tuoi cari ti tradiranno, quando l’oscurità che hai dentro estinguerà le vite di quelli che ti sono rimasti fedeli, quando i loro corpi cadranno come mosche e il loro sangue inzupperà la terra su cui cammini.” sibilò, per poi sputargli in faccia.

Regan si asciugò la guancia senza tradire alcuna emozione. Dopodiché, sollevò una mano, premette fra di loro medio e pollice e schioccò le dita. Le streghe vennero fagocitate da vortici di fiamme, che mangiarono i loro vestiti e le loro carni con estrema ferocia, riducendole ad arti bruciacchiati e rantoli di dolore.

Fu in quell’istante che Regan realizzò che il suo sogno si era appena svolto di fronte ai suoi occhi, fotogramma per fotogramma, con una precisione tanto maniacale da lasciarlo scombussolato.

Si guardò intorno, realizzando di non avere tempo per rimuginare. La casa stava crollando e, in lontananza, poteva udire già le sirene dei vigili del fuoco. Gli rimanevano pochissimi minuti per filarsela.

Corse al guardaroba e, dopo essersi assicurato che Sheila ci avesse messo dentro il quaderno, si caricò in spalla il borsone. Quindi andò in biblioteca per arraffare quanti più manuali riusciva a trasportare, poiché perdere una simile fonte di conoscenza era un peccato. Ignorò i libri di facile reperibilità, favorendo piuttosto quelli rari e dall’aspetto antico. Fece una tappa nello studio di Fiona per scoprire se ci fosse ancora qualcosa di salvabile, ma era stato tutto ridotto in cenere.

Acuì l’udito e appurò che i vigili del fuoco erano giusto a un isolato di distanza. Rapido, si diresse in cucina per dare il via libera a Sheila e Poppy. Le vide dalla parte opposta della stanza, sedute con la schiena al muro, strette l’una all’altra. Piangevano e singhiozzavano, i corpi scossi da potenti singulti e attacchi di tosse.

“In piedi. I soccorsi stanno arrivando.” le esortò.

Poppy aiutò Sheila ad alzarsi, prendendo su di sé la maggior parte del peso della donna.

Non compirono che tre passi prima che il forno esplodesse. L’onda d’urto le scaraventò con violenza contro la parete di destra e il fuoco bruciò le loro carni. Morirono sul colpo, lasciando un allibito Regan a boccheggiare con aria smarrita in mezzo alla cucina.

Per lunghi momenti rimase a fissare i corpi delle due streghe, ridotti ad ammassi carbonizzati. I bulbi oculari si erano sciolti. Le orbite erano due piccole voragini buie e fumanti. Brandelli di stoffa erano ancora incollati qua e là sulla pelle annerita. Lo scalpo era esposto, eccetto per qualche sparuto ciuffo di capelli sopravvissuto per miracolo. Puzza di carne bruciata aleggiava per tutta la stanza.

Lo shock lo costrinse all’immobilità durante gli agonizzanti secondi che l’immagine impiegò per scavare un nido nella sua memoria.

Le urla dei vigili del fuoco si intrufolarono nel ronzio che gli aveva preso in ostaggio le orecchie. Scrollò il capo, distolse lo sguardo e si aggiustò il borsone sulla spalla con mani tremanti. Si avvicinò alla finestra per guardare fuori. Una volta confermato che non ci fosse nessuno, scavalcò il davanzale e uscì in giardino.

I vigili erano assiepati nel cortile che aggettava sulla strada, perciò l’unica soluzione era fare il giro largo, strisciando raso terra come un soldato in trincea. Si calò il cappuccio della felpa nera sulla testa, si sdraiò a pancia in giù sull’erba e, pian piano, si fece strada verso la casa sulla sinistra, distante appena un centinaio di metri.

Da lontano udì la voce disperata di Cole chiamare il nome di Poppy e una fitta di rimorso gli mozzò il fiato. Cacciò quel sentimento in fondo alla coscienza e continuò ad avanzare.

Il suo cuore, adesso, era calmo e neanche una goccia di sudore gli imperlava la fronte. Non provava niente. La morte di Sheila e Poppy era stato un fuori programma, eppure non si sentiva scosso. Sapeva di essere ancora sotto shock, che il vero incubo sarebbe iniziato nel momento in cui avesse deciso di affrontare la realtà.

Non ora, si ripeté.

Aggirò la casa dei vicini dei Morgan, scoprendoli impegnati a fissare con orrore dalla veranda l’incendio alla villa. Poi attraversò la strada di corsa e sgattaiolò in vicoli secondari, attento a non attirare gli sguardi dei passanti. I suoi vestiti puzzavano di fumo, ma, con un po’ di fortuna, nessuno lo avrebbe collegato all’incendio.

Le sirene della polizia risuonarono per tutta la città, disturbando la quiete di Athens. La gente si affacciò alle finestre per osservare il cielo tinto di arancio. Alcuni uscirono in strada, le mani premute sulla bocca e gli occhi sgranati.

Regan accelerò il passo. In poco tempo raggiunse la stazione. Il pullman che doveva prendere stava già imbarcando i passeggeri. Si mise in fila, mostrò il biglietto e si sedette in uno dei posti in fondo. Fulminò con lo sguardo un uomo che tentò di appropriarsi del sedile accanto a lui, poi indossò le cuffie e si spruzzò il deodorante sui vestiti con quanta più discrezione possibile. Infine, scrisse a Deirdre che stava partendo con un po’ di anticipo.

Accese il lettore mp3 e chiuse gli occhi, deciso a non pensare. Si sarebbe crogiolato nel senso di colpa quando avesse frapposto quante più miglia possibili tra sé e Athens. Ma non ora.

 
*

La cantina di casa Sullivan era spaziosa, in grado di contenere almeno una cinquantina di persone. Si estendeva ben oltre il perimetro della casa vera e propria, superando i confini di proprietà delle abitazioni adiacenti. La sua esistenza era nota esclusivamente a un ristretto gruppo di persone, le stesse che adesso si trovavano lì, in attesa che la riunione cominciasse.

Derek era appoggiato al muro con una spalla, le braccia conserte e l’aria forzatamente annoiata. I suoi occhi, però, non si perdevano alcun movimento, le sue orecchie nessuna parola. Suo padre era in piedi dietro un tavolo, sul quale erano sparse mappe frammiste a fascicoli. Una lampada lo illuminava dall’alto, disegnando la forma della sua testa e delle spalle sulle carte.

Derek sapeva che i fascicoli appartenevano a Regan e ai Sinclair, mentre le mappe ricalcavano i quartieri in cui abitavano. L’unico fascicolo ancora chiuso, abbandonato vicino al bordo sinistro del tavolo, era quello relativo al demone.

Gli occhi del giovane cacciatore saettarono su Gregory e Kevin, seduti su delle sedie di plastica pieghevoli dall’altro lato della stanza. Derek avrebbe voluto raggiungerli, ma non poteva. Presto si sarebbe riconnesso a loro, avrebbe spiegato il motivo delle proprie azioni e ripreso il suo posto nella triade, ma non era ancora il momento. Subire il loro rifiuto, ricevere il loro disprezzo non era stato facile. Anzi, lo stava uccidendo. Se la loro ignoranza non fosse stata necessaria per il suo piano, avrebbe svelato le sue carte tempo fa.

Quando gli ultimi due cacciatori del clan Chou entrarono in cantina e si richiusero la porta alle spalle, Augustus si schiarì la gola. Nella stanza calò il silenzio e tutti gli sguardi si appuntarono su di lui.

“Ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare. Fatima, rapporto.”

Fatima Chou, la madre di Kevin, squadrò le spalle e si fece avanti. Un movimento brusco del capo scostò alcune ciocche dal suo viso diafano e i capelli ricaddero morbidi sulla schiena in una cascata color pece. I suoi occhi, simili a opali duri e freddi, dardeggiarono fra i presenti. Quando spinse il petto in fuori, la maglietta nera si stirò sui seni piccoli, evidenziando la pancia piatta e i fianchi stretti. Un piccolo passo in avanti fece sì che il ticchettio dei tacchi degli stivali riecheggiasse per la cantina.

Il suo aspetto delicato e minuto aveva spinto molti a sottovalutarla, a credere di potere avere la meglio su di lei. Ma Derek, come la maggior parte dei cacciatori lì radunati, sapeva che sottovalutare Fatima era un errore che avrebbe potuto costare la vita persino al più coriaceo dei veterani. Fatima Chou era una cacciatrice coi controfiocchi, letale, tagliente come la lama della spada che spesso la vedevi lucidare e affilare con la stessa cura che si riserverebbe a un figlio. Era una forza della natura imprigionata nel corpo di una donna.

“Regan McLaughlin si trova ad Athens, come sappiamo. Al suo arrivo, è entrato in contatto con la congrega Morgan per chiedere aiuto contro il demone. Presumo sia venuto a sapere di loro da Deirdre, ma resta ignoto il come sia riuscito a convincerle ad aiutarlo. Inoltre, vi porto notizie allarmanti: le mie spie sono certe che le streghe lo abbiano iniziato alla magia. Significa che Regan ha sangue magico nelle vene. Se lo abbia ereditato dal padre o dalla madre, non lo so, ma di certo da uno dei due.”

Un brusio concitato si diffuse per la stanza. Derek avvertì il sangue gelarsi nelle vene. Gregory emise un basso ringhio e chiuse le mani a pugno sulle ginocchia. Kevin rimase impassibile, come la madre.

Augustus sedò i mormorii con un gesto secco della mano e invitò Fatima a continuare.

“A questo punto, è chiaro che Regan non è tanto un ibrido, quanto uno stregone vampirizzato. L’aver conservato la parte umana lo rende più ricettivo alla magia, perciò più che capace di imparare a maneggiarla. Stando così le cose, avanzo ufficialmente la proposta di alzare di almeno due tacche il suo profilo, portandolo da un bersaglio di categoria gialla a uno di categoria rossa.”

“Rossa? Non ti sembra di esagerare?” domandò Isaiah Ferguson, uno dei cugini di Gregory.

Il suo atteggiamento strafottente irritò i Chou, che gli scoccarono occhiate torve. Fatima, però, mantenne un aplomb invidiabile. Squadrò con cipiglio severo Isaiah, prendendo nota dello strato di barba incolta sul viso e dell’appena visibile gonfiore sulla pancia. La mancanza di azione si traduceva sempre nell’aumento di peso nei Ferguson, un tipico tratto di famiglia di cui non erano mai riusciti a liberarsi. Bastava che rimanessero inattivi per qualche mese e subito i muscoli cominciavano a liquefarsi in grasso. Forse perché mangiavano come bisonti.

“Un ibrido di vampiro è già pericoloso di suo.” spiegò, guardandolo dritto negli occhi, “Se aggiungiamo il suo retaggio magico, Regan diventa una creatura imprevedibile e potenzialmente letale. Non possiamo più permettergli di gironzolare indisturbato.”

Augustus avvicinò a sé il fascicolo di Regan per sfogliarlo. Era pieno zeppo di foto fatte di nascosto e rapporti dei vari cacciatori che si erano alternati nel sorvegliarlo. Compreso Derek.

“Voi che ne pensate?” domandò Augustus a Noah, capoclan dei Ferguson, e a Edward, capoclan dei Chou.

I due uomini si accostarono al tavolo, il primo con l’espressione tipica di una bestia assetata di sangue, il secondo con una smorfia indecifrabile.

“Approvo la richiesta di Fatima Chou.” dichiarò Noah, accarezzandosi la folta barba rossa.

Derek colse con la coda dell’occhio un ghigno ferino allargarsi sulla faccia di Gregory.

“Mi astengo.” disse invece Edward, alternando lo sguardo tra Fatima e Augustus, “Non voglio agire senza prove concrete che Regan McLaughlin è una seria minaccia per la comunità. Mia moglie ama le mosse preventive, e molto spesso mi trovo d’accordo con lei. Ma non stavolta. Regan è benvoluto, adesso. Toglierlo di mezzo potrebbe provocare conseguenze inaspettate, che potrebbero ritorcersi contro di noi.”

Potrebbero, esatto.” sputò Noah, “Ho sempre ammirato la tua prudenza, Eddy, è una delle tue migliori qualità. Onestamente, però, nel caso di Regan mi permetto di dissentire. Avremmo dovuto ucciderlo nella culla.”

Augustus mugugnò sovrappensiero, lasciando scivolare gli occhi dalla figura snella di Edward a quella più grossa e imponente di Noah. Infine, sbirciò in direzione del figlio e lo vide irrigidirsi. Fu un cambiamento impercettibile, quasi impossibile da cogliere. Se Augustus non avesse conosciuto Derek come le sue tasche, nemmeno lui lo avrebbe notato.

“Tu che ne pensi, Derek? Sei quello più coinvolto.”

Derek strinse i pugni e si impose di restare dove era. Gli sguardi di tutti i cacciatori gli pesavano addosso come un macigno: quelli dei Ferguson erano sdegnati e disgustati, quelli dei Chou granitici, imperscrutabili. Non li ricambiò, mantenendo l’attenzione fissa sul padre.

“Sottovalutare Regan sarebbe un grosso errore. Ha dimostrato più e più volte di essere un eccellente attore e stratega. Ma è pur vero che, finora, non ha mai fatto del male a nessuno. Gli ho dato numerose occasioni per pugnalarmi alle spalle, eppure sono ancora vivo. Non dubito che attaccherebbe se si sentisse minacciato, ma chi non lo farebbe? La mia opinione è di lasciarlo stare finché non commetterà un passo falso. Se accadrà, sarà nostro diritto fare ciò per cui siamo nati, senza temere ripercussioni.”

“Sporca troietta.” sussurrò cattivo Gregory, ma nessuno lo udì a parte Derek, che non reagì.

“Perché aspettare?” si intromise Fatima, “Perché non tendergli una trappola per incoraggiarlo a compiere quel passo falso?”

Augustus inarcò un sopracciglio e piegò le labbra in un sorrisetto colpito: “La tua spietata arguzia è lodevole. Prenderò in considerazione la proposta se mi porterai una strategia infallibile.”

“Sarà fatto.”

Derek serrò le labbra, mordendosi l’interno di una guancia per tenere a freno la lingua.

“Bene, andiamo avanti col prossimo argomento: i Sinclair. Che facciamo con loro?”

“Innocenti.” grugnì Noah, palesemente scontento, mentre si passava una mano tra i corti riccioli color carota, “Potremmo tendere una trappola anche a loro. Ma se attacchiamo senza essere provocati, rischieremo di trovarci il Consiglio degli Alfa alla nostra porta.” 

Edward annuì grave, gli occhi a mandorla puntati sul fascicolo: “Se fosse un branco sconosciuto, non credo batterebbero ciglio. Ma stiamo parlando dei Sinclair. Sebbene il loro branco conti appena una manciata di membri, il loro nome incute ancora rispetto nelle alte cerchie.”

“Con loro ci andremo cauti, allora.” sancì Augustus, “Sanno della nostra presenza?”

“Probabilmente no, ma non ne siamo certi.” rispose Fatima.

“Okay.” Augustus sospirò e agguantò il fascicolo al bordo del tavolo, aprendolo con gesto brusco e un’espressione cupa, “Per quanto riguarda il demone, ci sono novità? Derek?”

“Regan è convinto che si tratti di un Chabalim. Tuttavia, non ha prove a sostegno della sua teoria.”

“Cos’ha intenzione di fare?”

“Da quello che ho intuito, vuole raccogliere informazioni per praticare un esorcismo.”

“Avrà bisogno dell’aiuto di un sacerdote.”

Derek scrollò una spalla.

“Nessuno è riuscito a scoprire nulla di più?” insisté Augustus.

Il silenzio che piombò sui cacciatori fu una risposta sufficiente.

Augustus sbuffò spazientito: “Così non va.”

“Posso suggerire di aspettare il ritorno di Regan?” disse Derek, “Lasciamogli tentare un esorcismo. Dal risultato, sapremo con che cosa abbiamo a che fare. Se avrà successo, significa che era davvero un Chabalim e ce lo saremo tolti di torno senza alzare un dito. Se fallirà, otterremo informazioni in più e ci porteremo in vantaggio.”

“Concordo con la strategia di Derek.” disse Kevin, aprendo bocca per la prima volta.

Derek gli rivolse un cenno di gratitudine e distolse velocemente di nuovo lo sguardo.

“Mi sembra ragionevole. Ci sono obiezioni?” chiese Augustus.

“No, nessuna.”

“Strategia approvata.” decretò, chiudendo il fascicolo, “Se non ci sono altre questioni di cui discutere, aggiorno la prossima riunione a tre giorni a partire da oggi.”

I cacciatori sciolsero i ranghi, raccolsero le proprie cose e uscirono alla spicciolata. Soltanto Derek e suo padre rimasero indietro, i loro occhi incatenati in una lotta di sguardi.

Appena furono soli, Augustus guardò con apprensione il figlio: “Come sta procedendo il tuo piano?”

“Bene. Devo ancora mettere a punto gli ultimi dettagli, ma in linea generale direi che ci siamo. Tutti i pezzi sono al loro posto. O ci andranno presto.”

“Ti sei già accordato con lei?”

“Sì. Collaborerà. Almeno per quanto riguarda Regan. Non ho nemmeno dovuto convincerla. Quando le ho spiegato le mie intenzioni, ha accettato subito. Con il demone, però, non vuole avere nulla a che fare.”

“Comprensibile. Comunque, sei fortunato ad aver ottenuto l’aiuto di una Vila. Alle ninfe non piacciono i cacciatori.”

“E a chi piacciono?” sbuffò con un sorriso amaro.

“Vero.”

“La mamma?”

“Torna domani.”

Roman si passò una mano fra i capelli ed esalò un lungo sospiro.

“Cosa c’è?” gli chiese Augustus.

“Vorrei avere i miei fratelli al mio fianco. Non mi piace avere segreti con loro.”

“Hai deciso tu di agire da solo.”

“Lo so, ma…”

“Gregory e Kevin capiranno, non preoccuparti. E se il tuo piano andrà a buon fine, anche Regan ti sarà grato. Potremmo persino accoglierlo in famiglia.” disse con un lieve sorriso incoraggiante.

Derek fece una smorfia e scrollò una spalla: “Questo è da vedere. Ma sarebbe bello.”

Augustus lo invitò a sedersi al tavolo e andò a recuperare una bottiglia dall’armadietto vicino all’entrata. La stappò e prese un’ampia sorsata, per poi passarla al figlio. L’odore dell’aneto gli stuzzicò le narici, l’alcool gli bruciò la gola.

“Brindiamo a te, figlio mio. Diventerai un grande capoclan, un giorno. Non ho dubbi.”

Derek si sforzò di sorridere e tracannò un sorso di liquore.









 
  
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