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Autore: Abby_da_Edoras    12/07/2019    6 recensioni
Questa storia è il sequel della mia precedente long fic "Il mio nome è mai più" e dunque si ispira ancora una volta alla serie TV "I Medici- Lorenzo il Magnifico", con il mio personaggio originale Antonio Orsini che, innamorato di Jacopo Pazzi, decide di mettere a posto le cose tra le due famiglie fiorentine. E, come in ogni mia ff che si rispetti, nonostante tutto ognuno avrà il suo "lieto fine"! Questa ff è incentrata interamente sulla congiura e sul modo in cui Antonio proverà a "scongiurarla" XD... e ovviamente tutto andrà letto in chiave umoristica e leggera, anche se per me questi personaggi sono veri e reali!
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a autori, registi e produttori della serie TV "I Medici".
Genere: Angst, Drammatico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo tredicesimo

 

You've let them make you feel bad about
Every little thing you've done
Judge of all things maker of none

Just kill them with kindness

'Cause you will always be
Much too strong for someone else
You will always be
Much too tall for someone else
Don't try you to apologise
Black star that's what you are
No one stills the fire in your heart
Fire with fire now!

(“Fire with fire” – Delain)

 

Nella Cattedrale non c’era più pericolo e, piano piano, anche Lucrezia, Clarice e gli altri che si erano nascosti nella sagrestia cominciarono ad uscire, guardandosi attorno circospetti. Il dottore, accompagnato da Botticelli e Poliziano, era accorso per prendersi cura della ferita di Antonio.

Lucrezia Tornabuoni si avvicinò ai figli per assicurarsi che stessero bene.

“E Nori, madre?” domandò Lorenzo, con un tono in cui si sentiva che non c’erano più speranze.

La madre, infatti, scosse il capo tristemente.

“E’ morto per me, mi ha salvato la vita” mormorò Lorenzo.

“Lo stesso ha fatto Antonio per me, mi ha protetto dalle lame dei Priori, ma io non mi ero accorto che fosse stato colpito” disse Giuliano.

Clarice, a quelle parole, impallidì.

“Cosa? Antonio è ferito?” e, con un gemito sommesso, si slanciò verso il fratello, ancora stretto tra le braccia di Jacopo.

Intanto anche Novella e Bianca si erano avvicinate, stringendosi forte ai loro mariti. In tanta confusione e paura avevano bisogno di un solido conforto… e non era ancora finita! Salviati, proprio in quei momenti, stava dando una ben meschina prova di sé al Palazzo dei Priori… ma di questo parleremo poi.

Il dottore aprì il farsetto di Antonio, rivelando lo squarcio al fianco che continuava a versare sangue, ed esaminò la ferita.

“La lama non ha colpito organi vitali” spiegò poi, “tuttavia la ferita è profonda ed è necessario fermare l’emorragia.”

Con dei panni di lino e dell’acqua presi dalla sagrestia, il dottore ripulì e fasciò strettamente la ferita di Antonio. Intanto, Clarice e Lucrezia facevano lo stesso con le ferite di Lorenzo e Giuliano che, per fortuna, erano superficiali.

“Il ragazzo deve riposare e mangiare cibi nutrienti per recuperare le forze e il sangue perduto. Inoltre la ferita dovrà essere pulita e medicata ogni giorno per evitare le infezioni” disse il dottore, prima di andarsene.

Jacopo prese il ragazzo tra le braccia, sollevandolo dal pavimento della Cattedrale. Antonio, che si era ripreso, gli si aggrappò convulsamente, aveva ancora qualcosa da dire.

“Il Palazzo dei Priori… il Gonfaloniere… Salviati e gli uomini di Montesecco cercheranno di occuparlo…” mormorò.

Lorenzo fissò Jacopo: ogni tanto veniva fuori qualcosa di nuovo e lui non sapeva se dovesse davvero fidarsi di quell’uomo. A dirla tutta, c’era anche da capirlo!

Ma Jacopo aveva del tutto cambiato le sue priorità e adesso pensava solo al bene di Firenze… e di Antonio, e non necessariamente in quest’ordine.

“Devi fermarli, Lorenzo” disse, con decisione. “Parla alla gente di Firenze, spiega che l’esercito del Papa e del Conte Riario vuole occupare la città, che tutti devono armarsi e opporsi ai soldati stranieri!”

Poi lo sguardo di Jacopo ritornò su Antonio, che si stringeva a lui con la sicurezza che, tra le sue braccia forti, non gli sarebbe potuto accadere nulla di male. Si sentiva affranto, Jacopo, perché sapeva bene che, se Antonio era in quelle condizioni, la colpa era soltanto sua che non aveva avuto la forza e la decisione per opporsi a quella disgraziata congiura.

Lorenzo, allora, mise una mano sul braccio dell’uomo.

“Voi verrete con me e con Giuliano, Jacopo” dichiarò. “Parleremo insieme alla gente di Firenze, spiegheremo loro che il colpo di Stato tentato dal Papa mirava ad ucciderci e che voi e Francesco ci avete salvati. Annunceremo che noi ci siamo uniti per proteggere Firenze dall’invasione straniera e che quindi anche loro devono essere uniti e coraggiosi e affrontare questa minaccia.”

Jacopo era allibito: veramente Lorenzo chiedeva il suo aiuto e lo voleva al suo fianco pur sapendo benissimo che cosa aveva fatto (sì, perché Jacopo non era mica scemo e lo sapeva che Lorenzo non aveva creduto nemmeno ad una delle parole disperate di Antonio, aveva finto di crederci per il quieto vivere, tutto lì)?

Antonio si affidò ancora di più all’abbraccio dell’uomo e si sforzò di sorridere.

“Oh, sì, Messer Pazzi, quanto ho desiderato vedervi lottare al fianco di Lorenzo… per Firenze…” sospirò, felice.

Sul sagrato della Cattedrale, il gruppo si separò. Botticelli e Poliziano avrebbero accompagnato Lucrezia e Clarice a Palazzo Medici, invece Jacopo affidò Antonio alle cure dei suoi nipoti.

“Zio, siete sicuro di non avere bisogno di me?” gli domandò Francesco.

“Ho bisogno di te, ma non per parlare alla gente di Firenze” rispose l’uomo. “Tu e Guglielmo, con le vostre mogli, porterete Antonio a Palazzo Pazzi e vi occuperete di lui. Mi fido di voi, so che farete il possibile per farlo stare meglio al più presto.”

“Faremo venire i migliori dottori per curarlo” promise Francesco.

“Messer Pazzi…” lo chiamò Antonio. Sì, sapeva che Jacopo aveva un compito importante da svolgere con i Medici e ne era felice, ma allo stesso tempo continuava ad avere degli oscuri presentimenti, temeva che qualcosa potesse andare storto, che Lorenzo non si fidasse del tutto di lui… che magari, alla fine, avrebbe potuto volerlo arrestare per ciò che aveva contribuito a fare!

Jacopo si chinò a baciarlo leggermente, avvolgendolo nel mantello perché nessuno potesse vedere quel bacio.

“Tornerò presto da te e, nel frattempo, i miei nipoti ti aiuteranno a guarire” gli promise. “Io e Lorenzo andiamo a salvare Firenze!”

Le parole fiere e orgogliose di Jacopo fecero circolare un benefico calore in tutto il corpo di Antonio, che si convinse che sarebbe andato tutto bene e si lasciò affidare alle cure di Francesco e Guglielmo.

Jacopo si allontanò con Lorenzo e Giuliano. L’idea era quella di andare al Palazzo dei Priori, sperando che Salviati e Montesecco non l’avessero già occupato, perché in quel caso avrebbero lanciato un segnale all’esercito di Riario che sarebbe entrato in città e sarebbero stati cavoli amari; sarebbero saliti al piano superiore e, dall’ufficio del Gonfaloniere, avrebbero parlato alla gente di Firenze.

Jacopo, tuttavia, continuava ad essere poco convinto. Aveva percepito la paura e la preoccupazione di Antonio che non voleva lasciarlo andare e si era reso conto che Lorenzo avrebbe potuto benissimo ingannarlo, fingere di volerlo condurre con sé per poi imprigionarlo nel Palazzo dei Priori e da lì… beh, lo potete immaginare, no? In un altro momento avrebbe pensato che se ne fregava, che tanto la congiura era andata in cavalleria e lui non aveva più niente da perdere… ma in realtà aveva tutto da perdere e lo sapeva bene, aveva Antonio, Antonio che era ferito e aspettava in ansia il suo ritorno.

Non voleva perdere la prospettiva di vita che lo attendeva.

“Lorenzo, comprendo che non puoi veramente fidarti di me dopo quanto è successo” gli disse mentre camminavano verso il Palazzo dei Priori. “Ti posso assicurare che desidero davvero che tutto questo finisca, che la gente di Firenze si armi contro gli invasori e che torni la pace in città, non c’è altro che voglia di più e…”

“Jacopo, non dovete dirmi niente” lo interruppe Lorenzo e questa volta pareva più sincero. Se nella Cattedrale era ancora scosso dal pericolo corso e dalla morte dell’amico Nori, adesso aveva visto la preoccupazione e l’affetto negli occhi dell’uomo mentre si occupava di Antonio ferito e aveva capito che quello davanti a lui era un altro Jacopo. “Io so solo quello che ho visto: degli uomini comprati dal Papa e dal Conte Riario hanno cercato di assassinare a tradimento me e mio fratello e voi e Francesco siete intervenuti e ci avete salvato la vita. Questo è quello che so e che voglio sapere ed è quello che diremo alla gente di Firenze. Non c’è altro.”

Un lieve sorriso increspò le labbra di Lorenzo e Jacopo sembrò addirittura quasi commosso: abbozzò una strana smorfia e borbottò qualcosa che sarebbe anche potuto essere un grazie.

Antonio sarebbe andato in estasi se avesse potuto vedere quella scena ed è un peccato che non potesse essere presente a ciò che seguì… ma, in fondo, era tutto merito suo e poteva esserne fiero.

Nel frattempo, come avevo poc’anzi accennato, Salviati aveva tentato di entrare nel Palazzo dei Priori: il suo piano era quello di chiedere udienza al Gonfaloniere con una scusa e poi di far entrare nell’edificio gli uomini di Montesecco, che avrebbero imprigionato Petrucci e occupato il palazzo.

Il Gonfaloniere Petrucci, però, non era un fesso come quelle aquile dei congiurati. Aveva sentito che c’erano stati tumulti in città e nelle piazze, si era informato ed era venuto a sapere del tentativo di assassinare i fratelli Medici. Non era riuscito a scoprire se la congiura fosse riuscita o meno ma, nel dubbio, stava sul chi vive e diffidava di tutti. Quando Salviati si fece annunciare, capì subito che veniva con intenti per niente buoni. Lo fece entrare, lo fece accomodare nel suo ufficio e ce lo rinchiuse, dopo di che ordinò alle guardie che presidiavano il Palazzo dei Priori di fare in modo che gli uomini di Montesecco non potessero entrare più di due o tre alla volta, di modo che fosse facile per loro ridurli all’impotenza.

Insomma, anche in quel caso Salviati e Montesecco avevano fatto la figura dei cretini integrali!

Salviati si accorse che le cose si mettevano di male in peggio, dalla finestra aveva visto i soldati di Montesecco che venivano uccisi o catturati e, da vigliacco patentato qual era, tentò di salvarsi la pelle.

“Signor Gonfaloniere” piagnucolò, “vi prego, vi prego, non fatemi del male!”

“Perché dovrei avere pietà di voi? Un porporato che si presta a un’azione così orribile, tentare di uccidere i Medici, prendere il Palazzo dei Priori e rovesciare la Repubblica?” lo accusò Petrucci.

“Io… vi chiedo perdono, non è stata una mia idea, sono solo una pedina, vi prego, non fatemi del male” implorò ancora l’arcivescovo.

“Dovevate pensarci prima!” esclamò il Gonfaloniere, irritato.

In quel momento il capitano delle guardie di palazzo si fece avanti nell’ufficio per annunciare al Gonfaloniere che tutti i mercenari erano stati uccisi o catturati e che anche il loro comandante, il Conte di Montesecco, era prigioniero nella Cancelleria.

Petrucci sorrise. Per fortuna sua e di tutta Firenze quella gente non era altro che una manica di imbecilli!

“Complimenti, eminenza, non c’è che dire, avete proprio concepito un grande piano. Capitano, prendete in consegna l’arcivescovo Salviati e imprigionatelo nella Cancelleria, dove si trova il suo degno compare Montesecco. Verranno processati al più presto e puniti come meritano” ordinò Petrucci.

Il capitano delle guardie obbedì, ma poco dopo tornò di corsa, tutto agitato, per dare un altro annuncio importante al Gonfaloniere.

“Signor Gonfaloniere, signor Gonfaloniere, ci sono i Messeri Lorenzo e Giuliano Medici in compagnia di Messer Jacopo Pazzi!” disse tutto d’un fiato. “Chiedono di poter entrare nel vostro ufficio per parlare ai fiorentini dalle finestre e rassicurarli.”

Se Petrucci era rimasto sorpreso nell’udire di quella strana e improbabile combriccola, non lo diede a vedere: per quel giorno aveva vissuto già abbastanza stranezze e nulla poteva più sconvolgerlo.

“Fateli entrare” ordinò.

Pochi minuti dopo, Lorenzo, affiancato da Giuliano e Jacopo, apparve alla finestra dell’ufficio del Gonfaloniere. Una gran folla si era riunita da ogni parte della città e adesso riempiva la piazza. Alcuni avevano partecipato alla Messa nella Cattedrale e poi erano fuggiti quando si era scatenato l’inferno, portando le notizie più disparate in giro per Firenze; altri erano accorsi sentendo gli annunci dei cittadini spaventati (morte dei Medici, invasione della città, crollo della cupola e altre amenità del genere… nessuno aveva detto che erano sbarcati gli alieni solo perché al tempo ancora non andavano di moda!). I fiorentini si erano riversati nelle strade e ora erano tutti lì, con lo sguardo verso l’alto.

“Cittadini di Firenze” esordì Lorenzo con voce pacata e tranquillizzante, “non abbiate timore. So che vi sono giunte voci che annunciavano la rovina per la nostra città e l’invasione di truppe straniere. Sappiate dunque che parte di quelle voci era vera: soldati mercenari inviati da Papa Sisto e dal suo nipote, il Conte Riario, si sono infiltrati in città per tentare di rovesciare la nostra Repubblica. Alcuni uomini, pagati dagli stessi mandanti, hanno tentato di assassinare me e mio fratello Giuliano alla Messa solenne di Pasqua, nella Cattedrale, per creare un vuoto di potere e mettere Riario a capo della città. Il loro piano criminale, però, è fallito e, come potete vedere con i vostri occhi, io e mio fratello stiamo bene. Messer Jacopo Pazzi qui presente e suo nipote Francesco sono intervenuti, uccidendo i sicari e salvandoci la vita.”

Tanto Petrucci quanto i cittadini di Firenze rimasero basiti a quelle parole: forse avrebbero creduto più facilmente alla storia dello sbarco alieno…

“Altri mercenari, guidati dal Conte di Montesecco e dall’arcivescovo Salviati, hanno tentato di penetrare in questo palazzo e di occuparlo in attesa dell’esercito di Riario, ma la prontezza di spirito del Gonfaloniere Petrucci e delle guardie di palazzo ha permesso di fermarli in tempo. Adesso Montesecco e Salviati sono prigionieri in attesa di essere processati” riprese Lorenzo. La folla, dapprima ancora incredula e disorientata, cominciava a capire che c’era stata una grave minaccia ma che, adesso, sembrava in parte sventata. Qualcuno cominciò ad applaudire timidamente, qualcun altro a scandire il nome di Lorenzo e dei Medici, tipo coro da stadio

“Tuttavia il pericolo non è scongiurato del tutto” disse il giovane Medici. Era il momento di chiamare i cittadini alle armi, per difendere Firenze nel caso in cui l’esercito di Riario fosse riuscito a entrare in città. Questa era la parte che Lorenzo aveva pensato di affidare a Jacopo dopo un discorso introduttivo. “Un esercito di invasori preme alle porte della nostra amata patria e io, noi tutti, adesso siamo qui per chiedere il vostro aiuto contro questi mercenari. Voi potete farcela e ce la farete perché siete uniti, così come io e Giuliano siamo salvi perché Messer Jacopo Pazzi e suo nipote si sono fatti avanti per difenderci, dimenticando i loro interessi personali e la diversità di vedute. Hanno pensato al bene di Firenze invece che al loro e per questo adesso siamo qui. Ma credo che Messer Pazzi potrà dirvelo ancora meglio di quanto non stia facendo io.”

Il fatto che Lorenzo passasse spontaneamente la parola a Jacopo fu la cosa più sconvolgente della giornata… e Giuliano non poté trattenere una specie di gemito sommesso.

Oddio, ora fa parlare anche lui… ma perché? Perché? Ci starà come minimo tre ore e tirerà in ballo pure Pazzino de’ Pazzi, pensò angosciato il giovane.

Fine capitolo tredicesimo

 

 

 

   
 
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