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Autore: HistoryFreak_91    07/07/2019    2 recensioni
6000 anni sono davvero un'infinità. Tante sono le vicende, gli eventi storici e non che si susseguono e Crowley ed Aziraphale erano nei paraggi per molti di essi.
Questa fanfiction ha la volontà di evidenziare alcuni momenti salienti delle vite delle due entità, cercando di essere il più possibile storicamente accurata (con alcuni cambiamenti per rendere più vivace ed anche più semplice la lettura) e soprattutto fedele ai due personaggi principali.
Gli avvenimenti saranno in ordine sparso. Potrebbero essere solo un paio di capitoli oppure una bella raccolta di numerose oneshot/flashfic/drabble.
Genere: Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments, Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’incendio di Londra fu un errore umano, una fiamma che si accese nella biscotteria di Pudding Lane alle due di notte del 2 settembre 1666 seguita dall’esplosione dei barili di catrame che si trovavano nella cantina sotto il locale e dallo schizzare dei detriti infiammati sulle stalle della locanda accanto, propagando l’incendio più in giù, lungo il ponte di Londra. Se l’incendio era, dunque, stato un incidente, lo stesso non si poteva dire della disposizione così serrata delle abitazioni di Londra al tempo: convincendo le persone giuste al momento giusto, Crowley era riuscito a far risparmiare alla Corona ed chi era direttamente interessato molto denaro, convincendoli a continuare a costruire le sempre più numerose abitazioni una attaccata all'altra, lasciando così com'erano le vecchie case dell’epoca Tudor, rovinate dal tempo e dalle intemperie e soprattutto costruite principalmente in legno e canniccio. Il fuoco, coadiuvato da un'estate particolarmente afosa, si era dunque sparso a macchia d'olio, trasportato da un vento forte ed insistente che spazzò via gli uccelli che non volavano abbastanza rapidamente per scappare.

 

Crowley osservava quello spettacolo inorridito, le fiamme che si rispecchiavano nelle spesse lenti nere. Era colpa sua, lo sapeva. Lo sapeva che quello era il suo piano, la sua grande idea geniale, sì ma non così, non in maniera così devastante, così incontrollabile. Voleva solo farli innervosire, aizzarli gli uni con gli altri per il disturbo di famiglie intere stipate così vicina l'una a all'altra, non carbonizzarli tutti e rendere la sua città un deserto! Sì, perché Londra era ormai diventata la sua città. Era lì che si era stabilito, lì che aveva vissuto negli ultimi secoli, viaggiando di tanto in tanto ma sempre tornando, infine, lì. Londra era la sua casa e lui l'aveva distrutta. 

 

Il demone non sapeva che fare: i pompieri si erano già messi a lavorare un'ora dopo lo scoppio dell'incendio ma avevano grandemente sottovalutato la situazione. Erano le tre di notte, dopotutto, ed il sindaco non voleva essere svegliato. Nessuno capiva l’entità del danno, nessuno tranne Crowley che, trovandosi con le spalle al muro, prese a correre per raggiungere l'unica persona che sapeva l’avrebbe aiutato.

 

“Aziraphale!” Chiamò a gran voce, battendo forte sulla porta dell'abitazione che sapeva ospitare l'angelo. “Aziraphale, apri questa benedetta porta!” La sua voce suonava furiosa ma nascondeva in realtà un soffio di disperazione che il demone cercava in ogni modo di soffocare. Quando l'angelo aprì la porta, piuttosto confuso, vide l'altro uomo quasi in ginocchio davanti a sé, il respiro affannoso e l'aspetto trasandato. Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di capire, ancora ignaro del fuoco che si avvicinava.

 

“Crowley.” Lo chiamò con gentilezza, aggrottando la fronte perplesso, e finalmente le sue narici percepirono l'odore acre dei fumi. L'angelo alzò il viso e cominciò a guardarsi intorno. “Che cosa succede?” Finalmente i suoi occhi si posarono sul bagliore rosso in lontananza. “Che cos’è quel fuoco?”

 

“È colpa mia! È tutta colpa mia!” Il demone si lasciò andare: si sarebbe voluto buttare fra le braccia dell'angelo ma si limitò a lasciarsi cadere sulle ginocchia, prendendosi la testa fra le mani, incapace di contenersi ancora. Aziraphale rimase sbalordito. “Sono stato io a creare questo piano. Le case, Aziraphale…” Le sue frasi suonavano sconnesse all'angelo che non capiva. “Sono stato io…” E non gli importava capire, non in quel momento.

 

“Crowley.” La sua voce, dolce e rassicurante, fu come un dardo nel petto del demone e le sue mani gentili che gli presero le spalle lo fecero sussultare come se fosse rimasto scottato da dell'acqua benedetta. Il demone alzò gli occhi verso Aziraphale ed incontrò il suo sorriso più dolce. Crowley sentì il cuore sciogliersi sul terreno. “Qualunque cosa tu abbia fatto, sono certo che non abbia mai voluto ammontare questo.” Crowley continuò a perdersi in quegli occhi buoni, pieni di comprensione e, soprattutto, perdono. Forse nell'oscurità non fu visibile, ma una lacrima solcò il suo volto, scendendo lenta da dietro le spesse lenti nere.

 

“Ti prego, Aziraphale.” Sussurrò Crowley, scattando ad aggrapparsi al farsetto dorato dell'angelo che trattenne il fiato. “Fa' qualcosa, Aziraphale.” Lo pregò, disperato. Aziraphale trattenne il fiato: un angelo non avrebbe mai potuto sottrarsi ad una preghiera, neanche a quella di un demone. Il suo sguardo si fece serio, deciso, e, dopo aver fatto un cenno, l'angelo si allontanò, creando mentalmente un piano d'azione.

 

Crowley, impossibilitato dal dare un aiuto diretto per non incappare nella furia degli Inferi, osservò Aziraphale darsi da fare: certo non poteva miracolare via il fuoco come se niente fosse ma coordinò la squadra dei pompieri al meglio delle sue capacità e riuscì a convincere persino il re Carlo II e suo fratello Giacomo a scendere in campo per aiutare la popolazione. Crowley osservava tutto ciò a bocca aperta: non aveva mai visto l'angelo così concentrato, così competente, così ostinato nel fare un buon lavoro senza chiedere aiuto ai suoi superiori. Ormai, comprese Crowley, Aziraphale si doveva essere abituato all'idea che, se voleva portare un cambiamento positivo nel mondo, doveva pensarci da solo e farsi aiutare dalle uniche persone che sapeva non si sarebbero tirate indietro: gli umani. E così, per tre giorni, lavorò fianco a fianco con loro e piano piano il fuoco si estinse.

 

Tredicimila e duecento case, ottantasette chiese e quarantaquattro gilde dei mercanti furono perdute in quei terribili giorni di settembre. Crowley si guardò attorno fra le rovine: dove prima si alzavano, alte ed affollate, le abitazioni dei londinesi, ora non c’erano altro che ceneri e macerie. Il demone si appoggiò al bastone da passeggio con cui usava accompagnarsi e prese un profondo, sconsolato respiro. 

 

Aziraphale stava salutando il capo dei pompieri quando i suoi occhi caddero sulla chioma solitaria del suo familiarissimo demone. L'angelo prese un gran respiro e si fece forza, sorridendo mentre si avvicinava all'altro con un lento incedere. Crowley lo sentì arrivare ed attese che lo affiancasse. Con gli occhi notò il suo sorriso incoraggiante e si sentì sprofondare ancora una volta.

 

“Non è rimasto più niente…” Mormorò, alzando gli occhi tutto attorno, seguito a ruota dall'angelo che fece altrettanto. Aziraphale posò gli occhi sul legno mangiato dal fuoco, o su quel che ne rimaneva, e sui muretti in pietra, neri di fuliggine. 

 

“Ricostruiranno.” Commentò dopo un po', facendo sussultare il demone che s'irrigidì. “Vedrai, Londra sarà ancora più bella e rigogliosa di prima. E poi…” Si volse con il corpo verso Crowley, il suo sorriso ancora più ampio in volto. “Grazie a te, sono potuto intervenire in tempo per salvare tante vite.” Il demone deglutì a quelle parole, stringendo la mano sulla testa del bastone da passeggio. “Qualunque cosa tu abbia fatto, mio caro, hai fatto il possibile per rimediare.” Il demone non rispose nulla a quelle rassicurazioni: non le meritava. Lui non aveva fatto niente, aveva solo alimentato quel fuoco e non era stato in grado di aiutare nessuno. L'unica cosa che era riuscito a fare era stata pregare, tra tutte le persone in questa lurida cittadina, lui, Aziraphale, un angelo, per giunta! Il colmo, davvero. Ma ormai di cosa si sorprendeva più? Era diventato tenero con il tempo, se ne rendeva conto, ma non poteva accettarlo. 

 

“Sai cosa?” D'improvviso la voce dell’angelo lo ridestò dai suoi pensieri e si voltò a guardarlo, ancora con quello stupido sorriso in volto, gli occhi azzurri che brillavano. “Tutto questo lavoro mi ha fatto venire fame.” Ridacchiò sotto i baffi e Crolwey sentì un calore familiare espanderglisi in petto. “Forse potresti… offrirmi il pranzo?” Il demone si lasciò scappare un soffio: mio Dio, quanto era impossibile! Ma quanto, quanti lo amava... Scosse il capo ed infine annuì con un mezzo sorriso.

 

“Mi sa che te lo devo.” Fece schioccare il bastone sul terreno e si mosse di lato, portandosi una mano al cappello. “Prego.” Indicò con fare elegante all’angelo di fare strada e questi non se lo fece ripetere due volte, gongolando all'idea di un lauto pasto.

 

Aziraphale cenò serenamente seduto dall'altro lato del tavolo di Crowley. Parlava come se niente fosse, commentava il cibo, raccontava aneddoti. Era come se quei tre giorni non fossero mai accaduti. Ma erano accaduti, eccome se erano accaduti, e Crowley non poteva smettere di pensarci. Non aveva toccato cibo né proferito una sola parola se non mugugni secchi e poco partecipi. Aziraphale aveva deciso volutamente di ignorarli: sapeva che il demone aveva necessità di somatizzare quanto era successo ma non se la sentiva di lasciarlo solo. 

 

Fu per questo che, una volta usciti dal locale dopo il lauto pasto, Aziraphale si voltò verso il compagno che lo guardò attentamente mentre parlava. 

 

“Ascolta, Crowley, che ne dici di passare un po' da me?” Offrì con nonchalance e, prima che il demone potesse trovare una scusa per rifiutare, aggiunse: “Ho ancora dei vini presi in Francia dopo l'esilio di Re Carlo.” Una scusa, poco ma sicuro, ma una che funzionava sempre. Crowley sembrò pensarci solo per un istante, poi fece spallucce. 

 

“Perché no?” Acconsentì infine ed il volto dell'angelo si fece radioso. “Sempre meglio di quello schifo che ci hanno servito qua dentro.” Aziraphale fece finta di non aver sentito quell’ultima frase e fece strada per raggiungere la sua abitazione.

 

Le due entità si accomodarono nell’accogliente salotto distrattamente decorato e pieno di cianfrusaglie e libri ovunque. L'angelo non era un tipo molto ordinato e la sua curiosità lo portava ad accumulare un quantitativo assurdo di oggetti e, soprattutto, libri. Gli piacevano in particolar modo le prime edizioni e le teneva riservate con grande cura. 

 

L'angelo scomparve e ricomparve da una stanza secondaria, portando con sé il vino e due calici. Servì se stesso ed il suo ospite, certo che un po' di alcol avrebbe fatto bene allo spirito di entrambi. Ed infatti, dopo qualche bicchiere bello pieno, Crowley cominciò a tornare ciarliero come suo solito.

 

“Quando ho visto Charles arrivare è stato… wow, angelo!” Stava dicendo, completamente investito dal ricordo del re che scendeva per le strade insieme al fratello, accompagnato da un uomo meraviglioso dai riccioli platinati ed il farsetto dorato. “Non so come tu abbia fatto a convincerlo.” Crowley rise mentre Aziraphale rispondeva con un sorriso sornione, fissando il vino che roteava nel suo calice. 

 

“Beh, sai, a volte so essere piuttosto convincente.” Rispose con un velo di timidezza, incapace di alzare lo sguardo e preoccupato di peccare di superbia.

 

“Ah! Proprio come un diavolo tentatore!” Lo stuzzicò Crowley, facendolo sentire ancora di più in imbarazzo. “Non sapevo che avessi anche questo talento, angelo.” D'improvviso l'atmosfera si fece più sobria: forse era stato quel commento, forse, più probabilmente, la stanchezza ma Aziraphale sentì la forza di sorridere scivolargli via ed il suo viso si perse in un'espressione a metà tra dimessa e pensierosa. Nonostante l’ebrezza, Crowley si accorse immediatamente di quel cambiamento d'atmosfera e si ridimensionò a sua volta. 

 

Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi il demone sospirò:

“Non avrei mai pensato che potesse accadere una cosa del genere.” Il suo tono era serio ma calmo. Aziraphale lo guardò da dietro le ciglia, incerto se fermarlo oppure no. “E sai qual è la cosa peggiore? Che è stato tutto inutile.” Si grattò la testa, affondando una mano nei folti capelli. “A che cosa ha portato? Le vittime che si sono state erano tue e mie allo stesso modo.” Aziraphale trattenne un sospiro e rimase ad ascoltare: Crolwey aveva ragione. “Quindi non è che sia servito a niente, alla mia fazione. Siamo zero e zero, come sempre.” Si stropicciò il viso con la mano, gli occhi di Aziraphale che osservavano ogni suo movimento. “Ma ti assicuro che non succederà più.” Crowley si portò la coppa alla bocca e ne vuotò il contenuto tutto d'un fiato. “Non così.” Terminò il suo discorso, posando il calice sul tavolino davanti a sé, facendosi largo tra i fogli sparsi che lo ricoprivano. Aziraphale rimase ad osservare la coppa con sguardo assente per un po' per poi svuotare anche la sua.

 

“Lo sai, Crowley?” Sussurrò, rompendo il silenzio, ridenstando il demone ancora una volta dai suoi pensieri. “Penso che in fondo tu non sia così male.” Sorrise. Sorrise come un ebete. Gli occhi di Crowley si fecero grandi dietro le lenti: come osava!? Stupido angelo. Stupido, adorabile, bellissimo angelo. Al demone sembrò di sentirsi male. Gli si attorcigliavano le budella. Disgusto, si disse, di certo era per il disgusto.

 

“Prova a dirlo un’altra volta, angelo, e ti giuro che io…” Sibilò ed all'angelo scappò una genuina risata. Le guance del demone si fecero ancora più rosse. “Che cos'hai da ridere!?” Voleva sembrare grande, spaventoso, voleva incenerirlo, quello stupido angelo, ma per qualche ragione l'altro non aveva paura di lui, anzi, lo trovava divertente, persino piacevole.

 

“È questo il Crowley che conosco.” Gli sorrise. Ancora. Crowley si sentiva impazzire. Era sicuro di star per scoppiare ma era troppo stanco per pensare. 

 

“Mi arrendo.” Alzò le braccia al cielo e si abbandonò sullo schienale del divano, appoggiando un braccio sul bracciolo. Accanto a lui Aziraphale rideva, anch'egli troppo stanco e sbronzo per riuscire a continuare a discutere. Crowley riversò il capo su di un lato e da dietro le scure lenti poté osservare il suo angelo fissare intensamente il calice vuoto. Era stanco, poverino. Stanco e bellissimo. Crowley si abbandonò a quel pensiero e si lasciò sfuggire un sognate sospiro di resa.

 

Nota dell'autore: 

Le informazioni sul fuoco di Londra sono prese principalmente dal libro “Great Tales from English History” di Robert Lacey.

 
   
 
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