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Autore: Barbra    28/05/2019    1 recensioni
Questa fanfiction è un crossover tra l'Universo di Pokémon Adventures (il manga) e l'Universo di "Avatar, the Legend of Aang"/ "Legend of Korra". La storia si svolge, secondo la cronologia Pokémon, dopo gli avvenimenti di Sole e Luna. Secondo la cronologia di Avatar, dopo la morte di Korra e la nascita della sua successiva reincarnazione.
DAL TESTO: Il Maestro dell'Aria Meelo scese dalla tribuna dei giudici e si diresse verso la sedicenne senza una parola.
Era stato chiamato per controllare che la sua allieva non “sporcasse” la Prova dell'Acqua applicando tecniche del Dominio dell'Aria per tenere d'occhio gli avversari. Sapeva bene che la cieca, nel cui mondo non esistevano né forme né ombre, avrebbe usato il Senso del Sangue al posto del super-udito che i montanari le attribuivano. Tuttavia, non si aspettava uno scivolone così clamoroso da parte sua. || NOTA: canon-divergent || PERSONAGGI PRINCIPALI (non in elenco): protagonista OC, Sird (pg esclusivo del manga), Lunala, Giratina (Pokémon); Raava e Vaatu (Avatar). TERMINATA
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arceus, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avatar e Pokémon'
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18. Fuoco



A Sinnoh


Il suo controllo capillare era stato aggirato. E non da Xerosic, ma dall'unità di nome Celosia. L'unità di cui si serviva, a distanza, proprio sua madre Sird. Aveva liberato la Principessa Azula e aveva lasciato la Base a bordo di un velivolo, portandola con sé.
Sicuramente erano dirette a Kanto.
Diantha non riusciva a indovinare i piani di Sird, ma conosceva la madre abbastanza da aspettarsi che fossero malvagi.
Appena si era accorta della violazione, era schizzata fuori dalla sua tana e aveva lasciato incustoditi il casco e i guanti che la aiutavano a proiettarsi nella realtà virtuale. Con quegli strumenti, in una nicchia incassata nel muro e piccola come uno scatolone, aveva accesso ai meandri del computer centrale pur senza capire niente di informatica. Le sembrava di stare in cassaforte, si sentiva più simile a una contorsionista in una valigia che a un Comandante, ma non aveva molta scelta. Non voleva che gli altri la riconoscessero, più per vergogna che per proteggere la sua vecchia vita.
Aveva nascosto al mondo la sua identità e non la sua indole, solo per sfuggire a un trio di assassini, eppure si sentiva la coscienza sporca. Aveva mentito sulla sua età e sul suo luogo di nascita, sulla sua famiglia d'origine, sulla provenienza in parte mutante e in parte extraterrestre del suo DNA, sulla sua reale forza fisica, sull'ispirazione involontaria che aveva dato a Lysandre per i suoi folli progetti di distruzione. E aveva mentito senza battere ciglio, persino alle persone a cui teneva.
Aveva già chiesto a Xerosic una tuta simile a quella da lui ideata per Essentia, Emma. Oltre a potenziare le sue doti fisiche, le avrebbe dato la capacità di cambiare il suo aspetto. Così sarebbe potuta uscire allo scoperto senza timore. Lo scienziato si era già messo al lavoro. Eris doveva solo aspettare qualche giorno.
Poiché, da buona disordinata, faceva sempre mille cose per volta e i vari settori della sua mente erano abituati a lavorare in parallelo, stava pensando anche a questo mentre si precipitava ad attivare un'unità accessoria, “l'antidoto” a Celosia che era partita da poco. Piani malvagi o no, non si sarebbe buttata al suo inseguimento di persona.
Scese nell'interrato super-tecnologico del covo Galassia e si diresse ai “letti” delle tre unità avanzate Flare, disattivate dal momento del recupero.
Restavano la verde, l'arancione e l'azzurra, ognuna con predisposizioni diverse così da mimare diverse personalità. La verde, Bryony, era la più gestibile e la più riflessiva: anche senza imporle il suo totale controllo, come Sird aveva fatto con Celosia, il Comandante Eris avrebbe potuto mandarla in missione da sola.
Quindi aprì la sua teca e provò a toccarle la fronte per attivarla. Non successe niente.
Una voce maschile, cupa e inespressiva alle sue spalle, la fece sobbalzare: «Che cosa stai facendo? Perché hai lasciato il tuo posto?».
Era suo fratello, Cyrus. L'aveva seguita fin lì senza malizia: non la stava tenendo d'occhio. La sua era semplice curiosità. Ma lui risultava inquietante qualsiasi cosa facesse.
«Mamma sta progettando morte e distruzione. Credo. Devo mandare qualcuno a Kanto perché controlli il suo avatar, e lo fermi qualsiasi cosa tenti di fare».
«Perché vuoi osteggiare nostra madre? Lei non ci ha mai ostacolato nei nostri progetti, per quanto divergessero dai suoi».
«I tuoi progetti non divergevano dai suoi, Cyrus! Tutto il contrario! I miei sì, e infatti...». Si interruppe. Come parlare al muro, un muro che però poteva ferirsi e sanguinare. «...lascia perdere. In effetti, non mi ha mai fatto la guerra».
Premette di nuovo l'indice sulla fronte di Bryony e ottenne lo stesso risultato: nulla. Allora le batté una mano sulla testa come se fosse un congegno difettoso.
Cyrus si allarmò: «Non danneggiare gli androidi!».
Lui si preoccupava molto per le macchine. Non importava quale aspetto avessero.
Si era precipitato accanto a Diantha, ma non aveva osato toccarla. Malgrado fosse capace di venire alle mani, per lui la sua gemella neuro-tipica, fragile come il vetro, le cui lettere scritte a mano erano state un'interfaccia con il mondo “comune” quando erano bambini, non poteva essere sfiorata.
Lei si arrese e indicò il corpo esanime di Bryony. «Come si accende, questa?!».
Cyrus pronunciò il suo nome di default: «Barà1».
L'androide aprì gli occhi privi di iride e pupilla, dalle sclere di un verde brillante. Il suo visore era custodito da un'altra parte, così come la sua divisa rossa. Il suo livello di interazione col mondo era ancora basso. Necessitava di tempo per ripristinare, in automatico, ogni sua funzione.
Eris si calmò. «Va bene. Ora ti aggiorno io, fratello, de rebus humanis. Non hai bisogno di temere una rivolta o un tradimento, non so neanche cosa te l'abbia fatto sospettare. Li ho osservati e messi alla prova, e tutti i tuoi Comandanti ti sono fedeli. Saturno ha una cotta per Mars, per questo si comporta in modo impertinente in sua presenza. Si chiama “fare il galletto”, non c'è niente di strano alla sua età. Separandoli, tornerebbe il solito fannullone. Xerosic è fondamentalmente un codardo: non troverà un'altra volta lo stesso coraggio che gli è servito per sabotare l'Arma Suprema. E comunque, lì la posta era molto più alta. Non sarebbe più riuscito a guardarsi allo specchio senza sputare al suo riflesso, se si fosse reso complice di un'ecatombe. Contento? Ora, devo trovare gli accessori di Bryony».
E lui non l'avrebbe aiutata a cercarli, perché non gliel'aveva chiesto. Diantha si divertiva, di tanto in tanto, a testare i suoi miglioramenti. Qualsiasi fosse il risultato, non l'avrebbe preso in giro né rimproverato. La seguì senza dire nulla come usava fare fin troppo spesso.
La sua domanda la sorprese: «Sei certa che quell'unità sia sufficiente?».
Non lo era affatto.
Sospirò. «Chiamo Lysandre».
«Lysandre?».
«Sì. Venus».
«So chi è. Ma si è ribellato. Ha fatto l'esatto contrario di ciò che avrebbe dovuto fare».
Diantha, il Comandante Eris, l'aveva avvicinato e reclutato perché impedisse a Zygarde di attivare il protocollo “Fiore Grigio” in risposta alla distorsione spazio-temporale creatasi nella Regione di Sinnoh per la cattura di Dialga e Palkia. Costruire e attivare l'Arma Suprema secondo il progetto originale, semi-divino, avrebbe sacrificato gli abitanti di un solo pianeta per salvare il Multiverso. Un compromesso accettabile, per Azelf e Uxie.
Ma Zygarde non si era svegliato, era stato Giratina a intervenire. E “Venus” era stato ringraziato e congedato. Non prima, purtroppo, di aver rubato la tecnologia Galassia. Lysandre aveva utilizzato le informazioni ottenute da Eris per ideare e realizzare il suo piano personale.
E così, l'uomo più indicato per proteggere la sua Kalos si era rivelato un mostro assetato di distruzione. Non aveva mai denunciato Diantha per ricattarla, per farle sapere che avrebbe potuto trascinare a fondo lei e la sua vita perfetta in qualsiasi momento. Ma era stato fermato prima di poter parlare.
«Sì, si è comportato da vile traditore. Ma adesso è successo qualcosa che l'ha rimesso in riga. Praticamente, è morto» spiegò Diantha mentre inviava dal computer una chiamata internazionale, facendola rimbalzare ovunque per rendersi irrintracciabile.


 


A Kanto

 


Azula abbassò il binocolo. «Sei sicura che sia lui?».
«Al cento percento» garantì Celosia. «Qualcuno ha provato a confondermi le idee, ma la sottoscritta è brava a non lasciarsi ingannare dalle apparenze. Così come è diventata brava a risolvere enigmi, dato che gliene proponevano a valanghe quando era bambina».
L'altra ragazza non era convinta. L'aveva osservato di nascosto, da lontano, mentre allenava la sua squadra. Una routine giornaliera per lui, persino in vacanza. Era tornato nella sua città natale, tra un torneo e l'altro, a trovare la madre. Presto sarebbe partito di nuovo e raggiungerlo sarebbe stato più complicato.
Ma Azula non aveva visto niente in lui che le ricordasse suo fratello. Né, più in generale, il potere assopito di un Dominatore del Fuoco. «Non ha né una creatura legata al fuoco, né un drago in squadra. C'è quel topo elettrico... anche se Zuzu non sapeva generare il Fulmine. Il resto, come lo spieghi?».
«Da quando in qua, Principessa Azula, ti preoccupi di perseguitare un innocente? C'è ancora troppo di Plumeria in te, immagino. Vedi... il punto non è il drago, il punto è ciò che ha imparato dalla Tribù dei Guerrieri del Sole, per portarsi via quell'uovo dal nido dei due draghi. Ovvero, che il fuoco non è soltanto una forza distruttrice, ma piuttosto un'energia generatrice, come la luce e il calore del Sole. Nessuno dica loro che le stelle non sono fuoco, ma plasma! O penserebbero che la verità sia mentitrice. In ogni modo... questa filosofia blanda spiega l'assenza dei Draghi e del Fuoco in quella squadra. Perché su questo pianeta, quei due Tipi incarnano ancora la forza battagliera e distruttrice da cui tuo fratello aveva preso le distanze. Ecco perché il suo Starter è un sauro con una pianta sulla groppa. Lui incarna una forza generatrice. Il Signore del Fuoco Zuko si è dato al giardinaggio...».
Azula storse la bocca. «Patetico. Abbastanza patetico da essere lui».
«Adesso lui e la sua squadra sono stanchi. Che ne dici, andiamo a fargli il mazzo, o vuoi stare a fare la principessina?».
Lei rispose dandole una piccola scossa. Ma niente che potesse danneggiare i suoi circuiti. Azula non aveva amici, era incapace di avvicinarsi a qualcuno senza sfruttarlo o sentirsene minacciata, tuttavia nel profondo desiderava averne. I tradimenti delle sue dame di compagnia ancora le bruciavano. Far parte di una cerchia la faceva sentire più forte. Perciò non aveva respinto Celosia. La considerava un'alleata. In più, non aveva l'aspetto né l'odore di una sporca contadina2.
Red se le trovò davanti pensando che fossero due turiste in cerca di indicazioni.
Sembravano pronte per una festa a tema sui viaggi nel tempo. Una veniva dal futuro, l'altra dal passato. Un passato ipotetico in cui le ragazze si tingevano i capelli di colori sgargianti. Entrambe erano vestite di rosso, la ragazza a destra indossava una tuta aderente e un visore sugli occhi. La coetanea a sinistra, palesemente mora nonostante i capelli tinti di rosa e di giallo, portava un abito lungo simile a una vestaglia, stretto alla vita da una cintura dorata. La sua acconciatura era retta da un fermaglio dorato a forma di fiamma. Fu lei a parlare per prima: «Zuzu... finalmente ti ritrovo!». Caricò un pugno e gli sferrò contro una vampata di fuoco azzurro. Red aveva i riflessi abbastanza pronti, e per evitare il pugno riuscì a farsi colpire dalle fiamme solo di striscio.
Poli Poliwrath uscì prontamente dalla sfera e spense le fiamme sui suoi vestiti con un paio di getti della sua acqua.
Il giovane si allontanò a corsa dalle due sconosciute, ma anziché darsela a gambe si fermò poco distante. Poli lo seguì e si fermò esattamente davanti a lui, coprendo la traiettoria a qualsiasi attacco sferrato da Azula.
«Che cos'è, uno scherzo? Chi siete?! Rockets?».
Stavolta fu la viola a rispondergli: «Il punto non è chi siamo noi. Il punto è chi sei tu. O chi sei stato, caro Red».
Non erano sole. La ragazza del futuro liberò davanti a sé un set di spade spettrali. C'erano un Honedge, un Doublade e una femmna di Aegislash. A completare la squadra, un Pokémon simile a un cane dalla pelliccia gialla e azzurra, un Manectric.
Manectric fulminò Poli richiamando su di lui una scarica dal cielo, con la mossa Tuono, mentre la ragazza del fuoco azzurro lo colpiva con un fulmine generato direttamente dalle sue dita, ad energia persino maggiore dell'altro. Il povero Il Poliwrath, per quanto potente, svenne.
Quelle due avevano intenzione di giocare sporco e non si preoccupavano di nasconderlo.
Pika fu il secondo ad affrontarle.
Loro si affidarono ad Aegislash, aiutata dalle caldissime fiamme azzurre.
Esasperato, Saur il Venusaur uscì dalla Pokéball spontaneamente, agganciò la sputa-fuoco con le sue liane spinose, la sollevò e la scagliò lontano.
Poi caricò lo scudo di Aegislash schiacciando il Pokémon sotto il suo peso.
La spada incantata assunse l'impalpabilità di spettro e trapassò il suo massiccio corpo senza ferirlo. Controllò la sua mente per un attimo. In quell'attimo, Honedge riuscì a conficcarsi nel grande fiore aperto sulla schiena del mostro. Rimase lì a rubare la sua energia, mentre Saur continuava a battersi come una furia, assieme a Pika, contro Manectric, Aegislash e Doublade che lo attaccavano ai fianchi.
Red si preparò a saltare sulla sua groppa per estrarre la Honedge e liberarlo, ma la fiammata di Azula gli tagliò la strada mentre correva.
«Alla fine, siamo sempre noi due, fratello...!».
Era ferita, ma non gravemente. Rideva.
Red ebbe un flashback: l'ultima donna che gli si era avvicinata così, con i vestiti strappati dalle spine e una faccia da psicotica assassina, era Sird del Trio Bestia. E dopo l'aveva pietrificato assieme ai suoi amici.
La somiglianza della scena era impressionante, tanto da farlo vacillare e tenerlo inchiodato lì dov'era.
Pika si accorse del pericolo e abbandonò Saur per difendere Red.
La ragazza si stava preparando ad attaccare, quando una fiammata la investì. Si voltò infuriata e umiliata, per vedere avvicinarsi un uomo in divisa Rocket, accompagnato da un leone maschio di piccola taglia.
Da lì in poi fu solo confusione.
Celosia ebbe una sorta di crisi di nervi. «No! No! Ma dai!» gridò. Fece uscire un secondo Honedge dalla sua ultima sfera, lo impugnò e e lo brandì contro l'intruso. «Tu non c'entri! Va' via!».
Pyroar riversò su di lei la sua rabbia e il suo soffio infuocato.
Il suo padrone la ignorò e si rivolse ad Azula: «Principessa... questa donna ti sta usando. Non è chi dice di essere. Il suo nome è Sird, è una Dominatrice dell'Aria, e sta cercando vendetta contro la tua famiglia».
Red sobbalzò. «Sird?!».
Non era affatto sorpreso di sentirla nominare.
Azula era troppo infuriata per ragionare. Non sopportava di uscire sconfitta da un combattimento, soprattutto se si trattava di un duello con un altro Dominatore del Fuoco.
Se la prese con lo sconosciuto dimenticandosi del fratello. Gli scagliò un calcio infuocato.
L'uomo aveva una difesa più forte di quanto la principessa si aspettasse. Dominava il suo stesso fuoco appena lei ne perdeva il controllo, e con le sue semplici fiamme rosse si riparava dalle fiamme azzurre, riportando di tanto in tanto lievi ustioni.
Senza sbilanciarsi neppure una volta, l'avversario la stremò al punto da ridurre drasticamente la sua potenza. Nella luce del sole rosso del tramonto, lei a malapena si reggeva in piedi, lui sembrava riposato e avrebbe potuto duellare fino a notte inoltrata. Non aveva sprecato le energie per attaccare, non aveva aperto bocca per provocarla; si era limitato a difendersi.
Azula, stanca e confusa, tentò il tutto per tutto con il Fulmine.
L'uomo dai capelli rossi ne incanalò l'energia con due dita e lo deviò sulla sua amica Celosia. Il suo era stato un movimento rapido e fluido, privo di esitazioni.
Il corpo dell'unità viola non reagì come quello di una persona normale: fu scosso da alcune convulsioni, la sua testa si piegò da una parte e poi cadde sul petto. E lei stramazzò a terra in avanti. Le sue dita continuarono a muoversi, come se avessero vita propria, sotto gli occhi sconvolti di Red.
Il ragazzo era ancora convinto di aver assistito ad un omicidio.
La Principessa Azula approfittò della distrazione generale per tagliare la corda.
Mentre il Dexholder correva a prestare soccorso, Lysandre lo invitò a fermarsi. Perché quella creatura era un robot, e per il bene di tutti era stato appena disattivato.
Il suo set di spade spettrali tornò immediatamente nelle proprie Pokéball.
Ora che la padrona non c'era più, non volevano vedersela con la potente squadra del suo vecchio Capo.
Red dovette raccogliere le idee. «Cosa c'entra Sird? Dov'è, adesso? Cosa vuole da me?!» domandò tutto d'un fiato. «E tu... forse ho capito chi sei. A Kalos ti credevano morto, me l'ha detto Green Oak. Ma... come conosci quella donna, e perché... non la stai aiutando?».
«Donna Sird vuole che tu e quella che nella tua vita passata era tua sorella vi distruggiate a vicenda. Io non ho un cattivo rapporto con lei: in verità la sto ancora aiutando. Ma è un vita che quella nevrotica mi fa infuriare. Sono felice di averla incontrata ma sono stanco di assecondare i suoi capricci. Devo essere sincero: non pensavo che ti avrebbe riconosciuto. Non con così poche informazioni sul tuo conto. Voi... non vi siete mai incontrati, nelle vostre vite precedenti. Lei è morta quasi un secolo prima della tua nascita».
Ora, a duello terminato, Lysandre mostrava segni di affaticamento. E alcune delle sue ustioni non erano poi così superficiali. Tuttavia sembrava non farci caso. Era un comportamento fin troppo militaresco, per un figlio della nobiltà Kalosiana.
«Credi davvero alla favola della Reincarnazione?».
«Sì. Purtroppo per te, Red, gli spiriti legati alla tua vita precedente sono tornati a perseguitarti. È la paura di molti sovrani. Loro non ti lasceranno in pace facilmente».
Mentre parlava, aveva ritirato Pyroar e liberato il suo Gyarados azzurro. Dunque aveva sistemato nell'enorme bocca spalancata del mostro acquatico il corpo esanime di Celosia.
Manectric e le spade volanti schizzarono fuori dalle Pokéball per non essere macinati dai suoi denti e dai suoi muscoli masticatori. Lysandre non voleva che la sua tecnologia venisse studiata e copiata da altri. Perciò ne cancellava le tracce facendole ingoiare a un Gyarados spazzino.
«Quindi... cosa dovrei fare?» domandò incerto Red.
Aveva il sentore che la risposta non gli sarebbe piaciuta. A giudicare dalla sua nonchalance nell'affrontare principesse venute dall'inferno, parlare dell'Oltretomba e dare in pasto androidi femminili ai suoi mostri, quell'uomo doveva avere qualche rotella fuori posto. La sua calma sembrava forzata.
Salì sulla mastodontica testa di Gyarados senza rispondere. Stava pensando a cosa dirgli e stava smaltendo la collera contro Sird.
I Pokémon di Celosia si sistemarono sulla sua coda, per tornare dalla loro vera padrona.
Lysandre decise di non dare spiegazioni. «Hai qualcosa che vola?» chiese al Dexholder.
Red liberò Aerodactyl.
«Allora seguici. A Johto c'è una Sensitiva che ti darà una risposta».
«Sabrina?».
Sabrina era la Capopalestra di Saffron City, era entrata nel Team Rocket a otto o forse sei anni. L'avevano allevata loro, ed era salita molto in alto nella gerarchia, tanto da potersi allontanare fino a Unova e tentare la carriera di atrrice senza subire punizioni. Ma forse la vita sul set l'aveva annoiata. Perciò poteva aver seguito Giovanni a Johto come sua Sensitiva di fiducia.
I Sensitivi erano una classe di Allenatori specializzati nei Tipo Psico, che avevano dei poteri particolari.
La risposta lo deluse: «No. Non si tratta di Sabrina».




 


A Johto

Notte


Silver camminava assieme a Weavile fuori città, su un sentiero deserto. Era uscito a prendere una boccata d'aria qualche ora dopo il tramonto. Aveva scelto proprio quell'orario e quel posto per non incontrare nessuno. Malgrado Gold lo prendesse in giro sia per la sua tendenza a rintanarsi in casa, soprattutto da quando aveva la TV, sia per il suo incarnato pallido, non era disposto a rischiare di incrociare qualcuno solo per rendere più sano il suo stile di vita.
Aveva con sé una torcia a pile, ma la teneva in tasca affidandosi agli occhi felini di Weavile.
D'un tratto, il Pokémon Lamartigli si fermò. Soffiò, mostrò i denti aguzzi e rizzò il pelo, piegandosi in avanti.
Silver accese rapido la torcia e la luce fu riflessa dagli occhi dorati di un Persian. Tagliava loro la strada, era rimasto seduto lì finché Weavile non gli aveva soffiato. Ora si avvicinava ostentando una certa spavalderia.
Silver non era bravo come Yellow a distinguere i singoli esemplari. Ma ebbe un brutto presentimento e ritirò Weavile.
Schierò Feraligatr un attimo prima che il Pokémon avversario spiccasse un balzo per piombare addosso a lui, come se fossero predatore e preda. Gli artigli del felino graffiarono le squame dell'enorme alligatore bipede, lasciandogli solo qualche segno superficiale.
Un getto d'acqua ad alta pressione fuoriuscì dall'enorme bocca spalancata del rettile, ma la gatta era più rapida di quanto si aspettassero entrambi gli avversari, e lo evitò con un balzo di lato. Descrivendo un semicerchio si portò alle spalle di Feraligatr e di Silver, tentando di nuovo un attacco diretto all'Allenatore. Questa volta, l'Idrocannone non la mancò. Il ragazzo, che si era rannicchiato, si rialzò in piedi e corse da una parte per lasciare il campo libero al suo Pokémon. L'alligatore si scagliò contro la Persian per stringerla nella morsa delle sue potenti mascelle. Era veloce, ma non abbastanza. Lei si era già ripresa dal colpo precedente e come un fulmine corse verso Silver. Il giovane liberò Weavile proprio davanti a sé e solo un attimo dopo ritirò Feraligatr, troppo lontano. Aveva schierato due Pokémon insieme, seppur per pochi secondi, ma quella lotta si stava dimostrando sportiva solo a metà.
Weavile e Persian finirono a graffiarsi l'un l'altra, finché la gatta non batté in ritirata.
Al suo posto, pochi secondi dopo, uno Starmie attraversò la notte volando ad altezza d'uomo, rapido come un'astronave. Passò a meno di una spanna dalla testa di Silver, solo per ribadire quanto in realtà fosse vulnerabile.
Il presentimento del giovane era fondato: conosceva già la squadra avversaria. E poiché in passato era stata una Banette a dargli più problemi, voleva tenersi i Tipo Buio fino all'ultimo, per affrontare lei. Ritirò Weavile e mandò Gyarados, il suo Gyarados rosso catturato nel Lago d'Ira.
Starmie lo colpì più volte intaccandone le riserve vitali, ma cadde per primo. Fu Persian a saltargli al collo per morderlo, mandandolo al tappeto. Feraligatr si trovò di nuovo contro la vecchia rivale, stavolta prestando attenzione alla sua strategia poco sportiva.
La loro lotta terminò per sfinimento, indipendentemente dai colpi subiti.
Finalmente, arrivò l'avversaria che Silver stava aspettando, quella che temeva di più. La piccola bambola voodoo grigia il cui sguardo malefico, anni prima, gli aveva quasi fatto perdere la ragione.
Era più inquietante e logora di quanto la ricordasse.
Silver lasciò l'onore della battaglia a Honchkrow.
La Banette si portò una zampa davanti alla cerniera che le faceva da bocca e sembrò ridere. Fu avvolta fa una luce violacea e crebbe, cambiando forma. La sua stoffa divenne più scura e meno logora, le maniche e la “veste” grigia si aprirono a mostrare la fodera color magenta dell'imbottitura.
Raggiunse la sua forma Mega davanti agli occhi sorpresi di Silver e di Weavile, che guardava l'incontro in trepidante attesa del suo turno.
Ma per quanto l'avversaria fosse forte, oramai la battaglia era vinta.
«Ripicca» ordinò il giovane, ormai tranquillo.
Mentre Honchkrow caricava il colpo, la bambola voodoo sollevò in alto gli artigli e fece alzare un forte vento improvviso. Fu come uno sgambetto. Per opporre resistenza alla folata, il corvo perse quei pochi attimi che permisero a MegaBanette di attaccare per prima, costringendolo ad arretrare alle spalle del suo Allenatore. Le sue enormi e potenti ali si rivelavano una debolezza: il Pokémon Grancapo faticava a volare controvento e lanciare attacchi contemporaneamente. La sua avversaria roteava in aria le braccia alimentando un piccolo ciclone. Lei, Weavile e il ragazzo si trovavano esattamente nel suo occhio.
Spossato dalla furia del vento, dagli attacchi martellanti e dai tentativi di rispondere, Honchkrow terminò la sua energia e svenne. Lasciò la nemica ferita e stanca. Caduto il corvo, il vento cessò.
Ora rimanevano solo lei e Weavile. Il Pokémon Lamartigli generò un'onda oscura, schivò la Palla Ombra di una MegaBanette ormai indebolita e, appena le fu abbastanza vicino, con un'inspirazione profonda si riempì i polmoni. Il suo soffio si trasformò in Ventogelato. Una piccola vendetta per quello che aveva fatto a Honchkrow. Banette tornò la bambola grigia e sgualcita di sempre e si afflosciò a terra come un sacco, svenuta.
Silver si sentì sollevato e si rilassò.
Poi vide arrivare un piccolo ammasso volante di piume rosa. Ricordava una grossa spugna da bagno per ragazze, e invece era un Folletto.
Sird aveva ampliato la squadra attingendo al Tipo più difficile da combattere per qualsiasi abitante di Kanto e Johto.
Ma Weavile era forte e combattivo: quella puzzolente creatura non avrebbe vinto facilmente. Spiccò un salto degno di un felino demoniaco e colpì il Folletto con Gelopugno. Atterrò e tornò al suo posto.
Il Pokémon Fragranza ridacchiò, socchiuse gli occhi rossi, girò su se stesso come una ballerina, infine mandò un bacio all'avversario. Quella mossa lo confuse, gli fece dimenticare il problema più importante.
«Mani dietro la testa. E digli di fermarsi».
Era la voce di quella orribile donna che minacciava Silver. Lei lo teneva sotto tiro con la sottile canna nera di una pistola. Si era avvicinata alle loro spalle avvolta dal buio, senza farsi sentire.
Mentre Weavile era distratto, sconvolto dalla situazione, Aromatisse lo colpì alle spalle.
Ma il Pokémon Lamartigli non poteva difendersi né contrattaccare, o la donna avrebbe sparato. Il Folletto, ancora giovane e relativamente poco addestrato, si divertì a colpirlo fino a mandarlo al tappeto.
Sird si rilassò e abbassò l'arma. «Questa è ad aria compressa» disse. «L'ho comprata come giocattolo quando ero ragazzina. Con questa sparavo ai Drifloon e mi divertivo a veder esplodere e ricrescere loro la testa. È cominciata quando uno di quei palloncini ha tentato di rapirmi: se la sono cercata. Per carità, a una distanza così ravvicinata ti avrebbe fatto del male... però non ti avrebbe ucciso».
«Ti sei battuta in modo sleale» protestò Silver. Non aveva paura di lei. Non era più un quattordicenne. Accese la sua torcia a pile per poterla vedere meglio, e magari non essere aggredito.
«Ho sperimentato delle tecniche miste» si giustificò lei.
Ma sapeva benissimo di aver barato.
«Che cos'hai combinato, con Banette? Che cos'era quella mossa di tipo Volante?».
«Connessione profonda tra un Dominatore dell'Aria e il suo Spirito Compagno, tramite la cosiddetta Megapietra. Betsy mega-evoluta è bellissima, non è vero?».
Dal colletto alto della divisa Rocket, Sird tirò fuori un ciondolo a forma di timone, un Dharmachakra placcato d'argento. Forse l'aveva rubato a un monaco.
Sulla Pietrachiave, al centro del timone, era incastonata una pietra vitrea e rosata, perfettamente sferica: la cosiddetta Banettite. A differenza di altri accessori per le Megachiavi, più pratici per gli Allenatori professionisti, quello non permetteva di rimuoverla. Sird aveva preso il ciondolo solo per Banette, rendendo “monogama” la loro relazione. Anche se non era arrivata a far incidere i loro nomi sul ciondolo, la Pokémon aveva sicuramente apprezzato. «Non è colpa mia se ci sono ancora pochi Dominatori sul pianeta. O se nessuno dei cervelloni ha intuito il reale significato di questa misteriosa Megaevoluzione».
Dominatore dell'Aria doveva essere un sinonimo obsoleto di Aero-allenatore. Silver non conosceva bene quella disciplina, non sapeva in quanti la praticassero, quindi preferì non esprimersi. Passò al problema successivo, la prova definitiva che Sird era stata sleale: «E la pistola?!».
«Non ti avevo fatto capire che ti avrei attaccato? Quando i tuoi Pokémon combattono per te, e non è un incontro sportivo... si presume che in primis debbano proteggerti. Ma non ci sono riusciti! Tendi a stare troppo lontano durante lo scontro. Rendi il loro compito impossibile».
«Sei venuta a darmi lezioni? Che cosa vuoi?!».
La donna si prese un attimo prima di rispondere.
«Sono qui per comunicarti, ahimè... che il Capopalestra di Mogania si è spento ieri notte, per le complicanze di una polmonite».
Silenzio.
«Pryce...?» bisbigliò Silver, appena ritrovò la forza di parlare.
Pryce era, o era stato, la famigerata Maschera di Ghiaccio. L'orco che aveva rapito lui e altri bambini, tra cui la sua ormai sorella maggiore Blue. Silver non aveva svelato la vera identità del suo rapitore a Giovanni, e aveva fatto promettere agli amici di non farne parola.
Se una Rocket era andata a cercarlo, doveva essere trapelato qualcosa.
«È stato lui a chiamarmi. Aveva chiesto di parlare con Giovanni. Tuo padre era impegnato... così ha mandato me».
Al giovane non passò neppure per la testa che mentisse.
«Ma non preoccuparti, non riferirò niente al Boss. Sarai tu a parlargliene, se vorrai. Sai... capisco come Pryce sia riuscito a ingannare tutti per così tanto tempo: è un vecchietto così simpatico! Ed un artista di talento...!». Si riferiva alle sue sculture di ghiaccio. Aveva parlato sorridendo, come se ricordasse una persona cara. Porse a Silver un barattolo cilindrico, che in origine conteneva biscotti. «Qui dentro c'è il suo ultimo messaggio per te».
Silenzio.
«E sul telefonino ho anche la colonna sonora originale. La vecchietta del letto due che cantava: “Rattata, oh-oh-oh-oh! Rattata!”».
Silver non la ascoltava.
Scosso, le diede la torcia e si prese il barattolo di biscotti. Le sue dita tremarono mentre lo stappava. Aveva perdonato il suo rapitore, malgrado gli anni passati a servirlo e temerlo, perciò non aveva idea di cosa potesse chiedergli o raccontargli. Credeva di essersi lasciato Maschera di Ghiaccio alle spalle. Ma si era illuso.
Srotolò il foglio con le mani sudate e tremanti. Sird illuminò il testo perché lui lo leggesse in silenzio.
«Cosa dice?» gli domandò.
Pareva che, nonostante i suoi innumerevoli difetti, non fosse veramente una ficcanaso. Non avrebbe letto senza il suo permesso.
«È... è una lettera di scuse. Dice che nella sua ottica mi aveva salvato, da una vita legata a un padre che aveva nemici peggiori e più pericolosi di lui. Dice che non si aspetta che io lo capisca, né che lo perdoni o condivida il suo punto di vista o i suoi metodi, ma nella mia famiglia d'origine avrei avuto una vita da primogenito viziato, e avrei perso la stima di mio padre. Qualcuno doveva portare alla luce il mio valore» riassunse il ragazzo. «“Diecimila anni. Yanagi, il Maestro della Durezza dell'Inverno3”» lesse ad alta voce.
La scrittura era precisa ed elegante, perfetta in ogni suo tratto. Il nome e il titolo non sarebbero stati aggiunti da qualcun altro. Quel messaggio non poteva essere un falso, anche se forse il Maestro l'aveva scritto tempo prima, quando la mano non gli tremava per la malattia.
Silver dovette sedersi per terra, lì dov'era, e reggersi la fronte.
Sird gli si sedette accanto con la torica ancora accesa. «Sono tutta orecchi».
Il giovane non avrebbe dovuto aprirsi con lei. Era un grosso rischio. Però sentiva il bisogno di sbrogliare la matassa di sentimenti che, tutti insieme, lo stavano assalendo come un'onda. Il lutto restava il più chiaro e il più forte. Perciò la prima cosa che riuscì a fare fu piangere.
Aveva già avuto un assaggio di come sarebbe cresciuto senza l'intervento di Pryce. Sarebbe diventato un individuo disgustoso, pieno di vizi e capricci, con un ego gonfio e delicato come un pallone. Neanche Giovanni avrebbe apprezzato un figlio del genere. Persino lui, forse, si sarebbe segretamente disprezzato.
«Probabile» ammise Sird. «Ma facilmente non ti saresti attribuito alcun difetto, perché la tua morale sarebbe stata distorta. Pryce mi ha detto a voce che ti ha salvato come avrebbe salvato un'ottima idea da una pessima esecuzione. Stesso dicasi per tua sorella Blue, la bambina prodigio nata da due genitori anonimi e privi tanto di fantasia quanto di ambizione».
Silver divette sforzarsi per non ricominciare a piangere. Sentiva di essersi esposto troppo.
Si riprese la torcia, si alzò in piedi e fece per andarsene. La sua idea era di non voltarsi e di non salutare, ma in quel momento si sentiva troppo vulnerabile. Parlò nel buio mentre liberava il suo Honchkrow. «Grazie per avermi ascoltato».
«Figurati. Nella vita ho fatto infuriare molta gente. Mi hanno dato così spesso della “tro-i-a” che ho imparato ad ascoltare come una di loro. Dimenticavo: adesso, pagami».
Silver lasciò andare la zampa di Honchkrow prima di staccarsi da terra. «Scherzi?!».
«No. Ti ho battuto in una lotta Pokémon. Ed era una lotta sportiva, almeno a metà. Quindi ho diritto a un pagamento in denaro... a metà. La metà di quanto daresti a un Allenatore normale».
Lui si frugò nelle tasche. «Non ho soldi con me».
Non li aveva neppure a casa. Non nel buco in cui aveva scelto di vivere.
Sird si alzò in piedi e camminò sui tacchi alti, ostentando una certa spavalderia. «“Non ho soldi, pagherò poi”. Dicono tutti così...!».
Si fermò davanti al ventenne, molto più basso di lei. Gli mise una mano dietro alla nuca e mentre piegava la testa spinse piano il suo viso contro il proprio. Passato un primo momento di rigidità, il bacio divenne più naturale.
Sird allontanò la bocca colorata di rossetto al lampone e parlò a Silver come se gli avesse strappato una o due banconote. «Lo considero un pagamento in natura. Anche se hai una tecnica un po' acerba».
Il ragazzo sembrò preoccupato. «Ho fatto schifo?».
«Sei troppo bello per fare schifo. Ti manca l'esperienza».
Una parte di lui voleva aggrapparsi a Honchkrow e volare via. L'altra era lusingata dal suo giudizio, e lo teneva inchiodato al suolo.
Il rosso riaccese la torcia, per confermare il sospetto che aveva avuto sentendola parlare: in lei c'era qualcosa di diverso. Il suo viso era più fresco, i suoi occhi a mandorla erano scuri, le sue sopracciglia nere, la sua pelle chiara ma non bianca. Non era più emaciata ed inquietante come la ricordava. E nel complesso dimostrava un'età tra i venti e i venticinque anni.
Se si fosse trattato di un'altra donna, meno strega di lei, Silver avrebbe pensato di trovarsi davanti a sua figlia o a un suo clone modificato. Ma Sird del Trio Bestia, capace di trasformare le persone in pietra, doveva avere le mani nell'Occulto o nelle scienze affini.
«Hai fatto un patto col diavolo?» le domandò.
Lei sorrise e i suoi occhi scuri brillarono appena. «Perché sono giovane e sana? No. I patti col diavolo li fanno i bravi ragazzi. Riprova».
«Hai succhiato la linfa vitale di qualcuno».
«Vampirismo... un altro grande classico. No. Manca una terza ipotesi. Ti aiuto: puoi dirla in due modi».
Il giovane scosse la testa dai capelli rosso sangue. «Non lo so».
«O la chiami Acqua dell'Eterna Giovinezza, o lo chiami Elisir di Lunga Vita. Non posso dirti come e dove l'ho trovato... ma mi ha restituito salute e gioventù. E, ovviamente, la mia gamba ghiacciata è guarita. In barba a Lorelei, quella stronza!».
La Superquattro le aveva congelato una gamba senza neppure sapere dove fosse o cosa stesse facendo, servendosi di una bambola voodoo di ghiaccio creata a sua immagine dal Pokémon Jynx.
Silver accennò una risata. «Ora mi prendi per il sedere. Oltre alle acque curative del Monte Argento, esiste anche la Fonte della Giovinezza? No, dai... c'entra Celebi».
Celebi aveva qualche capacità taumaturgica e viaggiava nel tempo, seguendo una filosofia di vita e una logica tutte sue. Guariva chiunque incrociasse la sua strada, arrivando a resuscitare i morti, e non si preoccupava dell'effetto farfalla o di creare nuove linee temporali. Malgrado fosse molto amato dagli umani, alcuni Leggendari lo ritenevano un problema. Perciò aveva il permesso di spostarsi attraverso il tempo solo nei boschi sacri, dove si trovava a proprio agio e passava gran parte della sua tranquillissima, pacifica esistenza.
«Potrebbe. Ma io so chi sei e so cosa ti ho fatto. Non vengo dal passato».





 

*





Gong non meditava, rifletteva sdraiata sul letto della sua nuova, profumata e confortevole stanza, nel covo Rocket di Johto. Le avevano promesso che presto sarebbe diventata un Generale e per ora la stavano viziando. Aveva ancora molti Dominatori da risvegliare e avrebbe potuto dare consigli al Boss sul suo nuovo potere di “muovere la terra”. Era una risorsa. Meritava tutte quelle attenzioni e si guardava bene dal rifiutarle.
La voce di Raava era chiara nella sua mente: “Tutte le creature di puro spirito, in questo Sistema di Universi, sono maligne a causa delle influenze esterne” le spiegava il Grande Spirito. “Questo ha ripercussioni sul comportamento di tutti gli altri, compresi gli umani. Non possiamo lasciare le cose come sono”.
«Non mi pare che gli umani di questo pianeta siano particolarmente malvagi o aggressivi. Anzi, mi sembrano più tranquilli della norma» obbiettò Gong. Le sarebbe bastato pensare, ma preferiva ascoltarsi per giudicare quanto strane suonassero le sue parole.
“Sono solo più spaventati dagli Spiriti con cui hanno a che fare. Cercano di prendere il controllo, di raccontarsi storie sulla loro grandezza e ribellarsi... in verità, mostri come Yveltal o Arceus potrebbero annientarli in meno di un giorno”.
«Sì, ho capito che ci sono loro due che non ti piacciono. Ma tutti gli altri...?! Tutti gli altri, poverini...! Scommetto che sono loro a tenere a bada la mia specie, non il contrario!».
Raava rimase in silenzio. Non poteva confermarlo né negarlo.
«Dunque, come ci muoviamo? Ci dev'essere un altro modo per spostare l'Equilibrio verso la Luce! Io non voglio ucciderli tutti o quasi solo per far stare meglio un paio di Spiriti!».
“Un altro modo... non che io sappia, no. L'unico che potrebbe conoscerlo... è proprio l'ultimo che vorremmo incontrare adesso”.
La cieca sospirò. «Torniamo sempre a lui. Arceus. E se fosse disposto a chiarire la situazione e seppellire l'ascia di guerra? Voglio dire... te ne sei andata tu, dopo esserti accidentalmente scontrata con Yveltal, e senza un ultimatum».
“Perché lui aveva scelto di avvicinarsi al Male sfruttando l'Oscurità di Vaatu per generare un Demone, da affiancare a tutti gli altri mostri allora creati. Io... non credevo che avrebbe osato. Ero convinta che comprendesse la pericolosità del Buio”.
Il Demone in questione era il grande volatile Yveltal, Spirito della Distruzione. Arceus l'aveva creato per bilanciare la Luce incarnata dal cervo Xerneas, Spirito della Creazione. Quindi il suo comportamento non era sfociato, nel complesso, in un avvicinamento al Male. Però Raava, come Grande Spirito della Luce e della Pace, non poteva comunque accettarlo.
“Il mio punto di vista è rimasto inalterato da allora, e così il suo. Perciò non vedo come potremmo dialogare” insisté. “Inoltre... non voglio coinvolgere Giratina”.
La monaca rifletté. Se ne uscì con la più stupida e meschina delle sue idee: «E se incolpassimo solo Lunala? Voglio dire... poverina, ma la più cattiva è lei».








 
1Bara è “rosa” (il fiore) in giapponese. È anche il nome originale di questa qui. L'accento, nella trascrizione in in Romanji col sistema Hepburn (l'attrice non c'entra, forse i loro “giochi di parole” col suo cognome sì) non ci vuole, però ce lo metto perché qualcuno non pensi alle bare da morto ''^_^
2“there you are, filthy peasant!” detto a Katara è una delle frasi più famose di Azula.
3Yanagi è il nome originale di Peyce. Ho usato la traduzione letterale del suo titolo in inglese (giapponese?) perché per me rende meglio l'idea.








AUTRICE: non dico niente. Scusate se ho pasticciato un tantino... ç_ç








 
   
 
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