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Autore: _Lightning_    27/05/2019    6 recensioni
Nataša si ritrova a indugiare a lungo davanti alla porta di Tony. [...]
Potrebbe bussare, ma si guadagnerebbe solo una risposta aspra, o più probabilmente un silenzio sterile. Così si limita a trafficare per pochi secondi con la serratura, aprendola con uno scatto metallico e scivolando dentro in un sol gesto, chiudendo poi la porta dietro di sé.

[Post-Infinity War // Hurt/Comfort // Tony&Nat // PoV Nataša]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Schegge'
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Premessa: L’idea e la prima stesura di questa storia, strettamente legata alla mia long Comunicazioni Interrotte, precedono di molto Avengers: Endgame. Vi sono delle piccole coincidenze tra i fatti narrati qui e quelli avvenuti effettivamente nel canon: esse sono puramente casuali, e non manipolate in seguito alla visione del film. Di contro, è presente anche qualche discrepanza, appunto perché la long che funge da base è stata scritta e completata prima di Endgame.
La canzone che accompagna il testo è Misguided Ghosts dei Paramore.
Buona lettura!


 

Ferite
 
 
 
 

1. Del corpo
 
 
 
“I'm going away for a while
But I'll be back
Don't try and follow me
'Cause I'll return as soon as possible
See, I'm trying to find my place
But it might not be here where I feels safe”
 
 
 
Le ultime note gravi del temporale si disperdono in lontananza, inviando una bassa vibrazione attraverso i muri del palazzo. Le goccioline di pioggia sulla vetrata hanno smesso di rincorrersi frenetiche seguendo rivoli imprevedibili, e scivolano ora pigramente sulla superficie liscia, ricamando di riflessi liquidi la lastra buia della savana.
 
Nataša avverte il tuono riverberarle nelle ossa e rimane in ascolto ad occhi chiusi, seduta sulla tromba delle scale con le mani a coppa dietro le orecchie per amplificare le voci di Steve e Tony al piano di sotto. Si è posizionata sulla rampa superiore rispetto alla sala comune, perché se sarà Steve ad andarsene per primo, sa che scenderà in palestra senza vederla; e se invece sarà Tony, sa che salirà verso la propria stanza senza poter evitare di incrociarla.

Sente le loro voci concitate, ne segue l’andamento cogliendo solo poche parole con chiarezza assoluta; ma non importa, perché ciò che conta è il loro tono accusatorio e colmo di bile. Nella sua testa si forma l’immagine di un coltello che viene rigirato nella piaga, accentuata da ogni scossone di quello che ormai è diventato un litigo di parole aspre e abbaiate, di ringhi bassi e difensivi. Distingue Tony che alza insolitamente la voce e capta il nome di Peggy; socchiude gli occhi, trattenendo un sospiro nella speranza che Steve non lo uccida sul posto. Una pausa elettrica si interseca nella discussione, e suona come un punto fermo1.
 
Poco dopo riconosce i passi di Tony che si avvicinano, più leggeri di quelli di Steve e resi diseguali dall’andatura zoppicante. Lascia ricadere in grembo le mani quando lo sente imboccare le scale, per poi trovarselo davanti. Prende nota della cravatta storta e della camicia stropicciata sul davanti, oltre al modo contratto in cui preme un palmo sul fianco. Lui avanza a capo chino e non si accorge subito di lei, ma quando alza gli occhi incrociando i suoi ha un sussulto. Il suo volto s’indurisce, dipinto della stessa, risentita accusa che le ha rivolto a Lipsia; continua a stringersi il fianco con una mano e sale con pesantezza le scale, superandola senza degnarla di una parola né di un ulteriore sguardo, impettito nel suo completo disfatto. Lei non cerca di fermarlo e rimane immobile, finché non sente la porta della sua stanza che sbatte con violenza, riecheggiando nei corridoi deserti.
 
C’è silenzio, ora. O almeno ci sarebbe, se non fosse per l’anomalo brusio di sottofondo che le invade di nuovo la testa. Pensieri, ricordi, forme confuse che è sempre riuscita a tenere a bada e che adesso sembrano aver trovato una falla irreparabile nel suo muro d’autocontrollo, come cenere che si insinua in ogni crepa. Scaccia da davanti agli occhi il velo freddo del Cremlino innevato e il lumicino rossastro di una sigaretta accesa nel buio2, alzandosi elastica sulle gambe irrigidite.
 
Si avvia senza fretta verso la sala comune, quietando i propri pensieri ad ogni respiro, ad ogni passo studiato – come quando camminava elegante seguendo le parallele, sul parquet di legno scuro e lucido di cera. Tiene con mano ferma le redini dei ricordi, ma quelli continuano a mordere il freno, oscillando tra il mattonato ghiacciato della Piazza Rossa, il profilo dolce e ondulato di prati verdeggianti calpestati da piedi infantili, e l’infinita parete a specchio che evitava sempre di guardare per non incrociare i propri occhi.

Continua ad avanzare in punta di piedi, sul ciglio del baratro.


 
*
 
 
“And we just go in circles
And now I'm told that this is life
That pain is just a simple compromise
So we can get what we want out of it”
 
 

Nataša prega che Steve non sia così impulsivo da seguirla, ma pensa di essere stata abbastanza chiara anche senza esprimersi a parole3.

Si ritrova comunque a indugiare a lungo davanti alla porta di Tony. Segue intenta i suoi movimenti nervosi dall’altro lato: i passi strascicati avanti e indietro, lo scroscio ripetuto del rubinetto in bagno, i respiri spezzati e trattenuti per gesti troppo bruschi, finché non sente il rumore delle scarpe scalciate via di malagrazia e il cigolio secco del materasso. Potrebbe bussare, ma si guadagnerebbe solo una risposta aspra, o più probabilmente un silenzio sterile. Così si limita a trafficare per pochi secondi con la serratura, aprendola con uno scatto metallico e scivolando dentro in un sol gesto, chiudendo poi la porta dietro di sé.
 
I suoi occhi si abituano rapidi alla penombra: le tapparelle sono abbassate e l’unica luce proviene dal tavolino nell’angolo sul quale è poggiato il reattore. Una tinta fredda permea la stanza. Avanza in punta di piedi, silenziosa, e Tony non muove un muscolo. Continua a darle ostinato le spalle, sdraiato sulle coperte con la giacca del completo abbandonata per terra e la cravatta che pende dal davanzale, come se le avesse scagliate via con foga. Nataša comprime le labbra: la stanza ha un solo letto singolo, e lui lo occupa completamente, anche rannicchiato su se stesso. Quel dettaglio le punge il cuore con inaspettata veemenza.
 
«Chi è il mandante?» si solleva infine la voce di Tony, bassa e strascicata. «O è un’iniziativa personale?» continua più pungente, sempre senza muoversi.
 
Nataša si lascia sfuggire un sospiro, incrocia le braccia e colma la distanza tra la soglia e il letto con passi svogliati e ben udibili.
 
«Questo mutismo è una tattica d'interrogatorio che hai imparato al KGB o mi stai solo ignorando?» chiede di nuovo Tony, chiuso nel suo loop di insopportabile sarcasmo.
 
«Perché ogni volta che ti vengo incontro me ne fai pentire il secondo dopo?» si decide a rispondere lei, altrettanto sferzante, mentre aggira il letto per guardarlo in faccia.
 
Lui gira con indolenza il capo verso di lei, con il volto ancora sprofondato per metà nel cuscino. Ha gli occhi lucidi e respira in modo leggermente affaticato, con le braccia strette a cingersi il busto.
 
«Funziono così, e ormai dovresti sapere che schierarti dalla mia parte porta guai.» Fa una pausa a effetto, sollevandosi poi a fatica sul gomito per stringersi il mento tra le dita con fare pensoso. «Oh! Forse è per quello che non sei mai davvero dalla mia parte…»
 
«Stark,» lo richiama lei, accigliandosi e serrando la mascella per la sua indisponenza.
 
«… come a Lipsia, per esempio; avrei gradito una lettera di rinuncia, ma immagino che pugnalarmi alla schiena sia un equivalente accett–…»
 
«Posso parlare con Tony o devo continuare a sopportare il suo ego irritante e fuori luogo?» sbotta a quel punto Nataša, puntandosi le mani sui fianchi e squadrandolo dall’alto con severità.
 
Lui sembra pensarci su, e vede distintamente la battutina che gli pende dalle labbra fare marcia indietro, trattenuta da un breve sospiro.
 
«Che ci fai qui?» chiede, appianando il tono di voce ancora scostante.
 
«Quello che volevi: faccio da mediatrice.»
 
«Un tempismo impeccabile, Romanov.»
 
La sua risposta acida segna una pausa nel discorso, se mai ce n’è stato uno. Lo vede affondare di nuovo il volto nel cuscino, trattenendo un lamento indistinto, e Nataša vede come ora tenga un palmo premuto direttamente sul fianco. E la chiazza rossa che si allarga sulla stoffa sotto alle sue dita irrigidite. Nataša rinuncia momentaneamente a continuare la discussione, allarmata. Poggia un ginocchio sul materasso e si china su di lui per scostargli la mano, vincendo la sua debole resistenza e ignorando il suo sguardo risentito.
 
«Lasciami, sto bene,» sibila, cercando di sottrarsi, ma Nataša lo blocca sul posto con una lieve e mirata pressione, riuscendo così a sollevargli la camicia quel tanto che basta per scoprire la ferita.
 
«Non ti sei neanche fatto medicare come si deve,» lo rimprovera seccamente, trattenendo a stento una smorfia preoccupata nel vederne le condizioni.
 
«Ti ho detto che sto bene,» ricalca lui, strattonando il lembo della camicia per coprirsi di nuovo il fianco, lasciandosi però sfuggire uno spasmo.
 
Nataša si rimangia un insulto, fulminandolo con lo sguardo: era ovvio che avrebbe ignorato il suo consiglio di far controllare la ferita a Shuri4, ma non pensava che sarebbe stato davvero così stupido da lasciarla infettare.
 
«Stai perdendo sangue.»
 
«E allora?»
 
«Allora togliti quella camicia e fatti aiutare, prima di svenire o andare in setticemia,» conclude, senza scartare l’eventualità di doverlo davvero mettere KO per curarlo.
 
Lui la fissa con sguardo un po’ appannato, esitando, anche se sul suo volto permane quella sua tipica espressione da bambino capriccioso. Nataša gli pianta rapida una mano sulla fronte, e lui non è abbastanza vigile per ritrarsi; la trova madida e bollente, più di quanto si aspettasse. Tony si lascia sfuggire un moto di sollievo per quella breve frescura e cessa di opporre resistenza, scosso da un tremito.
 
«Hai già la febbre, muoviti,» mormora Nataša, prendendo nota del suo pallore.
 
Si siede sulla sponda del letto e lo incita con un cenno sbrigativo. In un’altra occasione, Tony l’avrebbe bombardata di battutine maliziose e allusioni impertinenti; magari si sarebbe anche spogliato in modo volutamente lascivo per prenderla in giro, come aveva fatto una volta, durante una missione in cui si era ferito alla gamba dopo le sue solite prodezze spericolate. Stavolta si limita ad accettare il suo appoggio per tirarsi su a sedere e prende a sbottonarsi in silenzio la camicia, con movimenti meccanici, lo sguardo perso nella penombra della stanza. Sembra assente, forse intontito dal dolore fisico, forse troppo sopraffatto da quello mentale. Lo aiuta a far scivolare l'indumento dalle spalle, evitandogli una torsione dolorosa, e lui lo posa di fianco a sé a occhi bassi, stringendo appena la stoffa macchiata di sangue tra le dita.
 
Lei lancia un’occhiata clinica alla piaga e si affretta a recuperare l’occorrente dall’armadietto dei medicinali e a lavarsi le mani nel bagno adiacente; si ferma poi ad osservarlo brevemente dalla soglia, vedendo che nel frattempo si è chinato in avanti coi gomiti sulle ginocchia e le dita serrate tra i capelli, traendo respiri profondi.
 
Le torna in mente l’occasione in cui l’ha conosciuto, quando il palladio gli stava divorando il cuore e riusciva comunque a stamparsi in faccia un sorriso sghembo e un’aria da sbruffone; ricorda anche come si fosse stupita nel vederlo di tutt’altro umore poco prima della sua disastrosa festa di compleanno, oppresso dalla certezza della propria morte imminente. Per quanto in seguito si sia abituata alla sua personalità esplosiva e ad averlo come esuberante e saccente compagno di squadra, non è mai riuscita a togliersi dalla testa quell’episodio, né quello sguardo smarrito. Adesso si sovrappone all’immagine attuale di Tony, più spezzato che mai e privo della solita patina di spavalderia.
 
Lo vede bloccato sul posto e una parte di lei lo capisce, perché sa cosa vuol dire scivolare nel gorgo e non avere appigli per risalire, se non quello di una manetta attorno al polso che le nega anche la libertà di affondare5. L’appiglio di Tony è diverso, è una scheggia di ghiaccio arenata in Siberia, e non è molto diversa dall’essere prigioniero. E sa che, se vuole raggiungerlo, dovrà costringerlo a inoltrarsi in quella terra inospitale da cui lei 
 loro 
hanno tentato di fuggire per una vita intera. Abbassa gli occhi, guardandosi le mani e vedendole rosse per un istante. A volte ha l’impressione di non essere mai fuggita davvero.
 
Non dice nulla: si siede di nuovo accanto a lui, prende una garza imbevuta di tintura di iodio e inizia a pulire e disinfettare con accortezza lo squarcio slabbrato sulla schiena. Lo sente sussultare un paio di volte, risucchiando il respiro, ma non emette un solo lamento, non sa dire se per testardo orgoglio o se semplicemente sia troppo scollegato dalla realtà per dare il giusto peso alle sensazioni che gli invia il proprio corpo. Gli preme con delicatezza una mano sul petto per farlo inclinare all’indietro, percependo la cicatrice rotonda che gli solca lo sterno; Tony la asseconda docilmente, coricandosi sul fianco e trattenendo il fiato quando il foro d’uscita si tende assieme alla pelle. Nataša stringe le labbra nel vedere il marchio purpureo appena sotto la sua cassa toracica. Sa leggere le ferite, e quella è decisamente una brutta ferita, violenta e irregolare, come se chi gliel’ha inferta avesse rigirato l’arma nel colpirlo.
 
«È stato Thanos?» gli chiede a bassa voce, rendendosi conto di non sapere ancora nulla di ciò che è accaduto su Titano, e collateralmente per distrarlo dal dolore, anche se forse così facendo acuirà un altro tipo di sofferenza.
 
Tony annuisce in silenzio, a occhi socchiusi, e porta una mano a stropicciarli.
 
«Non potevo sconfiggerlo,» mormora poi sconnessamente, quasi tra sé, schiudendo appena la mascella contratta per parlare.
 
«Neanche Thor e Hulk ci sono riusciti,» gli fa notare lei, con una smorfia amara.
 
Continua a detergere la piaga gonfia e arrossata, bollente al tatto. Non ha un bell’aspetto, e si acciglia preoccupata. Spera solo che le lesioni interne si siano rimarginate del tutto.
 
«Come hai fatto a…»
 
«Nanotecnologia,» la anticipa lui, intuitivo seppur febbricitante. «E l’Avatar robotica mi ha dato una mano. Non la raccomanderei come infermiera: poco comunicativa, empatia di uno scaldabagno, delicatezza e tatto del padre… ma sono vivo,» conclude, col sarcasmo che sfuma in una nota amara, quasi di rammarico.
 
«Lo sei,» conferma lei, con intensità.
 
Tampona più piano la ferita, in una carezza camuffata, cercando di trasmettergli quanto sia contenta di vederlo lì e di non avere altra cenere da compiangere. Lui sospira scuotendo la testa, le labbra contratte, e Nataša nota i suoi occhi che si fanno lucidi mentre un tremito lo attraversa. Evita di commentare e attribuisce il tutto alla febbre.
 
«Stamattina stavi meglio,» cambia argomento, offrendogli una via di fuga da quei pensieri.
 
Tony fa un verso nasale, a metà tra una risata e uno sbuffo.
 
«Già… di solito quando litigo con Rogers va a finire così,» commenta apatico.
 
Nataša alza di scatto gli occhi, e lui scuote appena la testa in risposta.
 
«Me la sono cercata,» spiega in un soffio, senza aggiungere altro.
 
Nataša concorda in silenzio: menzionare Peggy è un ottimo modo per far perdere il lume della ragione a Steve.
 
«L’ultima volta ero ridotto peggio,» riprende poi, assente.
 
«Mi ricordo anch'io,» replica lei, con un sorriso mesto. «Ed eri decisamente in condizioni mi–…»
 
«Non a Lipsia,» la corregge, monocorde.
 
Nataša si blocca con la garza premuta contro la ferita, riflettendo per un istante e intravedendo uno spiraglio, una lama di luce tra i pensieri torbidi dell’amico. Esita per un istante e cerca di valutare la situazione, ma non c’è più tempo per pensare a cosa possa fare male o meno.
 
«Tony, so che è l’ultima cosa di cui vuoi parlare, ma…»
 
«Scegli: Siberia o Titano?» la interrompe di getto lui, intuendo il continuo senza però sottrarsi del tutto alla sua richiesta. «Sei una spia, Romanov, ti sto già aiutando troppo,» aggiunge poi, rivolgendole un’occhiata che non riesce ad essere spavalda.
 
Lei tace, sostenendo il suo sguardo. Cerca di riflettere, anche se il suo cuore ha già scelto d’istinto, seguendo un richiamo intessuto a doppio filo con le sue radici che si dipanano sotto la neve, le stesse che continuano a portarle via le persone che ama.
 
«Siberia,» enuncia infine, con l’accento natìo che si insinua per un istante in quella parola spigolosa. «Mi sento nostalgica,» aggiunge con un’alzata di spalle, suscitando un lieve sbuffo da parte di Tony.
 
«Prevedibile,» commenta soltanto.
 
Per una volta le riesce difficile decifrarlo, e non capisce se sia sollevato o meno dalla sua scelta. Rimane in silenzio e si porta una mano al petto, sopra alla tenue cicatrice del reattore, seguendone distrattamente il rilievo con l’indice mentre fissa la luce azzurrina nell’angolo. Poi rivolge gli occhi al soffitto come se vi fossero appese le parole che vorrebbe pronunciare e schiude le labbra, esitando ancora.
 
«Dammi un minuto.»

 

 



Note:

1 Riferimento diretto a Comunicazioni Interrotte: la discussione che origlia Nat si colloca nel
Capitolo 9.
2 Sono venuta a conoscenza di questi e altri dettagli canonici riguardanti Nataša e i suoi trascorsi in Russia tramite
T612 e le sue storie (in particolare 1956 e la serie Maybe in another life, I promise). Grazie, è anche merito tuo se questa storia ha visto la luce <3
3 Questa è una diretta continuazione dal
Capitolo 10 di Comunicazioni interrotte: Nataša ha appena "parlato" con Steve.
4 Sempre nella long, si accenna al fatto che Nataša abbia cercato di convincere Tony a farsi medicare, venendo ovviamente ignorata.
5 Riferimento all'addestramento di Nataša, mostrato anche in Agent Carter, che prevede l'ammanettamento delle allieve al letto durante la notte.



Note Dell'Autrice:

Cari Lettori,
per chi ha seguito la long Comunicazioni interrotte, spero che questa storia abbia fornito e fornirà qualche risposta alle domande lasciate volutamente in sospeso. Per tutti gli altri, spero che il pezzo sia risultato comunque gradevole da leggere come stand-alone e di avervi messo curiosità per il resto della serie :)

[Da qui in poi, spoiler su Endgame!] Dopo Endgame, immaginate la mia sorpresa nel realizzare di aver dedicato una shot simile proprio a questi due personaggi. Nella mia testa avevo messo in conto una potenziale dipartita di Tony… ma Nataša è stato qualcosa di assolutamente non preventivato, e sono contenta di averle dedicato questo spazio “ante tempora” nel contesto della mia serie. Avrei potuto ricamarci sopra e buttare qua e là omaggi o presagi sul loro destino comune... ma sarebbe stato troppo facile e ho preferito mantenere tutto così com’era. I dialoghi non sono quindi stati alterati rispetto alla versione originale e hanno seguito lo svolgimento che avevo pianificato, in modo da incastrarsi con la long. Alcuni passaggi potrebbero comunque essere letti come riferimenti a Endgame (perlopiù nel prossimo capitolo), ma sono puramente frutto del caso sommato a maniacali rewatch/ragionamenti precedenti. Ho deciso di mantenerli proprio perché coerenti col canon.

A parte ciò, credo che sia evidente quanto io ami il personaggio di Nataša e il modo in cui interagisce con tutti gli altri, in particolare con Steve e Tony. Il rapporto così stretto con quest’ultimo è in effetti un mio headcanon coltivato negli anni (non voglio dilungarmi, ma sarò felice di rispondere a eventuali domande al riguardo), e ho colto quest’occasione per esplicitarlo. Ci tengo comunque a sottolineare che è un rapporto puramente amicale, perché non potrei mai tradire la Pepperony e la WinterWidow <3

Ringrazio infinitamente la mia beta
_Atlas_, che ha messo a tacere le mie turbe ansiose rispetto a questo scritto un po' fuori dai miei schemi, convincendomi a pubblicare <3
E grazie a tutti quelli che leggeranno e/o decideranno di lasciare un commento!

A presto con la seconda parte,

-Light-



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Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie altrove, anche se creditate e anche con link all'originale su EFP, né quella a rielaborarne passaggi, concetti o trarne ispirazione in qualsivoglia modo senza mio consenso esplicito.

©_Lightning_

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