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Autore: Sofy_9634    14/06/2019    0 recensioni
Un regno, un legame, degli esseri in grado di mutare forma… Una ragazza e il suo destino.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo primo
 

Un urlo e poi il silenzio. Aprii gli occhi, tutto era buio. Ero in un bagno di sudore. Un disgustoso odore mi premeva nelle narici. Accessi la luce. Qualcosa di aeriforme scivolò via dallo spiffero della finestra. La bocca stette in silenzio, mentre la paura mi mangiava viva. Con essa, però, un po’ di razionalità mi era rimasta. Mi ero appena svegliata e gli occhi, talvolta, giocano dei brutti scherzi. Mi convinsi che non era niente, anche se nel profondo sapevo che qualcosa d’irregolare era accaduto. Mi sdrai sul letto cercando di prendere sonno, del resto erano soltanto le quattro di mattina, avevo più di due ore per dormire.  Appena chiusi gli occhi, però, quell’odore tremendo di poco prima mi travolse. Accessi nuovamente la luce. Guardai dappertutto ma non trovai niente che potesse emanare quel fetore, ma in tanto da qualche parte doveva provenire. Andai in bagno, forse era lì l’odore maledetto. Appena vi entrai lo specchio mi mostrò la sconvolgente verità: il mio braccio sinistro era in parte coperto di fango e come se non bastasse sanguinava. Ero proprio io la fonte di quell’effluvio nauseabondo. Inizialmente non riuscii a fare alcun ragionamento possibile. Dopo un quarto d’ora cercai di darmi una spiegazione logica. L’unica era che fossi difronte ad un’allucinazione, di quelle che colpiscono tutti i sensi. Mi lavai. Il braccio mi bruciava a contatto con l’acqua e ancora sanguinava. Come era potuto accadere? E il fango? Pensai alla figura aeriforme che  era fuoriuscita dalla mia stanza. Quello poteva esser stato uno spirito della notte; quelli che con l’arrivo delle tenebre si recano nelle dimore graffiando, torturando le anime delle persone, sono in grado di arrecare anche doloro fisico. Risi, non potevo credere ancora le storie che  mi raccontava la nonna da bambina, ma in tanto quale altra spiegazione potava esserci? Tuttavia, nemmeno quest’assurda fantasia riusciva a spiegare in toto l’accaduto.  Il fango non poteva essere giustificato in nessun modo. Come c’era finito sul mio braccio?  Sentii un urlo, proveniva dalla camera dei miei genitori. Bruscamente aprii la porta, mi diressi da loro che nonostante il trambusto continuavano a dormire. Lì, un uccello dai cromi scuri con i suoi artigli ungi se ne stava sopra il letto. La creatura si accorse subito della mia presenza. I suoi occhi color rubino mi trafissero. Io non sapevo cosa fare. In che modo era riuscito ad arrivare là? L’uccello si alzò in volo e tentò di venirmi addosso; io corsi e mi diressi in cucina. La creatura continuava a seguirmi. Io  mi fiondai sulla credenza,  e aprii un cassetto e ne estrassi un coltello.  Sentii il cuore battermi all’impazzata. L’uccello si gettò a capofitto su di me; ma io lo pugnalai dritto nel petto. Questo cadde a terra morto. Iniziai a piangere. Lo avevo ucciso,  non volevo, ma non sapevo cos’altro  fare. Guardai il coltello coperto di sangue e vidi che vi era  incisa una scritta: Vivi e vinci. Dopo che la lessi i miei capelli si slegarono  ricadendomi da una parte. Erano lunghi e ricchi di boccoli. Il mio pigiama era svanito e al suo posto era sorto un ampio vestito con ricami e ornature in pizzo. Rimasi a bocca aperta per circa due secondi, dopodiché svenni. Quando ripresi i sensi ero ancora conciata come una cortigiana medievale. Cavolo! Ma com’era successo? Avevo ucciso il rapace e…
Qualcosa iniziò a pungermi la pelle. Alzai lo sguardo da terra: quell’uccellaccio era vivo. L’avevo ammazzato, era morto, me lo ricordavo bene, ma in quel momento era di nuovo vivo. Mi stava fissando con i  suoi grandi occhi rubino. Impallidii: avrebbe potuto uccidermi. I suoi artigli mi trafiggevano la pelle facendomi desiderare le pene dell’inferno. Con forza disumana mi sollevò, iniziò a volare, mentre cascate di sangue fuoriuscivano dal mio braccio. Mi trascinò su per il camino portandomi fuori di casa in mezzo al sole che ancora doveva nascere. Volò fino in campagna dove mi lasciò cadere. Il divario tra il cielo e il suolo mi avrebbe regalato la morte. Urlai, anche se  sapevo che era uno sforzo inutile; sarei morta, per colpa di un uccellaccio risorto. Ma mentre pensavo a tutto quello,  mi accorsi di trovarmi ancora tra le nuvole scure. Una scopa mi sorreggeva  volando sopra i tetti delle case di campagna. Proprio come le streghe. E chi a parte loro può volare con una scopa? Nessuno, ne ero certa. Mi pensai strega. Ma  quando lo ero diventata? Lo ero forse da tutta la vita e solo in quel momento me ne ero accorta? L’uccellaccio dei miei stivali riapparse nella luce rossastra dell’alba. Si appoggiò sul manico della scopa, io cercai di cacciarlo via, ma lui non ne volle sapere. A un certo punto, mente l’animale mi fissava con attenzione, notai che piano, piano i suoi occhi mutavano colore. Il suo volto cambiava. Le piume svanirono. Il becco si tramutò in bocca. Le sue ali furono braccia. Il rapace, che avevo ucciso e che era risorto, diventò un ragazzo. Io sobbalzai perdendo l’equilibro con la scopa; lui impedì l’orrenda caduta. Lo guardai. La sua pelle era candida. I suoi occhi erano nocciola con una leggera sfumatura verde. I suoi capelli erano scuri come la pece. Il suo sorriso ricordava il gufo che era.
-Mi hai ucciso. Mi hai riportato in vita. Disse
Io lo guardai perplessa.
-Vivi, vinci! – Appena ebbe pronunciato quelle parole, che per chissà quale oscura bizzarria si trovavano incise sul coltello che poco prima avevo utilizzato, si dissolse proprio come uno spirito della notte.

  
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