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Autore: mido_ri    07/07/2019    0 recensioni
Allison Harvey, ereditiera di un'azienda di giocattoli di fama internazionale, conosce il ricco e affascinante Kim Seokjin, divenuto intimo collaboratore di suo padre in breve tempo.
Il Signor Kim, però, ha fin troppi riguardi per la giovane Allison, che si ritrova a dover fronteggiare situazioni al limite della sopportazione umana. Perché il Signor Kim la tratta in questo modo? Gode già dei favori del padre di Allison e presto, grazie alla collaborazione con lui, anche la sua azienda sarà all'apice della fama nel continente americano.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Seokjin/ Jin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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hold me

 

Stavo facendo un sogno su un cane giallo o qualcosa del genere e mi ero appassionata così tanto a quella vicenda senza senso che ci rimasi malissimo quando aprii occhi. Non saprei dire cosa mi avesse portato a svegliarmi: se un suono improvviso o la sola pressione che lo sguardo di una certa persona esercitava su di me. Sbattei le palpebre diverse volte per mettere a fuoco, ma era come se avessi un velo bianco davanti agli occhi; in ogni caso non ci misi molto a capire che quello di fronte a me era Taehyung e, nonostante l'impossibilità di vederlo bene, compresi subito che aveva quell'odioso sorriso soddisfatto stampato sulla faccia. Che diavolo ci faceva lì sulla soglia a fissarmi? Non aveva nulla da fare? Tipo fare colazione o guardare i cartoni della mattina. Fortunatamente se ne andò poco dopo il mio risveglio senza dire niente. Questa volta non mi ci volle molto tempo a ricordare che il Signor Kim era a fianco a me, forse perché ero stata cosciente tutta la notte, eccezion fatta per quello stupido sogno sul cane giallo. 

Sebbene la sera precedente avessi desiderato così tanto averlo accanto a me nel letto, in quel momento mi sentivo estremamente a disagio: ogni muscolo del corpo era rigido e contratto, perfino i denti erano serrati. Avrei voluto alzarmi mentre lui era ancora addormentato e far finta che non fosse successo assolutamente nulla, magari facendogli credere di aver solo sognato l'intera faccenda, ma ero sicura che si sarebbe svegliato non appena mi fossi mossa di un solo millimetro. Era inutile però negare quanto fossi stata bene quella notte, mi ero sentita come se tutti i miei problemi fossero stati spazzati via, la sensazione di dormire fra le braccia del... le sue braccia. Come diavolo avevo fatto a non accorgermi fino a quel momento che la maledetta mano del Signor Kim era infilata sotto la mia maglietta? Mi mossi di scatto e urlai terrorizzata, ma a quanto pare l'altro stava ancora dormendo profondamente. Aprì lentamente gli occhi e mi rivolse uno sguardo sarcastico ancor prima di essere completamente sveglio. Parlò con tono grave e annoiato.

- Cosa c'è questa volta?

- Sei un maniaco.

Mi strinsi la vita con le braccia continuando a guardarlo spaventata.

- Ma non mi dire... questa accusa non mi è nuova. E che cosa avrei fatto?

- T-tu... tutta la notte... la mia pancia...

- La tua pancia?

Il Signor Kim si mise a sedere sul letto e si scostò i capelli dalla fronte.

- La tua mano... sulla mia pancia.

- Oh, mi dispiace. Deve essere stato davvero terribile, visto che hai dormito come un sasso.

- Ti odio.

- Questa mattinata è piena di novità.

- E odio anche tuo fratello. Insomma... mi sono svegliata perché lui mi stava fissando!

- Forse le sue palpebre che si chiudevano hanno fatto troppo rumore mentre ti fissava.

L'uomo si infilò le ciabatte e si diresse nel corridoio. Finalmente mi decisi ad alzarmi anche io.

- Che cosa vorresti dire?

Lo seguii correndo sulle punte dei piedi.

- Come hai fatto a capire che ti stava fissando mentre eri più addormentata di un animale in letargo?

- Mi stai insultando.

Il Signor Kim si fermò nel bel mezzo del corridoio e sbattei la testa contro la sua schiena.

- Ma che diav-

Si voltò. Questa volta sembrava davvero annoiato.

- Possibile che tu abbia sempre qualcosa di cui lamentarti? Mi sembra di aver adottato una bambina.

- Non mi hai adottato.

- Per fortuna no, ma la sensazione è la stessa. Potresti iscriverti a un corso di boxe invece di riversare la tua rabbia sulle persone che non ti hanno fatto nulla.

- Ma tu mi hai toccato la pancia!

Il Signor Kim alzò gli occhi al cielo e ignorò completamente la mia risposta. Okay, forse ero stata davvero troppo noiosa con tutte quelle lamentele. Lo raggiunsi in cucina e mi sedetti al tavolo, ma lui mi dava le spalle, troppo impegnato con la macchina del caffè.

- Dai, scherzavo!

- Lo dici soltanto perché hai fame?

- No!

Alla fine una mano sulla pancia non era nulla di che, lo capivo: era morbida.

- Allora penso che non ci saranno problemi se non farai colazione.

- Perché?!

L'altro rise e mi piantò davanti il cartone del latte.

- Serviti.

- Non ho cinque anni, voglio il caffè anch'io.

- Bene, alzati e fallo.

- Non sei per niente un gentiluomo.

- Sto cercando di non viziarti. E poi non puoi ottenere tutto gratis.

Mi fece l'occhiolino e rubò il mio posto, appoggiando la tazza fumante sul tavolo.

- Che c'è? Non sai farlo?

- Oggi voglio venire in ufficio con te.

Aggrottò le sopracciglia ed esitò prima di parlare.

- Oggi visiterò la RoyalToys... devo discutere di cose importanti con tuo zio.

- Perfetto, vengo anch'io. Casual o elegante?

L'uomo scosse la testa rassegnato e si limitò a bere il suo caffè.

---

In diciassette anni passati a essere sballottata da un incontro all'altro in diverse aziende, mai avevo avuto l'occasione di visitare quella di mio zio, CEO della RoyalToys. Non appena scesi dalla limousine rimasi imbambolata davanti all'enorme edificio per diversi secondi mentre il Signor Kim si dirigeva già verso l'entrata. Non so se l'ho già detto ma quell'edificio era davvero enorme.

- Allison? Cosa stai facendo?

Finalmente mi decisi a darmi una mossa e a raggiungerlo. 
Se ero rimasta affascinata osservando solo la facciata dell'azienda, non c'erano parole che potessero esprimere il mio stupore quando vi entrai. Ogni minima cosa, perfino la più piccola e insignificante, sembrava essere la posto giusto. Provai una sensazione di pace e leggerezza attraversando le varie sale, accompagnata dall'appagante suono dei passi che parevano risuonare su un pavimento di vetro. La donna che aveva il compito di guidarci ci condusse dinanzi a un ascensore dove un'altra segretaria prese il suo posto. Quando l'ascensore cominciò a salire mi accorsi che era interamente di vetro e più salivo più il paesaggio di New York diventava ampio sotto i miei piedi. Fortunatamente non soffrivo di vertigini, altrimenti ci sarei rimasta secca per lo spavento. Le porte si aprirono in automatico, precedute da un leggero scampanellio. Eravamo giunti all'ultimo piano e, a quanto pareva, il lungo corridoio che attraversammo conduceva a una sola stanza. La donna ci rivolse un sorriso gentile, poi si avvicinò a un oggetto elettronico che, da quello che capii, aveva il compito di scansionare il suo viso; una lucina verde lampeggiò per qualche secondo su quell'affare, poi uno scatto indicò che era possibile aprire la porta. Esitai a entrare poiché mi sentivo del tutto fuori luogo, ma il Signor Kim mi appoggiò una mano sulle spalle e mi spronò a camminare. La stanza era molto spaziosa ma scarsamente ammobiliata; tutto ciò che c'era di necessario era situato sull'ampia scrivania di legno in fondo, probabilmente un costoso pezzo di antiquariato. Un uomo, che indovinai essere mio zio, stava in piedi di fronte alla vetrata con le mani congiunte dietro la schiena e sembrava non essersi accorto della nostra presenza. Era più basso di mio padre ma aveva i capelli già grigi, il che faceva comprendere che era il maggiore fra i due. Quando finalmente si voltò per salutarci io indietreggiai, andando a sbattere contro il Signor Kim. L'uomo sembrò sorpreso di vedermi, evidentemente non era stato avvisato della mia presenza.

- Kim, non mi avevi detto che avresti portato la tua ragazza... è piuttosto giovane.

Mio zio mi sorrise con gentilezza, ma l'unica cosa con cui riuscii a rispondere fu una faccia rossa per l'imbarazzo. Però non aveva tutti i torti: neanche io lo avrei riconosciuto se lo avessi incontrato in mezzo alla strada, non lo vedevo da quando ero bambina. 

- Oh, no... non mi sarei mai permesso di portare un'estranea senza avvertirti. Lei è Allison, Allison Harvey. 

- Allison? Mia nipote? Oh! Tesoro... 

L'uomo mi corse incontro a braccia aperte. Quella era l'unica reazione che non avrei mai immaginato, credevo che mi avrebbe sbattuto la porta in faccia. Thorne mi stritolò in un abbraccio e mi baciò sulla fronte, poi si allontanò e mi prese il viso fra le mani per guardarmi bene. 

- Sei bellissima. Cento volte più bella di quanto immaginassi... oh, non ti offendere, non immaginavo che fossi brutta. 

Rise e si grattò la nuca. Sentii un calore piacevole sbloccarmi il cuore quando mi resi conto che mio zio non era affatto rigido come mio padre, possibile che avessi ereditato la mia irreparabile goffaggine da lui? 

- Zio... perché non sei arrabbiato con me? 

- E perché mai dovrei esserlo? Tesoro, non avresti mai potuto sapere ciò che tuo padre ha fra le mani, quell'uomo è molto bravo a mentire. 

- Per tutti questi anni ho creduto che mi odiassi... 

Lo abbracciai. Nonostante lo avessi appena incontrato dopo più di dieci anni, sentivo di poter contare su di lui; era come se avessi trovato un secondo padre. 

- No. Ricordo bene il tuo faccino quando eri piccola e non ho dubitato di te neanche per un secondo. Anche se avessi conosciuto tutta la verità fin dall'inizio non saresti mai stata dalla parte di tuo padre, di questo sono più che certo. 

- Infatti è proprio per questo che sono qui... sono dalla tua parte.

- Grazie, Allison. Non sai quanto significhi averti qui con me... e mi dispiace non averti cercato in questi anni, ma temevo che saresti stata coinvolta nei problemi fra me e tuo padre.

Mio zio mi accarezzò la testa con fare scherzoso, arruffandomi i capelli. Adoravo già quell'uomo e sarei stata in grado di dire addio al Signor Kim per trasferirmi da lui.

- Bene... è tempo di mettersi a lavoro. Allison, puoi restare se vuoi. 

Annuii e presi posto all'ampia scrivania accanto al Signor Kim. 

---

I due uomini parlarono con tono serio per tutto il pomeriggio senza fare neanche una pausa. Sebbene non riuscissi a seguire i loro discorsi alla perfezione, ascoltai con diligenza. Purtroppo però non pianificarono nessun attacco alla HarveyFactory né mobilitarono truppe segrete, contrariamente a come mi aspettavo, ma parlarono soltanto di affari sfogliando centinaia di fascicoli e controllando cartelle sul PC. Quando ci alzammo il sole era tramontato e io avevo così tanta fame che temevo che il mio stomaco avrebbe cominciato a brontolare in modo inopportuno. Il Signor Kim mi sorrise mentre si stiracchiava, ma io riuscii a pensare soltanto al fatto che sembrasse un gatto. Un gatto adorabile. Quindi gli rivolsi un'occhiataccia e voltai la testa per non fargli notare che ero diventata completamente rossa. 

- Hai fame? 

- Mh? 

- Hai fame?

Quando mi voltai di nuovo verso di lui mi resi conto che si era piegato in avanti per farmi sentire meglio ed eravamo letteralmente faccia a faccia, separati da pochi centimetri. 

- Sì. 

- Si sente. 

- Eh?!

Mi circondai la pancia con le braccia e arrossii ancora di più, ma l'altro rise e scosse le mani in segno di resa. 

- Scherzavo, scherzavo. 

- Piccioncini, che ne dite di rimanere qui a cena? 

- N-non stiamo insieme.

Inutile dire che rimasi sconvolta quando mi accorsi che anche il Signor Kim era imbarazzato: a meno che la mia vista non fosse peggiorata tutt'a un tratto, il suo viso aveva assunto un colorito più scuro. Inoltre aveva balbettato. Anche io negai il tutto scuotendo la testa e cercando di lanciare un'occhiata d'intesa a mio zio, ma lui parve non capire; eppure era la seconda volta che si sentiva dire che non stavamo insieme. 

- Come volete, ma sappiate che sareste davvero una bella coppia.

- Thorne... Allison ha dieci anni in meno di me.

- Anche la mia terza moglie! Eppure andiamo d'amore e d'accordo.

Per quanto mi avesse messo in imbarazzo, non potei fare a meno di pensare di nuovo a quanto adorassi quell'uomo. Mio padre non avrebbe mai parlato in quel modo.

- Comunque per me va più che bene cenare qui, anche perché in frigo non c'è niente e a quest'ora i negozi saranno già chiusi. Allison, tu che ne dici?

- Uhm... non vorrei disturbare... 

- Ma va!

Mio zio mi diede una pacca sulle spalle e mi spinse fuori dalla stanza.

- Stavo giusto aspettando di inaugurare il mio nuovo terrazzo con degli ospiti e voi siete perfetti. Andiamo.

--- 

Ringraziai la ragazza che mi servì il piatto; sembrava essere una cameriera a tutti gli effetti, anche se non mi spiegavo per quale assurdo motivo nell'azienda di mio zio ci fossero una cucina e un intero staff addetto a preparare i pasti e a servirli. Fatto sta che ciò che c'era nel mio piatto sembrava qualcosa di così sofisticato che non capii neanche di cosa si trattasse, ma sarei risultata scortese se lo avessi chiesto. Mi voltai verso il Signor Kim per controllare quale forchetta bisognasse usare e cominciai a mangiare. 

Inutile dire che dopo la quarta portata ero già piena come un uovo e cominciai a fissare la piscina coperta con sguardo assorto, tanto che mi spaventai quando mio zio fece strisciare la sedia a terra per alzarsi. 

- Ragazzi, mi sono appena ricordato di un'importante telefonata. 

Il Signor Kim fece per alzarsi, ma l'altro gli fece cenno di rimanere seduto. 

- Sì, si tratta di quell'informatore di cui ti ho parlato, ma non c'è bisogno che venga anche tu. Meglio non lasciare questa bimba da sola. 

Mio zio mi diede un pizzicotto sulla guancia prima di andare via. Non appena fu scomparso dalla mia vista sospirai e mi lasciai andare sulla spalliera della sedia. 

- Tutto bene? 

- No, sto scoppiando... 

Storsi il naso e mi alzai, avevo bisogno di muovermi un po'. 

- Già, tuo zio è davvero un amante delle cose esagerate. 

- Devi dire extra.

- Ex... tra?

- Sì, mio zio è extra.

- Scusa, evidentemente non parliamo la stessa lingua. 

- Questo è perché tu sei nato il secolo scorso. 

Il Signor Kim, stranamente, la prese a ridere e si alzò. Mi raggiunse e si affacciò alla ringhiera accanto a me. 

- New York vista dall'alto è uno spettacolo. 

- Soltanto di notte. 

- Non mi ci abituerò mai. 

- Strano, sia il tuo appartamento che il tuo ufficio sono oltre il decimo piano. 

- Non mi capita molto spesso di affacciarmi. 

A quanto pare la conversazione era finita lì. Sospirai e mi sporsi in avanti, anche se non c'era nulla da vedere. Non avevo mai odiato New York così tanto: insomma, quella città non aveva nulla di romantico a parte i locali a luci rosse; tutte quelle persone, il traffico, il lavoro, il rumore, non c'era mai un attimo di silenzio. Inoltre dopo tutto ciò che era successo desideravo soltanto andare altrove e non dover vedere mai più quella città, la HarveyFacory e la mia scuola.

- Allison, tutto bene?

- Uhm? S-sì... 

- Sicura? Sembri strana. 

- Lo sono sempre. 

Liberai una risatina nervosa e continuai a guardare in basso con ostinazione.

- Non è che nel cibo c'erano delle noccioline? Non hai chiesto, vero?

Il Signor Kim si avvicinò e parlò con tono insistente, costringendomi a voltarmi.

- Sto bene, davvero... è solo... solo... 

In quel momento avrei voluto prendermi a schiaffi. Perché diavolo avevo iniziato a piangere come una bambina davanti al Signor Kim? Le lacrime sgorgavano in abbondanza e sfuggivano al mio controllo. Sul serio: cosa diamine mi stava succedendo? Non riuscivo e fermarmi e allo stesso tempo non riuscivo a dare neanche una spiegazione all'altro né a guardarlo in faccia. Era come se tutto lo stress accumulato negli ultimi giorni stesse cercando di uscir fuori con la forza. Sentivo lo stomaco stringersi sempre di più e le gambe fare fatica a sorreggermi. Feci per accasciarmi a terra, ma il Signor Kim mi strinse a sé per non farmi cadere.

- Allison!

Mi aiutò a sedermi a terra lentamente e mi prese il viso fra le mani. 

- Hai bisogno di un'ambulanza? Sicura che non sia l'allergia? Ma quando diavolo torna tuo zio?

Scossi la testa mentre tentavo di trattenere i singhiozzi.

- Soffri di attacchi di panico? Prova a mettere la testa fra le ginocchia e respira lentamente. Ti aiuto io... 

- N-no, sto bene... io... 

- Allison... 

- Potresti... potresti abbracciarmi? 

Il Signor Kim non se lo fece ripetere due volte. Lasciò il mio viso e mi strinse in un abbraccio. Strofinai la fronte contro il suo petto e tirai su con il naso. Sembrava andare già meglio. Sarei voluta rimanere in quella posizione per sempre: stretta al petto dell'unico uomo che sembrava comprendermi appieno, entrambi accasciati a terra e una New York che non dormiva mai sotto di noi. Forse in quel momento non la odiavo così tanto, perlomeno fin lassù non giungeva alcun rumore. 

- Va meglio?

- Sì, grazie... 

L'altro si allontanò soltanto per potermi guardare in faccia. Tentò di rassicurarmi con un sorriso e mi accarezzò una guancia ancora umida. 

- Mi hai fatto prendere un bello spavento. 

- Scusa, è che... 

- Lo so, tranquilla. Per ora non posso dirti che starai bene come prima, ma con il tempo andrà meglio. Nel frattempo io sono qui e puoi contare su di me in qualsiasi momento, ma questo lo sai già.

- Kim... perché lo fai?

Mossi il viso contro la sua mano calda sperando che lui non la spostasse. 

- Perché non dovrei? Avrai capito che non sono il tipo che abbandona le persone ai loro problemi.

- Sì, ma... faresti per chiunque quello che hai fatto per me?

Il Signor Kim rimase interdetto a quella domanda, ma non esitò a rispondermi.

- No, per te mi sono spinto oltre il limite. 

- Non dirmi che lo hai fatto soltanto perché sono la figlia del CEO con cui collabori. 

- Penso che ormai sia chiaro che non ho nessuna stima per tuo padre. 

- E allora perché?

- Allison, mi stai forse spingendo a una dichiarazione? 

- Eh? U-uhm... in che senso?

- La risposta alle tue domande è così ovvia che non credo ci sia bisogno di dirlo.

Afferrai la mano appoggiata sul mio viso e la strinsi con forza.

- Dillo. 

L'altro sorrise nervoso e abbassò la testa, non lo avevo mai visto esitare così tanto. Poi scosse leggermente la testa e fissò i suoi occhi nei miei. Erano neri come la pece, ma in quel momento potevo giurare di vedervi riflesse tutte le luci di New York.

- Mi piaci, Allison. 

  
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