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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    16/06/2019    3 recensioni
[LongFic][MacDalton][Season 3 canon divergence]
“Ehi, Mac. Dormi?”
“No… Non si dorme davanti a Die Hard, no?”
“Bugiardo, ti eri appisolato, confessa.”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fandom: MacGyver (2016)

Rating: Giallo

Personaggi/Pairing: Team Phoenix, MacDalton, OCs

Tipologia: Long-fic

Genere: Drammatico, hurt/comfort, romantico

Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono.

Note: Dedicata a Mairasophia.

UNDERNEATH

CAPITOLO 4

I'M SAFE WHEN I'M WITH YOU

 

I'm breathing in
I'm innocent
It's like my heart's on fire again

When I'm with you – Citizen Way

 

Quando Riley e Wilt uscirono nel corridoio, si aspettarono di avere notevoli difficoltà nel rintracciare la loro Direttrice; non si sarebbero mai aspettati, tuttavia, di trovarla con tale facilità, seduta nella sala d’attesa del pronto soccorso, con in mano l’ultima scultura di graffette che Mac aveva fatto all’ultimo briefing prima di partire per quella missione che l’aveva quasi strappato a tutti loro.

 

Matty si rigirava tra le mani la piccola spirale che era il simbolo della casa farmaceutica che erano stati chiamati a investigare e di cui nessuno dei due agenti più giovani ricordava il nome, con lo sguardo perso nel vuoto e l’espressione triste, non l’avevano mai vista in quelle condizioni.

 

Nervosamente, Wilt si avvicinò a lei e tirò fuori dalla tasca un pacchetto di fazzoletti prima di darglielo; lei lo accettò senza dire niente, senza neppure alzare lo sguardo, ed entrambi finsero di non vederne le lacrime che scivolavano giù dai suoi occhi: meritava di poter piangere senza che nessuno la guardasse, di sfogarsi come meglio credeva opportuno.

 

Se avesse avuto bisogno, loro sarebbero stati lì, come la famiglia che erano.

 

“Ho sempre pensato che Dalton e Mac sarebbero stati una bella coppia.” disse lei dal nulla: “Il loro rapporto era troppo stretto e, all’inizio, ero convinta che Jack rovinasse tutto come al suo solito.” confessò con tono monocorde.

 

“Guardi il lato positivo, Matty. Almeno non è Nikki.” rise Riley: “Che c’è? L’ho incontrata una volta e ne ho sentito parlare in tutte le maniere, preferisco Jack al fianco di Mac che quella tizia.” aggiunse lei, vedendo l’espressione perplessa di Bozer al suo fianco.

 

“Almeno Jack sappiamo che non permetterebbe mai a Mac di venir crivellato di colpi e abbandonato ad affogare in un lago.” concordò Wilt, tremando al pensiero.

 

 “Dalton ha sentito il Biondino bussare dalla propria bara anche sotto sedativi talmente forti da abbattere un elefante.” Matty ebbe un fremito al ricordo della scena: “Fossi sua madre, non vorrei nessun altro al fianco di mio figlio.”

 

L’impatto di quell’affermazione mozzò il fiato in gola ai due agenti davanti a lei mentre gli occhi di Wilt si riempirono di lacrime al pensiero della propria madre, madre che ancora non sapeva che il ragazzo che reputava un figlio al pari del suo bambino biologico era ancora vivo.

 

“D-Dovrei chiamare mia madre…” mormorò Wilt, abbassando lo sguardo: “A-Adesso che Mac può parlare…”

 

“Se vuoi, posso restare con te mentre la chiami. Non mi dà fastidio.” si offrì Riley prima di abbracciarlo: “E se davvero vogliono sposarsi, probabilmente la conoscerò di persona molto presto. Non credo che Mac non la inviti.”

 

I tre restarono in silenzio per qualche minuto, con i pensieri che turbinavano nelle loro menti con la violenza di un tornado in Texas.

 

“Sono contenta che Mac mi reputi degna di accompagnarlo all’altare.” disse Matty, rompendo all’improvviso il silenzio: “Sono onorata del suo affetto e del fatto che mi reputi una parte della sua famiglia, per me è lo stesso… Ma ho firmato io i documenti di morte… Ho dovuto firmare io un pezzo di carta maledetto che diceva che era deceduto. E questo non riesco a concepirlo ancora adesso, non riesco a concepire come si possa essere arrivati a tanto.”.

 

“Come è andato l’interrogatorio?” chiese Bozer.

 

“Castillo ha cantato come un uccellino ubriaco. Era disperata, pare che qualcuno l’abbia contattata minacciandola di uccidere il suo vecchio padre che vive ancora in Spagna con l’altra figlia se non avesse seguito le istruzioni. Ma non mi interessa, ad essere sincera. Avrebbe potuto parlarne con Lancelot in forma privata, il quale avrebbe inviato un allarme cifrato direttamente alla mia casella di posta e in pochissime ore avremmo risolto il problema. E invece abbiamo dovuto affrontare una perdita incommensurabile, sul piano lavorativo e familiare, abbiamo dovuto seppellire Mac e l’abbiamo visto riemergere dalla sua bara. Tutto questo non è perdonabile.”

 

“P-Pensa che ci sia di mezzo l’Organizzazione?”

 

“O loro oppure è una vendetta di qualche amico della Thornton. E se fosse l’ultimo caso, vi prometto sulla tomba di mio padre che gliela farò pagare. La farò pentire di essere nata e di aver anche solo lontanamente pensato di toccare uno di voi.”

 

Riley e Bozer annuirono.

“Finirà mai tutto questo? O dovremmo guardarci costantemente le spalle per la paura che qualcuno colpisca uno di noi?” si chiese Davis con un sospiro.

 

“Non lo so, e non mi interessa perché vi prometto questo, ragazzi. È guerra aperta, nessuno si avvicinerà mai più a uno di voi, non se posso impedirlo. Siamo una famiglia, e voglio che sia molto chiaro. Se qualcuno prova a colpirvi, non vivrà abbastanza a lungo per raccontarlo. Anderson e i suoi sono furibondi e non penso di aver mai visto Lancelot più sul piede di guerra, questa Fondazione è in grado di mettere tutte le proprie risorse a disposizione per proteggere uno dei suoi e voi tutti lo siete.” Matty indicò i due giovani davanti a sé con estrema serietà in viso: “Non sto scherzando, Wilt, Riley. Mac sarà anche il mio Biondino ma voi siete ugualmente figli miei. E una madre protegge sempre i propri ragazzi.”

 

Le parole della Direttrice costrinsero i due ragazzi a scambiarsi alcuni fazzoletti per asciugarsi gli occhi.

 

“Ora andiamo, abbiamo del lavoro da fare.”

 

§§§

 

Era ormai tarda sera del giorno successivo al suo arrivo al Nido quando finalmente tolsero a Mac la maschera per l'ossigeno e la sostituirono con una cannula nasale ed era quasi mezzanotte quando Jack, attento ai tubi della flebo, si issò sul materasso e si posizionò con la schiena contro il muro per tenere il proprio partner tra le braccia e fargli da cuscino.


Cullandolo come se fosse stato un cucciolo, Dalton gli massaggiava le spalle e alternava baci tra i capelli e sul collo, trattenendo al contempo la commozione di quei momenti: Mac era lì con lui, vivo e vegeto, e poteva rilassarsi, presto l'avrebbero dimesso e sarebbero potuti tornare a casa.


Appisolato per i farmaci che gli venivano pompati nel corpo e che agivano per ripulire il suo corpo dal cocktail a base di tetradotossina che l’aveva paralizzato – e ancora debole per le lunghe giornate trascorse senza cibo né acqua – l'agente più giovane era abbandonato contro il petto di Jack e avvolto nel plaid che Riley gli aveva portato quella mattina, uno di quelli che risiedevano nell'armadio a muro dell'appartamento di Jack e che, seppur in parte, ne portavano ancora l'odore.

 

Il Nido era tranquillo, Lancelot era passato da poco a controllare i progressi di Mac e, soddisfatto, si era ritirato in sala medica a leggere alcuni rapporti in compagnia di Angelica; per quanto riguardava i pazienti, Angus era l'unico; era senza dubbio la situazione migliore per avere un po' della privacy di cui avevano bisogno dopo quello che avevano passato.

 

Certo, non che il personale medico e gli agenti non sapessero di loro, Jack sospettava che perfino il suo team tattico, Anderson in testa, avesse in ballo parecchie scommesse sul loro conto, ma sapeva come la pensava Mac sul farsi vedere indifeso e sofferente ed era determinato a prendersi cura di lui senza pubblico di sorta.

 

"Ehi, piccolo." La voce di Dalton era bassa ma affettuosa: "So che ancora non puoi mangiare cibi solidi, almeno finché l'effetto paralizzante non se ne va del tutto, ma Boz ha portato un thermos di tè caldo, fa bene alle tue corde vocali."

Mac si mosse nel dormiveglia ma non aprì gli occhi: respirava, notò Jack non senza un sospiro di sollievo, perciò doveva trattarsi semplicemente di testardaggine nell'ignorare la proposta; perciò, con un sorriso, l'uomo si sistemò meglio con la schiena contro la testiera del letto e aggiustò la stretta sul corpo del partner, ne accarezzò il polso col pollice e gli posò un bacio sul collo, sorridendo nel sentirlo fremere e abbandonarsi ancora di più: "Shh, sono qui, Mac… E non me ne vado." aggiunse con un sorriso malinconico mentre il suo sguardo si posava sull'anello della proposta, "E lo stesso vale per te, non ti lascerò andare via prima che sui tuoi documenti non sia segnato Dalton come cognome da sposato. E neppure dopo, in realtà."

 

Rimasero così per qualche minuto quando, all'improvviso, Mac ebbe uno scatto, per cui quasi sgusciò dalla presa di Jack sul suo corpo.

 

Piegato in due e svegliato di botto dal sonno, Mac si allungò a stringere con la poca forza che aveva nelle mani il polpaccio sinistro mentre, al contempo, mugolava per il dolore; seppur preso di sorpresa, Jack fu svelto a posargli una mano rassicurante tra le scapole mentre con il braccio gli cingeva il petto per tenerlo sollevato e non permettergli di strappare i fili.

 

"Ehi, Mac, che succede?" chiese lui con tono il più possibile controllato: non sarebbe servito a niente farsi prendere dal panico, avrebbe soltanto agitato di più il suo partner. partner che, alzato lo sguardo con un rantolo di dolore, lo guardò con occhi lucidi: "C-Crampo..." riuscì a dire tra gli spasmi.

 

In un attimo, Jack scivolò giù dal letto e lo spinse all'indietro, contro i cuscini che aveva sprimacciato per farlo stare più comodo, prima di posare entrambe le mani sul polpaccio incriminato e muovere lentamente le dita in un lento massaggio, accompagnato da basse parole di conforto.

 

"Shh, adesso passa. Respira a fondo, ci penso io… Rilassa i muscoli."

 

Quando infine lo spasmo scemò, lasciando Mac prostrato e con le guance solcate dalle lacrime, Jack fece il giro del letto e si issò nuovamente sul materasso, ma questa volta non restò seduto; sistemato il più giovane tra le proprie braccia, lo fece poggiare contro il suo petto, stringendolo da dietro e continuando a mormorargli qualcosa all'orecchio per calmarlo e rassicurarlo.

 

Restarono sdraiati così per parecchi minuti, fino a quando Angus non si fu del tutto abbandonato sul materasso e non si fu lasciato avvolgere nel plaid che era caduto per metà dal letto: "Credo che sia una cosa buona quello spasmo, piccolo." disse Jack a bassa voce mentre gli accarezzava i capelli sudati, "Vuol dire che i muscoli delle tue gambe stanno tornando alla normalità."

 

"L-Lo so... Ma fa male." replicò lui, mettendo su quel broncio infantile che soltanto Jack poteva vedere.

 

Jack scosse la testa con una risatina: "Presto tornerai a correre in giro e a dare del filo da torcere a questo vecchietto."

 

"Ho una predilezione per quelli più vecchi di me, lo sai." ed eccola, la sfacciataggine di Mac, quella che l'aveva reso famoso tra gli agenti della Fondazione come attaccabrighe, ma che Jack aveva imparato a rispettare prima e ad amare poi.

 

Qualche istante dopo, tuttavia, il giovane agente sentì il proprio respiro velocizzarsi mentre una sensazione di gelo gli attanagliava lo stomaco; ma non era solo, Jack era al suo fianco, pronto a reagire e lo fece a modo suo, in quella maniera così intima e amorevole che l'ex Delta riservava soltanto a lui.

 

"Shhh, Mac... Va tutto bene." Jack gli accarezzò la fronte, sull'attaccatura del ponte del naso, con un movimento circolare delle dita, lento e costante. Bravo, respira così. Piano e profondamente."

 

"J-Jack... Non capisco che succede…"


"Shh, io non me ne vado. Appena ti sei calmato un po', chiamo Lancelot. Non mi allontano, te lo prometto. Lo chiamo con il cellulare."

 

Mac annuì piano e strinse la mano di Jack con una forza inusitata, ma all'ex Delta non importava se gli faceva male: aveva bisogno di lui, non si sarebbe tirato indietro per alcun motivo.

 

Quando infine Mac si fu calmato, e questa volta definitivamente, era madido di sudore e tremava per il freddo.

 

Dopo avergli messo il plaid addosso, Jack infilò le mani sotto di esso e gli accarezzò il petto prima di chinarsi sul suo orecchio: "Ti aiuto a cambiare la casacca del pigiama."

 

Esausto, Mac annuì e chiuse gli occhi: sentì le mani di Jack percorrergli il corpo e sollevargli la parte superiore del pigiama ma se, normalmente, si sarebbe trattato di un gesto molto intimo e sensuale, in quel momento era qualcosa di affettuoso e pieno di amore e rispetto, qualcosa a cui Mac poteva abbandonarsi senza pensieri: Jack non si sarebbe mai approfittato di un suo stato di debolezza per ferirlo o prendersi qualcosa che non era in grado di dare in quel momento.

 

Dopo averlo asciugato con una pezza di morbido cotone, Jack lo aiutò a indossare una casacca pulita e asciutta e, quando finì, gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte per asciugare anche questa.

 

Completamente senza forze, Mac lo lasciò fare.

 

Infine, Mac sentì la mano di Jack stringere piano la sua: "Sono proprio qui accanto, piccolo. Chiamo Lancelot."

 

"Non è necessario, agente Dalton, ho visto le letture dell'ECG dalla sala medica e sono venuto appena possibile."

 

Gregor era apparso sulla soglia della stanza con un sorriso paterno e un piccolo carrello dietro di sé spinto da Angelica: "Angelica, cara. Portalo dentro, poi ci penso io al resto." aggiunse il medico mentre indossava i guanti di lattice.

Con un cenno del capo, la giovane internista salutò Mac e Jack, spinse dentro il carrello, e sparì nel corridoio.

 

"Allora, agente M. So che non è particolarmente amante delle procedure mediche, ma vedrà che ce la sbrigheremo in fretta." sorrise l'uomo, mostrando le mani vuote: "Non farò punture." promise lui.

 

Ancora debole per il crampo prima e l'attacco dopo, Mac annuì e restò sospeso a metà tra il sonno e la veglia mentre Jack e Lancelot parlavano sommessamente e l'agente più anziano - senza interrompere il contatto con la sua mano - spiegava cosa fosse accaduto.

 

"O-Ora sto bene." mormorò Mac con uno sforzo sovrumano.

 

"Sicuramente si sentirà meglio, agente M. Ma il nostro scopo è farla stare bene, non un po' meglio." qualcosa, nel tono di Lancelot, fece ricordare a Mac suo nonno e soprattutto Papà Bozer.

 

Era la voce di un padre.

 

Per un attimo, il cuore di Mac gli si fermò nel petto e una lacrima minacciò di uscire assieme a un singhiozzo ma l'ancora che era la mano di Jack lo tenne calmo mentre Lancelot continuava la propria visita e annotava la pressione e i battiti cardiaci.

 

"Buone notizie, è stato un semplice attacco di ansia." annunciò Gregor prima di frugare nel carrello: "Probabilmente scatenato dagli ultimi avvenimenti, il crampo e lo spavento che si è preso ha solo esacerbato la reazione del suo corpo. Ora, so che non ama molto i calmanti ma non protesti, deve riposare per poter essere dimesso; visto che qui ho gli stessi poteri della Direttrice Webber, ordino all'agente Dalton di restare qui per motivi di sicurezza." aggiunse l’uomo, iniettando una fiala di ansiolitico nel tubo della flebo.

 

Jack annuì e strinse più forte la mano di Mac prima di portarsela alle labbra e baciarla: “Visto? Anche il medico ha detto che posso restare. Dal momento che è un ordine, mi tocca obbedire.” sorrise lui; Lancelot scoppiò a ridere mentre misurava la temperatura di Mac con un termometro elettronico, “Sarebbe la prima volta.” replicò l’uomo, “Non faccia quella faccia, agente. Sa benissimo che è così.” Gregor aveva un’espressione divertita, non guardava Jack direttamente in viso ma sapeva cosa stesse pensando.

 

Non si diventa il primario del Nido per niente.

 

“Abbiamo finito, figliolo.” concluse Lancelot, scompigliando i capelli di Mac con fare paterno: “Riposa ancora un po’, con il passare dei giorni starai sempre meglio. E Ruth ha promesso di inviarti dei biscotti fatti in casa.”.

 

Mac sorrise appena al pensiero degli shortbread di Ruth Fawcett-Lancelot, la moglie di Gregor, una donna minuta, con una folta foresta di capelli candidi come la neve sulla testa e una passione smodata per Castore e Polluce, i suoi due corgi nonché acerrimi nemici di Gregor: tanto amavano la loro padrona quanto ringhiavano contro il marito di lei.

 

Spesso, Gregor arrivava al lavoro borbottando che i due “filoncini di pane su zampe” gli avevano ringhiato contro prima di uscire e lui li aveva minacciati di trasformarli in toast per la colazione, e la cosa aveva sempre fatto ridere Mac e il resto della Fondazione, dove i pettegolezzi sui corgi di Lancelot rivaleggiavano in celebrità con le scommesse della squadra di Anderson.

 

“C-Ci conto.” disse Angus, prima di addormentarsi.

 

Un secondo dopo, Jack era di nuovo seduto sul letto con Mac disteso tra le sue braccia, e Lancelot sorrise con malinconia nel vederlo così affettuoso, così pronto a prendersi cura di Angus anche a costo della propria salute: Gregor aveva imparato a voler bene a tutti gli agenti della Fondazione ma doveva ammettere di avere un debole per l’agente M.

 

Con una mano posata sulla spalla di Jack, il dottore lo costrinse ad alzare lo sguardo: “Se vi serve qualcosa, sono in sala medica. Si occupi di lui, ma cerchi di dormire un po’ anche lei.”

 

“Lo farò. Grazie, Gregor.”

 

“Potrà ringraziarmi quando io e Ruth riceveremo l’invito al vostro matrimonio.”

 

“Sarete i primi dopo Matty, promesso.”

 

§§§

 

Il giorno successivo, il risveglio fu diverso: quando cominciò a riemergere dalle nebbie del sonno, infatti, Mac sentì una nuova energia percorrergli i muscoli e, se anche era ancora assonnato, non poté negare di riuscire a respirare meglio, senza sentirsi il petto pressato sotto una macina.

 

Con gli occhi ancora chiusi e avvolto dal calore del plaid che era diventato parte integrante della sua biancheria da letto, il giovane agente concentrò la propria attenzione sugli arti: gli dolevano un po’ ma riusciva a muovere le dita dei piedi senza troppi problemi.

 

Un raggio di sole lo colpì in viso e gli fece aggrottare le sopracciglia infastidito, costringendolo a muovere la testa per allontanarsi.

 

“Mac? Sei sveglio, piccolo?”

 

La voce di Jack lo colse di sorpresa nella stanza che lui aveva ritenuto vuota – non aveva percepito la presenza di Jack alle sue spalle e aveva pensato fosse andato in bagno o a farsi una meritata doccia – ma l’istinto lo portò a sorridere mentre sollevava le palpebre trattenendo a stento uno sbadiglio: davanti ai suoi occhi, si materializzò l’espressione speranzosa del suo partner.

 

Questi, chinò su di lui, gli afferrò la mano e Mac poté vederne gli occhi pieni di lacrime non piante e parole non dette ma veicolate comunque con i gesti di infinito amore per lui; e tanta, ma tanta trepidazione.

 

“Ehi, ben svegliato. Come ti senti?”

 

Un altro sorriso gli uscì spontaneo dal cuore, fiorendo sulle sue labbra; inclinando la testa di lato e osservandolo con aria assonnata ma serena, il più giovane ricambiò la stretta sulle proprie dita e fu una presa salda, forte, viva.

 

Mentre Jack lo guardava sbalordito, incapace di andare al di là del proprio groppo in gola, Mac allungò l’altra mano per posarla sulla guancia del fidanzato e la coprì con il palmo della stessa: “Credo bene.”, la voce era bassa ma non c’erano balbettii, nessuna difficoltà.

 

Solo Mac.

 

“Ti fa male da qualche parte?”

 

“Jack…”


“Sì?”

 

“Sto bene, davvero. E mi dispiace per quello che avete passato, mi dispiace davvero tanto, non so come scusarmi, io- “

 

Quella piccola riunione di cuori allo sbaraglio venne interrotta da Jack stesso il quale, infilate le braccia sotto la schiena del compagno, lo sollevò fino a che le loro labbra non furono a pochi millimetri di distanza; quando si staccarono per riprendere fiato, Mac aveva le guance rosse ma sorrideva con una piccola lacrima che gli scivolava lungo la guancia: “Non chiedermi scusa per essere… Non chiedermi scusa. Non è colpa tua. Hai capito?”

 

Per sottolineare la propria determinazione, Dalton posò la propria fronte su quella di Mac e lo guardò negli occhi, con tale intensità che la presa sulla mano del più anziano si rafforzò, rispecchiando la tempesta emotiva che squassava il cuore di Angus.

 

“Dalton, devo ricordarti che Mac è ancora convalescente e che fare sesso in ospedale è contrario al regolamento, oltre che alla decenza?”

 

Con uno sbuffo infastidito, Jack depositò di nuovo il fidanzato sul letto con estrema cura e si voltò per affrontare il loro capo; quest’ultima, tuttavia, lo ignorò e attraversò la stanza a passo svelto per raggiungere il letto.

 

Mac le sorrise e lei ricambiò: “Ehi, Biondino. Questa volta ci hai fatto davvero spaventare.” disse lei con tono quasi materno mentre gli accarezzava i ciuffi biondi spettinati, “Però è bello vederti sveglio. E questa volta davvero, non balbettante e praticamente l’ombra di te stesso.”.

 

L’agente annuì e puntò i propri grandi occhi azzurri nei suoi scuri: “La tetradotossina fa schifo.” dichiarò lui, guadagnandosi una risata da parte di Matty, risata che prese la forma di un singulto strozzato prima che lei, all’improvviso, gli gettasse le braccia al collo per stringerlo.

 

Con uno sguardo di intesa scambiato d’istinto, Jack si spostò verso il muro e, con un ultimo sorriso, lasciò la stanza mentre Mac, ancora tra le braccia della direttrice, ne ricambiava goffamente la stretta; la porta venne chiusa con cautela, dando loro la privacy di cui avevano bisogno, e Angus sentì la donna rilassarsi di poco prima di rompere il contatto: “Biondino, fammi un altro scherzo del genere e riporto in vigore l’embargo sulle graffette.”

 

“Minacce di un certo livello.”

 

“Mac…”

 

“Scusami, Matty.”

 

“Dico davvero,” la donna si accomodò sulla sedia che era diventata ormai un’estensione di Jack: “Non voglio più dover firmare un documento che mi dice che sei morto, non voglio neppure più pensare all’eventualità, dannazione.”; visibilmente esausta, Matty si pinzò il ponte del naso e lo premette ripetutamente come per allontanare un’emicrania in arrivo prima di riportare lo sguardo sul suo agente, “Sei importante, Mac, non solo per la Fondazione ma soprattutto per me, per questa famiglia.” proseguì, indicando con la mano la foto incorniciata posizionata sul comodino, la stessa che Bozer aveva portato da casa per decorare la stanza.

 

Una foto semplice, la rappresentazione di una famiglia felice e unita le cui braccia erano strette gli uni attorno agli altri, in un intrico di arti e vestiti colorati in una serata d’estate sulla terrazza; scattata con un complicato sistema di autoscatto che Mac aveva creato, “Ma non bastava un bastone per selfie?” aveva detto Riley con un sorriso esasperato, era stata stampata il giorno dopo e non era un mistero per nessuno il fatto che Matty ne avesse una copia sulla propria scrivania, accanto a quella dei suoi genitori.

 

Bozer e Riley erano seduti sulla balaustra di legno, si indicavano vicendevolmente ridendo per qualche battuta stupida mentre Matty, appoggiata alle gambe dell’hacker, teneva in mano un bicchiere di scotch; Jill, al suo fianco, sorrideva timidamente, mentre al centro del gruppo, Jack e Mac ce la stavano mettendo tutta per fare le espressioni più stupide mai viste.

 

Era una foto semplice, ma proprio quella sua semplicità la rendeva speciale.

 

“Sei importante per tutti noi, Angus MacGyver e no, non fare quella faccia.” lo rimproverò lei vedendolo roteare gli occhi: “So che odi che si usi il tuo nome completo ma voglio rinforzare il concetto. Abbiamo bisogno di te, Jack ha bisogno di te. Hai un dovere, agente MacGyver: quello di restare in vita e renderlo felice così come lui ha giurato di rendere felice te.”

 

Con la gola chiusa dal magone, Mac annuì, sentendo una sensazione di calore sprigionarsi dal suo petto e propagarsi in tutto il corpo: era l’amore che le persone attorno a lui gli riservavano e, nonostante fosse poco esperto di simili dinamiche, si disse che forse poteva fidarsi, che quello che provavano era autentico, che erano davvero al suo fianco e che lo sarebbero sempre stati.

 

“Ora ricomponiamoci, o Dalton non la finirà più di prenderci in giro e non voglio dover spedire il tuo futuro marito in missione in Antartide.”

 

Mac scoppiò a ridere e accettò il fazzoletto che Matty gli passava: “Di solito non sono così emotivo.” borbottò il giovane, “Dev’essere la tetradotossina.”

 

“Sicuramente, Biondino. È noto, in fondo, che le neurotossine, oltre a paralizzarti e a portarti alla morte, ti mandano fuori di testa come gli ormoni durante il ciclo mestruale. Rassegnati, hai dei sentimenti.”

 

“Allora li ha anche lei, Matty.”

 

“Per quanto non voglia ammetterlo, sì. Li ho. Ma se la notizia esce da questa stanza, davvero nascondo tutte le graffette della Fondazione.”

 

Con il cuore più leggero, entrambi scoppiarono a ridere: ci sarebbe stato ancora molto da fare perché Mac recuperasse del tutto ma erano sulla buona strada.

 

La tempesta era ormai lontana e c’era soltanto il sole davanti a loro.

   
 
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