Capitolo tredicesimo
You've let them make you feel bad about
Every little thing you've done
Judge of all things maker of none
Just kill them with kindness
'Cause you will always be
Much too strong for someone else
You will always be
Much too tall for someone else
Don't try you to apologise
Black star that's what you are
No one stills the fire in your heart
Fire with fire now!
(“Fire with fire” – Delain)
Nella Cattedrale non
c’era più pericolo e, piano piano, anche Lucrezia, Clarice e gli altri che si
erano nascosti nella sagrestia cominciarono ad uscire, guardandosi attorno
circospetti. Il dottore, accompagnato da Botticelli e Poliziano, era accorso
per prendersi cura della ferita di Antonio.
Lucrezia Tornabuoni
si avvicinò ai figli per assicurarsi che stessero bene.
“E Nori, madre?”
domandò Lorenzo, con un tono in cui si sentiva che non c’erano più speranze.
La madre, infatti,
scosse il capo tristemente.
“E’ morto per me, mi
ha salvato la vita” mormorò Lorenzo.
“Lo stesso ha fatto
Antonio per me, mi ha protetto dalle lame dei Priori, ma io non mi ero accorto
che fosse stato colpito” disse Giuliano.
Clarice, a quelle
parole, impallidì.
“Cosa? Antonio è
ferito?” e, con un gemito sommesso, si slanciò verso il fratello, ancora stretto
tra le braccia di Jacopo.
Intanto anche Novella
e Bianca si erano avvicinate, stringendosi forte ai loro mariti. In tanta
confusione e paura avevano bisogno di un solido conforto… e non era ancora
finita! Salviati, proprio in quei momenti, stava dando una ben meschina prova
di sé al Palazzo dei Priori… ma di questo parleremo poi.
Il dottore aprì il
farsetto di Antonio, rivelando lo squarcio al fianco che continuava a versare
sangue, ed esaminò la ferita.
“La lama non ha
colpito organi vitali” spiegò poi, “tuttavia la ferita è profonda ed è
necessario fermare l’emorragia.”
Con dei panni di lino
e dell’acqua presi dalla sagrestia, il dottore ripulì e fasciò strettamente la
ferita di Antonio. Intanto, Clarice e Lucrezia facevano lo stesso con le ferite
di Lorenzo e Giuliano che, per fortuna, erano superficiali.
“Il ragazzo deve
riposare e mangiare cibi nutrienti per recuperare le forze e il sangue perduto.
Inoltre la ferita dovrà essere pulita e medicata ogni giorno per evitare le
infezioni” disse il dottore, prima di andarsene.
Jacopo prese il
ragazzo tra le braccia, sollevandolo dal pavimento della Cattedrale. Antonio,
che si era ripreso, gli si aggrappò convulsamente, aveva ancora qualcosa da
dire.
“Il Palazzo dei
Priori… il Gonfaloniere… Salviati e gli uomini di Montesecco cercheranno di
occuparlo…” mormorò.
Lorenzo fissò Jacopo:
ogni tanto veniva fuori qualcosa di nuovo e lui non sapeva se dovesse davvero
fidarsi di quell’uomo. A dirla tutta, c’era anche da capirlo!
Ma Jacopo aveva del
tutto cambiato le sue priorità e adesso pensava solo al bene di Firenze… e di
Antonio, e non necessariamente in quest’ordine.
“Devi fermarli,
Lorenzo” disse, con decisione. “Parla alla gente di Firenze, spiega che
l’esercito del Papa e del Conte Riario vuole occupare la città, che tutti
devono armarsi e opporsi ai soldati stranieri!”
Poi lo sguardo di
Jacopo ritornò su Antonio, che si stringeva a lui con la sicurezza che, tra le
sue braccia forti, non gli sarebbe potuto accadere nulla di male. Si sentiva
affranto, Jacopo, perché sapeva bene che, se Antonio era in quelle condizioni,
la colpa era soltanto sua che non aveva avuto la forza e la decisione per
opporsi a quella disgraziata congiura.
Lorenzo, allora, mise
una mano sul braccio dell’uomo.
“Voi verrete con me e
con Giuliano, Jacopo” dichiarò. “Parleremo insieme alla gente di Firenze,
spiegheremo loro che il colpo di Stato tentato dal Papa mirava ad ucciderci e
che voi e Francesco ci avete salvati. Annunceremo che noi ci siamo uniti per
proteggere Firenze dall’invasione straniera e che quindi anche loro devono
essere uniti e coraggiosi e affrontare questa minaccia.”
Jacopo era allibito:
veramente Lorenzo chiedeva il suo aiuto e lo voleva al suo fianco pur sapendo
benissimo che cosa aveva fatto (sì, perché Jacopo non era mica scemo e lo
sapeva che Lorenzo non aveva creduto nemmeno ad una delle parole disperate di
Antonio, aveva finto di crederci per il quieto vivere, tutto lì)?
Antonio si affidò
ancora di più all’abbraccio dell’uomo e si sforzò di sorridere.
“Oh, sì, Messer
Pazzi, quanto ho desiderato vedervi lottare al fianco di Lorenzo… per Firenze…”
sospirò, felice.
Sul sagrato della
Cattedrale, il gruppo si separò. Botticelli e Poliziano avrebbero accompagnato
Lucrezia e Clarice a Palazzo Medici, invece Jacopo affidò Antonio alle cure dei
suoi nipoti.
“Zio, siete sicuro di
non avere bisogno di me?” gli domandò Francesco.
“Ho bisogno di te, ma
non per parlare alla gente di Firenze” rispose l’uomo. “Tu e Guglielmo, con le
vostre mogli, porterete Antonio a Palazzo Pazzi e vi occuperete di lui. Mi fido
di voi, so che farete il possibile per farlo stare meglio al più presto.”
“Faremo venire i
migliori dottori per curarlo” promise Francesco.
“Messer Pazzi…” lo
chiamò Antonio. Sì, sapeva che Jacopo aveva un compito importante da svolgere
con i Medici e ne era felice, ma allo stesso tempo continuava ad avere degli
oscuri presentimenti, temeva che qualcosa potesse andare storto, che Lorenzo
non si fidasse del tutto di lui… che magari, alla fine, avrebbe potuto volerlo
arrestare per ciò che aveva contribuito a fare!
Jacopo si chinò a
baciarlo leggermente, avvolgendolo nel mantello perché nessuno potesse vedere
quel bacio.
“Tornerò presto da te
e, nel frattempo, i miei nipoti ti aiuteranno a guarire” gli promise. “Io e
Lorenzo andiamo a salvare Firenze!”
Le parole fiere e
orgogliose di Jacopo fecero circolare un benefico calore in tutto il corpo di
Antonio, che si convinse che sarebbe andato tutto bene e si lasciò affidare
alle cure di Francesco e Guglielmo.
Jacopo si allontanò
con Lorenzo e Giuliano. L’idea era quella di andare al Palazzo dei Priori,
sperando che Salviati e Montesecco non l’avessero già occupato, perché in quel
caso avrebbero lanciato un segnale all’esercito di Riario che sarebbe entrato
in città e sarebbero stati cavoli amari; sarebbero saliti al piano superiore e,
dall’ufficio del Gonfaloniere, avrebbero parlato alla gente di Firenze.
Jacopo, tuttavia,
continuava ad essere poco convinto. Aveva percepito la paura e la
preoccupazione di Antonio che non voleva lasciarlo andare e si era reso conto
che Lorenzo avrebbe potuto benissimo ingannarlo, fingere di volerlo condurre
con sé per poi imprigionarlo nel Palazzo dei Priori e da lì… beh, lo potete
immaginare, no? In un altro momento avrebbe pensato che se ne fregava, che
tanto la congiura era andata in cavalleria e lui non aveva più niente da
perdere… ma in realtà aveva tutto da perdere e lo sapeva bene, aveva Antonio,
Antonio che era ferito e aspettava in ansia il suo ritorno.
Non voleva perdere la
prospettiva di vita che lo attendeva.
“Lorenzo, comprendo
che non puoi veramente fidarti di me dopo quanto è successo” gli disse mentre
camminavano verso il Palazzo dei Priori. “Ti posso assicurare che desidero
davvero che tutto questo finisca, che la gente di Firenze si armi contro gli
invasori e che torni la pace in città, non c’è altro che voglia di più e…”
“Jacopo, non dovete
dirmi niente” lo interruppe Lorenzo e questa volta pareva più sincero. Se nella
Cattedrale era ancora scosso dal pericolo corso e dalla morte dell’amico Nori,
adesso aveva visto la preoccupazione e l’affetto negli occhi dell’uomo mentre
si occupava di Antonio ferito e aveva capito che quello davanti a lui era un
altro Jacopo. “Io so solo quello che ho visto: degli uomini comprati dal Papa e
dal Conte Riario hanno cercato di assassinare a tradimento me e mio fratello e voi e Francesco siete intervenuti e ci
avete salvato la vita. Questo è quello che so e che voglio sapere ed è quello
che diremo alla gente di Firenze. Non c’è altro.”
Un lieve sorriso
increspò le labbra di Lorenzo e Jacopo sembrò addirittura quasi commosso:
abbozzò una strana smorfia e borbottò qualcosa che sarebbe anche potuto essere
un grazie.
Antonio sarebbe
andato in estasi se avesse potuto vedere quella scena ed è un peccato che non
potesse essere presente a ciò che seguì… ma, in fondo, era tutto merito suo e
poteva esserne fiero.
Nel frattempo, come
avevo poc’anzi accennato, Salviati aveva tentato di entrare nel Palazzo dei
Priori: il suo piano era quello di chiedere udienza al Gonfaloniere con una
scusa e poi di far entrare nell’edificio gli uomini di Montesecco, che avrebbero
imprigionato Petrucci e occupato il palazzo.
Il Gonfaloniere Petrucci,
però, non era un fesso come quelle aquile
dei congiurati. Aveva sentito che c’erano stati tumulti in città e nelle
piazze, si era informato ed era venuto a sapere del tentativo di assassinare i
fratelli Medici. Non era riuscito a scoprire se la congiura fosse riuscita o
meno ma, nel dubbio, stava sul chi vive e diffidava di tutti. Quando Salviati
si fece annunciare, capì subito che veniva con intenti per niente buoni. Lo
fece entrare, lo fece accomodare nel suo ufficio e ce lo rinchiuse, dopo di che
ordinò alle guardie che presidiavano il Palazzo dei Priori di fare in modo che
gli uomini di Montesecco non potessero entrare più di due o tre alla volta, di
modo che fosse facile per loro ridurli all’impotenza.
Insomma, anche in
quel caso Salviati e Montesecco avevano fatto la figura dei cretini integrali!
Salviati si accorse
che le cose si mettevano di male in peggio, dalla finestra aveva visto i
soldati di Montesecco che venivano uccisi o catturati e, da vigliacco patentato
qual era, tentò di salvarsi la pelle.
“Signor Gonfaloniere”
piagnucolò, “vi prego, vi prego, non fatemi del male!”
“Perché dovrei avere
pietà di voi? Un porporato che si presta a un’azione così orribile, tentare di
uccidere i Medici, prendere il Palazzo dei Priori e rovesciare la Repubblica?”
lo accusò Petrucci.
“Io… vi chiedo
perdono, non è stata una mia idea, sono solo una pedina, vi prego, non fatemi
del male” implorò ancora l’arcivescovo.
“Dovevate pensarci
prima!” esclamò il Gonfaloniere, irritato.
In quel momento il
capitano delle guardie di palazzo si fece avanti nell’ufficio per annunciare al
Gonfaloniere che tutti i mercenari erano stati uccisi o catturati e che anche
il loro comandante, il Conte di Montesecco, era prigioniero nella Cancelleria.
Petrucci sorrise. Per
fortuna sua e di tutta Firenze quella gente non era altro che una manica di
imbecilli!
“Complimenti,
eminenza, non c’è che dire, avete proprio concepito un grande piano. Capitano,
prendete in consegna l’arcivescovo Salviati e imprigionatelo nella Cancelleria,
dove si trova il suo degno compare Montesecco. Verranno processati al più
presto e puniti come meritano” ordinò Petrucci.
Il capitano delle
guardie obbedì, ma poco dopo tornò di corsa, tutto agitato, per dare un altro
annuncio importante al Gonfaloniere.
“Signor Gonfaloniere,
signor Gonfaloniere, ci sono i Messeri Lorenzo e Giuliano Medici in compagnia
di Messer Jacopo Pazzi!” disse tutto d’un fiato. “Chiedono di poter entrare nel
vostro ufficio per parlare ai fiorentini dalle finestre e rassicurarli.”
Se Petrucci era
rimasto sorpreso nell’udire di quella strana e improbabile combriccola, non lo
diede a vedere: per quel giorno aveva vissuto già abbastanza stranezze e nulla
poteva più sconvolgerlo.
“Fateli entrare”
ordinò.
Pochi minuti dopo,
Lorenzo, affiancato da Giuliano e Jacopo, apparve alla finestra dell’ufficio
del Gonfaloniere. Una gran folla si era riunita da ogni parte della città e
adesso riempiva la piazza. Alcuni avevano partecipato alla Messa nella
Cattedrale e poi erano fuggiti quando si era scatenato l’inferno, portando le
notizie più disparate in giro per Firenze; altri erano accorsi sentendo gli
annunci dei cittadini spaventati (morte dei Medici, invasione della città,
crollo della cupola e altre amenità del genere… nessuno aveva detto che erano
sbarcati gli alieni solo perché al tempo ancora non andavano di moda!). I
fiorentini si erano riversati nelle strade e ora erano tutti lì, con lo sguardo
verso l’alto.
“Cittadini di Firenze”
esordì Lorenzo con voce pacata e tranquillizzante, “non abbiate timore. So che
vi sono giunte voci che annunciavano la rovina per la nostra città e l’invasione
di truppe straniere. Sappiate dunque che parte di quelle voci era vera: soldati
mercenari inviati da Papa Sisto e dal suo nipote, il Conte Riario, si sono
infiltrati in città per tentare di rovesciare la nostra Repubblica. Alcuni
uomini, pagati dagli stessi mandanti, hanno tentato di assassinare me e mio
fratello Giuliano alla Messa solenne di Pasqua, nella Cattedrale, per creare un
vuoto di potere e mettere Riario a capo della città. Il loro piano criminale,
però, è fallito e, come potete vedere con i vostri occhi, io e mio fratello
stiamo bene. Messer Jacopo Pazzi qui presente e suo nipote Francesco sono
intervenuti, uccidendo i sicari e salvandoci la vita.”
Tanto Petrucci quanto
i cittadini di Firenze rimasero basiti a quelle parole: forse avrebbero creduto
più facilmente alla storia dello sbarco alieno…
“Altri mercenari,
guidati dal Conte di Montesecco e dall’arcivescovo Salviati, hanno tentato di
penetrare in questo palazzo e di occuparlo in attesa dell’esercito di Riario,
ma la prontezza di spirito del Gonfaloniere Petrucci e delle guardie di palazzo
ha permesso di fermarli in tempo. Adesso Montesecco e Salviati sono prigionieri
in attesa di essere processati” riprese Lorenzo. La folla, dapprima ancora
incredula e disorientata, cominciava a capire che c’era stata una grave
minaccia ma che, adesso, sembrava in parte sventata. Qualcuno cominciò ad
applaudire timidamente, qualcun altro a scandire il nome di Lorenzo e dei
Medici, tipo coro da stadio…
“Tuttavia il pericolo
non è scongiurato del tutto” disse il giovane Medici. Era il momento di
chiamare i cittadini alle armi, per difendere Firenze nel caso in cui l’esercito
di Riario fosse riuscito a entrare in città. Questa era la parte che Lorenzo
aveva pensato di affidare a Jacopo dopo un discorso introduttivo. “Un esercito
di invasori preme alle porte della nostra amata patria e io, noi tutti, adesso
siamo qui per chiedere il vostro aiuto contro questi mercenari. Voi potete
farcela e ce la farete perché siete uniti, così come io e Giuliano siamo salvi
perché Messer Jacopo Pazzi e suo nipote si sono fatti avanti per difenderci,
dimenticando i loro interessi personali e la diversità di vedute. Hanno pensato
al bene di Firenze invece che al loro e per questo adesso siamo qui. Ma credo
che Messer Pazzi potrà dirvelo ancora meglio di quanto non stia facendo io.”
Il fatto che Lorenzo
passasse spontaneamente la parola a Jacopo fu la cosa più sconvolgente della
giornata… e Giuliano non poté trattenere una specie di gemito sommesso.
Oddio,
ora fa parlare anche lui… ma perché? Perché? Ci starà come minimo tre ore e
tirerà in ballo pure Pazzino de’ Pazzi, pensò angosciato il
giovane.
Fine capitolo tredicesimo