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Autore: Wilson Walcott    14/06/2019    1 recensioni
Eventi concatenati spesso danno forma a risposte diverse dalla domanda di partenza.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Concentrazione, gli sarebbe bastata quella. Eppure era così lontana la sua mente, distratta.
“Qual è il senso?” Si chiedeva.
“Forse ciò che l’uomo brama da sempre: l’immortalità. Seppur non reale, almeno un surrogato.”
Viveva tra quei fogli e cartacce, pile di libri, idee sparse ed appuntate qua e là.
Vedeva il mondo dalla finestra e cercava di catturarlo. Immerso nel suo, osservava incuriosito quello degli altri. Recluso.
Prigioniero di se stesso. Terminato il lavoro, viste quelle innumerevoli facce, fatti scappare dalla bocce quei discorsi infiniti, indossata quella maschera di parvenza e tipicità tornava felice ai suoi affari personali. Come spesso capitava anche quel giorno era solo, chiuso in un tugurio che ostinava a chiamare casa, quattro mura, in pratica una stanza. E quel concetto lo portava a tempi migliori, lontani. In quella malinconia scrisse della sua depressione. Si sentiva abbandonato.
“Ma gli scrittori hanno bisogno del dolore per creare. Ne traggono nutrimento le loro menti. Più stai male, più scrivi bene” si ripeteva.
Quel giorno decise di mettere la sua biro nera sul foglio. Non era più lui. Quando scriveva si sentiva pervadere da una forza esterna, qualcosa più forte di lui che lo possedeva. Si alienava da ciò che poteva essere vista come realtà. Perché questa non è altro che il frutto della percezione dei nostri sensi. Mancandone uno, o sostituendolo con un altro, avrebbe la stessa forma? Perché quello che scriveva doveva essere meno reale del foglio, della penna o del tavolo?
“…ero scappato con la cassa. Cavolo, non ci potevo credere. Tutti si erano fidati di me. Ero riuscito a fottere un paese intero, dal primo all’ultimo: un branco di stolti…”.
Non era convinto, mancava qualcosa. Mentre pensava al modo più giusto per caratterizzare quel personaggio, suonò il citofono.
<> chiese infastidito. Del resto aveva dovuto interrompere la correzione di una bozza.
<>. Era una domanda sciocca, a suo vedere. Perché mai avrebbe dovuto rispondere ad una domanda tanto personale? Ad un’estranea per giunta. Rimase qualche secondo in silenzio, poi mise giù il citofono, senza nemmeno salutarla. Se l’era posta già abbastanza quella domanda. Quale risposta avrebbe fatto felice una testimone di Geova? E un cristiano? E un ateo invece? Perché quella ricerca spasmodica di certezze e conversione? Quando l’unico Dio in cui aveva sempre creduto era già lì, fermo ed immobile, eppure creatore di vita. La scrittura: l’immortalità dell’arte. Gli si accese qualcosa dentro, un concetto.
Prese un pezzo di carta e scrisse.
“Meraviglia.
Se le parole tessono trame creando mondi paralleli allora esistono.
Ho visto la luce in occhi saturi di tristezza come se le stesse frasi trovassero poco senso nel dramma dei loro spiriti vinti.
Comprendere la sofferenza umana è prerogativa di pochi.
I cinici sono ciechi, non hanno occhi.”
   
 
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